tag:blogger.com,1999:blog-41697026334529844172024-03-17T17:48:51.388+01:00 HUMANITASDanilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comBlogger165125tag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-87648927927915084692023-09-12T10:36:00.004+02:002023-09-12T10:39:08.261+02:00OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 1 di 4 (L’“APOLOGETICUM” E LA STORIA)<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Il testo che segue è un estratto
del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano”
pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook),
disponibile per intero online qua (possibile il download):</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano">https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano</a></div><div style="text-align: justify;">Nel blog è stato ripresentato in
quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in
calce.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><i><div style="text-align: justify;">Vive la sentenza divina sopra questo sesso [femminile] in
quest’epoca [post Christum natum]: è necessario che viva pure il reato. Tu sei
la porta del Diavolo; tu sei colei che ha dissigillato quell’albero [della
conoscenza del bene e del male]; tu sei colei che ha trascurato per prima la
legge di Dio; sei stata tu a persuadere chi il Diavolo non ebbe capacità di
adescare: tu sei colei che ha distrutto con leggerezza l’imago Dei, l’uomo; a
causa del tuo premio, cioè la morte, anche al Figlio di Dio toccò morire: e a
te passa in testa di abbellire il tuo nudo corpo [pellicea tunica]?</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: right;">Quinto Settimio Florente Tertulliano, “De cultu feminarum”</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Se tu guardi per troppo tempo in un abisso, pure l’abisso ti
guarda dentro.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: right;">Friedrich Nietzsche, “Al di là del bene e del male”</div></i><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Quinto Settimio Florente Tertulliano era originario di
Cartagine, dove nacque intorno a metà del secolo II. Secolo alla cui fine si
convertì al Cristianesimo. Nella sua vita fu un avvocato, e divenuto cristiano
ricevette poi anche l’ordinazione sacerdotale. È noto per essere stato un
integralista religioso e uno dei primissimi autori apologeti del Cristianesimo
dell’area imperiale latino-occidentale. All’inizio del III sec. si avvicinò al
montanismo, passato alla storia quale rigoristica eresia (dichiarata tale nel
202 dal Papa) richiedente la disponibilità al martirio, al digiuno, alla
castità, alla penitenza. E verso il 207 uscì fuori della Chiesa ufficiale in
polemica antiedonistica e negandole inoltre il potere di rimettere i peccati
dei fedeli. Morì in età imprecisata, ma avanzata. L’“Apologeticum” (risalente
alla fine del II sec.) viene considerata la sua opera principale. Tertulliano
lamenta che, a suo dire, i cristiani siano perseguitati dalla giustizia romana
senza un valido motivo e che per giunta siano vittime di pregiudizi e calunnie.
L’opinione pubblica li riteneva adoratori di un Dio avente testa asinina,
responsabili dell’uccisione di bambini nei loro riti duranti i quali ne
consumavano poi le carni e compivano atti sessuali. Ho valutato con molta attenzione
simili dettagli. E a proposito del primo, la testa d’asino, sono
dell’orientamento che almeno alcuni dei primi cristiani potessero veramente
destinarvi la loro attenzione di culto. In altro mio studio ho evidenziato la
radice dionisiaca nella costruzione evangelica della figura di Gesù Cristo<sup>1</sup>:
l’asino è un simbolo collegato a Dioniso. Dalla molto probabile per me verità
di questa prima parte, ricavo l’ipotesi di verità della seconda parte di
dettagli, anche sulla base di ulteriori osservazioni in aggiunta alla loro
attendibilità di forma (cioè non credo che i pagani mentissero sui fatti
indicati). Non giudico impossibile l’infanticidio rituale e il cannibalismo
derivato perché mi appaiono una liturgia protoeucaristica: nel mito greco
dionisiaco i Titani mangiarono le carni del Dio, nel rito cristiano il
parallelismo è poggiato sulle note parole di Gesù all’ultima cena dove istituì
l’eucaristia. È, secondo me, altamente possibile (dal momento in cui la cosa è
stata segnalata dai pagani) che almeno alcuni cristiani delle origini potessero
aver interpretato la loro nuova religiosità in una direzione cruenta e
cannibalesca in un macabro ossequio a una teologia non ancora precisata in
chiari accettabili riti al pubblico. Questa propensione all’irrazionalità
troverebbe una dionisiaca celebrazione rinnovata nella pratica di atti sessuali
rituali. Sappiamo che un’ala dello gnosticismo era molto permissivista nei
confronti delle pulsioni sessuali: niente di strano che nel calderone del primo
Cristianesimo idee che poi saranno più specificatamente gnostiche trovassero
una loro applicazione presso gli ambienti propriamente definiti “cristiani”. In
ogni caso le scene offerte da invasati kamikaze cristiani disposti al martirio,
idest a farsi condannare a morte in quanto eversori dell’ordine costituito, per
motivi giudicabili poco sensati, non deponeva a favore di un giudizio positivo
sugli estremisti del caso. I cristiani, a cui danno Tertulliano lamenta
condanne e torture, venivano condannati in primis a causa del loro monoteismo,
il quale li portava a rifiutare qualsiasi altra forma di ossequio di natura
religiosa. Il crimen maiestatis comportava la pena capitale. Ma i cristiani non
erano disposti ad accettare la divinizzazione possibile dell’imperatore a scapito
del Dio neotestamentario (sulla falsariga ebraica col “Tanak”). Loro reputavano
diavoli gli Dei del politeismo pagano. Tale demonizzazione della religiosità
altrui rappresentava un atto estremistico che gettava fango sopra le civiltà
egizia, greca e romana. Costituiva nelle intenzioni e nei fatti uno sprone a un
sovvertimento radicale e globale. Io credo che la repressione romana dei
cristiani originari sia stata un fenomeno storico ingigantito e distorto
dall’apologetica del Cristianesimo, a partire proprio da Tertulliano (a cui non
mancavano abilità intellettuali manipolatorie). Dobbiamo considerare qui due
aspetti: perché i Romani respingevano i cristiani, e che cosa sia dunque
obiettivamente successo in seguito alla motivazione repressiva. Come detto poc’anzi
al governo imperiale di Roma non interessava intromettersi nella privatezza
religiosa, bensì tutelare l’ordine costituito. L’incendio della capitale
dell’Impero di era neroniana, a mio modesto avviso, potrebbe anche essere stato
il frutto di un attentato terroristico a opera di messianisti ebrei (da non
confondersi coi cristiani). Nel Vicino Oriente girava l’idea che il dominio
romano non sarebbe scomparso se prima Roma non fosse stata distrutta. Perciò
non mi pare assurdo ipotizzare l’attentato compiuto da estremisti ebraici
rivoluzionari. I rapporti fra Giudei e Romani furono tesi per via
dell’enoteismo ebreo che impediva atti religiosi al di fuori della propria
stretta liceità. Culti pagani obbligatori rivolti a tutti i sudditi dell’Impero
portarono i Cristiani sulle note posizioni di chiusura manifestate dal
Giudaismo. Tertulliano nell’“Adversus Iudaeos” rammenta l’antipatia del
Cristianesimo nei confronti di Roma pagana centro del potere politico: «Babylon
apud Iohannem nostrum Romae urbis figura est […] sanctorum debellatricis». I
Romani pagani tenevano in simili circostanze in considerazione l’atto di
insubordinazione pubblica, non si interessavano dei contenuti teologici altrui.
Giuridicamente il reato cristiano pesava quanto quello possibile dei Giudei.
Quindi ritengo di poter concludere che il trattamento riservato ai
mono(eno)teisti integralisti fosse analogo. Però il Cristianesimo si è
lamentato solo dei propri disagi in quell’operazione di propagandistica
imposizione religiosa di un Dio unico. I cristiani non hanno segnalato la
parallela difficoltà, dal canto loro, degli Ebrei. I quali anzi da subito, con
spregevole intenzione antisemita e con spirito illiberale, mirarono ad
annientare come soggetti religiosi. Tale malaugurato proposito si evolverà in
persecuzioni e ghettizzazioni a scapito del popolo giudaico sino
all’irrazionalistico antisemitismo nazista protagonista di altri consequenziali
deprecabili e gravissimi crimini contro l’umanità. L’assenza di una giusta
visione cristiana dell’intero, quindi di una visione obiettiva e non
propagandistica e non tendenziosa, già da Tertulliano, mi porta a reputare
ingigantita e distorta l’occasionale operazione romana contro i cristiani. Tale
vocazione apologetica vittimistica toccherà il vertice molto dopo con “Quo
vadis” di Henrik Sienkiewicz. Non nego che le forze dell’ordine imperiali
condannassero a morte dei cristiani in quanto equiparati a sovversivi,
giudicati potenzialmente pericolosi, messianisti ebrei indipendentisti. Gli
intellettuali apologeti cristiani furono lasciati molto liberi nel II-III sec.
di produrre e diffondere le loro opere. Ora, se veramente ci fosse stata una
intenzione di Roma di reprimere la nuova religione il sistema pagano avrebbe
preso sistematicamente di mira e di continuo scrittori e predicatori, mentre
questi rimasero in realtà quasi sempre liberi. Se ci furono morti e martiri fra
cristiani e messianisti giudei, in quanto sovversivi (cioè irrispettosi della
comune legalità costituita). A un secolo da Tertulliano il Cristianesimo
ottenne con Costantino l’immunità penale per i suoi adepti. Il tragico
vittimismo di Sienkiewicz e Tertulliano, improntato, ad arte, come uno scontro
tra le forze del bene e quelle del Male, avrebbe storicamente preluso a una
guerra civile tra pagani e cristiani, la quale non c’è stata. A testimonianza
del fatto che Roma lasciava ampia libertà religiosa sino al punto di farsi
condizionare, in peggio, in direzione religiosa totalitaria e antisemita, dal
Cristianesimo. Se questo fosse stato quel mostro reprimendo dipinto negli occhi
del governo pagano romano da Tertulliano, non se lo sarebbero messo di certo
dentro casa con l’editto di tolleranza, per poi addirittura con Teodosio in
meno di un secolo proclamarlo padrone di casa. A me la storiografia apologetica
del primo Cristianesimo non quadra. Nessun leone s’è mangiato Tertulliano,
estremista apologeta cristiano. La nuova religione si poteva estirpare colpendo
le radici, non i frutti. I Romani lo sapevano benissimo, tuttavia non lo
fecero. Tertulliano mente nell’accusarli di odio religioso. Il mito nero di
Nerone è stato giustamente corretto dalla storiografia contemporanea. Mi pare
il caso di riesaminare altresì il mito bianco delle persecuzioni cristiane
precostantiniane. Rivediamo dunque il quadro storico inerente al confronto fra
Romani da un lato, ed Ebraismo e Cristianesimo dall’altro, dall’origine di
questo secondo all’Editto di Costantino, rammentando che i primi non riuscirono
a cogliere subito ab ovo la distinzione fra vecchi Giudei e nuovi cristiani.
Roma fra il 66 e il 135 combatté ben tre Guerre giudaiche al fine di mantenere
il controllo politico della Palestina ebraica. Nel 66-70 (due anni dopo il
grande incendio dell’Urbe) i Romani sedarono la prima insurrezione giudaica, la
quale ebbe come conseguenze la distruzione del Secondo Tempio ebraico risalente
al VI sec a.C. (a cui non ne seguì un terzo) e una rinnovata forzata
dispersione di quasi centomila Ebrei palestinesi schiavizzati. Durante il
principato (69-96) del filotradizionalista Domiziano i giudeocristiani furono
ritenuti un problema serio, e costui con lo scopo di liberarne la capitale
dell’Impero li sottopose a una tassa ad hoc. Nel 93 Domiziano, temendo la
diffusione di un’atmosfera culturale troppo permeata da ascendenze ellenistiche,
aveva bandito i filosofi da Roma. Nel 115-117 i Romani furono in guerra contro
i Parti, e gli Ebrei sostennero i secondi nel corso della Seconda Guerra
giudaica. Il posteriore regolamento dei conti coi Giudei, mostratisi di nuovo
gravemente ostili a Roma, segnò la fine di Gerusalemme ebraica, la quale lasciò
il suo spazio a un centro urbano coloniale romano denominato Aelia Capitolina
(la città già privata del suo tempio al Dio giudeo vide l’erezione di uno
dedicato a Giove). L’insurrezione (132-135) che scaturì nella veste di risposta
a questo proposito punitivo, la Terza Guerra giudaica, fallì, e la Iudaea,
pienamente romana dal 6, finì nella nuova provincia imperiale denominata Syria
Palaestina. Queste le tappe storiche salienti ab Christi religionis origine ad
Tertullianum: in questo primo secolo e mezzo di vita del Cristianesimo è andata
molto male per gli indipendentisti ebrei, e i cristiani appaiono molto
marginali a dispetto delle loro devianze. L’“Apologeticum” tertullianeo fu
persino offerto a Settimio Severo, princeps, come parecchi altri, tollerante
verso la nuova religio. Tuttavia, nonostante una tendenziale indulgenza,
Settimio Severo nel 202 sentì l’esigenza di proibire formalmente, senza
contorni persecutori, nuove adesioni e propaganda ebraica e cristiana. Anche
post Tertullianum ad Constantinum le cose non andarono poi così male per i
cristiani, rimasti liberi per vasti tratti nel successivo periodo di un secolo,
dove le persecuzioni furono molto circoscritte nel tempo. Sotto il filosenatorio
e reazionario imperatore Decio (249-251) i cristiani furono oggetto di una
repressione volta all’acquisizione dei cospicui beni dei loro ceti arricchiti
(altro che povertà evangelica, è già iniziata una weberiana accumulazione!). Fu
introdotto un libellum di adeguatezza sociale grazie a cui si potevano evitare
possibili sequestri di beni, carcerazioni e torture. A ciascun titolare di
famiglia bastava dimostrare di essere pagano per poter continuare a vivere
tranquillamente: in fin dei conti solo chi aveva una fede-nevrosi irremovibile
andava incontro al peggio. La brevissima azione repressiva di Decio, animata da
bassi spregevoli interessi di ricchezza, produsse vittime eccellenti e martiri
fra i cristiani. In un Impero sempre più avviato alla decadenza spirituale, nel
257-258 due provvedimenti dell’imperatore Licinio Valeriano obbligavano i
cristiani, pena la morte nel caso di sacerdoti, a osservare il culto pagano
prestabilito, e interdicevano alle loro aggregazioni la possibilità di
proprietà (le quali furono pertanto sequestrate). Anche qui morivano solo
quelli che pur avendo a disposizione l’opzione di salvezza (una prospettiva
pacificamente accettabile quella di tornare al Paganesimo) sceglievano
deliberatamente di farsi ammazzare per una favola nevrotizzante. Alla vigilia
dello sdoganamento cristiano costantiniano giunse l’unica, estrema, vera
persecuzione a scapito del Cristianesimo (accompagnato dal Manicheismo in
questa molto tragica temporalmente circoscritta esperienza). Diocleziano nel 297
e nel 303 dichiarò fuorilegge i manichei e i cristiani: furono colpiti beni e
persone, la libertà e le opere letterarie, in deprecabile stile nazista. Costui
abdicò nel 305 e si lasciò dietro le sue spalle quell’orrendo periodo. L’editto
di tolleranza del 313 chiuse il primo tempo a definitivo vantaggio dei
cristiani. La resistenza pagana contro il Cristianesimo risultò piegata
nonostante l’inaccettabile uso dioclezianeo della violenza estrema, in tutti i
sensi. Il venturo teodosiano editto sulla religione, nel secondo tempo, che
sovvertì l’ordine civile avito pluralista dell’Impero, proclamando la religione
cristiana unica di Stato, rappresentò il coronamento di un sogno e di un
disegno politici integralisti cristiani. È difficile negare, a mio modesto avviso,
che l’Editto di Teodosio del 380 costituisca da un canto un colpo di mano
estraneo all’antica mentalità grecoromana, e che dall’altro esso rappresenti il
profondo realizzato desiderio dell’“Apologeticum” di Tertulliano. Il
Cristianesimo tertullianeo mira de facto a sovvertire l’ordine pubblico
costituito della società romana e delle libertà religiose. Ambisce a imporre a
tutti il culto di un Dio unico (in parole povere il sogno di Akenaton): la
nuova religione non possiede uno spirito aperto alla libera e varia
coabitazione religiosa. Tertulliano è un fautore della renitenza alla leva
romana. È un sincero pensatore idealista, a modo suo, non violento, oppure il
suo recondito piano è quello di indebolire le forze dell’ordine? Chi era
renitente era passibile di pena di morte. Inoltre l’autore dell’“Apologeticum”
propugnava l’astensione dai pubblici uffici che erano inseriti in un quadro di
forme pagane: culti obbligatori e possibilità della somministrazione della pena
capitale non gli piacevano affatto. Un impiegato statale dunque non poteva
diventare cristiano rimanendo tale. Il Cristianesimo prese i suoi proseliti
allora in larga parte tra le categorie sociali più precarie, pescò
abbondantemente nel proletariato ignorante. Ecco spiegata la ragione del suo
successo popolare. Chi non aveva niente da perdere scelse questa distopica
religione che prometteva un risanamento. La base popolare incolta del
Cristianesimo fu la forza di un impazzimento religioso che segnerà l’Europa
sino al Barocco. Tertulliano rifiuta una possibile conciliazione con la
filosofia greca antica. Purtroppo per lui il Cristianesimo è sorto proprio da
radici ebraico-alessandrine e stoiche<sup>2</sup>, di cui egli non coglie
razionalmente né la cornice né il contenuto. E dunque si abbandona in una preoccupante
chiusura irrazionalistica, la quale fu d’esempio alla postulazione di qualsiasi
illogico e ascientifico dogma cristiano. Il pensiero nevrotico di questo
scrittore romano-latino rappresenta un’espressione della crisi spirituale
occidentale post-ellenistica, nella quale ebbe il suo triste successo
l’impazzimento religioso diffuso che chiuse all’Occidente le porte della
razionalità, seppellì le antichità egizia, greca e romana, e aprì il baratro
medievale. Ai nostri tempi si studia ancora il diritto romano per diventare
magistrati, non teologia dogmatica. Tertulliano elogia l’ignoranza, disprezza
gli studi filosofici, idealizza l’essere umano guidato dal cuore. C’è qui
dell’irrazionalismo pascaliano<sup>3</sup>. Accogliere i dogmi e i principi del
Cristianesimo sulla base di un “credo quia absurdum” non soltanto costituisce
l’elevatissimo tasso di irrazionalità del pensato tertullianeo, ma tocca anche
l’orwelliano. Tertulliano, al pari di O’Brien, è uno che ci spiega che 2+2 può
fare 3,4, o 5 a seconda delle circostanze. L’anima di cui tratta lui, la quale
dovrebbe cogliere le verità di fede per semplice intuizione diretta (ragioni
del cuore disomogenee rispetto a quelle avanzate dai filosofi) sarebbe
naturaliter christiana, vale a dire, ante litteram, naturaliter orwelliana<sup>4</sup>.
Il pacifismo tertullianeo, ritenuto evangelico, mentre Gesù stesso aveva
proclamato in sue clamorose parole di essere venuto a portare non pace (ειρήνη)
ma spada e divisione (μάχαιρα, διχάζω), appare surreale giacché svuota lo Stato
dei suoi servitori e funzionari. Il Cristianesimo originario aveva fatto della
nonviolenza una bandiera ideologica contraddittoria. È stato un calcolo forzato
davanti a un avversario militarmente superiore? A guardare la storia
post-costantiniana la domanda non sembra così insensata. Dal vittimismo
esagerato e dalle intorbidite, nel mio punto di vista, “persecuzioni religiose
anticristiane” si è passati subito, senza tanti tentennamenti, alle
persecuzioni di tutti i nemici del Cristianesimo. Ma questa così decantata
nonviolenza era perciò uno specchietto per le allodole romane pagane<sup>5</sup>?
Perché con i cristiani dentro le stanze del potere politico, di loro
nonviolenza se n’è vista pochina per parecchi secoli. La schiavitù e le
discriminazioni di donne e omosessuali, a quanto si è visto, non
rappresentavano per i cristiani pre- e post-costantiniani forme di violenza. E
così durò a lungo. Strano questo concetto tertullianeo di nonviolenza, che
nuoceva all’ordine costituito pagano… Tertulliano elogiò la vocazione al martirio,
una sorta di impazzimento avanzato del suicidio stoico. Questo patologico
invogliare a uscire patologicamente fuori di testa costituisce qualcosa che ho
rilevato nella cultura cristiana pure nell’erasmiano “Elogio della follia”<sup>5</sup>.
Per quanto concerne la teologia, Tertulliano fu un sostenitore dei dogmi della
Trinità divina e della doppia natura, umana e divina, del Cristo, nonché della
resurrezione dei corpi umani. Rappresentò un avversario del pensiero gnostico.
Come si vede è stato un teologo molto importante nell’imbeccare verso posizioni
poi divenute salde. Il fatto di essere stato un fuoruscito montanista gli fece
sfuggire la qualifica di Padre della Chiesa per via di alcune sue credenze
lontane dall’ortodossia cattolica. Comunque, ciò non gli ha alienato simpatie
per il suo spirito apologetico e apprezzamenti per il suo “Apologeticum”,
un’opera la quale a me sembra invece una favolona propagandistica condita di
distorsioni storiche e di esagerata aria fritta teologica, un prodotto non a
caso di un tecnico della retorica e del diritto mirante nella sostanza a
sdoganare posizioni estremistiche. In tutta sincerità non trovo inappropriato
accostare l’“Apologeticum” tertullianeo alla forma del “Mein kampf” di Adolf
Hitler: potremmo invertire i titoli e non cambierebbero i sensi dei rispettivi
testi. Il prosieguo della mia analisi vuol mettere ulteriormente in luce altri
aspetti oscuri e oscurantisti della proposta cristiana tertullianea, di cui il
suo testo apologetico costituisce premessa propagandistica. Cioè voglio far
notare che cosa il suo esaltato Cristianesimo auspicava di portare e attuare. E
lo farò attraverso opere di Tertulliano scritte come l’“Apologeticum” nel suo
periodo cattolico premontanista, per prevenire osservazioni che tirassero in
ballo influenze ereticali. Al periodo montanista appartiene il “De corona”, con
il suo orwelliano pacifismo. Gli altri scritti che appresso esaminerò sono
“cattolici” e non “montanisti”.</div> <div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Continua qui</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_84.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_84.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> <i>Gesù stoico e
dionisiaco</i> nel mio saggio <i>Partita a
scacchi</i> (2022).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Per approfondimento indico dei miei lavori: <i>Dall’inno stoico a Zeus di Cleante alla
fondazione del Cristianesimo</i> dentro la mia pubblicazione <i>Prospettive rinnovate</i> (2023); quello
segnalato della nota precedente; <i>La
“lettre a un religieux”</i> all’interno della mia monografia <i>Ermeneutica religiosa weiliana</i> (2013).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/simone-weil.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/simone-weil.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;">[seconda parte di questo testo su
internet]</div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> A volte la Storia offre strani ricorsi vichiani. Uno di questi
riguarda Tertulliano con la sua inclinazione verso il montanismo riproposto in
veste adattata a tempi diversi nel Pascal condizionato dal giansenismo. A chi
volesse approfondire il paragone suggerisco di leggere questo mio studio: <i>Pascal
e le ragioni del cuore</i> nella mia opera <i>Letture critiche</i> (2019).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2019/02/pascal-e-le-ragioni-del-cuore.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2019/02/pascal-e-le-ragioni-del-cuore.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> A questo concetto ho dedicato attenzione nella mia
monografia <i>Il Medioevo futuro di George
Orwell</i> (2015).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell">https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>5</sup> Da non trascurare il caso evangelico di Pietro armato e del
giovinetto γυμνóς (<i>nudo</i>, o <i>disarmato</i>?)
al Getsemani con Gesù, questione che
ho affrontato nella mia pubblicazione <i>Radici
occidentali</i> (2021) nel segmento intitolato <i>Un inquietante brano
neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo nudismo</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>6</sup> A quest’opera ho destinato una mia analisi: <i>Il machiavellico disegno della “follia”
erasmiana </i>contenuto nel saggio di nota 3.</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html</a></span></div><span color="windowtext" style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-13580960183357267622023-09-12T10:35:00.008+02:002023-09-12T10:47:02.478+02:00OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 2 di 4 (LA MISOGINIA DEL “DE CULTU FEMINARUM”)<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Il testo che segue è un estratto
del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano”
pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook),
disponibile per intero online qua (possibile il download):</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano">https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano</a></div><div style="text-align: justify;">Nel blog è stato ripresentato in
quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in
calce.</div><div style="text-align: justify;">Prosegue da qui </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_34.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_34.html</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Tertulliano esordisce nel “De cultu feminarum” spiegando alle
donne cui si rivolge che la venuta del Messia Gesù Cristo ha portato a queste
la coscienza della loro colpa edenica (<i>feminae
condicio</i>), colpa trasmessasi senza scampo all’intero genere femminile, vale
a dire di <i>quod de Eva trahit</i>, <i>ignominia primi delicti</i>. A seguito di
tale consapevolezza della portata del peccato originale, che l’autore latino
carica teologicamente e antropologicamente soltanto sulle donne, costoro
dovrebbero, per così dire, vestirsi a lutto, allo scopo di mostrare
ravvedimento, rammarico, dispiacere per il loro essere causa di siffatta grande
colpa, la quale per loro è rimasta ontologica negativa prerogativa. Tertulliano
rammenta a sostegno delle sue idee Gn 3,16. Ma ignorava che la comune voltura
dall’ebraico, voltura giuntaci sino a oggi, potrebbe essere sbagliata. Ad hoc
riporto un mio brano di spiegazione da un precedente mio saggio<sup>7</sup>
(piuttosto che farne una inutile parafrasi).</div> <div style="text-align: justify;">---</div><div style="text-align: justify;">Nel procedere del mio esame si rivela utilissimo ritrovare
l’impulso sessuale menzionato in Gn 3,16: «… ve-el-iyshe-k teshuqate-k ve-hu
ymshal-ba-k»; «… e verso l’uomo di te [sarà] l’impulso di te e lui ? ? te». Ho
lasciato per il momento la mia traduzione parziale giacché voglio far vedere
come quelle comuni mi appaiano inadeguate in relazione alla lettera. Osserviamo
innanzitutto l’analisi grammaticale degli ultimi tre elementi del versetto
legati fra di loro in singola parola: a) verbo qal imperfetto, 3<sup>a</sup>
persona singolare; b) preposizione “be”: in, sopra (complemento di luogo), con
(complemento di unione-compagnia), per mezzo di (complemento di
mezzo-strumento); c) pronome suffisso, 2<sup>a</sup> persona femminile
singolare. Dove sta il problema? Il verbo usato non è unico, ha un gemello di
significato altro. I traduttori fra i due optano a vantaggio di quello avente
significato: governare, reggere; dominare; vincere. A mio avviso non esistono i
presupposti per appesantire il versetto in direzione cristiano-patristica e
tradurre con toni simili: «egli ti dominerà». Non ne vedo la fondatezza
grammaticale, né quella logica nel discorso in cui si inserisce Gn 3,16.
Valutiamo l’aspetto grammaticale: il pronome femminile suffisso non è un
complemento oggetto poiché retto dalla preposizione “be”, quindi la donna non subisce
l’azione espressa dal verbo. La preposizione esprime l’idea di un “concorso
nell’azione” cui non si addice il verbo di 1). Il verbo clone significa 2)
assomigliare, parlare in parabola. Sulla base dei miei passati lavori, tenendo
anche conto che in Gn 3,16 si tratta della gestazione e del parto, ritengo che
il verbo corretto da usare nella traduzione sia “assomigliare”. L’idea di
“somiglianza” in “Genesi” apparirà più chiara leggendo il versetto 1,26: «Adam
causava una nascita grazie alla similarità di lui [ossia Eva], a somiglianza
della sua immagine [la tselem androgina]». Ho approfondito il discorso in un
mio precedente studio, qua ricordo semplicemente che «per mezzo della
somiglianza» premette il procreare esseri umani sessualmente specificati e non
androgini. Pertanto allorché traduco alla lettera «e lui assomiglierà grazie a
te» il significato è: «lui avrà figli/progenie [“somiglianti”: maschi e/o
femmine] grazie al tuo concorso [nel congresso carnale]». Non mi sembra il caso
di mettere misoginia laddove i concetti non la tirano in ballo in modo
esplicito. La Bibbia è un libro misogino, tuttavia Gn 3,16 non è strutturato
come Ct 7,11, anzi là l’impulso sessuale viene indicato quale uguale e
speculare nell’attrazione a quello di qui.</div><div style="text-align: justify;">---</div><div style="text-align: justify;">Voglio citare un piccolo brano dell’apertura del “De cultu
feminarum” poiché costituisce l’indice dell’aberrazione misogina dell’intero
Cristianesimo premoderno. Riporto il segmento (la mia traduzione nell’esergo):
«Vivit sententia Dei super sexum istum in hoc saeculo: vivat et reatus necesse
est. Tu es diaboli ianua; tu es arboris illius resignatrix; tu es divinae legis
prima desertrix; tu es quae eum suasisti, quem diabolus aggredi non valuit; tu
imaginem Dei, hominem, tam facile elisisti; propter tuum meritum, id est
mortem, etiam filius Dei mori habuit: et adornari tibi in mente est super
pelliceas tuas tunicas?». Simile patrimonio di caustiche idee misogine ha
rappresentato una delle distopiche novità del Cristianesimo sin da subito.
Siamo nel III sec. e questo ferocissimo antifemminismo non appartiene solo a
Tertulliano, costituisce l’atteggiamento standard della nuova religione nei
confronti delle donne. Esisteva sì già una misoginia greca e romana, ma era più
moderata e isolati gli estremismi<sup>8</sup>. Queste sconcertanti e aberranti
parole tertullianee, che non erano all’ordine del giorno nella società
grecoromana, turbano ancora oggi giacché sappiamo che tale irrazionalistica e
nevrotica misoginia si salderà appunto nel pensiero teologico cristiano a venire,
portando con sé oltre alla produzione letteraria e artistica di ispirazione
religiosa antifemminista il crimine contro l’umanità rappresentato dalla caccia
alle streghe. Quelle torture e quelle uccisioni in epoche in cui i livelli di
popolazione erano molto più bassi rispetto a oggi, sebbene numericamente
possano dare l’erronea impressione di essere stati “pochi casi”, in termini di
percentuale (i quali non ho visto evocati) non lo sono affatto. minimizzare e
cercare di nascondere la portata di fenomeni storici con espedienti alla fine
inefficaci non giova all’accertamento della verità, dell’ampiezza e delle
cause. In genere il Cristianesimo moderno, quello addociltosi sempre meglio
dopo l’urto con l’Illuminismo, non ama la profonda e puntuale autocritica, e
preferisce l’oblio orwelliano e la diluizione nell’ignoranza della massa delle
proprie responsabilità storiche. A mio avviso si rivela importante rileggere un
pensatore psicopatico quale Tertulliano perché i suoi difetti transiteranno in
toto nella nascente teologia cattolica. Di lì a poco si metterà mano a sadica
violenza, da quando il Cristianesimo diverrà religione unica imperiale romana.
Dall’era agostiniana inizieranno i “legali” roghi di omosessuali, e di quel
tempo è il cruento “illegale (ancora)” femminicidio di Ipazia di Alessandria.
La visione distopica tertullianea costituisce un simbolo di radici cristiane e
crea quel raccordo fra atteggiamenti di intolleranza precristiani e presenti
nel mondo pagano grecoromano e in quello giudaico, alla volta di un pensiero
unificato e unico post-teodosiano, il quale ha il suo campione in Agostino
d’Ippona<sup>9</sup>. L’autore del “De cultu feminarum”, proseguendo il suo
discorso, chiarisce che l’introduzione di deprecabili monili femminili deriva
da un portato degli angeli ribelli cacciati in origine dal cielo, angeli poi
qualificati “diavoli”, i quali si unirono a donne terrestri. A questi diavoli
lui fa risalire gli «herbarum ingenia», le «vires incantationum». Cioè
Tertulliano viveva in un mondo fantasy distopico, come meglio puntualizza
sostenendo che «peculiariter feminis instrumentum istud muliebris gloriae»
essere un dono diabolico. Rimango senza parole di fronte a simili asserzioni,
le quali hanno gettato le basi, essendo state ben assorbite dalle radici cristiane,
della persecuzione delle streghe. Già Tertulliano sta inquadrando abilità
curative femminili graze a prodotti naturali come una forma di stregoneria: è
semplicemente assurda una cosa del genere, e non si può trascurare il fatto che
tale plurisecolare tragica misoginia sia fra le novità del Cristianesimo. Se
qualcuno pensa che quello premoderno sia stato uno spirito religioso cristiano
mal capito e quindi mal praticato di conseguenza, a mio modestissimo sentire, e
vedere, si sta sbagliando: è lui che capisce male o ignora. Lo studio, serio e
approfondito, scevro di pregiudiziali, dimostra che il Cristianesimo, prima
della sua metamorfosi, è stato perlopiù una favola nera dalle sue origini. Io
perlomeno riscontro che è nato così. Un altrui giudizio storiografico che
postulasse errori alla luce di una più avanzata sensibilità non lo reputo
sostenibile. I Padri della Chiesa dalla loro ottica di fondazione non
sbagliavano: erano antifemministi, omofobi, antisemiti, intolleranti, per
convinzione e fede. Per quanto li riguardava, costruirono convintamente una
nuova religione con quei requisiti, ritenendo che la loro distopica morale
fosse buona e giusta. la Storia ha fatto evolvere, però molto tardi, quel
Cristianesimo divenuto dominante in Occidente con metodi illiberali. Io vedo e
valuto la storia cristiana a questo modo, basandomi con obiettività sugli
eventi e sui prodotti culturali in maniera contestuale: le cose sono state quel
che sono state. Girarci attorno danzando non le cambia. Personale potrà essere
il mio giudizio storiografico, tuttavia non mi giudico persona estranea
all’umanità, e quindi, giacché in morale sono kantiano, miro all’universalità
di metro, e perciò alla ponderatezza delle mie valutazioni, le quali ambiscono
alla razionale ampia accettazione. Il “De cultu feminarum” affronta fra i suoi
temi quello della lussuriosa accoppiata donne e diavoli quale motivo di enorme
contrarietà da parte di Dio. L’autore del testo dunque passa a parlarci di
abbigliamento femminile e di estetica (stricto sensu quest’ultima): <i>cultus</i> e <i>ornatus</i>. E ci propone un privo di moderno tatto gioco di parole
“mundus/immundus”, “eleganza/lordura”: «Habitus feminae duplicem speciem
circumfert, cultum et ornatum. Cultum dicimus quem mundum muliebrem
vocant, ornatum quem immundum muliebrem convenit dici». Immediatamente dopo
queste parole puntualizza che la cura femminile dell’abbigliamento e
dell’abbellimento rappresenta per lui un <i>crimen</i>
(usa un termine giuridico molto pesante), un “motivo d’accusa / delitto”,
connesso all’ostentazione e alla prostituzione: «Alteri ambitionis crimen
intendimus, alteri prostitutionis». Tertulliano spiega alle donne che «scilicet
humilitatis et castitatis». Egli condanna il valore assegnato a oro, argento e
pietre preziose. E qua sono d’accordo con lui: pure nell’altrui più ottenebrata
follia si può trovare qualche spunto corretto. Personalmente non sono mai stato
amante di ferraglie varie, però ognuno rimane ovviamente per me libero di
indossare quello che gli piace e vuole (io, nel caso delle donne, apprezzo
comunque gli orecchini di varia foggia, meno le collane, le mani plurianellate
e artigliate da unghia finte, e i bracciali). In ogni caso, de gustibus non est
disputandum, e Tertulliano lo fa, violando la libertà personale, e per giunta
su cose irrilevanti che la sua religione fa diventare importantissime. A lui
non interessa l’uso della ricchezza per destinazioni inutili (il che
rappresenta il perno del mio punto di vista), a lui interessa colpire il genere
femminile mediante idee illiberali e assurde di marca misogina, per lui neanche
una donna sobriamente ornata andrebbe bene (come io suggerirei quale opzione
normalmente gradita e gradevole erga omnes). Tertulliano condanna tutte le
donne curate e ricercate, da quelle equilibrate a quelle esagerate (le quali
ultime, ribadisco, rimangono per me liberissime). Nessuno può criticare
abbigliamento e ornamento altrui, di donne e uomini, al di là di un ragionevole
fondato motivo, stabilito da un sano dettato legislativo. Può tutt’al più
esprimere un semplice giudizio personale di gusto extra legem nel rispetto
sempre della persona, sulla mia falsariga, e dire ciò che piace e ciò che no, e
la cosa finisce lì. Tertulliano, che aveva smesso di indossare la toga romana a
beneficio del tipico pallio greco dei filosofi, si spinge invece molto oltre, è
un estremista religioso le cui idee rimarranno inapplicabili al 100% del genere
femminile. La misoginia di Tertulliano si rivela essere quella di fondo del
Cristianesimo. Quest’ultimo non ha avuto il potere di prendere le donne a una a
una e di conformarle al proprio distopico schema; è riuscito, purtroppo, in
alternativa a manipolare le donne religiose consacrate (costringendole a un
vestiario tertullianeo), e a perseguitarne un altro gruppo sadicamente torturandole
e uccidendole con il pretesto psicopatico che fossero streghe. Tali femminicidi
erano utili coram populo a scopo di deterrenza, in aggiunta all’ipotizzato da
me soddisfacimento di pulsioni sadiche da parte degli autori<sup>10</sup>.
L’obiettivo esterno era quello di indurre tutti alla stabile ortodossia
nevrotica della religione. Tuttavia la Storia, e la crescita demografica
occidentale, sono riuscite a smarcarsi dalla fine del Medioevo da simili
ambizioni. L’Impero romano aveva ai tempi della prima apologetica cristiana sui
sessanta milioni di abitanti (una popolazione paragonabile a quella italiana di
oggigiorno e dell’Europa rinascimentale). A causa del tasso di mortalità era
auspicabile che ogni donna romana desse alla luce non pochi figli per impedire
la decrescita demografica. Durante il secolo cristiano di Costantino e Teodosio
la popolazione risulterà ridotta di un terzo. In parole povere la morale
sessuofobica cristiana aprì le porte alle invasioni barbariche a causa del calo
demografico. La civiltà umanistico-rinascimentale<sup>11</sup> rappresenta un
regno dell’assurdo: da un lato v’è, e non solo, una feroce caccia alle streghe;
dall’altro v’è la presenza di inclinazioni edonistico-capitalistiche
antitetiche. Il capitalismo post-illuministico vincerà quel confronto
dialettico mettendo la parola fine all’esperienza distopica cristiana. Il
Cattolicesimo fu dunque costretto a adeguarsi per sopravvivere, compiendo non
poche capriole ideologiche dall’Ottocento in poi. All’epoca di Tertulliano il
“De cultu feminarum” affermava che le donne erano omogenee e associate alla
seducente e sviante attrattiva dell’oro: «Auro lenocinium mutuum praestant».
Alla fine del primo libro di quest’opera in esame il suo autore precorre un
concetto frommiano, quello di “avere esistenziale”. Tertulliano parla di
“immoderate habere”. Lui e Fromm condannano la brama di acquisizione
proprietaria<sup>12</sup>. Un’altra volta nello scrittore cristiano esce fuori
un’idea per me giusta. Tuttavia in questo apologista del Cristianesimo rimane
annegata nel mare della follia religiosa. Comunque mi piace riportare le sue
parole in merito, una circoscritta frommiana ante litteram richiesta di limite:
«Etsi forte habendum sit, modus tamen debetur». L’apertura del secondo libro
del “De cultu feminarum” ricalca il primo nel contenere un’espressione
teologica la quale mi sembra molto significativa nell’ottica della costruenda
religione cristiana. Tertulliano parla di “Deus vivus”, riferendosi a un
precisando meglio dalla teologia cristiana novella Dio neotestamentario. La mia
impressione è che lui risenta ancora della concezione ebraico-semitica della
mortalità degli Dei: il fatto che fosse originario di Cartagine potrebbe
entrarci qualcosa. Tale idea di ampio raggio orientale potrebbe aver avuto
nell’apologetica tertullianea bisogno di una precisione semantica non
esornativa. Davanti al suo pubblico, allorché si è introdotto un Dio morto e
risorto, lui usa, secondo me, l’aggettivo “vivus” incalzato da un’esigenza
teologica: quella di sostenere che il Dio cristiano è morto sulla terra per la
remissione dei peccati umani, ma che contrariamente a una prospettiva di
cancellazione greca a questo è seguita una resurrezione (un osirideo ritorno).
“Vivus” in questi primi tempi dell’elaborazione teologica cristiana non
rappresenta un aggettivo a beneficio di una esclusiva espressione enfatica,
bensì pure a vantaggio di una teologia che annienterà tutti gli altri sistemi
mitologici. Nel regime unico religioso a venire la massa si ritroverà al
cospetto di un unico Dio, non ne conoscerà altri, e il “Deus vivus” rimarrà
soltanto “Deus” dagli attributi ontologici parmenidei, incarnatosi in una delle
sue trinitarie Persone, morto unicamente in questa e risorto. Il dogma della
Trinità sarà una dottrina senza rivali mitologici pagani, e in questo secondo
momento sì dire “Deus vivus” sarà espressione enfatica. Tertulliano è uno che è
rimasto ancora alla presocratica concezione semitica della materialità
dell’essere. In ciò un’ascendenza che lo lega all’ontologia
veterotestamentaria. Egli in questo secondo libro chiarisce alle donne che al
di là di un abbigliamento mirato a non dare nell’occhio occorre un largo
esercizio di “pudicitia”, di virtù, e bisogna evitare d’altro canto che alla
corretta condotta casta si accompagni un vestiario inadeguato. Per lui la
castità deve abitare in un abbigliamento non appariscente le cui forme non
siano provocanti. I vestiti aderenti femminili secondo l’autore latino non
vanno bene. Se pensiamo alla statuaria sacra greca ci rendiamo conto di quale
abisso di oscurantismo sia pervaso il pensiero tertullianeo e di quanto sia
distopico il Cristianesimo animato da sessuofobia e disprezzo nei riguardi del
corpo umano. Persino lavarsi nel Medioevo diverrà un “problema”. Simili
imbeccate nevrotiche spingeranno religiosi cristiani radicali al masochismo e
all’anoressia. Tertulliano considera un male molto grave che le donne possano
curare il loro aspetto al fine di rendersi attraenti: lo <i>studium placendi</i> è <i>naturaliter
invitator libidinis</i>. Vale a dire che nella sua mentalità cristiana il
freudiano principio di realtà costituisce una fragilissima barriera sfondabile
facilmente dal peccato. Tale concezione è palesemente patologica, nonché nella
sua stessa sede contraddittoria. Dov’è andata a finire quella superiorità
maschile, quell’esercizio di continenza e di razionalità che dovrebbe connotare
gli uomini? Pare che l’autore latino li tratti alla stregua di bestie che non
possano vedere una donna senza saltarle addosso. Il radicalismo misogino
tertullianeo qua oscilla tra il comico e il tragico, è umoristico
pirandelliano. Ai nostri giorni viviamo nell’era marcusiana della
desublimazione repressiva, e Tertulliano prepara le basi di una involuzione di
segno opposto per la sua epoca. Oscurare il corpo femminile ha rappresentato una
delle novità del Cristianesimo, a scapito della più sana e avanzata visione
antropologica e artistica greca. La capitalistica avversaria edonistica civiltà
umanistico-rinascimentale cambierà in parte il corso della Storia e della
repressione antifemminista. Un’icona di tale svolta progressista si rintraccia
nella “Nascita di Venere” del Botticelli<sup>13</sup>. Per Tertulliano anche se
una donna non ricerca di piacere agli uomini e appare comunque attraente nella
sua semplicità naturale, la cosa resta sempre molto preoccupante. È facilissimo
indurre i maschi a peccare non esclusivamente in opere ma altresì in pensieri.
Nella mente tertullianea (malata, poiché il mondo circostante pagano era
moderatissimo in ciò) “bellezza femminile = sprone alla lussuria”: «Ubi pudicitia,
ibi vacua pulchritudo, quia proprie usus et fructus pulchritudinis corporis
luxuria». L’autore latino ci comunica in tutte le salse una “verità” portata
avanti dal Cristianesimo per secoli (rafforzata dal rilancio agostianiano): il
corpo femminile è un oggetto edonistico, un sex toy, disapprovato da Dio; il
corpo femminile va dunque censurato. Prima lo scrittore dice: «Solis maritis
vestris placere debetis». e poi mantiene il recinto sessuofobico e
antiedonistico: «Omnis maritus castitatis exactor est». Contrariamente ai Greci
in Tertulliano la bellezza non costituisce virtù. Lo scrittore cristiano
puntualizza alle destinatarie delle sue precedenti osservazioni (oscurantiste!)
che ovviamente non sta chiedendo alle donne di abbandonarsi alla totale incuria:
un basilare regime di cura personale rimane necessario. C’è un confine
stabilito da Dio, a dir di lui, il quale sta davanti a estetica e cosmesi. Le
donne che lo superano «in illum [Deum] enim delinquunt». Un Dio avverso a
simili cose non è stato molto amato dalle vocazioni commercial-capitalistiche,
le quali lo sostituiranno alla lunga col Dio luterano-calvinista. Tertulliano
disapprova l’estetica e la cosmesi giacché andrebbero a modificare l’assetto
naturale voluto da Dio. Tutti i prodotti estetici e cosmetici risultano
strumenti satanici inventati dal Diavolo contro Dio. La satanizzazione dei
cosmetici, e della donna in generale (quantunque creatura divina, ma divenuta <i>diaboli ianua</i>), si rivela aberrazione
attraverso cui il Cristianesimo ha recato vulnera alla Civiltà. Da un
atteggiamento nevrotico del genere, in base a cui non si deve mutare la
disposizione naturale, determinata da Dio, emergerà fra alcuni cristiani
un’inclinazione molto inopportuna e pericolosa: non curare le malattie poiché
appartenenti al corso umano stabilito da Dio, con i suoi premi e i suoi
castighi; le malattie resterebbero perciò solamente curabili da Dio e non dalla
medicina umana. Lo scopo cristiano di non rivoltarsi contro il presunto ordine
divino del reale non ha rappresentato un buon principio dentro la Società
occidentale. Notiamo come ab ovo l’autore del “De cultu feminarum” esprima le
basi di vari tipici difetti della cultura oscurantista cristiana nel periodo
distopico premoderno. E accanto ai cosmetici nella sua assurda esposizione egli
mette altresì le tinture per capelli e le parrucche. Tertulliano professa la
sua fede-nevrosi cristiana pensando che al Cristianesimo e ai cristiani spetti
il compito di correggere questo mondo. Purtroppo più che miglioramenti hanno portato,
e messo in pratica, raggiunto il potere politico, posizioni estremistiche
irrazionali e illiberali, per lungo tempo. Dalla furia tertullianea nel “De
cultu feminarum” si sono salvati i pettini, fortunatamente ritenuti opera
divina. Riprende tuttavia nel finale di questo testo la follia religiosa
delirante, e il suo autore sostiene che le donne non dovrebbero uscire da casa
se non per visitare un parente malato o per partecipare alla liturgia o alla
propaganda cristiane. Per il resto dissocia l’universo femminile da qualsiasi
tipo di svago o di attività non religiosa fuori di casa. In parole povere mette
le donne agli arresti domiciliari con una piccolissima possibilità di libertà
vigilata, cosicché non le veda nessun uomo, e quindi nessuno di questi possa
essere indotto alla lussuria. Peccato che Tertulliano non ci abbia spiegato
come siano tranquillamente sopravvissuti nell’antica Creta. L’assurdità
psicopatica misogina del neonato Cristianesimo si è spinta sino a distopiche
richieste. Il fatto che Ipazia d’Alessandria sia stata uccisa mentre si trovava
in strada non appare tanto casuale. Naturalmente quel femminicidio così
efferato ebbe specifiche più profonde, inaccettabili parimenti, motivazioni
presso gli uccisori, però c’è un sinistro messaggio di contorno: le donne
devono stare in casa e non andare in giro al di là delle tertullianee
concessioni. Tertulliano distingue fra “diaboli ancillae” e “Dei ancillae”. E
puntualizza che le donne debbono <i>magnificare
Deum in corpore per pudicitiam</i>. La donna dev’essere una <i>sacerdos pudicitiae</i>. Lo scrittore latino
sta qui fornendo a Dante il modello della di costui Beatrice nella “Divina
Commedia”: una theological Barbie doll<sup>14</sup>, un “non-sex toy”. Ma c’è
un altro aspetto non solo tertullianeo che passando attraverso la cultura
cristiana giunge all’Alighieri: la misoginia evidente nella semantica. Ne “De
cultu feminarum” per denotare la donna Tertulliano usa perlopiù il sostantivo
“femina”, in senso comune e spregiativo; quando vuol riferirsi alla donna con
accezione migliore usa il sostantivo “mulier”. Identico fenomeno semantico
accade nella “Divina Commedia”: i termini “donna” e “femmina” sono adoperati
con analogo criterio antifemmnista<sup>15</sup>. “Donna” è Beatrice, <i>sacerdos pudicitiae</i> e <i>Dei ancillae</i>. Mentre la «femmina balba»
rappresenta il simbolo dantesco della <i>diaboli
ancilla</i>. Da Tertulliano in poi lo schema misogino si è infiltrato per bene
nella teologia e nella letteratura medievale. Agli occhi dello scrittore latino
costituisce un pericolo l’<i>effeminare
virtutem fidei</i>. Come sono cambiati i tempi dalle cose che si sentivano e si
leggevano prima del Cristianesimo moderno addolcito! Il Protestantesimo è
arrivato persino a sfatare il tabù del sacerdozio femminile. Ma Tertulliano
volendo plagiare l’universo femminile, che aveva già trovate le porte aperte
del Giardino epicureo<sup>16</sup> e la benevolenza di Platone (il campione
filosofico della Chiesa sarà il misogino e schiavista Aristotele<sup>17</sup>),
chiede in maniera distopica sottomissione agli uomini e di piantare i piedi in
casa: «Caput maritis subicite et satis ornatae eritis; manus lanis occupate,
pedes domi figite et plus quam in auro placebitis». Più di mille anni dopo il
cattolico Thomas More, nella sua “Utopia”<sup>18</sup>, riproporrà quale ideale
e ottimale il modello antifemminista di subordinazione del genere femminile a
quello maschile, un modello che ha una sua pietra miliare in Tommaso d’Aquino<sup>19</sup>.</div>
<div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Continua qui</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_12.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_12.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>7</sup> <i>Radici occidentali </i>(2021),
l’estratto proviene dalla sezione intitolata <i>Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>8</sup> Al fine di un approfondimento consiglio di leggere una mia
analisi, dentro alla mia opera <i>Percorsi
Critici</i> (2020), recante il titolo <i>I
protopatristici Aristofane e Giovenale</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>9</sup> A questo teologo e filosofo ho dedicato un mio studio: <i>Nevrosi e irrazionalismo in Agostino
d’Ippona</i> nella mia monografia <i>Teologia
analitica</i> (2020).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>10</sup> Ne ho parlato in un mio lavoro, <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i>,
contenuto nella mia pubblicazione <i>Filosofie sadiche</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>11</sup> A chi volesse approfondire il mio
punto di vista indico un mio scritto pertinente: <i>La genesi dell’umanesimo italiano</i> nel mio saggio di nota 5.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/la-genesi-dellumanesimo-italiano.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/la-genesi-dellumanesimo-italiano.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>12</sup> Ritroveremo quest’atteggiamento
ostile all’arricchimento nel cattolico medievale Dante, per un approfondimento
del quale segnalo il mio saggio <i>Parricidio
dantesco</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco">https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>13</sup> Un altro esempio artistico, molto
significativo, di tale impulso edonistico, a mio avviso, è rappresentato da “La
Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean Fouquet, alla quale ho dedicato
una analisi che si trova nella mia pubblicazione <i>Note di studio</i> (2016) e intitolata <i>La Madonna “pneumatica” e Lenina Crowne</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/06/la-madonna-pneumatica-e-lenina-crowne.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/06/la-madonna-pneumatica-e-lenina-crowne.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>14</sup> A proposito di approfondimenti
danteschi vedasi nota 12.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>15</sup> Si veda la nota precedente.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>16</sup> Circa la per me evidente superiorità
morale e scientifica dell’epicureismo in relazione al Cristianesimo neonato interessante
una mia analisi: <i>Riflessioni sopra il “De
rerum natura” lucreziano</i> presente nella mia opera <i>Analisi letterarie e filosofiche</i> (2023).</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>17</sup> Alle affinità ideologiche tra
Cattolicesimo e sistema filosofico aristotelico ho destinato attenzione in un
mio lavoro contenuto nella mia monografia di nota 9, nel segmento intitolato <i>Aristotele e il pericoloso regno di Dio</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>18</sup> A tale opera ho dedicato un mio
studio: <i>Cristianesimo razionale e
nazional-socialismo in Thomas More </i>dentro la mia opera di nota 9.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>19</sup> Sull’antifemminismo di questo
teologo e filosofo suggerisco di leggere la sezione recante il titolo <i>L’irrazionale misoginia tomista</i>
all’interno del mio saggio della nota 9.</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/06/lirrazionale-misoginia-tomista.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/06/lirrazionale-misoginia-tomista.html</a></span></div><span color="windowtext" style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-13260606498765880402023-09-12T10:34:00.010+02:002023-09-12T10:43:57.449+02:00OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 3 di 4 (L’ANTISEMITISMO DELL’“ADVERSUS IUDAEOS”)<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Il testo che segue è un estratto
del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano”
pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook),
disponibile per intero online qua (possibile il download):</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano">https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano</a></div><div style="text-align: justify;">Nel blog è stato ripresentato in
quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in
calce.</div><div style="text-align: justify;">Prosegue da qui </div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_84.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_84.html</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Un altro scritto di Tertulliano del suo periodo cattolico
ortodosso, prodotto in funzione della polemica antigiudaica, è l’“Adversus
Iudaeos”. Esso, quantunque pieno per gran parte di contenuti teologici e
biblici cristiani che possono apparire noiosi, e anche insignificanti, giacché
messi assieme alla volta dell’utilità propagandistica in un lontano diverso
tempo, gioca invece il suo significativo ruolo nel porre le basi di quello che oggigiorno
definiamo “antisemitismo”. Questo è sorto nella cultura occidentale nell’ambito
religioso cristiano, nelle società cristianizzate è rimasto e si è sviluppato,
ma da categoria di spregevole pensiero di religione a lungo andare si è così
infiltrato nella mentalità diffusa al punto di poter godere di un’autonomia
razzista: dall’Ebreo deicida si è passati a parallelamente assurda
generalizzazione formale di etnia. L’animo del Giudeo sarebbe per Natura
negativo nelle aberranti concezioni antisemitiche di stampo laico e
pseudobiologico. Una simile inaccettabile assurdità ha generato la barbarie
nazista, la quale ha tratto la sua linfa dal plurisecolare odio verso il popolo
ebreo alimentato per troppo tempo e senza tregua dai cristiani. Costoro in
pochissimi secoli sradicarono e cancellarono l’Antichità con le sue religioni
pagane, la quale li aveva preceduti e aveva tenuta in piedi una Civiltà
occidentale migliore di quella medievale che portarono loro. È facile perciò
intuire che mira del Cristianesimo di una volta era quella di far scomparire
l’Ebraismo, il quale rappresentava un compagno di via molto sgradito.
Tertulliano nell’“Adversus Iudaeos” ci spiega che la religione giudaica è
“scaduta”, dal momento della venuta del Messia. Dunque non possiede più una sua
ragion d’essere al pari dei satanici culti pagani. Lui non lo dice apertamente
in questo testo polemico, però la conclusione appare chiara: come nel mondo non
c’è più spazio per il Paganesimo, non c’è più spazio per un ormai deviante
Ebraismo. Quest’embrionale, abbozzato nell’ombra, concetto di una religione
giudaica da “rimuovere” lo ritroveremo in Hegel, dagli scritti teologici
giovanili in poi: l’Ebraismo il quale deve essere rimosso e rimpiazzato alla
fine dal “positivo razionale” del Cristianesimo. La “scadenza” che Tertulliano
ha appiccicato alla religione giudaica (negativo razionale) è stata l’incipit
dell’emarginazione del popolo ebreo, preludio di forme persecutorie accanite
quando i rapporti di forza saranno, da Teodosio in avanti, impari. La
resistenza del martoriato popolo giudeo sarà per secoli eroica, al punto di
suscitare l’ammirazione di Nietzsche<sup>20</sup>. L’autore di questo “Adversus
Iudaeos” sostiene la Legge ebraica essere stato un passaggio storico pro
tempore. Prima di essa v’era già una Legge naturale divina, di cui l’altra è
stato un calco non destinato a durata indefinita bensì con “scadenza”. Questa è
sopraggiunta con l’arrivo del Cristianesimo abolitore della precedente Legge, e
migliore attuatore della Legge divina rivolta adesso col Vangelo a tutti senza
distinzione etnica. Tertulliano in siffatti ragionamenti si rivela stoicizzante
poiché recupera l’idea di un Logos (provvidenziale) accomunante ciascun essere
umano<sup>21</sup>, al quale la nuova religione cristiana si propone di
(ri)portare ognuno in funzione della (ri)scoperta salvifica secondo l’ottica
teologica della Chiesa. L’autore dell’“Apologeticum” è fautore, come del resto
l’intero sistema cattolico neonato, del superamento e della soppressione del
vecchio quadro normativo giudaico. Egli s’impegna a dimostrare l’Ebraismo
uscito fuori della historia salutis e le profezie sulla venuta del Messia già
concretizzatesi nella figura dell’evangelico Gesù Cristo. Secondo me, quello di
cui leggiamo nel Nuovo Testamento è ormai un personaggio piegato e adattato
alla letteratura mitologica cristiana. Quest’operazione creativa evangelica ha
fuso diverse componenti culturali religiose a essa coeve in uno spirito di
larga sintesi. Tertulliano riprende le profezie veterotestamentarie sul Messia
e il suo gioco di suggestioni non ha partita difficile nel trovare canali di
collegamento in ambito neotestamentario. Egli o non capisce o non spiega che
simili sintonie sono il risultato di proiezioni veterotestamentarie profetiche
sopra gli scritti nuovi testi: chi li scriveva creava quegli agganci poi usati
ribaltando weilianamente la frittata. Non c’è di che stupirsi che opere
letterarie mitologiche posteriori narrino vicende di convalida di profezie
anteriori. Io giudico i Vangeli elaborati pieni di spunti e sfaccettature
mitologiche assortite<sup>22</sup>, elaborati in possesso di povero scheletro
storico. Sono paragonabili a favole rivolte a un pubblico perlopiù ignorante.
Tertulliano si spende non poco a spiegarci le profezie messianiche
veterotestamentarie alla stessa guisa in cui si analizzano le profezie già
ritenute avverate di Nostradamus: l’autore latino infatti introduce la “lettura
simbolica”. E allora ha vinto la sua partita propagandistica: da un lato perché
mediante le decriptazioni religiose simboliche e allegoriche si può affermare
dogmaticamente tutto e il contrario di tutto, dall’altro perché mi pare che i
testi neotestamentari fossero già stati predisposti alla volta di simili
agganci. In generale il corretto modo di esaminare un simbolo è quello passante
attraverso un’indagine psicanalitica inerente alla sua nascita, non quello che
vi sovrappone una nuova superficiale vernice culturale. Le distorsioni dei
cristiani nella lettura del “Tanak” ebraico e nella sua voltura in altre lingue
sono state significative. Nei miei studi sui testi ebraici mi sono accorto di
varie cose. Di come, ad esempio, nelle traduzioni siano scomparsi il demiurgico
Dio venuto fuori dall’archè acqueo assieme alla materia, l’androgino originario
poi diviso in due (da cui Adamo ed Eva separati), la mortalità del divino<sup>23</sup>.
E Tertulliano, che già viveva quell’atmosfera mistificatoria, comunica la
“scadenza” del Giudaismo! Io non so se in lui la fortissima inclinazione
nevrotica impedisse una valutazione migliore su cosa fosse veramente il
Cristianesimo delle origini (un deficit agevolato dalla mancanza di fonti
informative ponderate), oppure se in lui ci sia uno strato di ipocrisia volto a
celare e negare quanto fosse sconveniente al nuovo progetto religioso. Non è da
escludere che per la testa gli passassero il desiderio e la volontà di
consolidare il novello Cristianesimo a tutti i costi intellettuali giungendo ad
avallare distorsioni e falsificazioni possibili. Nell’“Adversus Iudaeos” egli
ci offre uno spunto di contestazione tra i più nevralgici. Lui cita Is 7,14 al
fine di sostenere un punto di vista cristiano completamente fuori del valore
semantico ebraico del caso. La partenogenesi mariana dogmatica avanzata dal
Cristianesimo non trova una corrispondenza profetica in Is 7,14. In ebraico
quel soggetto, indicato con «ha-almah», che metterà al mondo un bambino non
reca con sé nel termine veterotestamentario adoperato (almah) il concetto di
partenogenesi. “Almah” vuol dire:
fanciulla-in-età-matrimoniale-e-pronta-alla-prima-gestazione. Is 7,14 ci
comunica che il neonato di cui si sta parlando sarà figlio di: una ragazza che
ha raggiunto la maturità sessuale ed è al primo suo figlio. Non c’entrano
assolutamente niente il sovrapposto discorso della prodigiosa maternità e il
successivo parto per compenetrazione di Maria (ci sono qua ben due ascientifici
dogmi nella gestazione della Madonna estranei a Is 7,14, dove si puntualizza
invece, alla luce dell’analisi semantica, che la madre di questo annunziato
bambino non sarà né avanti negli anni né a un figlio aggiuntivo). Però
Tertulliano e il Cristianesimo hanno usato una incipiente violenza cristiana
contro il popolo giudaico a cominciare dal “Tanak”. L’autore latino era al
corrente della giusta traduzione, tuttavia o per ignoranza o per nevrotica
faccia tosta si rivolge così ai Giudei: «Mentiri audetis, quasi non virginem
sed iuvenculam concepturam et parituram scriptura contineat». Lui sta spiegando
agli Ebrei che costoro erano deficienti, che non si tratta in Is 7,14 di una <i>iuvencula</i>, bensì della «Virgo Mater».
Una cosa del genere merita unicamente un aggettivo qualificativo: orwelliano.
Che un simile accanimento sia passato dalla violenza intellettuale cristiana
alla violenza materiale cristiana a danno dei giudei non mi stupisce. Il
Cristianesimo preteodosiano non aveva un braccio armato di arma, ma quello
armato di stilo era veramente una simbolica funesta prefigurazione. Tertulliano
nella sua distorsione in questa circostanza poteva appoggiarsi sulla
“Septuaginta” traducente «ha-almah» con «<span lang="EL">ἡ παρθένος</span>». Questo sostantivo greco sfuma e rimuove il concetto
ebraico insito in “almah” di “maturità sessuale”, il quale assieme alla sua
radice ritorna nel corrispettivo maschile ebraico “elem” (giovinetto non più
bambino). “<span lang="EL">Παρθένος</span>” mette l’accento
sulla purezza, castità della fanciulla, non sul suo essere in grado di
procreare. “Almah” indica una ragazza giudaica sessualmente maturata. “<span lang="EL">Παρθένος</span>” indica invece in greco antico una
ragazza considerata esclusivamente nel suo stato di incontaminatezza sessuale.
tale termine contribuisce, indebitamente, a proiettare su “almah” di Is 7,14 un
significato teologico che l’ebraico non possiede. La partenogenesi di Maria
madre di Gesù e il di lei parto per compenetrazione costituiscono invenzioni
teologiche sessuofobiche cristiane. Il termine greco antico che i Settanta
avrebbero dovuto correttamente adoperare nel volgere “almah” è “νεᾶνις”.
“Νεανίας” rappresenta l’equivalente di “elem”. Tutto ciò dimostra l’exemplum di
un rimodellamento del Giudaismo in vista dell’incontro filosofico con lo
stoicismo, un rimodellamento già incominciato nella prima metà dell’Ellenismo.
Non per niente questa traduzione alessandrina del “Tanak” non piacque
all’Ebraismo ortodosso. Tertulliano nell’“Adversus Iudaeos” intende a modo suo
e cristiano convalidare l’illogica tesi storica e teologica della “scadenza”
del Giudaismo. Accusa apertamente gli Ebrei di essere rimasti ormai nell’errore.
Gli imputa <i>duritia cor</i> per il fatto
di <i>inridere</i> e <i>respuere</i> le interpretazioni veterotestamentarie dei cristiani, i
quali hanno parlato <i>adversus Iudaeos</i>,
ci dice Tertulliano, affinché questi non «in dubium deducant vel negent quae
scripta proferimus». La (vuota) presunzione di superiorità tertullianea si
mostra totalitaria: le cose che dicono i cristiani sarebbero «paria scripturis
divinis». Tertulliano rimprovera a Israele di essersi allontanato dalla via
della <i>fides</i>. E qua gioca un’altra
carta propagandistica antisemitica a cui il “Tanak” prestò il fianco: le
critiche dei profeti al popolo giudaico a proposito della sua infedeltà nei
riguardi del proprio Dio. Si tratta di un espediente, nella parte conclusiva
dell’“Adversus Iudaeos”, molto sinistro. Giacché Tertulliano afferma che la
rovina d’Israele è stata profetizzata, e che si è avverata quando gli Ebrei
hanno respinto e rinnegato il Messia cristiano, il quale <i>tolsero di mezzo</i> («interfecerunt») come fosse stato (ai suoi occhi)
un delitto di lesa maestà: «ob impietatem». Il Tertulliano avvocato conosceva
benissimo l’accezione giuridica della parola “impietas”, e v’è ragionevole
motivo di ritenere che il suo utilizzo sia specifico nel quadro di una
personale visione sociopolitica teocratica non ancora infiltratasi nelle stanze
del potere statale romano. La <i>Dei Gratia</i>
ha abbandonato, in questo schema tertullianeo e cristiano, la <i>Domus Israelis</i>, la quale è stata
sostituita dal <i>Templum spiritale id est
Ecclesia dominica</i>. La linea di pensiero antigiudaica tertullianea si è
rivelata durevole, seguita e osservata ampiamente nella storia della Chiesa
sino a metà Novecento. La liturgia per la celebrazione del Venerdì Santo
cattolico contemplò sino all’era riformatrice di Papa Roncalli un brano molto
discutibile, la cui origine risaliva al VI secolo. Il messale tridentino che lo
girò alla modernità lo mantenne invariato sino alle modifiche del 1962. Esso
recita: «Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat
velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum
nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua
misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi
obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a
suis tenebris eruantur». Il celebrente chiede ai fedeli di pregare per i <i>perfidi Judaei il cui cuore è rimasto velato</i>;
la preghiera chiede che la misericordia divina, così grande da non tenere in
conto la <i>judaica perfidia</i>, possa far
sì che <i>l’accecato popolo ebraico</i>, <i>di cui i cristiani si stanno preoccupando</i>,
<i>escano dalle tenebre in seguito al
riconoscimento della luminosa divina missione di Gesù Cristo</i>. Pietre di
scandalo agli sguardi più sensibili appariranno, oltre al riferimento alla
volontaria cecità di Israele davanti alla luce del Messia a causa della ebraica
mancata apertura di fede verso le profezie veterotestamentarie, le espressioni
“perfidi Judaei” e “perfidia judaica”. Queste possiedono la loro diretta radice
di significato nel pensiero religioso antisemitico di Tertulliano, il quale
tuttavia non si esprime letteralmente ancora così. Che cosa vogliono dire
l’aggettivo “perfidus” e il sostantivo “perfidia” in quel testo basso
medievale? Denotano dei concetti che l’autore dell’“Adversus Iudaeos” ha
esposto in questo suo non apprezzabile scritto: gli Ebrei sono <i>traditori-della-fede</i> (perfidi), sono
colpevoli di <i>tradimento</i> (perfidia).
“Perfidus” e “perfidia” sono parole latine derivate dall’unione di <i>per</i> e <i>fides</i>. <i>Per</i> (prefisso)
indica qui l’idea di <i>deviazione</i> (come
nel caso di <i>periurus</i>). <i>Fides</i> (dalla cui radice la parte del
tema) è <i>fede</i> (fiducia), e nel nostro
contesto cristiano l’accezione è religiosa. Tertulliano ce l’ha detto chiaro e
tondo: «A […] fide Israel excidit [è uscito perdendosi]». Egli non adopera i
termini che sto esaminando, ma ne formula i concetti, i significati, su cui la
Patristica a lui posteriore del IV secolo imporrà quelle parole, “perfidi” e
“perfidia”, a denotare quella qualità e quella sostanza di marca teologica
testé spiegate. Nei Padri della Chiesa eresia, apostasia, devianza dottrinale
appunto, erano denotati col termine “perfidia”, il quale assunse ulteriormente
in quest’ambito teologico il valore semantico di <i>ostinazione</i> (nell’errore, nella <i>devianza</i>
riguardo alla <i>fede</i>). Sino all’epoca
di Pio XII si intendeva pregare per i <i>traditori
Giudei</i>, responsabili del <i>giudaico
tradimento</i>. Lo schietto significato, teologico, di quelle espressioni è
questo. Al di là di questa valenza delle parole “perfidus” (in senso lato, <i>chi-devia-dall’affidamento</i>) e “perfidia”
(parimenti in generale, <i>l’azione-di-deviazione-dall’affidamento</i>)
nel loro contesto d’uso cristiano denotante gli Ebrei, il loro uso popolare (a
forza di sentirseli ripetere negli insegnamenti e nella liturgia) spinse
“perfidus” e “perfidia”, accanto al loro binario semantico teologico, a
spostarsi in direzione di una laicizzazione, di una naturalizzazione. La massa
occidentale bombardata tra l’altro da propaganda religiosa antigiudaica finì
col pensare che questi Ebrei (ingiustamente bersagliati), “perfidi”, fossero <i>malvagi per Natura</i>, ossia creature <i>fisiologicamente inaffidabili e nocive</i>.
Dalla degradazione teologica è sorto l’antisemitismo nella forma del razzismo
biologico tragicamente culminato nel nazismo. L’antisemitismo possiede ormai
due facce, però la moneta è una sola, e l’ha coniata il Cristianesimo all’epoca
della sua nascita. La parallela folle idea di un antisemitismo biologico fu
formulata nella cattolicissima Spagna del Cinquecento allorché il tradizionale
ceto sociale dominante cristiano ebbe motivo di temere l’ascesa del nuovo ceto
provenuto dalle recenti non libere conversioni di Ebrei e islamici rimasti sul
suolo iberico. Venne concessa la possibilità a enti richiedenti di poter
attuare delle discriminazioni sulla semplice base dell’origine etnica. Fu
sostenuto che i Giudei fossero geneticamente malvagi, allora si parlava di <i>sangue</i> e di <i>trasmissione di caratteri spirituali</i>. La natura dell’Ebreo
rimaneva, secondo questi altri psicopatici teorici, costantemente tendente al
male. E poiché era chiaro che ciò sostenendo, si minava il potere salvifico del
sacramento battesimale per chiunque, ne venne fuori un confronto teologico
aspro fra protonazisti e tradizionalisti antigiudaici aperti alle conversioni.
Infatti <i>los estatutos de limpieza de
sangre</i> non divennero uno strumento universale dello Stato spagnolo, ma
vennero adoperati con non indifferente diffusione laddove si teneva a escludere
il paventato pericolo di un contagio soprattutto giudaico delle istituzioni a rischio
di cadere in balia di impuri per Natura nuovi cristiani convertiti. Questa
patente di sanità socioreligiosa, che certificava la presenza di sangue
incontaminato proveniente da lunghe genealogie di cattolici, tranquillizzava
alcuni e gli dava la sicurezza che il virus ebraico non gli avrebbe tolto di
mano il timone nella società. Los estatutos de limpieza de sangre furono
abrogati in Spagna verso la fine dell’Ottocento, e divennero prima nel periodo
dell’auge coloniale un criterio razziale generale ossessivo nell’America
latina, dove l’ideologia suprematista bianca incalzava nevroticamente i
discendenti dei coloni. In Europa i Giudei colpiti dagli effetti de los
estatutos de limpieza erano costretti a indossare il sambenito, lontano
antenato dei mortificanti contrassegni sull’abbigliamento pretesi dai nazisti
sopra le categorie umane da questi ritenute nocive alla società. L’Inquisizione
spagnola trovò congeniale tale nuovo razzismo biologico e si accanì sui “falsi
convertiti” (per convenienza). I gesuiti invece rimasero fedeli allo schema
antiebraico tertullianeo scevro di aperti razziali richiami pseudobiologici.
Per i fautori di simile lasciapassare sociale, che apriva le porte di
importanti stanze, il popolo ebreo era stato <i>traditore della fede</i> giacché il <i>tradimento</i>
era nel suo <i>sangue</i>, i caratteri
morali si ereditavano a prescindere dal battesimo, e i Giudei in quanto tali
sarebbero dovuti essere estromessi dai centri dirigenziali ed emarginati; nel
frattempo Ebrei convertiti furono condannati a morte (marranos). Se rammentiamo
pure i quemadores dell’Inquisizione spagnola, possiamo completare il quadro
delle analogie naziste. El estatuto de limpieza de sangre appare il precursore
della certificazione di appartenenza alla razza ariana previsto dai tragici
regimi razzisti novecenteschi. Si tratta sempre di antisemitismo, la faccia
della medaglia costituisce un dettaglio, il bersaglio additato è sempre quello
inventato dal Cristianesimo originario: gli Ebrei <i>traditori</i> e <i>malvagi</i>.
L’antisemitismo in tutte le sue forme si rivela un prodotto o un derivato della
religione cristiana. L’antigiudaismo tertullianeo ha attraversato i secoli.
“Adversus Iudaeos” è il titolo di un’opera di Agostino d’Ippona<sup>24</sup>.
Nell’inferno dantesco la sezione più profonda viene riservata ai peggiori <i>traditori</i>: si chiama <i>Giudecca</i>, con esplicito richiamo ai
pregiudizi cattolici antisemiti, là stanno i <i>Giudei traditori</i><sup>25</sup>. Dall’antisemita Lutero in poi
l’antigiudaismo cristiano fu liberato da una cappa istituzionale rigida e poté,
malauguratamente, in maggiore libertà evolversi alla volta della sua forma
pseudoscientifica non religiosa. L’Ottocento in Germania contribuì a creare, in
negativo, il mito (nero) della purezza tedesca e l’ideologia pangermanica.
Fichte sostiene un inquietante primato storico e spirituale del popolo tedesco
nei confronti del resto dell’umanità. Egli, suggestionato da un lato dalla
dottrina veterotestamentaria di un popolo (in senso etnico) divinamente eletto
e dall’altro dalle filosofie del linguaggio di Herder e del “Cratilo”
platonico, afferma che i Germanici mitteleuropei siano rimasti un gruppo
storicamente non contaminato per parecchi secoli da fattori esterni. Il
fondatore dell’idealismo moderno identifica nella lingua nazionale l’elemento
discriminante, scartando in ciò il peso del <i>sangue</i>
e del <i>territorio</i>. L’uso della lingua
dei Tedeschi, secondo Fichte, non è stato troncato e innestato dal latino (come
ad esempio nel caso dei Galli). Tale privilegio di continuità concederebbe al
popolo germanico migliore e maggiore vicinanza all’origine linguistica umana, e
in un’ottica platonica la prossimità a quanto ci sia di più autentico nella
realtà. Fichte proclama i Tedeschi portavoce dell’Assoluto, attraverso di loro
passerebbe la palingenesi dell’umanità, rimasta zavorrata in materiali
interessi individuali. È il popolo, in quanto entità spirituale, il vero motore
mondano della vita. L’individuo vive in esso e non per sé. E al popolo
germanico spetterebbe il compito di correggere tutte le altre genti sparse nel
mondo. Ebrei compresi, cui Fichte rivolge la sua particolare antipatia in
“Contributi per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese”.
Qui egli afferma che, ovunque siano nel continente europeo, costoro
costituiscono un corpus misantropico dentro ogni società statale. Li etichetta
quali mercanti pericolosi per il prossimo nella loro brama di acquisizione,
astiosi con gli altri popoli in cui vedono i figli di coloro che li dispersero
nel mondo, fanatici adoratori di un Dio in comune con la Cristianità che loro
pretendono di tenere in esclusiva. Il filosofo tedesco esterna la sua
preoccupazione che la <i>piovra giudaica</i>,
uno Stato dentro lo Stato dice lui, possa mandare in rovina l’ordine delle
società cristiane europee. Perciò, a suo sconcertante avviso, non va dato
assolutamente spazio ai rappresentanti del popolo ebraico sparsi nei vari
consorzi sociali, perché i Giudei userebbero il loro potere per sopraffare gli
altri. Fichte è sgradevolmente chiaro: a questa gente non va concessa la
cittadinanza dello Stato in cui vivono (sic!). Si tratta in tale suo parlare di
pregiudizi accolti con irresponsabile tranquillità e promossi da un filosofo in
luogo di una analisi da parte di costui obiettiva che ne rintracci le cause
storiche e ideologiche. Il filosofo tedesco appare inoltre contraddittorio e
ipocrita nel suo dire qua. Non vuol passare per intollerante e condanna tutte
le forme di persecuzione religiosa, e al contempo lamenta che ci sia
un’eccessiva inaccettabile tolleranza verso i Giudei, a cui vorrebbe mozzare il
capo per sostituirlo con una testa non giudaica, se non anche trasferirli in
massa in Palestina (come ebbe a suggerire Lutero a suo tempo). Fichte riporta
un topos antisemita luterano ricordando che gli Ebrei sarebbero soggetti
ingannevoli, cioè <i>malvagi</i> e <i>perfidi</i>, e si vanta, pur disprezzandoli
manifestamente, di averne protetto qualcuno a suo rischio (sic!). Il fondatore
dell’idealismo moderno sottolinea l’importanza che rivestono per lui la
religione e la figura di Gesù Cristo, delle quali indubbiamente risente il
condizionamento. A conclusione di questa sua specifica non condivisibile parte
di opera in cui ha affrontato simili temi (in guisa così sgraziata e priva di
riflessione autentica) il filosofo tedesco sfida il suo lettore, dopo essersi
dichiarato non avvelenato nell’animo, a confutarlo coi fatti. Ebbene, caro
Fichte, la Storia ha dimostrato infausto tutto il tuo ragionamento, alla luce,
non soltanto, dei tragici fatti relativi all’Olocausto. Senza così sinistre
sponde l’antigiudaismo sarebbe rimbalzato di meno in avanti nella Storia.
Fichte nel suo porre l’accento della primazia tedesca sulla lingua compie una
valorizzazione di Lutero e della Riforma protestante poiché il popolo germanico
è stato liberato dalla “Bibbia” in latino e ne ha avuta in mano una in tedesco.
Nella visione fichtiana tale passaggio rappresenta un motivo di vanto. Più
avanti quando Nietzsche opererà una voltura concettuale del Cristianesimo
luterano in una filosofia laica e pseudobiologica<sup>26</sup> recupererà
altresì due categorie che si rivelano significative: l’antisemitismo luterano
(e cristiano-tertullianeo in genere) e la componente dionisiaca presente nella
figura evangelica del Messia<sup>27</sup>. Fichte ha reso i tedeschi il nuovo
popolo eletto, e ciò si è venuto a contrapporre alle parallele vecchie pretese
di Ebraismo e Cristianesimo. Il razzismo nietzschiano, di marca
pseudobiologica, celebrante gli ariani, nel suo rigetto delle religioni, ha
individuato nell’Ebraismo il suo contrapposto principale in senso etnico. Quest’aspetto
del pensiero di Nietzsche, a mio avviso, nei generali recupero e rielaborazione
di mattoni luterani, dimostra che pure l’antisemitismo nel quadro nietzschiano
non sia nient’altro che un congeniale ritorno (in quella non condivisibile
ottica ovviamente), dell’antigiudaismo canonico cristiano però liberato della
faccia religiosa della medaglia di cui ho detto. Il razzismo di Gobineau, dal
mio punto di vista, rappresentò un supporto esterno, accidentale, non
necessario alla sfera tedesca ottocentesca e novecentesca, la quale possedeva
già da sé una qualificata, purtroppo, cremeria filosofica di discriminatori
(Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Schopenhauer, Marx, Nietzsche, Weininger,
Heidegger). Da Nietzsche in poi il feroce antisemitismo di Lutero (il quale fu
a danno dei <i>perfidi</i> Giudei un
istigatore all’emarginazione sociale, agli espropri, ai lavori forzati, alla
violenza) rivive soltanto nelle forme degenerate del rovescio della medaglia
antisemita cristiana, il lato de los estatutos de limpieza de sangre, i quali
ritroveremo separati da una cornice teologica e inseriti in uno schema
razzistico pseudobiologico nella deprecabile esperienza nazista. Fu Fichte
stesso a creare le condizioni del passaggio dell’antisemitismo luterano,
durante l’incrocio di questo con idee romantiche tedesche accostabili alle di
costui di sopra, alla volta di una di esso incisiva ripresa in ambito
sociopolitico. “Lingua+Lutero+antigiudaismo”, un trinomio di spunti ideologici
torbidi; al punto tale che il primato linguistico ha lasciato il passo in era
positivistica a un fattore principe, quello del <i>sangue</i>, de <i>la limpieza de
sangre</i>. Un altro dettaglio da non trascurare a proposito di Nietzsche e
Tertulliano è che l’esaltazione del “dionisiaco” del primo a scapito
dell’“apollineo” non fa altro che riproporre il modello tertullianeo
irrazionalista il quale rifiuta la filosofia e il pensiero razionalizzanti per
privilegiare pulsioni di “dionisiaco (cristiano)” vitalismo cieco e
scriteriato. Non si rivela peregrino che nei “Discorsi alla nazione tedesca”
Fichte dica che chi appartiene al popolo eletto tedesco, diretto luminoso
raggio della vita universale la quale marcia sempre in atto, debba mostrare
disponibilità all’estremo sacrificio per il bene del popolo. Sembra un discorso
alquanto pazzesco che sa di martirio cristiano, allora permeato di irrazionale
slancio suicida dionisiaco, che ritroveremo nell’ideologia filofichtiana e
nietzschiana nazista (dulce et decorum est pro patria mori). Dentro il nazismo
sono finite molte ombre del passato, e tutte risalenti alle origini del
cristianesimo. È possibile ricostruire, come si vede, i percorsi e trovare
cause prossime e cause remote in un ponderato obiettivo esame. La linea di
pensiero dell’antisemitismo tedesco è questa: Tertulliano-Agostino
d’Ippona-Lutero-Fichte-Nietzsche-Hitler. L’antisemitismo luterano laicizzandosi
fu filtrato e assorbito dalla suddetta apologia delle genti tedesche, la quale
trovò il suo perfetto interprete (potremmo definirlo in negativo senso lato un
“profeta”) in Nietzsche. L’idea che è venuta fuori da questo processo è quella
di una Germania salvatrice dell’Umanità dalla <i>piovra ebraica</i>: idea molto malsana che infiniti addusse lutti.
Nietzsche non è un precursore del nazismo, furono i nazisti a essere prosecutori
nietzschiani. Di questa sciagurata ideologia di esaltazione germanica
antisemitica Nietzsche rappresentò una specie di profeta veterotestamentario,
mentre, proseguendo il paragone, il messia neotestamentario fu Adolf Hitler e
il “Mein kampf” risultò essere una sorta di vangelo. Pio XI, pur potendo far
cancellare i due discussi termini “perfidi” e “perfidia” dalla liturgia
cattolica, preferì accontentare l’ala antigiudaica della Chiesa e lasciare il
di essa razzismo spiritualista a danno degli Ebrei intatto. Cercò soltanto,
senza successo perché morì, di attaccare il razzismo biologico nazista. Papa
Ratti vide il bicchiere mezzo vuoto a differenza del suo successore. La
Germania nazista sedicente grande salvatrice dell’Umanità dalla <i>piovra giudaica</i> grazie alla sua dottrina
razzistica biologica costituiva una seria avversaria della Chiesa, sedicente
grande salvatrice dell’Umanità dalla <i>piovra
giudaica</i> grazie alla sua dottrina razzistica spiritualistica. Se la Chiesa
non apprezzava il razzismo biologico antisemita nazista in quanto non
spiritualista, ebbe un giudizio più morbido su quello italiano emerso
disgraziatamente alla ribalta alla fine degli anni ’30, a proposito del quale
anzi a tratti in alcuni suoi quotati rappresentanti espresse particolare simpatia.
Pio XI aveva disposto un’enciclica dove si attaccava il nazismo e la sua
ideologia razzistica antigiudaica. La sua morte nel ’39 fermò l’imminente
pubblicazione, e Papa Pacelli subentratogli la sospese del tutto ritenendola
inopportuna. Dal punto di vista tertullianeo di quest’ultimo il bicchiere era
mezzo pieno: alla Chiesa, tutto sommato, gli effetti di privazione delle
libertà a scapito dei Giudei negli anni Trenta e Quaranta risultavano graditi
in ossequio al proprio tradizionale antiebraismo cristiano, poiché i <i>traditori della fede</i> avevano guadagnato
le loro <i>punizione divina</i> e <i>rovina storica</i> (a prescindere dalla
strumentalità contingente). Pio XII è stato sconcertante nella sua assente
esternazione pubblica di una protesta contro le legislazioni razziali e le
persecuzioni antisemitiche della prima metà del ’900. Lo storico statunitense
di origine ebraica Daniel Goldhagen ci rammenta due significativi episodi circa
l’acquiescenza ecclesiastica alle leggi antisemite laddove emanate. Nell’estate
del ’41 l’ambasciatore della Repubblica di Vichy presso il Vaticano chiese alla
sede pontificia un parere di conformità sulla legislazione antigiudaica varata
dal suo Stato fantoccio nazista francese. La risposta fu così positiva ed
entusiasmante (i Giudei, a detta del suo interlocutore ecclesiastico,
meritavano l’emarginazione affinché non nuocessero agli altri) che la
collaborazionista Repubblica di Vichy rese ufficialmente nota l’approvazione:
da Roma non pervenne nessuna smentita. Dalla sede pontificia, addirittura,
motivata da visibile quasi integrale approvazione nei confronti di quelle
aberranti norme, pervenne nel ’43 al governo presieduto dal generale Badoglio
la sollecitazione a mantenere attive tutte le limitazioni a carico degli Ebrei,
apprezzate dalla Chiesa, previste dalle giustamente abrogande leggi razziali
fasciste dopo l’armistizio, con l’esclusione dei Giudei aderenti al
Cattolicesimo. A fungere da portavoce il gesuita Padre Pietro Tacchi Venturi
(un amico di Mussolini) presso l’allora ministro per gli affari interni. La
deprecabile legislazione discriminatoria e razzista emanata dal fascismo nel
periodo 1937-38 fu abrogata dallo Stato italiano a partire dal ’44 attraverso
numerosi provvedimenti, però durante la guerra era proseguita infaustamente nei
territori della RSI. Con il Concilio Vaticano II (1962-65) la Chiesa ha
cambiato di 180° la sua pregressa posizione tertullianea riguardo al Giudaismo.</div><div style="text-align: justify;"> </div>
<o:p><div style="text-align: justify;">Continua qui</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>20</sup> Sul pensiero nietzschiano esiste un
mio lavoro analitico dentro al mio saggio di nota 10, intitolato <i>Leopardi e Nietzsche: i profeti del male?</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/02/leopardi-e-nietzsche-i-profeti-del-male.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/02/leopardi-e-nietzsche-i-profeti-del-male.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>21</sup> In vista di un approfondimento si
veda nella mia opera <i>Prospettive
rinnovate</i> (2023) il mio studio <i>Dall’inno
stoico a Zeus di Cleante alla fondazione del Cristianesimo</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>22</sup> Vedansi: la mia analisi indicata
nella nota 1, e l’altra recante il titolo <i>Iside
e Osiride, Cristo e la Madonna </i>all’interno della mia pubblicazione <i>Note di studio </i>(2016).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;">[2.3 di questo testo]</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>23</sup> Approfondimenti possibili mediante
miei lavori in miei saggi: <i>Radici egizie</i>
in <i>Ermeneutica religiosa weiliana</i>
(2013); <i>L’acqua e il dio biblico</i> in <i>Teologia analitica</i> (2020); lo studio
menzionato nella nota 7.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>24</sup> Riguardo a un approfondimento su
questo testo agostiniano si veda l’indicazione di nota 9.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>25</sup> Vedasi nota 12.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>26</sup> Si veda la nota 20.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>27 </sup>Al fine di approfondire si veda il
mio studio segnalato nella nota 1.</div></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-51339097780730364432023-09-12T10:33:00.006+02:002023-10-08T12:21:04.052+02:00OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 4 di 4 (IL DISTOPICO ANTIEDONISMO DEL “DE SPECTACULIS”)<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Il testo che segue è un estratto
del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano”
pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook),
disponibile per intero online qua (possibile il download):</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano">https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano</a></div><div style="text-align: justify;">Nel blog è stato ripresentato in
quattro sezioni tematiche.</div><div style="text-align: justify;">Prosegue da qui</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_12.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_12.html</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Dalla contestuale abolizione nel 1966 dell’Index librorum proibitorum
(creato nel 1559) torniamo, in tema di censure, a Tertulliano. Costui nel “De
spectaculis” prende di mira «inter cetera saecularium errorum etiam
spectaculorum voluptates». Ci comunica che «ista non competant verae religioni
et vero obsequio erga verum Deum». Per il cristiano rappresenta un «divino
praescripto definitum» di fronte a <i>gaudia
et fructus saeculi</i> la <i>obstinatio
abdicatione voluptatum</i>; <i>il cristiano
compie una eieratio</i> (<i>rinuncia</i>) <i>in virtù della sua testimonianza battesimale</i>
(<i>testimonium in lavacro</i>). Nel suo
argomentare qui Tertulliano si avvale del sostegno di una interpretazione
allegorica del Vecchio Testamento, operazione che risulta indebita poiché la
sua maniera di individuare simboli ad hoc appare fantasiosa e forzata.
Attraverso un simile gioco nevrotico interpretativo ha ricavato una formale
(assurda) <i>spectaculorum interdictio</i>:
«Omne spectaculum concilium impiorum». Gli <i>spectacula</i>
provengono <i>ex idolatria</i>, essi <i>sono asserviti</i> «Diabolo et pompae et
angelis eius»; i pagani sono <i>empi, peccatori
e nemici di Cristo</i>. In tale sua opera l’autore latino ci delinea tipologie
di <i>spectacula</i> e loro difetti. Quando
Tertulliano usa nel “De spectaculis” l’espressione <i>urbs</i> «in qua daemoniorum conventus consedit», potrebbe riferirsi
all’<i>Urbs</i>, a Roma. I <i>ludi</i> costituiscono una manifestazione
del <i>reatus generalis idololatriae</i>.
Per Tertulliano tutti gli spazi sono infestati da epifanie idolatriche:
«Ceterum et plateae et forum et balneae et stabula et ipsae domus nostrae sine
idolis omnino non sunt: totum saeculum satanas et angeli eius repleverunt».
Parlando del teatro, Tertulliano mette in mostra l’odiatore nevrotico che è in
lui: « Oderis, christiane, quorum auctores non potes non odisse». Lui istiga a
una forma di odio verso l’attività teatrale perché essa sarebbe, come tutti gli
altri <i>spectacula</i>, una manifestazione
demoniaca. Il fatto che Tertulliano esterni esplicitamente un sentimento di
odio e un richiamo così significativo a esso da piantare nelle teste di chi gli
andava appresso, mi pare molto rilevante alla volta della comprensione del
fondo dello spirito cristiano. Non rilevo contraddizione nella dottrina del
Cristianesimo fra il Gesù evangelico dichiaratosi portatore di conflitto e di
divisione, e il pacifismo cristiano delle origini ancora fuori del potere
politico. Ho già chiarito in questa monografia riguardo a tale apparente
contraddizione. Però voglio altresì ricordare una conclusione che formulai nel
mio saggio “Il Medioevo futuro di George Orwell” (2015) dove illustrai, alla
luce dell’affermazione weiliana che la Chiesa è la madre dei diversi
totalitarismi a venire, come nel sistema dottrinario cattolico si manifesti,
fra le altre sfaccettature orwelliane, l’idea che L’AMORE È ODIO<sup>28</sup>.
Tertulliano, nella maniera in cui ora di seguito spiegherò meglio, nel momento
in cui sollecita a <i>odisse</i>, al pari di
un lapsus, ci ha involontariamente mostrato il fondo del pozzo dottrinale
cristiano. Allorché egli parla dei ludi gladiatorii e delle esecuzioni
capitali, non possiamo tuttavia fare a meno di essere d’accordo con lui,
nonostante su quasi tutto la sua ragione abbia fatto naufragio nell’oscurità di
un folle sistema. La violenza è, sempre e comunque, da rifiutare, da non
mettere in pratica al di fuori di una ragionevole motivazione fondata sulla legittima
difesa. Lo spettacolo di violenti combattimenti e pari sadiche condanne a morte
non devoe trovare spazio nella Civiltà umana. La mia modesta impressione è
però, come già ho avuto modo di dire, che tale discorso tertullianeo sugli
spargimenti di sangue abbia un fine dissimulato: quello di proteggere i
cristiani colpiti dalla giustizia romana, i quali cristiani condannati, sebbene
la procedura di condanna fosse davvero disumana, non erano effettivamente
esenti da colpe in quanto propugnatori nei fini dell’eversione sociale e
politica a scapito dell’ordine costituito dell’Impero romano. Io noto che
Tertulliano nei casi delle sentenze, a danno specialmente dei seguaci del
Cristianesimo, insiste solo sul difetto di prassi inumane, e obiettivamente
inaccettabili, legate alla macchina giudiziaria romana, ma non tiene per niente
in conto il deleterio potenziale sovversivo della sua religio. La Verità a
volte è poliedrica, usare le facce che convengono non rappresenta una
ricostruzione vera, bensì un’operazione di propaganda, anche se a far ciò sono
le vittime e di una giustizia non progredita: la punizione sadica e barbarica
non cancella le responsabilità penali. Queste rimangono, si rende necessario
adeguare la pena a un regime di umanità maturo, rispettoso in ogni caso della
dignità della persona umana. E simile cosa, purtroppo, non fecero i cristiani
quando presero il potere in Occidente. I primi a fare le spese dell’ipocrisia
cristiana tertullianea gli omosessuali, condannabili al rogo. Poi vennero gli
eretici e le streghe e tutti gli altri. Tertulliano accusa il pubblico pagano
di tenere questi <i>spectacula</i> violenti
e mortali a beneficio di una sadica <i>crudelitas</i>.
Ma tutti quelli che hanno poi assistito ai roghi e alle varie esecuzioni a
morte della Cristianità non costituivano più un pubblico di sadici pagani,
rappresentavano un pubblico di sadici cristiani. Dov’è finito l’afflato
tertullianeo al rispetto della persona? Nel cestino delle ipocrisie di
circostanza? So che sto facendo un ragionamento a posteriori nel mettere in
dubbio la sincerità in questo caso di Tertulliano, per me motivato più da
esigenze immediate dettate dalla volontà di difendere con tutti di i mezzi
argomentativi degli eversori, ma se il frutto è stato quello la pianta non
doveva essere di un genere molto dissimile (a meno di cesure e innesti qui non
rilevabili). Tertulliano si rivela un abile esperto della comunicazione, sa che
cosa deve dire per portare l’acqua al suo mulino, tuttavia, in generale e nel
caso più specifico sopra riportato, abbiamo visto il suo viscerale odio a
carico della pluralista per le religioni società pagana. Odiare gli altri fa
parte del DNA cristiano originario, quantunque il Cristianesimo parli di amore.
È un meccanismo orwelliano, sopra rammentato, dove l’amore per Dio e per il
prossimo comporta l’odio e la distruzione di tutto quanto non è conforme alla
dottrina cristiana. Prima i cristiani sono riusciti a sovvertire lo Stato
romano pagano “amorevolmente” con la conversione, poi sempre “amorevolmente”
hanno dato la caccia a quei seguaci del Diavolo già segnalati da Tertulliano. E
per amore di Dio e del prossimo hanno eliminato dalla Cristianità i pericoli
rappresentati da streghe, eretici, omosessuali, et ceteri. Però sempre e
comunque perché amavano Dio e proteggevano il prossimo dai rappresentanti del
Demonio. Con Tertulliano il Cristianesimo ci ha detto che la violenza su di sé
era illecita, in un secondo momento ha chiarito in pratica che il problema
dell’uso della violenza non risiedeva in essa, bensì in chi la adoperava. Sulla
divina religione cristiana costituiva un affronto a Dio, al servizio della
religione cristiana rappresentava la longa manus di Dio. Ed ecco che l’<i>horrendus locus </i>indicato da Tertulliano
dei ludi gladiatorii e delle esecuzioni è pacificamente, per così dire,
transitato nel Cristianesimo dominante non più <i>horrendus</i>: le pubbliche sadiche condanne a morte dei nemici di Dio
erano cosa buona e giusta giacché bonificavano il mondo. Non reputo estraneo
simile spirito orwelliano nella mente e nella propaganda tertullianee. In
relazione all’autore latino possiamo dire che il principio cristiano dei secoli
scorsi L’AMORE È ODIO sia valido nella forma storicamente esternabile da lui,
ma più vivo e più intenso visceralmente come si vedrà in maniera ulteriore nel
testo del “De spectaculis”. Tertulliano ci spiega che l’<i>idololatria</i> è connaturata a tutte le forme di <i>spectacula</i>, nella loro antica genesi e nel loro sviluppo storico.
Degli <i>spectacula</i> non si salva niente,
nemmeno i luoghi che li ospitano e le cose usate per allestirli. In particolare
colpisce, per via dell’esagerazione così grottesca, l’affermazione tertullianea
secondo cui i pagani non si rendano conto di fare <i>consacrationes</i> non a presunti Dei (pagani) bensì a <i>Daemonii</i> (angeli ribelli contemplati dal
Cristianesimo). Tertulliano degrada così la religiosità pagana laddove connessa
con gli <i>spectacula</i>. E visto che c’è
dimostra nuovamente la sua mancanza di apertura, equilibrio, tolleranza nei
confronti degli altri non cristiani: «Nec minus templa quam monumenta
despuimus». Lui <i>disprezza</i> i pagani
(sic!): bell’esempio di amore verso il prossimo! La radice di <i>despuere</i> è la stessa di <i>spuere</i>, sputare: Tertulliano aveva
diversi verbi a disposizione, tuttavia ha scelto il peggiore facendo notare in
guisa significativa il suo estremismo religioso gravemente sovversivo. E
addirittura, a testimonianza che lui intenzionalmente si avvalga della figura
dello sputare-su, più avanti usa il verbo <i>respuere</i>:
i <i>luoghi</i> dove si tengono spettacoli <i>si imbevono di lordura </i>la quale «in
alteros respuunt». In questo gioco degli sputi reciproci messo in piedi da
Tertulliano egli cerca di giustificarsi del suo precedente sputare
sull’antichità pagana mostrando la causa compensativa del suo precedente <i>disprezzo</i> (<i>sputo</i>). “Spettacolare” questo stratagemma retorico della propaganda
tertullianea. E poi ci si stupisce che i Romani mettessero in azione la loro
macchina giudiziaria nelle situazioni di forte e aperta eversione sociale
provocate dall’ideologia estremistica religiosa cristiana? Il radicalismo del
Cristianesimo rendeva questo inconciliabile con l’ordine costituito
romano-pagano. Nel “De spectaculis” il suo autore afferma: «Non possumus cenam
dei edere et cenam daemoniorum». È evidente lo spirito sovvertitore, non
conciliante, della nuova distopica religio. E quando Tertulliano ci dice che
«Deus […] cum causa prohibet odisse, […] maledicere», non possiamo fare a meno
di rilevare ipocrisia e contraddizione. Egli spera di far proseliti cristiani
sfruttando tutte le risorse retoriche, non bada tanto a un’intima coerenza
razionale nel suo discorso, ha del sofista che critica gli <i>affectus</i> (passioni, emozioni) e poi sotto sotto mira alla parte
emozionale dei suoi interlocutori. Pensiamo a Pascal il quale ho già ricordato<sup>29</sup>,
alle sue “ragioni del cuore”, ma altresì alla sua pesante critica al <i>divertissement</i>; Pascal possiede forti
analogie nevrotiche, e nella forma dei frutti, con Tertulliano. Il “credo quia
absurdum” di costui rappresenta una plateale “ragione del cuore”. Purtroppo in
entrambi al posto del “cuore” c’era una nevrosi di impronta religiosa molto
grave. Nel “De spectaculis” l’autore latino svolge, fra l’altro, professione di
antiedonismo antiepicureo. Egli prende anche decisamente di mira il civile,
equilibrato, moderno sistema filosofico del Giardino<sup>30</sup>, un exemplum
di sanità mentale e di progresso in assoluto, non solo rispetto ai
deragliamenti cristiani. Tertulliano comprende benissimo che il nemico
scientifico-filosofico del Cristianesimo è l’epicureismo. Ne teme la
concorrenza. La filosofia del Giardino ambiva a liberare dal «mortis timor»
attraverso una dottrina atomistica la quale negava l’immortalità dell’anima, la
resurrezione dei corpi e l’attenzione divina verso il mondo. Tertulliano ci
esterna la sua preoccupazione in relazione a queste idee concorrenziali. Non è
un caso che gli epicurei avranno una parte di primo piano nell’“Inferno”
dantesco. Nonostante l’autore latino tema Epicuro, torna di nuovo a usare la
sua maestria propagandistica prendendo delle idee epicuree per farle proprie in
salsa distopica cristiana. Come se fossimo idioti, e non capissimo quanto sta
mettendo in atto qua, ci illustra la distinzione tra piaceri dinamici e piaceri
catastematici epicurea formalmente volta all’interno della dottrina cristiana dove
assume una veste distopica in quanto l’ambito del piacere lecito si restringe
enormemente (dirà più avanti: «Quae maior voluptas quam fastidium ipsius
voluptatis»). Nemico del Cristianesimo è l’<i>affectus</i>,
il <i>movimento dell’animo suscitante
passioni ed emozioni</i>. Il pensiero cristiano condanna la <i>concupiscentia</i>, in cui rientra la <i>voluptas</i> in genere. Tertulliano
puntualizza: «Nemo ad voluptatem venit sine affectu». Al fatto che ci sia una
evitanda «voluptatis concupiscentia» unisce l’idea che sono «species […]
voluptatis etiam spectacula». Dalla forma di simile ragionamento è derivata
altresì la sessuofobia cristiana, dove il congresso carnale ideale appare
quello che si celebra con la stessa partecipazione che si presta ad esempio
nell’accendere e spegnere un interruttore della luce. Infatti l’autore del “De
spectaculis”, a proposito di questi, ma principio valido appunto in generale,
precisa: «Furor interdicitur nobis». Laddove Tertulliano riguardo al teatro
parla di «privatum consistorium impudicitiae» v’è un ragionevole motivo di
intendere che egli stia dicendo “privato raduno di omosessuali” giacché non
gradisce abiti di scena femminili sopra uomini: <i>mimus per muliebres [vestes] repraesentans sensum sexus et pudoris
exterminat</i>. Sembra un’affermazione omofobica, le allusioni ci sono.
Comunque, se quell’<i>impudicitia</i>
possiede senso lato, ci rientra un teatrale festival delle prostitute: «Etiam
prostibula, publicae libidinis hostiae, in scaena proferuntur». Tertulliano
aborrisce gli <i>spectacula</i> comuni e
quelli per adulti, la <i>scurrilitas</i>
(rappresentazione spiritosa, comica) <i>et
omne vanum verbum</i>. L’autore latino chiude la faccenda inerente a teatri e spettacoli così: «Habes igitur et theatri interdictionem de interdictione
impudicitiae». Lui altresì <i>disprezza</i>
(stavolta è stato più morbido, ha usato <i>aspernari</i>)
la «doctrinam saecularis litteraturae ut stultitiae apud Deum deputatam».
Chiarisce meglio che tale letteratura pagana va disprezzata perché <i>dà alimento alla creazione di tragedie e
commedie</i>, le quali sono «scelerum et libidinum auctrices». <i>Simili eccessi non meritano di essere messi
in scena</i>. La conclusione tertullianea turba non poco e sotto vari profili.
Cominciamo a vedere il primo, il più semplice. Se uno come Tertulliano fosse
vissuto ai nostri giorni si sarebbe espresso più o meno in tal guisa: «Vi
annunzio un Dio che, oltre a volere le donne chiuse in casa e vestite in abiti
castigati e non truccate, che giudica gli Ebrei inguaribili traditori della
vera fede, vuole, per la salvezza eterna della vostra preziosa anima, che in
casa vostra in televisione non si guardino più film o serie TV comiche o
drammatiche, né programmi di divertissement, né eventi sportivi, che non
facciate un parallelo uso di internet con il divertissement che offre, che
rinunziate a leggere romanzi e racconti da cui magari la cinematografia trae
spunto…». Io, modestamente, credo che uno così sarebbe preso per pazzo,
specialmente quando aggiungesse che dentro gli smartphone ci sono dei diavoli
incorporati. Mettetevi ora nei panni del Romani che vedevano le bestiali
affermazioni distopiche di Tertulliano, un ideologo estremista tra i più
importanti teorici della nuova religio. E rammento che le sue opere da me qui
esaminate sono del suo periodo di ortodossia cattolica, non ho preso a
riferimento testi posteriori del periodo eretico montanista. Se questo
scrittore latino è l’autore dell’“Apologeticum”, è pure il creatore di “De
cultu feminarum”, “Adversus Iudaeos” e di questo “De spectaculis”. Il primo
rappresenta l’apologia degli altri tre. E tutto ciò si inserisce nella fase
cattolica tertullianea. L’intero quadro del pensiero tertullianeo di questo
segmento temporale ci restituisce una ricostruzione obiettiva e completa. Non
si possono minimizzare né accantonare le proposte, quasi sempre, assurde cui
l’“Apologeticum” fa da sponda. Detto ciò voglio prendere in esame un secondo
profilo di turbamento. Tertulliano ha chiesto di non sceneggiare <i>scelera et libidines</i>. Simile proposito
si rivela antitetico alla produzione teatrale greca, di cui Aristotele ha
sostenuto essere la catarsi dello spettatore il principio animante. Aristotele
con la sua metafisica, la sua misoginia, la sua approvazione della schiavitù, è
diventato il campione filosofico della Chiesa (il celeberrimo dantesco «maestro
di color che sanno»). Perché il Cristianesimo ha preso e conservato, fra
l’altro, le cose peggiori di Aristotele e buttato nel cestino la catarsi
teatrale? A me sembra, a fronte di sistemi di pensiero più sani, che i teorici
cristiani avessero una spiccata vocazione ad approvare e seguire le cose
peggiori, a partire dalla misoginia<sup>31</sup>. L’oscurantismo tertullianeo
ha colpito pure lo sport: l’attività sportiva è contro l’ordine divino dato
alla realtà poiché costituisce un impegno agonistico inutile, faticoso, e volto
soprattutto a superare una forma non agonistica dello statuto umano concepito
da Dio (<i>plastica Dei</i>). Dopo la
“catarsi greca” Tertulliano si mette sotto i piedi anche il romano “mens sana
in corpore sano”. Tradotto oggigiorno il desiderio tertullianeo toglierebbe a
tutti, perché contrario alla volontà di Dio, sin dalla prima infanzia la
possibilità di una prestazione atletica, agonistica. In parole povere, per
rendere l’idea, una partitella di calcio al campetto sarebbe peccato. Il Cristianesimo
delle origini ha generato i paolini cosiddetti <i>folli per Cristo</i>. È stato il padre spirituale del Cristianesimo,
Paolo di Tarso, a definire la nuova religio, allo sguardo altrui e non
partecipante, <span lang="EL">μωρία, </span><span lang="EN-US">e a scagliarsi contro la </span><span lang="EL">σοφία pagana, colpevole di
incomprensione che meriterà la punizione divina. A detta del Paolo
neotestamentario il tempo dei</span><span lang="EL"> </span><span lang="EL">σοφόι</span><span lang="EN-US"> è finito e i piani si sono ribaltati: <i>Dio ha attribuito la qualifica di stoltezza
alla conoscenza pagana</i>, <i>si è rivelato
alla impotente </i></span><i><span lang="EL">σοφία </span></i><i>dei </i><i><span lang="EL">pagan</span></i><i>i mediante la pazzia di ciò che è proclamato a voce
alta</i> (<span lang="EL">μωρία τοῦ κηρύγματος</span><span lang="EN-US">). Agli
occhi giudei il Messia cristiano appare </span><span lang="EL">σκάνδαλον</span>
(una <i>trappola</i>)<span lang="EN-US">, a quelli
di tutti gli altri </span><span lang="EL">μωρία. Paolo aggiunge che</span><span lang="EN-US"> «quanto con stupidità fatto da Dio è più dotto
dell’operato umano [</span><span lang="EL">τὸ μωρὸν τοῦ θεοῦ σοφώτερον τῶν ἀνθρώπων ἐστίν</span>]<span lang="EN-US">». In questo gioco di inversione dei ruoli, prosegue
l’apostolo invitando il presunto </span><span lang="EL">σοφός non cristiano a diventare</span><span lang="EL"> </span><span lang="EL">μωρὸς allo scopo d</span><span lang="EN-US">i</span><span lang="EL"> essere veramente</span><span lang="EL"> </span><span lang="EL">σοφός</span>: la <span lang="EL">σοφία pagana rappresenta</span><span lang="EL"> </span><span lang="EL">μωρία per Dio. </span>Gli <i>sciocchi</i><i> </i><i>per via</i><i><span lang="EL"> d</span></i><i>i </i><i><span lang="EL">Cristo</span></i> (<span lang="EL">μωροὶ διὰ Χριστόν</span>)
sarebbero in realtà nell’ottica paolina <i>assennati</i><i><span lang="EL"> in Cristo</span></i> (<span lang="EL">φρόνιμοι ἐν Χριστῷ</span>)<sup>32</sup><span lang="EL">. I cristiani non destavano affatto una buona impressione a nessuno, </span>e ne <span lang="EL">erano consapevol</span>i<span lang="EL"> sin dal tempo d</span>i<span lang="EL"> Paolo di Tarso. La loro apologetica continuava a
sconcertare non meno dei loro martiri. In linea di squilibrio mentale il
martirio cristiano è parente prossimo del suicidio stoico: lo stoicismo andava
fagocitato; l’epicureismo, il vero nemico, sosten</span>i<span lang="EL">tore di un
edonismo moderato, andava annientato. Quell</span>o<span lang="EL"> che restava dello spirito
epicureo tornerà a galla con la civiltà umanistico-rinascimentale nelle forme
particolar</span>i <span lang="EL">d</span>i<span lang="EL"> una nuova
società a vocazione capitalistica in contrasto con la reazionaria Chiesa
cattolica d</span>i<span lang="EL"> allora. Il risultato? Lo
scisma protestante. Ma torniamo a Tertulliano e al suo </span>“De spectaculis” dove si riecheggia il ragionamento
paolino sopra riportato: «Ethnici, quos penes nulla est veritatis plenitudo,
quia nec doctor veritatis Deus, malum et bonum pro arbitrio et libidine
interpretantur». A nuova dimostrazione che esisteva ormai all’epoca
tertullianea una salda e consolidata volontà cristiana, presente già ab ovo, di
scalzare nella sua interezza l’ordine sociale politico pagano. Alla fine di
questo distopico programma dipinto nel “De spectaculis” si toccano altre cime
dell’assurdità. Se si assiste agli spectacula, a dire di Tertulliano, esiste il
serio pericolo che qualche diavolo si impossessi di qualche spettatore, e allora
ci vorrebbe l’esorcista. Gli spectacula insomma sono pericolosissimi. I
cristiani, continua l’autore latino, non hanno bisogno dell’arte pagana la
quale rappresenta «fabulae», hanno le loro produzioni le quali riportano
«veritates». Altri studiosi prima di me hanno colto la natura del Cristianesimo
originario quale favola nera, cioè rovinosa per molti secoli e responsabile di
crimini contro l’umanità a causa delle sue dottrine: la misoginia,
l’antisemitismo, l’omofobia, l’intolleranza, l’illiberalismo della nuova
religio hanno tragicamente fatto sì, e non quale Cristianesimo mal compreso e
mal praticato, che molte persone fossero perseguitate e sadicamente torturate e
uccise. Simili luttuosi fenomeni furono il prodotto di una intenzione precisa,
nevrotica e irrazionale. La storia ce ne ha liberati col progresso civile, e il
Cristianesimo di oggi non è più come quello del periodo nero preilluministico.
Perdendo il potere politico ha solo potuto legarsi in scala ridotta con gli
amici di turno, pur mantenendo un suo peso non indifferente (abbiamo visto ad
esempio la Chiesa cattolica durante i totalitarismi antisemiti del ’900 giocare
in negativo in un contesto molto tragico). Mi ha particolarmente colpito il
finale del “De spectaculis” a causa del disvelamento di una malcelata
ipocrisia. Nella celebrazione tertullianea del <i>vivere Deo</i>, l’autore latino non riesce a nascondere l’acredine e
l’astio nei riguardi dei non cristiani. Si parla infatti di questo favoloso
«ultimus et perpetuus iudicii dies» al fine di prospettarci uno scenario di
rinnovata distopia e di apocalittico orrore. <i>Unus ignis</i> divorerà il cosmo con suoi peccatori abitanti, e
Tertulliano mostra sadico compiacimento al pensiero dei lamenti e delle scene
che avranno per protagonisti questi avvolti dalle fiamme nel corso del giudizio
divino. Molto inquietante, molto sconcertante, molto sinistro, simile desiderio
il quale nella sua vis proveniente dall’Ombra junghiana ci offre una
prefigurazione dei trattamenti violenti che i cristiani riserveranno ai loro
inquadrati nemici<sup>33</sup>. Torture, roghi, esecuzioni varie, volte a
rimuovere presenze giudicate diaboliche hanno rappresentato crimini contro
l’umanità sia per estensione (in termini di percentuale sulla popolazione) che
per intensione. Il vecchio Cristianesimo di prima maniera è stato una distopia
in terra, prima teorica, poi materializzatasi storicamente nella guisa
ecclesiastica sottolineata da Simone Weil<sup>34</sup>.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>28</sup> A pag. 20. Consiglio la lettura di tale mio lavoro.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell">https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>29</sup> Vedasi nota 3.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>30</sup> Si veda nota 16.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>31</sup> Vedasi nota 8.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>32</sup> Erasmo da Rotterdam attuerà una ripresa del tema
della <span lang="EL">μωρία</span>, una ripresa molto sottile, le cui facce ho
esaminato nella mia analisi indicata nella nota 6.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>33</sup> In merito a cattivi presagi, in argomento un mio
studio: <i>Dalle parole di Gesù Cristo a
quelle di Pauline Harmange</i> contenuto nella mia pubblicazione <i>Prospettive rinnovate</i> (2023). Dacché ho
ritenuto il sistema di de Sade una forma di tanatolatria e il sadismo presente
all’interno di una parte del Cristianesimo (fatti salvi tutti quelli che
d’altro canto qualcosa di veramente buono hanno compiuto), è possibile
concludere che in generale e sotto il profilo ideologico il Cristianesimo
intero sia sorto quale religio tanatolatrica. Dal sacrificio di Gesù Cristo
alla sua imitazione dei martiri successivi si nota una strutturale vocazione al
suicidio in sintonia, ma più estremistica, con l’autodistruzione stoica. I
cristiani originari potrebbero essere definiti, e non a torto, “stoici
impazziti”. Allo scopo di approfondire l’argomento sul sadismo segnalo due miei
lavori: quello indicato nella nota 10 e nel medesimo mio saggio che lo contiene
l’altro intitolato <i>La tanatolatria di de
Sade</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dalle-parole-di-gesu-cristo-quelle-di.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dalle-parole-di-gesu-cristo-quelle-di.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>34</sup> Giudico interessante segnalare nell’ambito
letterario la nostalgia di simile passato distopico all’inizio del ’900 in un
autore di elevate capacità di scrittura, che accosto a Tertulliano e a Dante,
quale fu Monsignor Robert Hugh Benson. E ciò nella dimostrazione di come sia
stato alquanto lento il processo di ammodernamento della Chiesa cattolica,
divenuto più rapido solo dalla seconda metà del XX secolo. Ho il piacere di
invitare a leggere il romanzo bensoniano “Lord of the World”. E per i motivi di
cui ho trattato nella mia monografia che gli ho dedicato, e della quale
consiglio parimenti la lettura: <i>L’apologia
dell’irragionevole di Robert Hugh Benson</i> (2017). Riguardo a un summum
exemplum, la personalità e l’opera del cattolico Tommaso Moro, il quale <span lang="EL">μωρὸς</span><span lang="EL"> </span><span lang="EL">διὰ Χριστόν</span>
si fece uccidere dai protestanti e fu teorico del Cattolicesimo totalitario
nella sua “Utopia”, suggerisco la lettura di un altro mio lavoro: <i>Cristianesimo razionale e
nazional-socialismo in Thomas More</i> nella mia opera menzionata nella nota 9.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson">https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html</a></div></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-39763492640333560242023-08-15T12:40:00.001+02:002023-08-15T12:46:35.202+02:00DALL’INNO STOICO A ZEUS DI CLEANTE ALLA FONDAZIONE DEL CRISTIANESIMO<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX4m9WB3RE5hdjUkH89KEyojGrdWUSsjLbJ7NmCpy-4LJ1uyHfq317DMpWBhO7ohkO7Fq_PCUUxhmHqxRullLwip2axpJuYkQJs0Ja0nfrHK92o3LOoiA0t-UYAX5CoR_O8LnMtbB4Uf2RAixktlCSZXkJXRxf1Dz1GATwOZDdMe41Jr4iJUOGCV7xS7Q/s640/4a.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="257" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiX4m9WB3RE5hdjUkH89KEyojGrdWUSsjLbJ7NmCpy-4LJ1uyHfq317DMpWBhO7ohkO7Fq_PCUUxhmHqxRullLwip2axpJuYkQJs0Ja0nfrHK92o3LOoiA0t-UYAX5CoR_O8LnMtbB4Uf2RAixktlCSZXkJXRxf1Dz1GATwOZDdMe41Jr4iJUOGCV7xS7Q/w81-h200/4a.jpg" width="81" /></a></div>In un mio passato lavoro mi sono occupato del lato stoico
della figura letteraria e mitologica del Gesù evangelico<sup>1</sup>. Qua
proseguo l’esame dei rapporti concettuali intercorrenti fra stoicismo e nuova
religione cristiana. Come già visto nell’altra mia analisi, e ben noto prima di
me a studiosi attenti e molto meno alla stragrande maggioranza della gente, la
filosofia stoica ha fornito molto materiale all’erigendo Cristianesimo. Sebbene
questo fenomeno culturale sia stato evidente sotto il naso di menti acute, non
ho trovato niente che andasse al di là del semplice accenno nei termini di una
approfondita indagine filosofica e teologica. Ci sono intellettuali che mi
hanno preceduto i quali sono consapevoli che la religione cristiana sia una
invenzione umana, però di tale costruzione non hanno prodotto al pubblico
l’esame genetico delle idee puntuale. Non mi sono mai imbattuto in indagini
paragonabili alle mie nelle quali grazie all’uso di strumenti adeguati alla
filosofia e alle religioni dell’antichità ho smontato nel tempo, sempre meglio,
la tradizione giudaicocristiana nelle sue contestuali culturali, ideologiche,
filosofiche componenti di base. Non ho avuto la ventura di incontrare una
simile intenzione di destrutturazione sino agli elementi di pensiero ultimi. Ci
sono dei lavori storici pertinenti, tuttavia la storia dei fatti non è stata
accompagnata da una storiografia di ampio raggio. Naturalmente non sono il
primo a scoprire alcune cose che scrivo, ma non le ho trovate ben spiegate e
chiarite prima di me. Perciò non poche cose in relazione a me sono state nuove
scoperte, e come frutto di mie riflessioni e ricerche autonome poi pubblico i
risultati d’analisi. Nello studiare i testi biblici e le due religioni
collegate non è stato facile accantonare il tradizionale senso fideistico
cristiano che la società occidentale inculca in huxleyano modo (mi riferisco ai
metodi di trattamento formativo mentale del Brave New World<sup>2</sup>). Riuscitoci
da solo per puro spirito filosofico grazie alle mie indagini, continuo ad
analizzare gli argomenti di cui ho fatto menzione, e nelle mie particolari
personali modalità. Come ho anticipato in questo scritto parlerò della
maternità stoica del Cristianesimo e anche della paternità ebraica. C’è nel
Nuovo Testamento un brano degli “Atti degli apostoli” molto rilevante nella
determinazione dei legami fra stoicismo e Giudaismo in relazione alla nascita
del Cristianesimo. Paolo di Tarso si trova all’Aeropago e rivolge agli astanti
che lo ascoltano un discorso di nitida matrice stoica. Egli, dopo aver
introdotto un ancora demiurgico Dio giudaicocristiano (più avanti destinato
dalla teologia cattolica a essere invece protagonista di una creazione ex
nihilo<sup>3</sup>), dipinge costui con tratti monistici e panteistici di
tonalità hegeliane e spinoziane<sup>4</sup>, pur volendosi mantenere
nell’orizzonte personalistico del divino. E non sorprende che in simile
contorsionismo teologico, volto a valorizzare la radice stoica, Paolo appunto
si esprima quale profondo simpatizzante dello stoicismo. Afferma infatti,
all’Areopago, che ogni essere vivente opera dentro Dio e che da lui ha sostegno
ontologico. E addirittura l’apostolo va a citare proprio un pertinente verso
dell’inno a Zeus di Cleante di Asso (304-233 a.C.) dove si asserisce che gli
uomini sono il frutto di una discendenza divina. Paolo condanna altresì, tra
l’altro, le rappresentazioni artistiche del divino. Anche nei Vangeli compaiono
tracce esplicite di panteismo stoico riformulato nella direzione
dell’inglobante ubiquità divina. Il filosofo Cleante citato, di cui esaminerò
detto inno, fu di modeste origini, ebbe uno spirito sensibile alla sfera della
religione e fu di orientamento filosofico panteista. Fu il primo a subentrare
nel ruolo di scolarca stoico a Zenone di Cizio, e diede allo stoicismo
un’inclinazione investigativa e riflessiva ritenuta preliminare e faro rispetto
ai contenuti della prassi. Lo stoicismo nel tempo spostò via via la sua visione
panteistica greca verso un assetto teistico nella speculazione romano-latina. In
detto testo di Cleante l’autore definisce Zeus αθάνατος. E dal momento in cui
la sua posizione è spinoziana non c’è da stupirsi che egli non metta una
frattura nichilistica al corso divino (identificato col corso della realtà). La
nota di contrasto emerge allorché si evidenzia la mortalità degli Dei (Elohiym)
biblici, a cominciare dal “numero uno”<sup>5</sup>. Il Vecchio Testamento non
possiede la categoria teologico-filosofica dell’“eternità”, la mortalità
inerisce pure alla divinità, e in luogo dell’immortalità personale, di
garantita eterna vita, si offre la prospettiva di “lunghissimo tempo”. La
teologia cristiana poi prenderà spunti esterni al Giudaismo e renderà il Dio
biblico un soggetto teologico con attributi ontologici parmenidei. Il filosofo
greco di Asso poi definisce Zeus πολυώνυμος. Sebbene tale definizione possa
apparire scontata in un contesto stoico panteista che risente dei modi
orientali teologici di vedere nel molteplice dispiegamento delle divinità una
manifestazione di facciata di un divino alla sua base e nella sua sostanza
unitario, si rivela per me molto interessante se la collego a un mio studio
precedente sul concetto veterotestamentario di “Elohiym”<sup>6</sup>. Là avevo
spiegato che il termine, la cui forma invariabile riaguardo al numero non ci
precisa da sola la quantità (“il Dio / gli Dei”, in generale “il Divino”), a
mio avviso nel contesto biblico giudaico finì per assorbire la possibilità del
pluralismo a vantaggio di una singolarità semantica privilegiata in quel
sistema religioso. Il Dio ebraico in posizione di supremazia enoteistica
diviene cioè lo Elohiym per eccellenza, il “numero uno” come recita Dt 6,4
nella mia corretta e approfondita traduzione dall’ebraico. Nella linea di
vicinanza semitica fra Ebraismo e stoicismo (fondato da Zenone di Cizio) sono
in grado di rilevare un’altra pertinente cosa grazie all’uso di Cleante, primo
successore del fondatore della scuola filosofica stoica, dell’aggettivo
πολυώνυμος. I Giudei maturarono il divieto di pronunziare il nome del loro Dio.
Penso che se la parola Elohiym si spostò nella teologia ebraica dal plurale di
partenza a una forma singolare di maggiore e migliore copertura semantica, anche
il Dio d’Israele è definibile strutturalmente nel suo concetto costitutivo
globale e finale (inglobante soprattutto elementi egizi e sumeri<sup>7</sup>)
“dai-molti-nomi”. Lo stoicismo non ha guadagnato ancora con Cleante una
dimensione di persona al divino unico e si mantiene sopra un piano panteistico
spinoziano rispetto al Giudaismo, ma entrambi i sistemi possiedono analogie
originarie nel meccanismo di una semantica unificatrice del “divino”. Lo
stoicismo è stato molto più saldo a proposito dell’unicità esclusiva, però non
della personalità; il pensiero ebraico ha operato invece sul costruire un Dio persona
ben preciso, ma lasciandogli degli Elohiym avversari (comunque non alla sua
altezza). Sarà il definitivo matrimonio culturale stoico-giudaico a generare
nella teologia cristiana il Dio personale unico contrastato solamente da
un’altra singola personalità malefica (Satana). Riguardo al discorso che stavo
facendo poc’anzi sul Dio d’Israele dai-molti-nomi e sul divieto di pronunziarne
il nome ho l’impressione che il fagocitamento semantico da parte di “elohiym”
possa aver prodotto un risultato semantico di ribaltamento. Vale a dire che il
Dio dai-molti-nomi è divenuto alla fine una divinità senza-nome: qualità di
“elohiym” dall’enoteismo veterotestamentario potenzialmente vocato al
monoteismo personalistico cristiano, raggiunto dopo l’incontro conciliante con
la filosofia stoica. Cleante definisce altresì Zeus παγκρατὲς, cioè
onnipotente. Pnsiamo all’incipit del cantico di Francesco d’Assisi: «Altissimu,
onnipotente, bon Signore / tue so’ le laude la gloria e l’honore et onne
benedictione. / Ad te solo, Altissimo, se konfano». L’altezza lirica, anche in
generale, è analoga a quella del filosofo greco antico, però i toni sono
differenti: più cupi e irrigiditi in Francesco, dove il recinto appare prigione
mentale animata da gaiezza inquadrata dai vincoli di un Dio onnivoro, mentre in
Cleante, quantunque si stigmatizzi parimenti la devianza, si mostrano una forma
religiosa e una sostanza filosofica non oppresse da una teologia oscurantista.
Il Dio cattolico francescano monopolizza tutte le celebrazioni e le attenzioni,
lo Zeus dell’autore greco invece si offre alla richiesta di interlocuzione
umana, non manifesta pretesa: da un lato notiamo un negativo divino incalzare,
dall’altro uno spazio di gioiosità più libera. Il Cristianesimo ha recintato il
Paganesimo, ha buttato via lo spirito religioso liberale e cordiale, e tenuto
dentro le cose peggiori. Nonostante stoici ed epicurei fossero come cani e
gatti non sono finiti all’uso della violenza, la quale invece sarà introdotta
in relazione a questioni teologiche e filosofiche nella cultura e nella società
occidentali proprio dal Cristianesimo, i cui scontri interni e rivolti in
direzione dell’esterno, ispirati o mascherati da motivazioni nevrotiche o di
interesse, di richiamo propagandistico religioso cristiano sono stati fra le
pagine più orrende della Storia universale<sup>8</sup>. Non trascuriamo quindi
che lo Zeus di Cleante non si è trasformato nel Paganesimo in un persecutore.
Oggigiorno quasi tutti giudicano erroneamente la religiosità greca antica come
se fosse stata un fattore di deficienza, senza peraltro rendersi conto che il
Cristianesimo è sorto grazie all’incontro di stoicismo ed Ebraismo, tra cultura
pagana e cultura ebraica. Molti ignorano o trascurano che il Paganesimo greco
era in grado di far sospendere pro tempore le guerre in Grecia durante
significativi eventi religiosi. Si pensi ad esempio alle olimpiadi, una serie
di competizioni sportive in onore degli Dei. Il Cristianesimo non ha posseduto
simile potere, anzi ha promosso le guerre e l’odio: pensiamo alle crociate e
all’antisemitismo, ad esempio. A me pare che il Paganesimo greco fosse
socialmente migliore e, mi si consenta di dire, superiore al Cristianesimo. Gli
antichi Greci pagani, nonostante di cultura perlopiù misogina, non
perseguitarono, torturando e uccidendo, le streghe. Non ebbero affatto omofobia
di uguale effetto. Rispettarono con profondo senso di riguardo il sacerdozio
religioso femminile, mentre ancora questo resta tabù a tutt’oggi nel
Cattolicesimo romano. Lo Zeus di Cleante mira alla conciliazione, il Gesù
evangelico ci prospetta invece in alcune sue note parole divisione e contrasto.
A mio modestissimo avviso gli Dei greci non erano né falsi né bugiardi, e
l’Occidente sarebbe cresciuto meglio se la massa fosse rimasta con loro. È vero
che lo Zeus mitologico comune fu un clamoroso donnaiolo; ma meglio tenersi lui
che il Dio cristiano il quale si rivelò, nell’opera plurisecolare di suoi
psicopatici pericolosissimi credenti e seguaci, persecutore, sadico torturatore
e uccisore di streghe, omosessuali, Giudei, non cristiani in generale, eretici
e intellettuali dissidenti. Se simili crimini contro l’umanità sono stati
compiuti è perché i loro responsabili psicopatici intesero rispettare una
volontà in quella direzione di un Dio immaginario, inventato dal Cristianesimo,
un Dio-nevrosi molto nefasto. La Patristica, misogina, omofoba, antisemita,
intollerante, elaborò una teologia neopagana monoteistica radicale troppo
deviata alla volta dell’Ombra junghiana. Quando l’albero dà i suoi frutti,
tutto dipende dai semi che sono stati piantati. E io ritengo che veramente il
Medioevo, iniziato con l’Editto di Costantino, sia stato il periodo
dell’Oscurantismo<sup>9</sup>, poi via via sempre più scemato riguardo al
dominino politico-religioso cristiano nell’Occidente. I Greci antichi non
concepivano le “eresie religiose” e presso di loro la filosofia fu sempre molto
libera. Uccisero Socrate per motivi politici, ma non ebbero mai un caso
Giordano Bruno né un caso Ipazia d’Alessandria. L’ultima strega nell’Occidente
cristiano fu uccisa a fine ’700 in Svizzera alla vigilia della Rivoluzione
francese, cioè quattordici secoli dopo l’Editto di Teodosio. Ai nostri giorni
il vecchio modello culturale del Cristianesimo risulta sostituito in linea di
massima da un altro più adeguato al rispetto delle diversità, alla tolleranza
delle ideologie differenti, a uno spirito di carità semplice e incruento.
Dall’epoca della ottocentesca postunitaria scomparsa dello Stato pontificio, di
Don Bosco e della “Rerum novarum” il Cattolicesimo romano avviò una fase 2.0 e
dopo il novecentesco post-bellico Concilio ecumenico vaticano ha avviato una
ulteriore fase 3.0. Nonostante tutti gli ammodernamenti dottrinari e liturgici
la Chiesa cattolica contemporanea è stata colpita dallo scandalo della
pedofilia. Tornando all’analisi testuale dell’inno di Cleante, proseguo il mio
esame dicendo che il filosofo di Asso aggiunge una nuova definizione di Zeus:
φύσεως ἀρχηγός, originatore della Natura. Non creatore ex nihilo: in Cleante
immanente e panteistica spinoziana causa sui et Naturare, nella “Genesi” il Dio
ebraico uscito fuori dall’arché acqueo assieme alla materia è sempre demiurgo e
non creatore ex nihilo. L’autore greco afferma che Zeus governa ogni cosa per
mezzo del νόμος. Quello di “legge” rappresenta un concetto nevralgico sia nello
stoicismo che nell’Ebraismo. Qui esprime nella Torah l’indiscutibile volontà
normativa divina del Dio personale: la Legge sta fra Dio e gli uomini con la
sua direzione univoca e inderogabile. La stessa cosa succede per gli stoici
originari: il loro sommo panteistico riferimento divino impone una legge, la
quale si traduce non in un diretto testo di norme a cui guardare, bensì passa
attraverso la Natura (da cui il “vivi secondo Natura” stoico). La Natura
costituisce questa legge per lo stoicismo e rappresenta la carta normativa a
cui guardare: essa è una Torah naturale da cui trarre i principi e da cui rifuggire
l’inottemperanza. Il filosofo stoico di Asso e la “genesi” biblica concordano
formalmente su cosa sia l’essere umano: θεοῦ μίμημα. Il testo ebraico ci parla
esplicitamente di somiglianza divina quando Dio dice a principio del suo atto
artigianale di produzione dell’umano androginico: «Produciamo [naaseh] adam per
mezzo della nostra immagine [be-tsalme-nu] a nostra somiglianza [ki-dmute-nu]»<sup>10</sup>.
In passato ho spiegato più volte Gv 1,9 riallacciandomi alla corretta
traduzione weiliana e alla mitologia dionisiaca<sup>11</sup>. Il fatto che ogni
uomo che nasca porti con sé una scintilla divina fu condiviso prima
dell’affermazione del Vangelo non sinottico di Giovanni dagli stoici, e pure in
seguito a loro influenza l’idea finì in quel prologo evangelico. Il Vecchio testamento,
comunque, a sua volta ci aveva già spiegato che Dio aveva soffiato per mezzo
della sua ruach la nefesh, cioè attraverso la sua facoltà determinatrice e
attualizzante la forma attiva animata dell’ente umano. Tali due dettagli (ruach
e nefesh) diventeranno nella teologia cristiana lo Spirito Santo e l’anima
individuale immortale. In un suo punto l’inno a Zeus di Cleante introduce
direttamente nel testo il concetto chiave di Logos quale strumento di
“in-formazione” del reale. Per dirla con Hegel esso costituisce il momento
tetico, progettuale, il quale in atto sarà retto ontologicamente dallo Pneuma
stoico. Il Logos nel pensiero stoico-eracliteo non rappresenta qualcosa di
derivato da un principio primo. Ho notato simile coabitazione ab aeterno nel
prologo del Vangelo non sinottico di Giovanni<sup>12</sup>. Filone di
Alessandria con le sue idee teologiche sul Logos preneotestamentario edificò un
fondamentale ponte tra stoicismo ed Ebraismo alla volta della loro fusione
nell’esperienza cristiana. Gli stoici chiamavano “pneuma” il fattore reggitore
degli enti animati e dell’intera realtà: ragione seminale. Questo “spirito”
proveniente dal sommo unitario soggetto divino tutto inglobante, viene
immaginato come soffio-di-fuoco e sarà la base teologica dello Spiritus Sanctus
cristiano, la cui raffigurazione rimarrà infatti collegata alla “fiamma”
(pensiamo alla Pentecoste o alla Trinità alla fine del “Paradiso” dantesco: «Ne
la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre
colori e d’una contenenza; / e l’un da l’altro come iri da iri / parea
reflesso, e ’l terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente si spiri»).
L’ascendenza concettuale è così evidente che il Cristianesimo delle origini
puntualizzerà che lo Spirito Santo è Dominus et vivificans. Non è stato Domina,
secondo l’auspicio gnostico, per via della misoginia patristica. La Santissima
Trinità cattolica dunque è stata concepita integralmente al maschile. Lo pneuma
stoico, il cui concetto è presente nell’inno di Cleante a Zeus, rappresenta il
Dio reggitore; il logos rappresenta il Dio produttore/creatore. Simile potere
ontologico bipolare della divinità stoica unica e dello Zeus del filosofo di
Asso, schema (Zeus, Logos, Pneuma) che si evolverà nella formazione cattolica
del dogma trinitario divino, lo ritroviamo nell’episodio del dubbioso Tommaso
davanti al Cristo risorto, allorché lo appellerà: «Signore di me e Dio di me».
Vale a dire: “reggitore-della-mia-esistenza” e “causa-della-mia-esistenza”.
Gesù ha assunto chiare connotazioni teologiche stoiche connesse in fusione con
formali analoghi schemi forniti dalla teologia di Filone di Alessandria<sup>13</sup>.
L’agire di Zeus, descritto nell’inno di Cleante, in quanto sostanza spinoziana,
contempla una razionalità hegeliana ante litteram et sui generis, la quale nel
filosofo di Asso ci riconduce a una radice eraclitea. Cleante al di là del
momento tetico-logico ci mostra una contrapposizione nel reale fra ciò che
rispetta e segue il Logos e ciò che nella sua possibilità di libertà possa
sfuggirgli. È questo filosofo stoico nel suo inno a costruire l’agostiniana
spiegazione sulla presenza del Male nel Mondo. Non è il divino che contempla
nella sua produzione della realtà l’esistenza dell’iniquità. Come riecheggerà Agostino
d’Ippona, Dio non è causa prossima del Male, bensì causa remota indiretta
(origine) poiché sono le creature umane a operare secondo spirito malvagio di
propria iniziativa (più o meno influenzata da fattori prossimi negativi).
L’obiettivo di stoicismo e Cristianesimo rimane quello di ricondurre gli uomini
all’osservanza della Legge divina, espressa grazie al Logos (il quale è
attualizzato nella Natura per gli stoici, nella Torah per i Giudei, nel Verbo
incarnato neotestamentario per i cristiani; ma in ogni caso come dice Cleante
la Legge rimane per tutti θεοῦ κοινὸς νόμος). La dialettica stoica in Cleante
che in Hegel sarà ab ovo “razionale” fra “negativo razionale” (momento del
divenire seguente il tetico-logico) e “positivo razionale” è sorta sotto altro
spirito speculativo e sotto altra dinamica. La divinità stoica postula
logicamente e attua positivamente la sua legislazione ontologica: qui dal
tetico-logico passiamo al “positivo razionale”; “negativo razionale” è un
difetto di osservanza del Logos (un difetto più che altro pratico umano); qua
non ci sono ancora le necessità hegeliana e spinoziana a “razionalizzare” tutto
e persino il male. Il filosofo greco di Asso ci dice che Zeus riesce a
riprendere tuttavia i fili del reale sfuggiti nel “negativo” e così a risanare
la frattura tra negativo arazionale (si badi bene: non “razionale”) e Logos col
suo “positivo razionale” (il quale sarebbe il complesso delle “ragioni
seminali” immesse nella materia naturale). Cleante inquadra la cosa sopra un
tavolo morale, e l’opposizione che ne viene fuori riguarda l’agire umano.
Simile dialettica generale (tetico-positivo-negativo-positivo-tetico di
apocatastasi) delinea il corso universale dato dagli stoici al Cosmo, dove dopo
una finale conflagrazione universale ricomincia il ciclico ritmo descritto,
improntato al suo interno da “fatalismo logico” (il quale costituisce la più
profonda radice della “predestinazione luterana”, radice passante attraverso il
pensiero teologico di Agostino d’Ippona). Suddetta stoica sequenza ciclica
cosmica mostra avere un’ascendenza analogica induista: “creazione-conservazione-distruzione”
da parte della Trimurti. Lo Zeus di Cleante è pure a suo modo di apparenza
trinitaria, ma nei canali speculativi teologici ripresi da Filone di
Alessandria: la trinità induista si evolve in quella stoica (Zeus, Logos,
Pneuma), e questa infine si evolverà in quella cristiana (Padre, Figlio,
Spirito Santo). La fase della distruzione rigenerativa è stato via via isolato
e separato dalla concezione più schietta del divino. Riprendiamo lo schema
della dialettica cosmica stoica: tetico-positivo-negativo-positivo-tetico di
apocatastasi. Riesaminiamolo alla luce di Giudaismo e Cristianesimo. Il Dio
Veterotestamentario (tetico) produce l’Universo (positivo), però l’uomo
simboleggiato da Adamo ed Eva devia in relazione all’ordine divino dato (negativo).
Qui le strade speculative di stoicismo, Ebraismo e Cristianesimo si separano.
Il razionalismo panteistico stoico non era a vocazione nazionalistica bensì
cosmopolitica e guardava all’umanità nel suo insieme indistinto. I Giudei in
possesso di tradizionale forte spirito etnico, dettato dalla loro religione,
hanno vissuto profondamente il “negativo stoico” delle vicende connesse alla
sorte del loro antico stato nazionale. Il loro ritorno del “positivo” proviene
dalla venuta del Messia liberatore con il ripristino di un terreno Regno di Dio
(i cui sudditi sarebbero gli Ebrei). Il Cristianesimo rielaborò gli schemi
visti stoico e giudaico. Mantenne il Dio personale ebraico strutturandolo
teologicamente secondo canoni desunti da Filone di Alessandria e dallo
stoicismo. Qua Dio, dietro suggestione induista, finirà per creare ex nihilo
l’Universo (tetico e positivo). La concezione stoica ciclica del tempo fu
abbandonata sulla scia lineare giudaica. Dopo il “peccato originale” di Adamo
ed Eva (negativo) i cristiani posero una figura di Messia stoicizzante
(positivo). Ciò costituisce un incontro a metà strada fra Ebraismo e stoicismo:
non ci sono più un popolo nel senso etnico eletto di Dio e il bisogno di un
parallelo Stato nazionale, adesso il popolo di Dio viene rappresentato dai
battezzati (in virtù del nuovo sacramento che recupera il “positivo”) e viene
inquadrato nella Chiesa (una santa cattolica apostolica), la quale ha preso il
posto dello Stato nazione giudeo. Ritorna nel Nuovo Testamento in maniera aperta
il concetto stoico di apocatastasi nella forma di “ultima restaurazione
messianica del Cosmo” (ci si riferisce a una fase postapocalittica): ciò
costituisce il tetico di apocatastasi a cui non v’è altro seguito nella
teologia cristiana. Alle origini del Cristianesimo l’idea stoica di Cleante,
espressa nel suo inno, di un emendante riassorbimento integrale del lato
negativo della realtà, senza dunque procedere a soppressione (ma a
conversione), era ancora sentita e qualche pensatore cristiano immaginò che
anche Satana potesse essere recuperato alla fine dei tempi. La Chiesa, poi,
poco dopo, qualificò eretica una simile visione. Cleante nel suo inno a Zeus
non apprezza i piaceri legati alla corporeità, la scriteriata vocazione
all’arricchimento e gli amanti della notorietà. Nel Cristianesimo patristico la
sessuofobia fu radicale dopo la concezione neotestamentaria paolina un po’ più
moderata. Il Giudaismo non era sessuofobico, bensì legato al vincolo
procreativo del congresso carnale: l’Antico Testamento, a dispetto di Paolo di
Tarso, celebra l’atto quale ripristino dell’unità androginica<sup>14</sup>. Il
Cristianesimo non colse questo contenuto veterotestamentario e inventò un mito
nuovo estraneo al testo ebraico, fondato sulla famosa costola di Adamo. Il
divieto cristiano di accumulare ricchezze è un esplicito precetto evangelico. La
conclusione dell’inno di Cleante propone uno spinoziano itinerarim mentis in
Deum: l’auspicio è che gli uomini possano essere beneficiari di
un’illuminazione divina, se non riescono da soli a conformarsi alla
Legge-Logos, e cogliere in ogni caso il senso ontologico del Cosmo mediato dal
Logos. A chiusura della mia analisi voglio far presente altre due cose. La
prima è che la filosofa Simone Weil colse perfettamente il legame ideologico che
univa l’inno a Zeus di Cleante di Asso alla fondazione del Cristianesimo, però
la prospettiva fideistica di costei, che ha ribaltato di 180° lo sviluppo
storico nel di lei pensiero filosofico-religioso, non le ha consentito di farsi
convinta (correttamente) che le corrispondenze de facto marciavano in direzione
confutatoria piuttosto che di conferma di fede<sup>15</sup>. L’ultima cosa che
voglio dire a proposito delle analogie riguarda il Dio biblico e Zeus. Il primo
nasce teologicamente quale riproposizione di Aton, quindi raffigura una
divinità solare<sup>16</sup>. L’etimologia del nome del secondo riporta al
sostrato indoeuropeo dove il concetto della radice è: “luce-del-giorno-proveniente-dal-cielo”.
Pertanto Zeus e il Dio giudaicocristiano si pongono sulla stessa linea concettuale,
nella quale hanno altresì in comune il kabôd biblico. Esso (volto comunemente
con “gloria di Dio”) costituisce per la divinità “numero uno”
veterotestamentaria la manifestazione della propria potenza uranico-solare.
Uguale prerogativa di kabôd appartiene a Zeus dietro una facciata statica
simbolica differente: il suo potere uranico-solare si rende manifesto
attraverso il fulmine. Rappresentazioni di simboli diversi, ma unità
concettuale dinamica in comune. Cleante nel suo inno menziona il fulmine di
Zeus: κεραυνός, il quale è là nel testo greco qualificato a doppio taglio,
infocato, imperituro. L’antico Testamento racconta che Dio mostra il suo kabôd
grazie a una nuvola (elemento uranico) dal cui interno si manifesta un fuoco
(elemento solare). Con medesimo fuoco (aysh) partito dal cielo, ci narra il
testo ebraico, in una particolare mitologica circostanza, la divinità “numero
uno” distrugge Sodoma e Gomorra coi suoi abitanti. I Settanta volgeranno il
segmento che ci interessa con: «<span lang="EL">πῦρ
παρὰ Κυρίου ἐκ τοῦ οὐρανοῦ»</span>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCG0HOPx1f32fQSLN3Yhx-4BNJpqzDM3UqWctn7NsO2eGvBi6PKbAnwmGImkiV5eb46cQOpIS__rTr8b_JtIK18j80zrh3-gUClQA9w9HwdD0J5hWR6Kv3E2FxLFh43VUCR0gzAWyN9ectZZeC7triWMWTMCN3-0agVsPejqMgudzhgMbiDGY7GSTjPnA/s622/4b.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="622" data-original-width="480" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjCG0HOPx1f32fQSLN3Yhx-4BNJpqzDM3UqWctn7NsO2eGvBi6PKbAnwmGImkiV5eb46cQOpIS__rTr8b_JtIK18j80zrh3-gUClQA9w9HwdD0J5hWR6Kv3E2FxLFh43VUCR0gzAWyN9ectZZeC7triWMWTMCN3-0agVsPejqMgudzhgMbiDGY7GSTjPnA/s320/4b.jpg" width="247" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">NOTE</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato
“Prospettive rinnovate”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate">https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Allo scopo di riallacciarsi a questa mia precedente
trattazione indico dove trovarla: <i>Gesù
stoico e dionisiaco</i> nella mia pubblicazione intitolata <i>Partita a scacchi</i> (2022).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Al noto romanzo di Aldous Huxley ho destinato una mia
monografia: <i>Il capitalismo impazzito Di
Aldous Huxley</i> (2015).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley">https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Per approfondimenti suggerisco di leggere dei miei studi: <i>Radici egizie nella cosmogonia ebraica</i>
dentro la mia monografia <i>Ermeneutica
religiosa weiliana</i> (2013) e <i>Radici
sumere di ebraismo e capitalismo</i> all’interno dell’altra mia opera <i>Note di critica</i> (2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Al fine di approfondire il concetto relativo all’aggettivo
“spinoziano” segnalo una mia analisi contenuta nel mio saggio <i>Distopie occidentali</i> (2023): <i>Il nevrotico e distopico idealismo di
Spinoza</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/05/il-nevrotico-e-distopico-idealismo-di.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/05/il-nevrotico-e-distopico-idealismo-di.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>5</sup> Si veda in direzione dell’approfondimento nella mia
monografia già menzionata <i>Ermeneutica
religiosa weiliana</i> (2013) dentro alla sezione recante il titolo <i>Radici egizie</i> parimenti già citata nella
nota 3.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>6</sup> Nel mio saggio ricordato nella nota precedente nel segmento <i>Il Dio del Tanak non è solo</i>.</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>7</sup> Vedasi nota 3.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>8</sup> Si può rilevare d’altro canto quale fosse l’atteggiamento
epicureo leggendo un mio studio destinato a Lucrezio: <i>Riflessioni sopra il “De rerum natura” lucreziano</i>, contenuto nella
mia pubblicazione <i>Analisi letterarie e
filosofiche</i> (2023).</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>9</sup> A chi volesse meglio conoscere il mio punto di vista
consiglio di leggere: due mie monografie in particolare,<i> Teologia analitica</i> (2020) e <i>Parricidio
dantesco</i> (2021); il mio scritto intitolato <i>Guido Guinizelli e la nascita della sistematica caccia alle streghe</i>
presente nel mio saggio <i>Radici
occidentali</i> (2021); e infine una terza mia monografia che ha trattazione
tangente al tema e intitolata <i>Il Medioevo
futuro di George Orwell</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica">https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco">https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell">https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>10</sup> Alla volta dell’approfondimento
segnalo una mia analisi: <i>Antropogonia e
androginia nel Simposio e nella Genesi</i> nella mia pubblicazione <i>Considerazioni letterarie</i> (2014).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>11</sup> Si veda il mio lavoro citato nella
nota 1 e nella mia opera <i>Ermeneutica
religiosa weiliana</i> (2013) la sezione intitolata <i>La “lettre a un religieux”</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/simone-weil.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/simone-weil.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;">[seconda parte di questo testo su internet]</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>12</sup> A proposito di ciò si veda il mio
scritto di nota 1.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>13</sup> Riguardo a tale argomento vedasi
dentro la mia monografia <i>Ermeneutica
religiosa weiliana</i> (2013) la parte recante il titolo <i>La “lettre a un religieux”</i>.</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/simone-weil.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/simone-weil.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;">[seconda parte di questo testo su internet]</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>14</sup> Si veda nota 10.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>15</sup> Per approfondire consiglio la
lettura di una mia analisi: <i>Cristianesimo
e verità in Simone Weil</i> nel mio saggio <i>Note
umanistiche</i> (2020).</span></div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2019/12/cristianesimo-e-verita-in-simone-weil.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2019/12/cristianesimo-e-verita-in-simone-weil.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;"><sup>16</sup></span><span style="font-family: verdana;"> Per un approfondimento vedasi nota
6.</span></span></div></sup></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-12574303340481673972023-08-15T12:39:00.004+02:002023-08-15T12:42:36.369+02:00DALLE PAROLE DI GESÙ CRISTO A QUELLE DI PAULINE HARMANGE<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqQIRMsPkacdy7gTpG_1hGhlYS1UyV0uoY6buu8Uml7PRRgRVLgpWQepYUyNDQo_LIEDHzZA9nlD3JM09v99JrkvyJNViFPqaYtrnnxZw-bzg6ZeiLNIBZ5gA7iUeY7aqCPySqBnyQ_8plZKk5U7ALJRNCAaFU1osL5ebNFekhxTddLHTDApS5q_EXQO0/s640/1.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><span style="color: black;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="451" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgqQIRMsPkacdy7gTpG_1hGhlYS1UyV0uoY6buu8Uml7PRRgRVLgpWQepYUyNDQo_LIEDHzZA9nlD3JM09v99JrkvyJNViFPqaYtrnnxZw-bzg6ZeiLNIBZ5gA7iUeY7aqCPySqBnyQ_8plZKk5U7ALJRNCAaFU1osL5ebNFekhxTddLHTDApS5q_EXQO0/w141-h200/1.jpg" width="141" /></span></a></div>I Vangeli di Matteo e Marco contengono i celebri brani in cui
Gesù comanda ai suoi mal disposti discepoli di lasciare che dei bambini gli
andassero vicino, ammonendo i primi sul fatto che il regno celeste divino è
riservato a soggetti paragonabili ai secondi. Li ho esaminati negli originali
in greco antico, e mi sono reso conto che il discorso possiede un significato
diverso da quello che uno sprovveduto ingenuo lettore della traduzione dà. Chi
non ha svolto il lavoro d’analisi che di seguito esporrò viene indotto a
credere che il Messia si stia riferendo alla semplicità, alla cordialità, alla
benevola disposizione dei fanciulli nei confronti degli altri e del mondo.
Leggendo una qualsiasi traduzione non ci vuole niente a uscire fuori del
binario concettuale corretto: “bambini”, “fanciulli” sono termini indicanti
categorie umane positive, degne del massimo ossequio. Non che il termine greco
corrispondente nei testi evangelici in questione meriti minore rispetto,
tutt’altro. La pietra d’inciampo è di natura semantica: «παιδία», al singolare
το παιδίον, è una parola molto precisa e indica i bambini esclusivamente
maschietti. La radice del termine è la stessa di πέος, membrum virile. Quando
Gesù ci dice che chi entrerà nel celeste regno divino è τοιοῦτος a un παιδίον
ci sta esponendo un ragionamento misogino: il genere-qualità da possedere è la
forma biologica del vir. E la cosa non deve turbare: a conoscere l’antropologia
biblica, specialmente quella veterotestamentaria legata al discorso della
originaria adamitica scissione androginica<sup>1</sup>, comprendiamo benissimo
come le donne rappresentino in quell’ottica intollerabile il Male. Posssono
essere recuperate, ontologicamente, soltanto in occasione di prospettive di
riunificazione androginica: una è il congresso carnale procreativo in cui si
ricompone «la carne primigenia»; l’altra è la vita dei risorti in Cielo col
riassorbimento integrale del femminile nel maschile (ciò vuol dire
essere-come-angeli-nei-cieli). Quanto ci ha chiarito il Messia nei brani
evidenziati è che coloro, fra gli esseri umani, muniti di membrum virile
salveranno il mondo. Alle donne è strutturalmente impedito un concorso in
posizione di vertice dirigenziale (la figura della Madonna rappresenta una
desessualizzata incubatrice): infatti gli apostoli erano tutti uomini e il
sacerdozio, secondo la consequenziale posizione misogina tomista<sup>2</sup>,
dovrebbe essere esclusivamente maschile, riservato al genere dei παιδία. La
riprova che Gesù abbia formulato un ragionamento discriminatorio antifemminista
e che fra i fanciulli che lo avvicinarono non c’era nemmeno una bambina la
ritroviamo sempre in sede semantica. Se il Messia non avesse voluto porre
l’accento sulla forma biologica (di non secondario peso, come detto e visto,
nelle faccende teologiche della tradizione giudaicocristiana) avrebbe usato al
posto di παιδίον l’altro termine concettualmente più aperto παῖς. Questo
infatti grazie all’uso degli articoli ὁ ed ἡ indica la variabile forma di
genere: fanciullo, fanciulla, ragazzo, ragazza. Nel caso in cui Gesù avesse
adoperato quest’altra parola per riferirsi agli astanti bambini avrei potuto
reputare possibile che stesse facendo un altro tipo di discorso imperniato su
parametri spirituali di semplicità e riguardanti entrambi i generi biologici e
grammaticali. Il termine neutro παιδίον è collegato all’idea di παιδεία
(educazione). L’insegnamento e l’apprendimento nel mondo grecoromano e in
quello ebraico, intesi nel loro là predominante senso (assurdamente ritenuto
più serio e più nobile), costituiscono robe da soli maschi. Il Cristianesimo
porterà a nozze tutte le misoginie esistenti dentro l’Impero di Roma<sup>3</sup>,
a dispetto dell’embrionale femminismo platonico e dell’altra posizione
progressista epicurea<sup>4</sup>. Rimanendo al filo dell’argomentazione
principale, la quale ho basato sui dettagli semantici, possiamo concludere che
il Messia non ha detto ai suoi discepoli di fargli venire incontro bambini e
bambine dal candore esemplare (non che tale sfumatura a posteriori sia ingiusta
nell’apposizione) ma ha affermato che gradiva molto la vicinanza degli
“educandi”: tale voltura ci rende meglio παιδία. Lui non sta evocando una
categoria di spirituale fanciullesca semplicità, sta indicando una categoria
maschile pedagogica. La supremazia maschile riecheggiata nella teologia di Tommaso
d’Aquino non è peregrina. La misoginia del Cristianesimo ha rappresentato una
delle pagine più orribili della storia occidentale, gli effetti della cui
martellante un tempo propaganda, a mio modesto giudizio, sono rimasti
sedimentati anonimi nell’inconscio maschile. La facilità degli odierni tragici
femminicidi, senza che ci sia una barriera psichica a un’azione di uccisione,
secondo me, deriva da un solco avito, proseguito in qualche modo silente e
senza coscienza precisa di sé. È stata la religione cristiana a dimostrare in
maniera così incisiva ed evidente che si possono maltrattare, torturare e
uccidere le donne in guisa sadica al punto tale che scomparsa oramai dalla fine
del XVIII secolo la caccia alle streghe tuttora quell’irrazionale nefando deprecabile
slancio, così ben inculcato, è rimasto nell’animo maschile di quei soggetti di
più bassa maturità psichica (quelli che io chiamo “freudiani”, opposti ai più
evoluti “junghiani”: faccio un discorso di grado libidico, non di discepolanza
agli studiosi da cui ho tratte le denominazioni<sup>5</sup>). In parole povere
è sopravvissuta una forma mentis al di fuori della coscienza della fonte: i
criminali rei di femminicidio seguono una suggestione dell’Ombra junghiana
senza sapere più una pseudogiustificazione ideologica, sono psicopatici vittime
di un archetipo negativo, l’archetipo dell’inquisitore, in senso lato ante
litteram, a partire dall’epoca del femminicidio di Ipazia di Alessandria, il
modello di nevrotico fortemente disturbato uccisore, torturatore e stalker di
donne. Non mi sono testé speso in questi ragionamenti qui per ludo divagatorio,
ho voluto creare anzi le premesse in vista di un’ulteriore trattazione fondata
sugli aspetti semantici. Sono rimasto non poco sconcertato nel corso del mio
esame sulle parole del Messia che qua ho sottoposto ad analisi allorché ho
notato che παιδίον non è correlato in virtù della sua radice solo a παιδεία, ma
anche ad altri inquietanti termini: πῦρ (fuoco), πυρά/ή (pira). I concetti di
purificazione, di riconduzione alla norma/normalità, di formazione (educativa)
costruiscono un ponte tra questi due e i παιδία di Gesù. I cristiani sono gente
su cui scende il “fuoco” dello Spirito Santo ad animarli, “infuocati” divengono
purificatori (a loro volta) a quanto pare grazie sempre al “fuoco”. Il rogo è
stato tipico dei cristiani: streghe, omosessuali, Giudei, intellettuali
dissidenti sono finiti sopra una “pira” a opera degli educandi-del-Messia
diventati adulti. La domanda è: quanto c’è di potenzialmente e di profondamente
inconscio nelle parole di Gesù sui bambini? Io parlo da junghiano, cogliendo a
posteriori un contenuto di profondità che storicamente si è concretizzato.
Constato che i roghi cristiani erano inseriti nel DNA concettuale originario di
questa religione. Tale pena di morte per gli omosessuali nell’Impero romano
cristianizzato riale alla fine del IV secolo. Ricordo altresì che il cadavere
di Ipazia nel 415 uccisa da estremisti cristiani fu poi bruciato. Verrà poi
tutto il resto messo in pratica con logica nazista. È possibile che i principi
ideologici del Cristianesimo contenessero pericolosissime radici germogliate
poi nell’inconscio di soggetti deformati da un’educazione fortemente deviante?
Io rilevo di sì a più livelli analitici (storico, concettuale, psicanalitico).
Simili educandi/educati nelle parole del Messia, parole in greco antico
ritaglianti un contorno inconfondibile, mi rammentano i pompieri di “Fahrenheit
451” di Ray Bradbury<sup>6</sup>: i cristiani delle origini bruciavano pure i
libri con uno slancio non dissimile da quello mostrato dai nazisti. I cristiani
hanno bruciato una più libera Civiltà occidentale per rimpiazzarla con una
società nevrotica lacerata da irrazionali scontri teologici. Dai παιδία di Gesù
sono discesi gli illiberali costruttori di un mondo distopico<sup>7</sup>,
perché sembra che fossero concettualmente programmati a ciò, a edificare un
mondo dove ὁ παῖς doveva fagocitare ἡ παῖς anche al costo di disintegrarla
letteralmente (bruciarla) in una sorta di sadico (figurato cannibalesco) rito<sup>8</sup>.
Questi due termini greci (in verità uno, differenziato e polarizzato
dall’articolo) appartengono alla stessa famiglia di radice di quelli riportati
sopra. La dicotomia creata dagli articoli, la quale esploderà nevroticamente
nella teologia cristiana (di impronta stoica<sup>9</sup>) è
purificatore/purificata (inquisitore/strega, uno-che-porta-il
fuoco/una-che-viene-bruciata). V’era una bomba nevrotica a orologeria nella
testa dei cristiani, ed è scoppiata peraltro velocemente e durati molto a lungo
sono i suoi effetti. Tanto che, a mio modestissimo modo di valutare, il binario
suddetto in una malaugurata maniera è proseguito per inerzia archetipica sino a
oggi nonostante si sia persa la visione coscienziale individuale della stazione
di partenza. Nel 2020 è stato pubblicato in Francia un libro intitolato “Moi
les hommes, je le déteste” opera di Pauline Harmange, la quale ha fatto parlare
di sé per via di questa sorta di manifesto misandrico. L’ho letto con cura, ho
compreso e condiviso le ragioni dell’autrice. Ci sono stati dei lettori che
invece sono rimasti scandalizzati e urtati da quell’esposizione di idee, che io
ritengo lecita. Nella prima parte di questo mio studio ho affrontato il tema
della misoginia nella cultura occidentale individuandone le radici della
manifestazione attuale di oggigiorno nel sistema ideologico cristiano. Leggere
questo libro della Harmange senza possedere una sufficiente nitida obiettiva
visione della storia dell’Occidente cristianizzato non conduce a un giudizio
finale ponderato. Non sto dicendo che bisogna coltivare una forma di odio
antimaschilista, sto affermando che tale posizione della scrittrice francese
non è infondata, nel senso che non spunta dal nulla, da deliranti fantasie.
Nutrire rancore nei riguardi dell’universo maschile occidentale si rivela
naturale, si mostra spontaneo, meccanicamente consequenziale. Chi studia (bene)
conosce come le donne siano state discriminate, perseguitate, torturate, uccise
con spirito più o meno sadico per troppi secoli. Se una di loro adesso, nella
veste di intellettuale, colpevolizza gli uomini della società cristianizzata,
rei di gravissima misoginia e di aver frenato il progresso paritario per
eccessivo tempo, ci sta. L’autrice francese stessa è però la prima a
puntualizzare che si tratta di misandria non violenta: la stessa cosa non si
può dire della misoginia cristiana e post-cristiana (questa seconda non porta
il disprezzo teologico, porta questo disprezzo, come ho spiegato, nella forma
laicizzata intramondana smemorata; chiamiamola altresì una forma di potenza
nietzschiana). Chi è rimasto disorientato di fronte allo spirito di “Moi les
hommes, je le déteste” pensi alla poesia di Primo Levi “Se questo è un uomo” e
voglia comprendere, in virtù di un pertinente paragone, un animo mortalmente
ferito. Il libro della scrittrice francese denuncia secoli e secoli di sadica
misoginia. Capirlo, in verità, per il lettore impreparato e superficiale non è
facile: Pauline Harmange non ci parla direttamente del passato, ci parla dei
suoi frutti nel presente, ci paga gli interessi e non ci offre il capitale. Il
lettore a cui questo manca non comprenderà l’intero e la verità. Questo libro
mi è piaciuto molto: non istiga all’odio, sollecita alla riflessione. Ed è
chiaro che, secondo il mio modestissimo valutare, nelle teste in cui non ci
sono una gamma di idee pertinenti alla misurazione e una parallela abilità di
metro dialettico, la riflessione profonda (femminista) auspicata, nella mia
impressione, dall’autrice francese non potrà trovare casa. Ci sono dei dettagli
in tale testo che mi hanno colpito: il primo è l’esergo plathiano; io ho
dedicato due miei saggi a quella grandissima poetessa e scrittrice che è stata
Sylvia Plath<sup>10</sup>. Mi sono sentito subito in sintonia ideale con
Pauline Harmange. È costei a rammentarci che il varo di un manifesto misandrico
non sarebbe potuto accadere al di là della precedente ampia e nefasta
misoginia. Tale opera contiene una considerevole profondità psicanalitica, la
quale la rende una costruzione filosofica di sprone non all’odio. La misandria
rappresenta una base di partenza nel ragionamento, non il punto di approdo. Nel
mezzo sta l’auspicio di cambiamento: gli uomini possono liberarsi dalle
suggestioni maschiliste e dalle orrende edificazioni concettuali in merito?
Esiste una pesante non trascurabile letteratura misogina dai Padri della Chiesa
in poi (la quale si riallaccia alla Bibbia) nei cui confronti “Moi les hommes,
je le déteste” costituisce un’inezia. Pauline Harmange ha scritto, secondo me,
cose vere; la sua analisi prosegue idealmente quella della mia prima parte qui.
La forma mentis stoico-cristiana agisce tutt’oggi ancora su vasta scala: c’è un
polo maschile che predomina praticamente su tutto e un altro femminile il quale
si rivela passivo. Le politiche sulle pari opportunità sono sì giuste, e sono
meglio di niente, però a me sembrano tirate per i capelli, figlie di una da me
interpretata quale necessità di facciata. La sostanza mi sembra quella
evidenziata dall’autrice francese, dove per giunta primeggiano (a dir di lei
che condivido) uomini senza alte qualità. Nel mondo odierno, costei osserva
pure che i responsabili di violenza sulle donne sono quasi sempre di sesso
maschile, e che quando sono le donne a essere autrici di crimini a danno del sesso
opposto tra le prime una fetta è stata in precedenza vittima di violenze subite
da uomini. Pauline Harmange rammenta il forte squilibrio storico nel rapporto
sociale fra i due sessi tiranneggiato dalla comunità maschile (dai teorici
espliciti della misoginia ai conniventi verso le banalità del male). Un
femminile sentimento di rancore può produrre la misandria, risultato di una
plurisecolare repressione. C’è un brano in questa pubblicazione della
scrittrice francese il quale ho giudicato molto rilevante in relazione alle mie
idee junghiane circa la formazione nevrotica del maschilismo misogino cristiano.
Prima dell’uscita di “Moi les hommes, je le déteste” ho spiegato<sup>11</sup>
che l’asse delle facoltà razionali (“ragione” e “sentimento”), presentato nella
psicologia analitica di Jung, è stato spezzato nel Cristianesimo dove il
“maschile” viene associato alla “razionalità” stricto sensu e indebitamente
contrapposto al “sentimentale” a sua volta associato al “femminile”. Cosicché
in seguito a simile arrocco nevrotico il maschile-razionale è stato proclamato
il polo del Bene, e il femminile-sentimentale (formato da potenziali streghe,
porte dell’inferno) il polo del Male. Pauline Harmange ha intuito questa radice
profonda dicotomica: ne ha parlato in salsa contemporanea. Allorché ella dice
che se nel corso di uno scontro di coppia l’uomo si appella alla ragione contro
l’emotività femminile (magari disarticolata) non fa altro che riproporre la
cliché dello schema nevrotico maschile da me proposto. L’analogia formale è
perfetta. In più l’autrice francese, che si è unicamente concentrata sulla
contemporaneità, nella sua opera ha chiarito il modo in cui la pressione
emotiva familiare e/o di coppia ricada quasi esclusivamente sulle donne,
creando così un sovraccarico psichico, mentre gli uomini generalmente si
smarchino in direzione di un disimpegno emotivo essendo gli pseudocampioni
della ragionevolezza (dal loro comune medio punto di vista). Tale modello
possiede un retaggio hegeliano, giacché per Hegel in relazione alla casa e alla
famiglia nella coppia il femminile è centripeto e il maschile è centrifugo: la
razionalità hegeliana conduce fuori-di-casa. Possiamo notare come certi schemi
repressivi misogini siano stati ben teorizzati, sino a perdurare ai nostri
tempi. Pauline Harmange ha trattato del presente obiettivamente, sta al suo
lettore afferrare il senso corretto (pedagogico, filosofico, psicanalitico) di
quelle parole, le quali non meritano di essere fraintese né squalificate.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">NOTE</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Prospettive
rinnovate”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate">https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Per approfondimenti vedasi nel mio saggio <i>Considerazioni letterarie</i> (2014) lo
studio intitolato <i>Antropogonia e
androginia nel Simposio e nella Genesi</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> A chi volesse approfondire indico una mia analisi dal titolo
<i>L’irrazionale misoginia tomista</i>
presente nella mia monografia <i>Teologia
analitica</i> (2020).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/06/lirrazionale-misoginia-tomista.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/06/lirrazionale-misoginia-tomista.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Su tale tema un mio lavoro: <i>I protopatristici Aristofane e Giovenale</i>, nella mia pubblicazione <i>Percorsi Critici</i> (2020).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> A proposito dell’epicureismo consiglio di leggere un mio
scritto nella mia pubblicazione <i>Analisi
letterarie e filosofiche</i> (2023): <i>Riflessioni
sopra il “De rerum natura” lucreziano</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/07/riflessioni-sopra-il-de-rerum-natura.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>5</sup> Per approfondimenti indico nella mia opera <i>Filosofie sadiche</i> (2021) la sezione dal titolo <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>6</sup> A tale romanzo distopico ho dedicato una analisi: <i>La caverna bradburiana dei libri prohibiti</i>,
nel mio saggio menzionato nella nota 3.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2020/04/la-caverna-bradburiana-dei-libri.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2020/04/la-caverna-bradburiana-dei-libri.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>7</sup> A questo riguardo reputo interessante segnalare una mia
monografia: <i>Il Medioevo futuro di George
Orwell</i> (2015).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell">https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>8</sup> Un approfondimento sul sadismo è possibile mediante un mio
studio contenuto nella mia pubblicazione indicata nella nota 5: <i>La tanatolatria di De Sade</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>9</sup> Ai rapporti tra Cristianesimo e stoicismo ho dedicato parte
di una mia analisi intitolata <i>Gesù stoico
e dionisiaco</i> presente nel mio saggio <i>Partita
a scacchi</i> (2022) e un altro lavoro intitolato <i>Dall’inno stoico a Zeus di Cleante alla fondazione del Cristianesimo</i>
all’interno della mia opera <i>Prospettive
rinnovate</i> (2023).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>10</sup> <i>Sylvia
Plath e l’utopia dell’essere</i> (2016), Sulla poesia di Sylvia Plath (2016).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/24331403/Sylvia_Plath_e_l_utopia_dell_essere">https://www.academia.edu/24331403/Sylvia_Plath_e_l_utopia_dell_essere</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/27247128/Sulla_poesia_di_Sylvia_Plath">https://www.academia.edu/27247128/Sulla_poesia_di_Sylvia_Plath</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>11</sup> Ne ho parlato trattando di Pascal
nella mia opera <i>Letture critiche</i>
(2019) a pag. 11.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2019/02/pascal-e-le-ragioni-del-cuore.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2019/02/pascal-e-le-ragioni-del-cuore.html</a></div><span color="rgba(0, 0, 0, 0)"><o:p></o:p></span></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-79514728398723614432023-08-15T12:38:00.001+02:002023-08-15T12:38:15.707+02:00LA COMPLESSA DISTOPIA DI NAOMI ALDERMAN<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><span style="font-size: large;"><br /></span></span></div><span style="font-family: verdana;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4TWpBZTyvpAGI5-h_nhtzZ6GqHja2ka2Jl0pBF-VxnMBwSp-PyME7eM0ob-xZJRIq34WySsIF4Y-HTYlmfDSWGqQsvA0AfGX0YWt26jHsdL3T7M5f7AwaWvoX8LYnU9j_Oegq3AeZsZUu_LacYE6ieLPbfkxmKUtHDHyLh2ir3yY4Vp82JfU9VBc-pJ0/s640/3.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="395" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4TWpBZTyvpAGI5-h_nhtzZ6GqHja2ka2Jl0pBF-VxnMBwSp-PyME7eM0ob-xZJRIq34WySsIF4Y-HTYlmfDSWGqQsvA0AfGX0YWt26jHsdL3T7M5f7AwaWvoX8LYnU9j_Oegq3AeZsZUu_LacYE6ieLPbfkxmKUtHDHyLh2ir3yY4Vp82JfU9VBc-pJ0/w124-h200/3.jpg" width="124" /></a></div><div style="text-align: justify;">Quando si scrive un romanzo distopico il sistema dipinto
nella narrazione costituisce l’utopia negativa, pertanto si tende a esaltare
(indirettamente) la situazione di segno opposto, la quale assumerebbe il valore
di utopia (positiva) nel comune inteso senso del termine. Un lettore
superficiale di “The power”, testo di altezza letteraria pregevole e opera del
2016 di Naomi Alderman, autrice di eccellenti abilità e capacità in materia di
creazione narrativa, potrebbe rimanere disorientato non poco riguardo a quanto
testé premesso. Quello che potrebbe disorientare il lettore sprovveduto inerisce
agli aspetti ideologici fondanti di suddetto romanzo. In esso il gentil sesso
si carica molto pesantemente del ruolo distopico. Donne e ragazze in un’epoca
paragonabile alla nostra all’improvviso sviluppano un potere elettrico (il
quale dà il titolo alla traduzione italiana: “Ragazze elettriche”). Come in una
nemesi radicale vengono ribaltati nel giro di pochissimo tempo i rapporti di
forza (fisica, direi in senso lato) con gli uomini. La distopia di “The power”,
scritta da una donna femminista, potrebbe dare l’impressione di calcare troppo
la mano nel mettere in cattiva luce il gentil sesso. Naomi Alderman si è
formata da piccola dentro un ambiente familiare improntato all’ortodossia
giudaica, maturò poi subito da giovane uno spirito e una vocazione attivistica
femminista. Il suo primo romanzo “Disobedience” (2006) segnò il suo
allontanamento dall’Ebraismo ortodosso. Se la capacità femminile in “The power”
di gestire a proprio piacimento l’elettricità emanata dal proprio corpo, grazie
a un nuovo organo sviluppatosi lungo le clavicole, ha rovesciato il precedente
storico confronto uomo/donna, dove era stato il primo a detenere la maggiore
forza muscolare, ora lo strapotere speculare distopico rappresentato dalla
scrittrice inglese a beneficio delle donne rende il potere elettrico femminile
(gli uomini sono costitutivamente esclusi dalla novità naturale) qualcosa
appunto che potrebbe turbare ex abrupto il lettore e l’immaginario endogeno
spettatore. La facoltà di gestire simile capacità personale basata
sull’elettricità in virtù di cui si può anche facilmente fulminare chiunque
stia a pochi metri porta le donne del romanzo a eccessi sadici. Sarebbe
perlopiù spontanea la difficoltà ad accogliere una siffatta ipotizzata radice
concettuale, e non condividerla, nel suo equivocato apparire quale costituente
ideologica dell’opera. Non si può facilmente apprezzare detto ribaltamento
ideale così perfetto nella rotazione simmetrica dei ruoli storicamente assunti
in precedenza: la misoginia giudaicocristiana<sup>1</sup>, la persecuzione con
le conseguenti torture e uccisioni di streghe<sup>2</sup> non dovrebbero
naturalmente legittimare per contrasto e compenso femminile misandria sadica e
omicida in una seconda superficialmente ritenuta in nemetica fase. Imboccando
una simile via di esame disattenta si potrebbe ritenere che nel sostrato profondo
del romanzo di Naomi Alderman possano risiedere input e motivazioni in sé e per
sé non femministi. Chi legge la mia produzione intellettuale conosce bene la
mia avita posizione femminista. In passato mi era capitato di leggere “Herland”
di Charlotte Perkins Gilman, nota attivista americana in difesa dei diritti
delle donne, e di aver trovato quel testo nella sostanza più distopico che
motivo di sprone nella corretta e utile maniera all’ottenimento di risultati
veramente “femminili”<sup>3</sup>. Come ho rammentato Naomi Alderman è
cresciuta e si è formata in una famiglia di elevata cultura umanistica e
religiosa. “The power”, prodotto di una donna femminista, che in apparenza
potrebbe sembrare di non compiacere direttamente il femminismo pacifico merita
accurata attenzione. L’analisi in interiore opera evidenzia l’inversione delle
parti storiche in detta creazione letteraria: agli uomini è toccata la sorte
delle femmine storicamente perseguitate (specialmente nella forma pregiudiziale
psicopatologica di streghe), alle donne il compito dei vecchi storici
persecutori (in ispecial modo inquisitori cattolici e protestanti). In simile
meccanismo che scambia i ruoli storici a vantaggio di quelli distopici si nota
un dettaglio nevralgico in funzione della mia analisi: nel romanzo di Naomi
Alderman le donne sono state rese virtualmente maschi. Gesù Cristo in un
vangelo apocrifo afferma che nessuna donna entrerà nel Regno dei cieli se prima
non sarà resa maschio. L’autrice inglese ha prestato molta attenzione alla
figura di Gesù come testimonia il suo romanzo del 2012 “The liars gospel”.
Oltre a questo dettaglio ho rilevato un altro particolare il quale si rivela
molto significativo. Il potere elettrico attribuito alle donne mascolinizzate
rappresenta il potere di Zeus, il quale costituisce l’equivalente concettuale
dinamico del Dio Veterotestamentario. La radice del nome Zeus si riallaccia
direttamente alla semantica e all’etimologia indoeuropea dove il concetto di
riferimento è quello della “luce-del-giorno-proveniente-dal-cielo”. Tra Giudei
e Greci antichi mutava soltanto la simbologia statica. Zeus ha i fulmini e
fulmina, le donne di “The power” idem. Il Dio del Tanak rappresenta una
divinità uranica solare derivante da Aton. Il kabôd del Dio biblico (la gloria
divina) costituisce la manifestazione della sua potenza solare, ed è analogo al
fulmine di Zeus: i fulmini (l’elettricità uranica) sono il kabôd di costui.
Aton, il Dio biblico e Zeus raffigurano personaggi simbolici di una medesima
gamma dinamica concettuale. Vediamo in “The power” che il kabôd è stato
acquisito con la sottostante potenza dalle donne, rese alla fine formalmente maschi:
tutto quanto operano le donne del romanzo di Naomi Alderman in possesso del
potere di Zeus lo attuano perché sono state mascolinizzate. Non sono più donne,
sono state snaturate. Qualcosa di analogo, con tutt’altre dinamiche, accadeva
in “Herland”. Il mascolinizzare il femminile non aggiusta niente. È questo il
senso della distopia di “The power”, non la complementare esaltazione del
“maschile”. La dicotomia cardine è un’altra riguardante l’assunzione di
pregressi atteggiamenti negativi dell’altro sesso: la mascolinizzazione delle
donne rappresenta distopia, costoro non devono trasformarsi in sedie
elettriche, in artefici di pseudonemetiche sofferenze e morte. Il lettore
accorto dunque si rende conto, pensando profondamente, di quale sia la reale
chiave di lettura data al romanzo da Naomi Alderman e di quale perciò sia la
vera chiave dicotomica da usare. Una lettura superficiale potrebbe fuorviare
chiunque. L’analisi critica di un testo necessita di acutezza, profondità,
pensiero. “The power” è un romanzo di pregio e di ottima ideologia di cui
cogliere e apprezzare i dettagli. Nel mio discorso ne voglio segnalare un
altro: a carico degli uomini in Bessapara (distopico Stato femminista moldavo)
si trova riversato il misogino antico diritto attico di famiglia attinente alle
donne, ovviamente in salsa misandrica. Il gioco rotante della specularità che
inverte maschile e femminile, dalla storia alla distopia, dà il senso di “The
power”: bisogna evitare simile perfetta conversione e non trasferire il sadismo
a una nuova categoria dominante femminile. Si sbaglierebbe a leggere tale opera
di Naomi Alderman nella direzione di un recupero valorizzatore del “maschile”
che fu sadico a fronte di una complessa distopia del “femminile”. In “The
power” sono le donne a diventare persecutrici dei maschi. Quanto potrebbe non
riuscire a ben capire un lettore poco attento e poco riflessivo immediatamente
è perché ciò avvenga. E costui potrebbe immaginare possibili sbagliate
interpretazioni: 1) l’autrice attua un meccanismo puramente scenico letterario
di rovesciamento della storia passata (soprattutto di ambienti cristianizzati)
o 2) la scrittrice inglese in modo inconsapevole mette le donne in distopica
luce nell’inconscio ossequio della misoginia veterotestamentaria precedentemente
metabolizzata. Nel momento in cui si ricordasse il contenitore culturale
formativo ebraico-umanistico dell’autrice inglese ovviamente occorre da parte
di tutti una maniera pulita. Dal mio canto in tutta la mia produzione
intellettuale, ogni volta che ho trovato spazio pertinente, ho sempre
condannato il deprecabile antisemitismo, assieme ad altri nefandi e nefasti
crimini contro l’umanità. Allorché si parla di misoginia veterotestamentaria il
commentatore serio mira a non essere equivocato. Io ad esempio ho studiato,
analizzato e parlato a lungo nei miei scritti della tradizione
giudaicocristiana e l’ho sempre compiuto, come si deve e come si addice a
persona votata all’onestà intellettuale, sotto il profilo concettuale, cioè
riferendomi agli elaborati di pensiero altrui inerenti a teologia e ad
antropologia. Io ho esaminato, e continuo ad analizzare, idee. Se ce ne sono di
non conformi a una, secondo me, sana razionalità le evidenzio e le discuto
nella qualità di prodotti culturali. Chi si avventurasse su posizioni
dell’erronea via 2) deve rammentare che i concetti teologici e antropologici
antifemministi veterotestamentari sono pregressi ed esterni rispetto a “The
power”, elaborato meritevole nel suo genere. Rammentare la misoginia del Tanak
in guisa inappropriata non è conveniente. Studio scientifico ha luogo quando si
conduce l’indagine sui binari sopra evocati: allora si può parlare di tutto,
avendo grazia intellettuale e precisione. A chi sembrasse che Naomi Alderman possa
aver metabolizzato nella sua prima giovinezza l’idea ortodossa ebraica della
donna espressa nel Tanak, e che tale cosa possa aver lasciato comunque degli
schemi archetipici nella sua forma mentis anche dopo “Disobedience”, e che ciò
possa essere alla base di contraddizioni, sappia che si sbaglia, come già visto
nella prima parte della mia analisi. E sto parlando proprio sotto un profilo
psicanalitico, la cui prospettiva si offre all’analisi letteraria (io poi nei
miei lavori in generale ho applicato la psicologia analitica di Jung ad autori
e a opere esaminate). Lo spirito di “The power” contesta correttamente l’idea di
subordinazione e di colpevolizzazione della donna in quanto genere che compare
in “Genesi” (non dimentichiamo che furono simili pregiudizi, uniti a quelli
greci e romani<sup>4</sup>, ad alimentare la Patristica e quindi la caccia alle
streghe): simile antifemminismo veterotestamentario non rappresenta un mistero ignoto.
Si può condividere o no il pensiero degli altri, ma la cosa deve sempre
rimanere ancorata al consono piano (idest quello dei concetti) e vincolata ai
giusti canoni di pacifico dialogo e educato, senza trascendimenti: la violenza
appartiene agli animali e non agli esseri umani, l’offesa costituisce la
risorsa di chi non ha idee nella testa e non di chi esprime ragionamenti
onesti. Le epoche nelle quali si perseguitavano gli Ebrei, le streghe, i
dissidenti sono state degli eventi reali su scala considerevole, e potrebbero
tornare a ripetersi. È possibile criticare le idee di chiunque nello scientifico
modo, tuttavia non è, fu e sarà lecito convertire una qualsiasi osservazione
(per giusta che possa manifestarsi) in una generalizzazione razzista. Risale al
24 novembre 2018 un articolo su THE GUARDIAN dove Naomi Alderman parla del suo
disagio di crescita e di formazione all’interno di schemi familiari e sociali
improntati all’Ebraismo ortodosso. E rammenta come avesse iniziato a lavorare
al suo primo romanzo “Disobedience” sin dal 2001. Ci racconta della maniera in
cui il rigore religioso fosse una faccia della medaglia di quella vita
contraddittoria. Gli attentati alle Twin Towers dell’undici settembre misero in
crisi il suo equilibrio precedente. Da ciò emerge ad esempio il rifiuto
dell’omofobia biblica (la quale non appartiene soltanto a Giudei ortodossi ma
pure al Cristianesimo radicale) da parte della scrittrice inglese:
“Disobedience” narra di una lesbica figlia di un rabbino. In un altro articolo,
sempre sulla testata inglese menzionata, del 28 ottobre 2016 Naomi Alderman
espresse apprezzamento verso i suoi genitori per averle trasmesso lo spirito
della curiosità intellettuale nonostante loro agissero nei confini di una
cornice culturale conservatrice. In quella sede espresse altresì il suo
dispiacere a causa del fenomeno storico dell’antisemitismo cristiano<sup>5</sup>.
THE GUARDIAN in questo secondo articolo l’ha definita “Atwoodian” giacché
Margaret Atwood, celeberrima autrice tra l’altro di “The handmaid's tale”, è
stata sua mentore.<br /><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;">NOTE<br /></span><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Prospettive
rinnovate</span>”</div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate">https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate</a><br /></span><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;"><sup>1</sup> A tal riguardo suggerisco di leggere un mio lavoro
intitolato <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Antropogonia e androginia nel
Simposio e nella Genesi</i> contenuto nella mia pubblicazione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Considerazioni letterarie</i> (2014).<br /></span><span style="font-family: verdana;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html</a><br /></span><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;"><sup>2</sup> A quest’altro proposito il consiglio di lettura di un mio
scritto riguarda: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Guido Guinizelli e la
nascita della sistematica caccia alle streghe</i> dentro la mia opera recante
il titolo <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Radici occidentali </i>(2021).<br /></span><span style="font-family: verdana;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html</a><br /></span><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;"><sup>3</sup> Per approfondimenti rinvio al mio relativo studio: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Il femminismo distopico di “Herland”</i>
nella mia monografia del 2022 <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Letteratura
e psicostoria</i>.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html</a><br /></span><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;"><sup>4</sup> Allo scopo di approfondire indico un mio lavoro: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">I protopatristici Aristofane e Giovenale</i>
presente all’interno del mio saggio del 2020 <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Percorsi critici</i>.<br /></span><span style="font-family: verdana;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html</a><br /></span><o:p><span style="font-family: verdana;"> <br /></span></o:p><span style="font-family: verdana;"><sup>5</sup> In relazione a questo tema reputo interessante segnalare un
mio scritto in cui ne parlo: <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Nevrosi e
irrazionalismo in Agostino d’Ippona</i> nella mia pubblicazione <i style="mso-bidi-font-style: normal;">Teologia analitica</i> (2020).<br /></span><span style="font-family: verdana;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html</a></span></div></span></div></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-91946110621604195962023-08-15T12:37:00.007+02:002023-08-15T12:44:38.029+02:00IL PIANETA MADRE? E LA PRIMA INVASIONE…<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7EDZHJFD7KTRPo1jokw_JPZmhVKhn4inhvMoxTZEBh6PjzdjscixT4CWFkZUEZy9X64G02KH86v2jEQBNJkDnNlPGvrb1gFxVq9ZOGyF3jdG0v1TWfHEmikdt8nSWWdg7821qYZHrz_0NELHXi2XINRC4erh73CJbOSxIkPBhbgXQ3C4Ia9Z19oezZUg/s640/2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="420" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7EDZHJFD7KTRPo1jokw_JPZmhVKhn4inhvMoxTZEBh6PjzdjscixT4CWFkZUEZy9X64G02KH86v2jEQBNJkDnNlPGvrb1gFxVq9ZOGyF3jdG0v1TWfHEmikdt8nSWWdg7821qYZHrz_0NELHXi2XINRC4erh73CJbOSxIkPBhbgXQ3C4Ia9Z19oezZUg/w131-h200/2.jpg" width="131" /></a></div>Nel 2016 è salito all’onore delle cronache scientifiche la
scoperta di un esopianeta all’interno della Costellazione del Centauro, e più
in particolare nel trinitario sistema di soli di Alfa Centauri, avente ESI
(Earth similarity index) 0,87. Queste tre stelle sono così disposte: Alfa
Centauri A e B possiedono una vita di coppia giacché un punto di massa in
comunione le ha rese orbitanti rispetto a sé secondo un analogo arco temporale
(non sono orbite coincidenti); Proxima Centauri ha preso quale riferimento
della propria orbita il superiore sistema doppio. Tale terzo sole costituisce
la stella più vicina al nostro sistema solare. L’esopianeta di cui ho accennato
in apertura ruota attorno a detta terza stella: è stato denominato Proxima
Centauri b. Le ulteriori scoperte scientifiche su Proxima b mi hanno condotto a
delle particolari riflessioni sulla scia della mia idea di una passata
emigrazione interplanetaria<sup>1</sup>. Come ho già puntualizzato in origine
dei miei ipotetici discorsi (in attesa di eventuali solidi riscontri di
archeologia extraterrestre) non ho preso le mosse dalle teorie di Zecharia
Sitchin, perciò ho scartato ab ovo l’dea di una manipolazione genetica di
alieni sopra ominidi terrestri. Per me, come dissi, è giunta sulla Terra la
razza umana da altrove, in un piano di colonizzazione dei pianeti abitabili
allora del nostro sistema solare (in aggiunta alla Terra credo Venere, Marte e
Fetonte). L’obiettivo di quest’analisi non è quello di essere ripetitivo al di
là della necessaria rievocazione nell’impianto analitico, bensì quello di
esporre le novità nella mia costruzione e di concentrarmi dunque sull’evocato Proxima
b. Proprio in esordio della mia teoria migratoria semplice sostenni la
possibilità che le terrestri manifestazioni documentali di pensiero più antiche
possano contenere, a mo’ di fossili, tracce nascoste di quegli eventi
extraterrestri legati comunque alla memoria umana. Sul nostro pianeta esiste
una cesura fra “preistoria” e “storia”, non sappiamo praticamente gran che di
ciò che non ha con sé documenti scritti. Simile assenza non può automaticamente
portare a cestinare l’ipotesi di un’antica, per noi preistorica, civiltà sulla
Terra in possesso di altissima tecnologia. Non è detto che dovesse essere
sparsa sul territorio a 360°. I livelli demografici noti del passato ci parlano
di quattro gatti in rapporto alla crescita degli ultimi secoli. Quindi è
possibile che stessero concentrati particolarmente in una sola area. Qua e là
non è stato trovato nessuno strumento di tecnologia avanzata, vistosi prodotti
però sì (nessuno ad esempio ancora ha una certezza sulle modalità costruttive
delle grandi piramidi egizie). Condivido l’interesse di chi indica l’Antartide
quale zona da sottoporre ad attenzione archeologica. Parecchio tempo fa ho
sentito l’idea per cui l’asse terrestre si sia inclinato spostando il
continente antartico da una posizione, per così dire, australiana, a quella di
Polo Sud attuale: è possibile che sotto quei ghiacci ci sia una preistoria
diversa? Solo l’archeologia ce lo potrà dire. Per il momento torno a quella
che, al mio uopo, avevo definito “archeologia letteraria”. Esistono narrazioni
che possono disvelare l’immagine originaria, grattando il mito superficiale, e
restituirci una verità la quale si era persa dentro la sovrastruttura
mitologica? Debbo aggiungere che una tale operazione possiede uno spirito
junghiano, e pertanto mi trovo a mio agio. Illustrerò alcune caratteristiche
note nel pubblico mondiale dominio di Proxima b<sup>2</sup>, e poi le
collegherò alla mia ottica. Va innanzitutto rammentato che ci si chiede se
tuttora ci possa essere (stata) vita intelligente su tale pianeta che avrebbe
(avuto) un’atmosfera somigliante alla nostra. La situazione attuale comporta
per Proxima b un blocco di un suo possibile originario moto rotatorio attorno
al proprio asse per via del campo di gravitazione molto ravvicinato della sua
stella: in parole povere quanto accade alla Luna con la Terra, un emisfero è fisso
sempre da un lato e l’altro dal suo nel tragitto rivoluzionario. Su Proxima b
c’è dunque una facciata non illuminata e fredda, e un’altra con connotazioni
opposte. In tale regime la vita potrebbe essere (stata) più favorita nella
fascia anulare intermedia dove l’acqua né ghiaccerebbe né evaporerebbe.
Suddetto stadio troverebbe il pianeta nelle seguenti condizioni. La luce che vi
si avvicina dalla sua stella non è molta (il giorno è paragonabile a una nostra
sera rossastra là dopo il tramonto), tuttavia Proxima Centauri produce ogni
tanto distruttive ondate di bagliore (brillamenti). I brillamenti occasionali e
le forti radiazioni solari non rappresentano fattori ideali canonici a pro
della sopravvivenza di vita sulla superficie poiché particolarmente i primi
bucano l’atmosfera. Si pensa altresì che l’esopianeta possa essere un pianeta
in toto sommerso dalle acque: non si sa se alla fine si sia ridotto in
condizioni analoghe al nostro Marte. L’idea di sfruttamento agricolo della
superficie di Proxima b, sic rebus stantibus, non è fra le più facili a
immaginarsi. Se in passato i brillamenti e le emissioni di massa coronale sono
stati presumibilmente di entità minore è possibile immaginare un’agricoltura
più ortodossa. La scarsezza della luce e i brillamenti della fase in atto
esigerebbero adeguamenti tecnologici agricoli avanzati, con colture al chiuso e
ambienti consoni creati artificialmente. Non che una cosa del genere non sia
(stata) possibile a un’eventuale civiltà molto progredita. A questo punto dell’analisi,
dopo aver prodotto la premessa a beneficio di un ragionamento psicanalitico di
archeologia letteraria, debbo esporre i dettagli di letteratura i quali secondo
me celano possibilmente notizie di fatti reali il cui ricordo si è indebolito,
andato perso e distorto, riadattato allo scenario terrestre dai discendenti dei
migranti spaziali, e riproposti in forma di mito in seguito a tale ancestrale
offuscata indicazione tramandata. Una delle prima cose che dissi nel mio
discorso sull’emigrazione interplanetaria è che la vicenda dell’arca di Noè
potesse adombrare la migrazione da un esopianeta alla Terra. Sappiamo che per
le antiche culture del Vicino Oriente la letterale zona iperuranica era piena
d’acqua, pertanto un viaggio spaziale sarebbe stato pensato come una
navigazione nell’acqua. Proxima b è l’esopianeta più vicino alla Terra, posso
perciò ipotizzare esso, in virtù delle sue caratteristiche presunte (vecchie e
nuove), quale stazione di partenza della razza umana alla volta del nostro
sistema solare. L’inondazione globale di Proxima b potrebbe essere alla base
del mito terrestre del diluvio universale, dal momento che di generazione in
generazione per noi reputate preistoriche si sarebbe persa una diffusa corretta
memoria degli accadimenti a causa di trasmissioni orali via via deviate verso
una logica mitica ambientata sulla terra poiché la possibile verità originaria
si rendeva incomprensibile a generazioni meno istruite scientificamente. Nella
Bibbia potrebbe stare memoria figurata dell’inondazione di Proxima b e
dell’emigrazione spaziale (da là). Abbiamo notato un’altra situazione critica
nel nostro presunto pianeta madre: la difficoltà dell’agricoltura di fronte a
un sistema possibilmente tramutatosi da ottimale a ostile. La stella Proxima
Centauri ha compiuto nella sua evoluzione presumibilmente un sacco di danni al
punto di rendere ovunque impossibile le teoriche colture. Cosa troviamo nella
Bibbia a tal riguardo? La dicotomia Abele/Caino, la quale costituisce una
dicotomia di natura produttiva ed economica: sembra che il Dio biblico
veterotestamentario prediliga una produzione non legata alla terra, perché
l’ecosistema può essere suscettibile di criticità più o meno gravi. A Noè un
comando divino ha imposto di salvare solo il patrimonio faunistico, non v’era
preoccupazione a proposito delle colture agricole. È possibile che lo scarso
apprezzamento dato all’agricoltura, espresso in modo allegorico in particolar
modo, nella vicenda di Caino abbia origine nei disastri ambientali di Proxima b
causati da Proxima Centauri? In parole povere quello shock esistenziale subito
dagli umani centauriani avrebbe viaggiato con loro, e sarebbe poi stato
all’interno di meccanismi di trasmissione del sapere, sempre meno efficaci,
rielaborato in allegorie mitologiche da decostruire psicanaliticamente ad hoc.
Quanto vado dicendo non rappresenta un ragionamento fantascientifico,
costituisce un caso particolare di ermeneutica contestuale, con la circostanza
che il contesto principale non si mostra la Terra bensì Proxima b: altri
aggiuntivi elementi in futuro, con certezze ancorate, potrebbero rafforzare la
mia ipotesi o smentirla. Nel momento in cui ho scritto non viene da me
giudicata impossibile, né d’altro lato vera nel pieno senso di un accertamento
(come ci suggerisce Vico). La reputo plausibile in attesa di una verifica
migliore. Il suddetto shock è stato tale che io credo, nella mia visione
analitica, che l’insistente idea generale di culto solare terrestre provenga da
Proxima b, ma non quale culto propiziatorio: l’ingenua adorazione del Sole, qua
sulla Terra, avrebbe lo scopo di scongiurare l’azione distruttiva della
divinità (sperimentata su Proxima b). Ipotizzo un simile schema psichico non
più consapevole nei fedeli e nei sacerdoti terrestri devoti di divinità solari.
Dalla Bibbia a ritroso possiamo percorrere il cammino in direzione
dell’atonismo (il quale è l’anima dell’Antico Testamento)<sup>3</sup>.
Akhenaton ha manifestato una mitica nevrotica concezione radicale di culto al
Sole. Il Sole sarebbe la divinità più importante, sino al punto di giungere a
forme di esclusività (enoteismo e monoteismo), giacché Proxima b ci
insegnerebbe che la interpretata indisposizione di Proxima Centauri può
distruggere completamente un mondo. La tradizione atonista-giudaico-cristiana
potrebbe contenere un sottilissimo impercettibile ancestrale filo nevrotico
extraterrestre legato all’originario Dio sole Proxima Centauri. Non sto
sostenendo che i Centauriani adorassero la loro stella, ma che gli effetti di
Proxima Centauri siano rimasti nell’avita memoria dei viaggiatori giunti sulla
Terra, e che simili effetti siano restati a mo’ di inconoscibile junghiana
immagine archetipica primordiale nei confronti di quelle smemorate generazioni
di terrestri che hanno elaborato culti solari incentrati sul nostro Sole e con
le modalità di generazione che sopra ho illustrato. Esiste un dettaglio a
proposito di simile discorso che mi è parso pertinente: è quello del “kabôd”
veterotestamentario, comunemente tradotto con “gloria (di Dio)”. Il kabôd è,
nel quadro delle mie analisi bibliche, qualcosa che esprime e mostra la potenza
solare del Dio veterotestamentario. Quindi su tale base, sviluppando il modello
di ascendenza da Proxima b, lo ricollego ai brillamenti di Proxima Centauri e
in maniera particolare alle sue emissioni di massa coronale (le quali mi
appaiono la sorgente del simbolo, anche a voler ridurre la fenomenologia di
suggestione ai nostri paraggi terrestri col Sole). Ecco un altro dettaglio
possibilmente riallacciato alla matrice concreta. Il Dio biblico, il quale
sarebbe Aton nella sua essenza d’origine, potrebbe essere scaturito
dall’immagine reale di Proxima Centauri. Il contesto letterario
veterotestamentario mi ha fornito un ulteriore elemento a corredo della mia
ipotesi generale di migrazione interplanetaria: si tratta dei famosi personaggi
antidiluviani di lunghissima vita. Com’è che costoro fino a Noè vivessero
persino alcuni secoli? Il periodo di rivoluzione su Proxima b è di poco più di undici
giorni: rispetto a noi si rivela inferiore di circa trentadue volte. Tre anni
là sarebbero poco più di un mese da noi. I molto longevi antidiluviani (idest,
prima dell’emigrazione interplanetaria) sono persone il cui computo terrestre
degli anni di vita cerca un raccordo tra misure dell’anno (rivoluzione rispetto
alla propria stella) differenti? Quella terrestre e quella di Proxima b? Il
nesso testé indicato se inserito in un sistema analitico più ampio, come ho
fatto, non pare isolatamente peregrino. V’è pure nel Nuovo Testamento un cenno
dell’apostolo Pietro dove si afferma che un giorno di Dio equivale a mille
anni: si sta involontariamente rifacendo, in guisa letteraria retorica, a
Proxima centauri e all’anno di Proxima b in relazione al nostro anno terrestre
molto più lungo? Ritengo tutti i possibili collegamenti biblici creati in modo
inconscio per quanto concernerebbe Proxima Centauri e Proxima b da parte degli
autori di quei testi depositari di antiche tradizioni di culto solare, la cui
eventuale origine terrestre ho spiegato. Ci sono d’altro canto sul nostro
pianeta alcune cose che nella falsariga di questa mia analisi mi hanno colpito.
La prima riguarda le tre piramidi di Cheope, Chefren, Micerino. La loro
disposizione reale in ordine di mole e le loro misure esterne, in relazione ad
approssimativi indicativi canoni di proporzione, possono essere collegate ai
diametri di Alfa centauri A e B, e Proxima Centauri. Le tre piramidi
simboleggiano queste tre stelle? Platone associa simbolicamente la forma
piramidale al fuoco. Non si sa con precisione il chi, il come e il quando della
loro edificazione: potrebbero essere una sorta di segnale, di icona, indicante
un contenuto di provenienza extraterrestre? Queste piramidi si vedono dallo
spazio: è possibile che costituissero l’indicazione di una precisa
informazione? Come dire: i Centauriani sono qua sul pianeta Terra. D’altro
canto cosa la quale mi ha colpito non soltanto adesso è rappresentata dalle
pietre di Nazca. Tutti quei disegni nel merito di questa mia analisi mi
sembrano una specie di catalogo del contenuto dell’arca di Noè fuori e
all’interno del figurato mitico. A mio modesto avviso è come se all’osservatore
dall’alto del cielo si volesse dire che la Terra è il pianeta che ha accolto
quell’insieme faunistico disegnato. E quindi in ossequio al mio ragionamento
una fauna possibilmente provenuta da Proxima b a sostituire o soppiantare
quella preistorica. Il sistema faunistico terrestre della preistoria è di fatto
scomparso, e io non credo alla teoria darwiniana evoluzionistica sulla Terra.
Per me la cesura inerente alla fauna terrestre è troppo radicale, più che a
un’evoluzione do credito a un nuovo innesto dall’esterno, nella maniera in cui
ho chiarito nella mia ottica.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">NOTE</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Prospettive
rinnovate”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate">https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> A proposito di tale filone di miei studi segnalo in
particolar modo dei miei scritti contenuti in miei saggi:</span></div></sup><div style="text-align: justify;">1) <i>Teoria sull’origine
aliena dell’umanità </i>in <i>Critica
dell’irrazionalismo occidentale</i> (2016)</div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/08/teoria-sullorigine-aliena-dellumanita.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/08/teoria-sullorigine-aliena-dellumanita.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;">2) <i>Lotta tra gli Dei</i>
in <i>Studi critici</i> (2019)</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2019/10/lotta-tra-gli-dei.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2019/10/lotta-tra-gli-dei.html</a></div><div style="text-align: justify;">3) <i>Radici sumere di
Ebraismo e capitalismo</i> in <i>Note di
critica</i> (2017)</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Rinvio il lettore all’Enciclopedia Wikipedia per altri
approfondimenti.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>3</sup> Tale gamma concettuale appena citata è stata in generale
oggetto di mie diverse analisi i cui risultati ho esposto in miei vari lavori.
A beneficio del lettore desideroso di approfondire, menziono gli ultimi miei
due scritti fino a ora pubblicati riguardanti l’ampio tema. Nella mia opera <i>Prospettive rinnovate</i> (2023) le sezioni
intitolate <i>Dall’inno stoico a Zeus di
Cleante alla fondazione del Cristianesimo</i> e <i>Dalle parole di Gesù Cristo a
quelle di Pauline Harmange</i>.</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dalle-parole-di-gesu-cristo-quelle-di.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dalle-parole-di-gesu-cristo-quelle-di.html</a></div></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-44090850400666134182023-07-01T08:59:00.002+02:002023-07-01T08:59:28.712+02:00RIFLESSIONI SOPRA IL “DE RERUM NATURA” LUCREZIANO<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-15MsGTTLo8RqgkeC4MNGbTFbHWfZs1tS2vBYHTXC4L_lotevJv1AJjdzY0m5mcNrkgnkDoNVQAaICJgRTY3FGokfqKQ9Ig1fDoGSiAEnOBmsEugzX6d9Nveznm8PnhnSXJLPTy9zlbS76WeTg9itR-EmMVE5nOaUSRlqrc8VtyJGdSlRLGo8G0RvirQ/s276/d.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="276" data-original-width="235" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-15MsGTTLo8RqgkeC4MNGbTFbHWfZs1tS2vBYHTXC4L_lotevJv1AJjdzY0m5mcNrkgnkDoNVQAaICJgRTY3FGokfqKQ9Ig1fDoGSiAEnOBmsEugzX6d9Nveznm8PnhnSXJLPTy9zlbS76WeTg9itR-EmMVE5nOaUSRlqrc8VtyJGdSlRLGo8G0RvirQ/w170-h200/d.jpg" width="170" /></a></div>Circa mezzo secolo prima della nascita del Messia cristiano,
Tito Lucrezio Caro scrisse il trattato filosofico in versi intitolato “De rerum
natura”. La sua attenta lettura non ci offre soltanto il panorama delle idee
epicuree, ma ci dà anche la misura del corso degli eventi umani. In passato ho
parlato della scissione della filosofia in epoca ellenistica in due tronconi i
quali hanno spezzato l’unità ideale delle facoltà razionali junghiane. Da un
lato il filone maschilista logico dello Stoicismo, che ha spianato la via
all’avvento del Cristianesimo. Dall’altro il filone del sentimentale Epicureismo,
non misogino, non spiritualista, fondato su un’idea di edonismo equilibrato
(sono stati i detrattori a inventare esagerazioni in materia a scopo di
discredito). Tale grande scontro ideologico all’interno dell’Impero romano
dall’inizio dell’era volgare sino all’Editto di Costantino a pro dei cristiani
ha segnato la storia dell’Occidente. La vittoria stoica del Cristianesimo<sup>1</sup>
ha catapultato il cammino occidentale nell’oscurantismo religioso medievale.
Nella mia analisi evidenzierò come le idee della modernità scientifica
post-illuministica siano già presenti nella filosofia di Epicuro, e come
diversi aspetti del di costui pensiero siano stati recuperati in una dimensione
più libera al confronto. In parole povere quanto voglio dire è che il
Cristianesimo ha messo un pesante freno al progresso occidentale per quindici
secoli, durante i quali si è contraddistinto attraverso persecuzioni e
scissioni interne. I cristiani sono stati per lunghissimo tempo, nel periodo
del loro predominio politico plurisecolare, violenti sadici persecutori di
streghe, omosessuali, Giudei, scienziati non acquiescenti all’ignoranza
strumentale e dissidenti vari. L’avanzamento scientifico nel corso di tale
tristissimo periodo (dal Medioevo al Barocco) è stato zavorrato sulla base di
nevrotici pregiudizi: contestare Ippocrate, Celso, Tolomeo, Aristotele, poteva
costare carissimo (torture e pene capitali). Da Ipazia di Alessandria a
Giordano Bruno e Galileo Galilei abbiamo di fronte uno scenario animato da
totalitarismo illiberale (nel modo ben sottolineato da Simone Weil). Il
Cristianesimo di oggigiorno si è bene o male nella società occidentale
forzosamente adeguato. Dopo Joseph de Maistre ha intrapreso, per contrasto, un
iter di cambiamento di facciata la cui gestazione travagliata nell’Ottocento e
nel Novecento lo ha portato da concreta distopia persecutoria (responsabile di
crimini contro l’umanità) a essere una utopia del divertissement e del
consumismo. E le attuali masse di scadenti conoscitori della Storia,
indottrinate sin dalla più piccola età, poi credono orwellianamente che sia
sempre stato così, che il Cristianesimo sia l’apologia dell’amore universale,
mentre in realtà non lo è stato in pratica spesso. Capisco le difficoltà di
comprensione di chi si è formato, al pari di me del resto in origine, con il
“nuovo” Cristianesimo, ma la verità è che se vogliamo essere liberi da spettri
nella nostra mente (figli di ignoranza e/o nevrosi) bisogna studiare e
approfondire obiettivamente e con lucidità. Questa è stata l’essenza del
pensiero di Epicuro riassunto da Lucrezio, e di altri studiosi i quali hanno
contribuito alla crescita umana. Una cosa mi ha significativamente colpito, tra
l’altro, leggendo e analizzando il “De rerum natura”. Nel Vangelo Gesù afferma
di non essere venuto a portare la «pace» bensì la «spada [corta; pugnale;
coltello per carne]» e la “divisione-in-due”. Al cospetto di simile per me non
entusiasmante proclama, che i vecchi Cristiani hanno metabolizzato
perfettamente mettendolo in atto in maniera evidente, si pongono le parole
lucreziane dove l’autore romano riferisce che Epicuro espresse le sue idee «non
armis». Ciò ci restituisce il segno di un confronto: la vittoria “stoica” del
Cristianesimo e dell’asse di pensiero semitico (Stoicismo- Ebraismo) è stato un
tragico evento nella Civiltà occidentale giacché improntato al radicalismo
religioso integralistico. Appunto, quanto testé detto non ha nulla a che vedere
con un giudizio antisemita: ho sempre condannato fermamente l’antisemitismo in
tutte le sue forme, il mio rappresenta un giudizio dei concetti teologici alla
luce dei miei metri scientifici di matrice filosofica e psicanalitica; non
dimentichiamo che è stato proprio il Cristianesimo a inventare il deprecabile
“antigiudaismo” grazie ai Padri della Chiesa. Il Dio biblico, senza con ciò
voler entrare in argomentazioni metafisiche, rappresenta un personaggio
mitologico di ascendenza atonista<sup>2</sup>. L’originaria divinità solare
atonista è stata motivo nella sua elaborazione cristiana causa di tante
patologiche devianze: sadica misoginia, sadica omofobia, antiliberalismo
radicale, deleterio conservatorismo scientifico, attivismo nevrotico weberiano,
violento e sadico antisemitismo. La scomparsa delle civiltà precolombiane è
stata provocata dai Cristiani Europei. Se oggi l’intero continente si presenta
cattolico o protestante, la cosa non deriva da amorevoli approcci. Laddove la
cristianizzazione si è storicamente affermata l’uso della violenza non è
rimasto tanto estraneo. Poi se qualcuno vuol buttare nel dimenticatoio la vera
storia passata perché è trascorsa, e pochi la conoscono, non reputo renda un
grande servigio alla società. A volte si cerca di minimizzare l’incidenza del
numero delle vittime causate dal Cristianesimo qua e là, ma costoro che fanno
ciò omettono che i livelli demografici dei secoli scorsi erano molto più bassi
di adesso, e che migliaia (o anche centinaia) di perseguitati e di vittime in
termini di percentuale (sulla popolazione) diventano rilevanti. Lo sterminio
dei catari, ad esempio, un crimine contro l’umanità, si rivela in termini di
percentuale analogo (su base europea) alla Shoah. Non sto sostenendo che all’inizio
dell’era volgare l’Epicureismo avrebbe dovuto necessariamente abbattere il
dominio ideologico stoico nello Stato romano, ma che il Cristianesimo non
sarebbe dovuto diventare religione ufficiale statale grazie all’Editto di
Teodosio. Occorreva mantenere la libertà, nel cui spazio tutti possono, e
devono, vivere pacificamente. Il teismo cristiano non aveva il diritto di
diventare modello unico di vita, di bandire lo spirito ateo epicureo e il
vecchio paganesimo politeista. Quando Lucrezio ci dice che questo sgangherato
mondo in cui viviamo non è un prodotto divino non sta bestemmiando: solo gente
molto ignorante, può ricondurre catastrofi naturali e malattie a punizioni
divine (e poi dove sarebbe questo così caritatevole Dio?). Il “De rerum
natura”, nonostante i limiti scientifici del tempo di redazione, ripropone lo
sforzo epicureo di interpretare i fenomeni al di fuori di ottiche religiose e
mitologiche. Ciò costituisce un grandissimo merito: è la scienza seria
impegnata che ci consente di progredire, non il calcare aristotelico imperante
dal Medioevo al Barocco. La religione cristiana ha avversato l’Epicureismo
sotto tutti i profili. Dante Alighieri pone gli epicurei all’interno della
“Divina Commedia”<sup>3</sup> nel sesto cerchio degli eretici, al rogo in una
sorta di quemador, in quanto negatori dell’immortalità dell’anima (io credo
nella metempsicosi, e da eterosessuale esclusivo reputo l’omosessualità una
prova della preesistenza dell’anima<sup>4</sup>). Gli eretici nella realtà
erano condannati al rogo, a testimonianza del DNA integralistico e violento con
cui il Cristianesimo è sorto. Nelle credenze di tale religione noi eravamo gli
unici abitanti dell’Universo sulla Terra al centro di tutto, nel contesto di
una creazione divina<sup>5</sup>. Lucrezio invece riporta un’idea a me cara,
riproposta da Giordano Bruno<sup>6</sup>, per cui diversamente esistono altri
sistemi planetari abitati da esseri intelligenti. In aggiunta a questa
particolare tangenza col mio pensiero ne ho rintracciata un’altra in alcuni
brani dove si parla della brama di accumulazione di ricchezze. In suddetti
brani a mio avviso Lucrezio sta esprimendo un ragionamento analogo al mio
allorché spiego che il capitalista accumula beni nel desiderio di allungare il
suo tempo di vita. Costui ha davanti il limite della morte il quale cerca di
rendere meno vicino acquisendo possibilità esistenziali sottratte ad altri vittime
di tempo non libero. Nel paragone il benestante, a parità di tempo
convenzionale, vivrebbe più a lungo astrattamente rispetto a un servo poiché
gli spazi temporali non sarebbero egualmente liberi<sup>7</sup>. Pure in fatto
di sessualità Lucrezio sembra evidenziare quello che io chiamo il grado
freudiano della libido, possibile anticipatore di quello junghiano. Nella mia
visione psicanalitica io pongo tali due gradini nella crescita psichica
individuale: uno più in basso e uno più maturo (non raggiungibile però
automaticamente)<sup>8</sup>. L’autore latino, sulla scia di Epicuro, ha
ridotto il congresso carnale a un fatto freudiano, pulsionale animale. Agli
epicurei, nella veste di materialisti, è sfuggito il peso della portata
spiritualistica platonica<sup>9</sup>, tuttavia non essendo stati sessuofobici
come i Padri della Chiesa, si sono fermati su, per allora, accettabili
posizioni freudiane. Non hanno proposto un edonismo alla Brave New World,
fantasiosa accusa inventata dai loro illiberali avversari. Non esiste misoginia
o omofobia nel pensiero di Epicuro, il Giardino era aperto a tutti e insegnava
la moderazione (la cura dei bisogni naturali e necessari). La nevrotica
accumulazione capitalistica deriverà da patologiche acrobazie mentali
dell’evoluzione del fatalismo stoico-cristiano. Trovo sorprendente il rispetto
nei riguardi delle donne mostrato nel “De rerum natura”: qui si afferma che il
congresso carnale dev’essere qualcosa di gradevole per ciascun partner
convenuto. Se poi Lucrezio critica gli uomini perché si attaccano all’aspetto
estetico femminile, non sta demonizzando le donne, sta indicando il difetto
maschile del grado libidico freudiano. Non ha sostenuto che il gentil sesso è
composto da porte dell’inferno, ha tacitamente e indirettamente suggerito, per
via della carenza di supporti concettuali spiritualistici di matrice platonica
e junghiana, di cercare nella compagnia femminile qualcos’altro in aggiunta al
congresso carnale. Riprova ne è che il Giardino era aperto alle donne come agli
schiavi. Il Cristianesimo in merito a schiavismo e misoginia è stato a lungo
l’opposto di quella carità comunemente oggi predicata. Perciò mi rammarico per
la vittoria cristiana in era romana, altresì per le funestissime conseguenze
dell’antisemitismo e dell’omofobia radicali, con altro difetti ricordati
crimini contro l’umanità perpetrati nei secoli dalla società occidentale
cristianizzata. L’Epicureismo rappresentava una fiaccola della razionalità
equilibrata la quale è stata messa in ombra dall’oscurantismo cristiano. Nel
periodo umanistico<sup>10</sup> un recupero delle genuine posizioni epicuree in
direzione antirigoristica stoico-cristiana e alla volta di un moderato edonismo
sdoganato dalla fine del Medioevo fu perseguito da Lorenzo Valla. Egli fu
ovviamente obbligato a esprimersi in salsa cristiana allo scopo di evitare una
brutta fine. Nonostante le capriole, per via dei suoi scritti non molto
graditi, incappò comunque nell’Inquisizione, da cui lo salvò la simpatia nei
suoi confronti di Alfonso V d’Aragona (re non per niente passato alla storia quale
“il magnanimo”). Il Valla poi sfuggì pure a un tentativo di attentato: la
“carità cristiana” contro chi la pensava in passato in maniera differente pare
essere stata molto diversa da quella oggi descritta. Lorenzo Valla riuscì con
efficacia a confutare “la donazione di Costantino”, un illecito, un falso
documento, prodotto dal Cristianesimo per puri obiettivi di potere politico. La
fisica moderna ha proseguito il pensiero atomistico di Democrito ed Epicuro. Mi
chiedo che mondo avremmo oggi senza i quindici secoli di funesta zavorra
cristiana (la quale stava per ammazzare Galileo Galilei): forse avremmo il
teletrasporto di Star Trek e televisioni tridimensionali odoranti. Però il
Cristianesimo ci aveva spiegato che al di là di Ippocrate, Celso, Tolomeo e
Aristotele non c’era più niente da scoprire e che perseguire e coltivare vie
alternative non era consentito da Dio. Mi è apparso singolare leggendo il “De
rerum natura” notare che la nascita epicurea, espressa in chiave atomistica,
del nostro sistema planetario è eguale al modello cosmogonico religioso
orientale (sumero, egizio, ebraico) ma laicizzato, e appunto ripresentato in
una foggia scientifica moderna: nonostante tutto la Terra è restata piatta e
coperta da una calotta celeste, però l’ordinamento ha seguito una spontaneità
normativa naturale e non è stato opera di un Dio (platonico, giudaico,
cristiano, che intender si voglia)<sup>11</sup>.Se il “Simposio” di Platone e
la “Genesi” biblica ci parlano dell’androgino primordiale, altresì Lucrezio ne
fa rapidissima menzione in generale, senza chiarire il suo ruolo
nell’antropogonia<sup>12</sup>. Il celebre autore latino, essendo freudiano
ante litteram, è hobbesiano e nominalista: dal bellum omnium contra omnes si
passa a una società più allargata, più organizzata, più stabile (principio di
realtà). Lucrezio ci chiarisce che l’idea della divinità è sorta nella mente
umana in seguito a ignoranza, suggestionabilità, paura. L’incapacità di
comprendere le dinamiche naturali più appariscenti ha spinto i più, sprovvisti
di strumenti intellettuali e conoscitivi adeguati, a postulare l’esistenza
degli Dei, ponendoli al di sopra dell’umanità e dotandoli di smisurati poteri.
Una commistione di timore e deferenza ha condotto gli uomini a creare le
religioni, le quali possono essere foriere di nefandezze. Lo scrittore romano
rammenta la tragica fine di Ifigenia, io rammento la triste vicenda della
figlia di Iefte. Lucrezio ammonisce il suo lettore sul potere venefico delle
religioni, le quali possono essere foriere di grandissime sventure. E nessun
ammonimento fu più azzeccato alla vigilia del Cristianesimo. Esso è sorto quale
forma radicale di paganesimo integralista e monoteistico (per così dire).
L’interminabile corteo dei santi appresso a Dio non ha niente da invidiare al
politeismo pagano. Il Protestantesimo non ha i santi e, specialmente negli
Stati Uniti, li ha rimpiazzati con gli eroi dei fumetti. Se poi pensiamo pure a
quanti dei santi reali, nel senso che sono state persone reali e non figure
immaginarie, ebbero serissimi problemi (le anoressiche, i masochisti, i
nevrotici, etc.) ci capacitiamo ancor meglio di come il Cristianesimo
rappresenti il peggio paventato nelle parole lucreziane. Il paganesimo
grecoromano ossequiava statue di divinità in modo perlopiù incruento, il
neopaganesimo irrazionalistico cristiano introdusse e legittimò l’odio e la
violenza. Lucrezio ha perfettamente chiaro il nocciolo della questione, e
infatti ci dice che noi dobbiamo agire «pacata […] mente», con ragionevolezza,
non in preda a furori scriteriati. Egli è profondamente e sinceramente
pacifista, non ci riporta che l’Epicureismo verrà con la spada a fianco<sup>13</sup>,
una cosa che farà il venturo Cristianesimo, semmai ci avverte che una simile
attitudine costituisce «discordia tristis».La parte conclusiva del “De rerum
natura” descrive la peste ad Atene all’epoca della Guerra del Peloponneso.
Nella mia filosofia della storia ho adottato questo conflitto greco nella veste
di una figura hegeliana e ne ho fatto l’immagine di un altro grande scontro
intestino occidentale: quello capitalistico intercorso fra 1914 e 1945,
comunemente suddiviso dalla storiografia in tre distinte fasi (le quali per me
rappresentano, sulla falsariga peloponnesiaca, un trentennio organico e
articolato). Ritengo la Guerra del Peloponneso figura valida per la nuova
guerra mondiale, e simile ricordo lucreziano finale della peste ateniese, dopo
la pandemia di coronavirus, mi inquieta. La descrizione dello scrittore latino
possiede forti connotazioni apocalittiche, mostra uno scenario post-atomico o
epidemico. È come se Lucrezio, dopo averci avvertito sui pericoli del
posteriore e sconosciuto a lui Cristianesimo, volesse di nuovo avvertirci di un
pericolo in cui può incorrere l’intera civiltà mondiale. Il Messaggio epicureo
è che l’umanità potrà salvarsi «pacata […] mente» rinunziando alle brame di
affermazione, potere, arricchimento.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Analisi
letterarie e filosofiche”</div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><a href="https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche">https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche</a></span></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Dei rapporti concettuali fra Stoicismo e Cristianesimo ho
trattato in un mio lavoro dal titolo <i><span lang="it">Gesù stoico e dionisiaco</span></i><span lang="it"> pubblicato dentro il mio saggio <i>Partita a scacchi</i> (2022).</span></span></div></sup><span lang="it"><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p></span><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Nella mia pubblicazione <i>Ermeneutica
religiosa weiliana</i> (2013) si trova una mia analisi in merito: <i>Il Dio del Tanak non è solo</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> A questo noto autore ho dedicato una mia monografia: <i>Parricidio dantesco</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco">https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Ne ho trattato in una mia analisi intitolata <i>Diotima non deve morire / Eros e la libido
junghiana nel “Simposio”</i> contenuta nella mia opera <i>“Note di critica” </i>(2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2017/09/diotima-non-deve-morire.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2017/09/diotima-non-deve-morire.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>5</sup> Ho analizzato il mito cosmogonico biblico in due miei
scritti: <i>Radici egizie nella cosmogonia
ebraica</i> e <i>Radici sumere di ebraismo e
capitalismo</i> rispettivamente pubblicati in due miei saggi, <i>Ermeneutica religiosa weiliana</i> (2013) e <i>Note di critica</i> (2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>6</sup> Di ciò in particolare mi sono soffermato in una mia analisi
dal titolo <i>Lotta tra gli dei</i> presente
nella mia pubblicazione <i>Studi critici</i>
(2019).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2019/10/lotta-tra-gli-dei.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2019/10/lotta-tra-gli-dei.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>7</sup> Ho sviluppato simile tema nella mia monografia <i>Critica dell’irrazionalismo occidentale</i>
(2016) nella sezione <i>Il gioco capitalista
degli Elohiym falsi e bugiardi</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/10/il-gioco-capitalista-degli-elohiym.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/10/il-gioco-capitalista-degli-elohiym.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>8</sup> Chi volesse approfondire l’argomento può farlo grazie alla
lettura del mio scritto intitolato <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i> pubblicato nella mia opera <i>Filosofie sadiche</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>9</sup> A tal proposito rinvio il lettore alla mia analisi indicata
nella nota 3.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>10</sup> Giudico qua utile consigliare di
leggere un mio lavoro: <i>La genesi
dell’umanesimo italiano</i> dentro la mia monografia <i>Radici occidentali</i> (2021).</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/la-genesi-dellumanesimo-italiano.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/la-genesi-dellumanesimo-italiano.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>11</sup> Si veda nota 4.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>12</sup> A chi desidera un approfondimento
sul tema consiglio di leggere una mia analisi, <i>Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi</i>, contenuta
nella mia pubblicazione <i>Considerazioni
letterarie</i> (2014).</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>13</sup> A questo proposito mi sembra
interessante suggerire la lettura di un mio scritto: <i>Un inquietante brano neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo
nudismo</i> nella mia opera <i>Radici
occidentali </i>(2021)</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html</a></span></div><span color="rgba(0, 0, 0, 0)" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-24057709903685178672023-07-01T08:57:00.005+02:002023-08-15T11:11:02.399+02:00LO STRANO CRISTIANESIMO DEL “TITO ANDRONICO” SHAKESPEARIANO<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9eG84zwpC2VHlQPJYRIHPZ9YUyM11CKN8VI2PwzhIpBd0Q_CL1zqQr-WHZAU_UK-hVwQecIrGWDlgtTZf32T4SeFY6uJMWauFnToFcWSpRPMtHpE7Beew3LeuvaRN97XAhmdSp6zBkvd2lBvxVg2FiENz0KUlFYdvr0blrioCqNcfyxp8WTdCCBnyT1Y/s295/a.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="295" data-original-width="235" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj9eG84zwpC2VHlQPJYRIHPZ9YUyM11CKN8VI2PwzhIpBd0Q_CL1zqQr-WHZAU_UK-hVwQecIrGWDlgtTZf32T4SeFY6uJMWauFnToFcWSpRPMtHpE7Beew3LeuvaRN97XAhmdSp6zBkvd2lBvxVg2FiENz0KUlFYdvr0blrioCqNcfyxp8WTdCCBnyT1Y/w159-h200/a.jpg" width="159" /></a></div>Il “Titus Andronicus”, tragedia attribuita a William Shakespeare, rappresenta un’opera teatrale richiedente una ponderata analisi
volta a farne emergere le sottostanti radici concettuali, le quali devono
essere quelle della forma mentis dell’autore del testo, e non quelle
provenienti da un’operazione di lettura ed esame ermeneutico con categorie
culturali di altri tempi e altri contesti posteriori estranei. Il “Tito
Andronico” shakespeariano così inquadrato figura tra le cose peggiori che io
abbia letto, e ne illustrerò con chiarezza analitica il perché. Voglio
cominciare la mia esposizione dei miei pensieri critici rilevando nella
tragedia una dicotomia canonica negli ambienti di cultura cristianizzata e
cristiana: la divisione della gente in “buoni” e “cattivi”. Su un fronte sono
indicati tutti i cattivi, le loro colpe e i loro difetti. Gli altri, che hanno
effettuato tale selezione morale, risultano dunque essere i buoni sine macula.
L’Occidente – sia che fosse protestante sia che fosse cattolico – da quand’è
cristiano continua a proporre simile rigida dicotomia nella morale e nella
politica, nei fatti interni e in quelli esteri. Io reputo questo modello
interpretativo molto inappropriato, in quanto frutto di radicalismo nevrotico
religioso. A mio modesto sentire non esistono realtà angelicate che combattono,
al pari degli eroi dei fumetti, contro un raggruppamento di demoniaci
farabutti. La realtà mi sembra più complessa e di difficile comprensione a
sguardi superficiali, ingenui, ignoranti. Ho notato nel caso del “Titus
Andronicus” che le stesse nefande condotte se attuate dai buoni producono
azioni moralmente buone, se viceversa sono i cattivi a macchiarsi di gravissime
colpe analoghe (e ovviamente restano sempre ingiustificabili e da condannare)
sono ritenuti responsabili in negativo. È chiaro che il problema è costituito
dai primi, da una loro non corretta valutazione. Vedremo subito meglio come il
cruento comportamento dei buoni non possa essere qualificato positivo. Se
andiamo a guardare con sincero occhio critico l’apertura della tragedia
analizzata non possiamo negare che tutte le vicende traggano origine da una
decisione inaccettabile assunta da Tito Andronico. Egli sta nello schieramento
dei buoni, vive in un Impero romano ormai cristiano, e chiede di sacrificare il
primogenito della sconfitta regina nemica Tamora in memoria dei di lui figli
caduti nello scontro coi Goti. Un cristiano ha preteso un sacrificio umano: non
quadra niente davanti alla ragionevolezza. Certamente possiamo pensare al
veterotestamentario caso della figlia di Iefte, ma una tale organicità
rappresenterebbe l’ennesimo inciampo dei cosiddetti buoni al cospetto di una
morale molto più sensata e ragionevole quale quella kantiana. Se ancora
all’epoca shakespeariana è possibile comunemente pensare l’uccisione di un
individuo umano in maniera leggera, quasi fosse un ludo offerto dalla giustizia
(secolare o divina), ai nostri tempi in cui possiede cittadinanza migliore
riflessione illuministica non possiamo fare a meno nell’esame di evidenziare
quei limiti nella vita sociale, limiti i quali io giudico molto gravi. Il
diritto alla vita, all’integrità personale, alla salute rimangono diritti di un
condannato che espia una pena in una struttura di reclusione. Non è mai stato
lecito ammazzare e/o torturare qualcuno/a con procedure pseudogiudiziarie.
Tuttavia nel “Titus Andronicus” l’omonimo protagonista non sfoggia la moderna
intesa carità evangelica, per lui appare caritatevole sacrificare un altro
umano vivo – al pari di Iefte o come stava operando Abramo – alla memoria dei
suoi figli defunti. Se si mette in scena un incipit simile in un ambiente di
formazione cristiana (non riveste particolare importanza che sia a vocazione
protestante), e non ci si preoccupa di eventuali reazioni avverse, allora v’è
da reputare che si sta dando alla massa in pasto ciò che vorrebbe mangiare. Se
in quell’era a essa piaceva, io oggigiorno lo giudico disgustosissimo. Nella
tragedia, nel momento in cui Tamora cerca di salvare il figlio dall’inumana
volontà di Tito Andronico ella conclude che la “pietas” di lui si mostra
“irreligiosa” e “crudele”. Ce l’ha appena detto la cattiva Tamora, perciò quel
sacrificio in ambiente cristiano, nella logica di Shakespeare accettata da
quelli che gli stavano attorno, è canonico e giusto: si può sacrificare
tranquillamente la figlia di Iefte. Quando in seguito alcuni mostri ne fanno
emergere altri, di che cosa ci si stupisce? Resto enormemente contrariato a
vedere che fra i buoni i mostri tendano a rimanere buoni, e lo rileveremo più
avanti con rinnovata mia disapprovazione. Comprendere le dinamiche genetiche
del comportamento dei cattivi naturalmente non equivale a sollevarli dalle loro
responsabilità. Ciò vale per la realtà e pure per le fiction. Nel “Tito
Andronico” voglio però evidenziare con quale spirito sia stato costruito il
personaggio di Aronne, l’amante di Tamora. Io considero il negativo spirito
suprematista bianco che lo informa, e dico negativo a indicare il contrasto
poiché lui è un nero, estremamente vergognoso. L’autore della tragedia ha
letteralmente paragonato un uomo in relazione al colore della sua pelle a un
diavolo infernale. Il suprematismo bianco, che c’era e c’è negli USA, proviene
da quello dei coloni inglesi. L’inqualificabile costruzione del personaggio di
Aronne, connotato nella tragedia in modo innegabilmente diabolico, ci dice
parecchio in quale guisa pensassero gli Inglesi sulle due sponde dell’Atlantico
settentrionale. Il nero Aronne nella sua vocazione a progettare il male si
rivela surreale. Sotto il profilo psicanalitico appare degno di un romanzo
sadiano. La sua abnormità psichica, tendenziosamente per spirito suprematista
bianco, collegata dall’autore della tragedia al colore nero della pelle, ci
spalanca una nuova porta critica: tematiche sadiste sono variamente presenti
nel testo shakespeariano<sup>1</sup>. Aronne parla come un mostro sadico e induce
i due rimanenti figli di Tamora a stuprare Lavinia, la figlia di Tito
Andronico. Pure Tamora approva l’iniziativa. Cosicché seguendo un copione
sadista per psicopatici fruitori i due mostri la violentano, quindi le tagliano
la lingua e le mani. A questo punto formulo la domanda sottintesa: che specie
di gente andava a guardare rappresentazioni teatrali del genere allo scopo di
svagarsi? Il “Titus Andronicus” è un’opera sadista. Tra tutti i dettagli di
sadismo presenti nel testo, e in conclusione ne segnalerò altresì a carico di
Tito Andronico, mi ha colpito di trovare la meno psicopatologica delle
analogie: una menzione significativa dell’Etna. Tant’è che ipotizzo che D. A.
F. de Sade possa aver letto questa discutibilissima
tragedia shakespeariana, la quale gli abbia lasciato suggestioni. Comunque,
adesso passiamo al personaggio di Tamora. Analogamente al suo amante nero anche
lei incarna un altro topos negativo. Se ai neri schiavizzati nella realtà si
prospetta l’etichetta di diavoli infernali, a Tamora tocca la più classica
elaborata dalla misoginia cristiana: lei è l’amante del Diavolo, è la lussuriosa
senza limite porta dell’inferno. Simile circolo di idee messe in scena a fine
propagandistico razzista e misogino mi lascia molto urtato nel tempo in cui
lamentiamo ancora questi mali, e soprattutto a vederne vecchie radici. Tamora e
Aronne rappresentano due exempla di pregiudizi. Una mente equilibrata all’epoca
shakespeariana non avrebbe prodotto una tale tragedia dove il figlio nero dei
due (lei è bianca) viene descritto in una maniera cristianamente tutt’altro che
convenzionale: viene accostato a un animale che non fa pendant con la
bianchezza dei buoni. Questa vomitevole chicca suprematista dovrebbe indurci a
riflettere quando leggiamo qualsiasi cosa: parlando in generale, non è
difficile manipolare i lettori i quali non verificano su eventuali originali in
altre lingue, né è altrettanto difficile indurre a interpretazioni deviate e
devianti chi sconosce la storia studiata bene. Se volessi fare un paragone del
“Titus Andronicus” shakespeariano con un’altra opera formalmente simili nelle
intenzioni, indicherei il “Tractatus adversus Judaeos” di Agostino d’Ippona<sup>2</sup>.
Non mi pare positivo il fatto di consentire a questi grandi classici (?) della
cultura occidentale l’etichetta di buoni per tutte le ruote allorché, ammesso
che abbiano scritto pure qualcosa di apprezzabile, tra i loro scritti si
trovano monumentali bestialità. Si chiama onestà intellettuale e ci restituisce
una verità più vera e meno gnostica: i buoni non sono santi al 100%; i cattivi
non sono usciti dall’inferno, e a volte potrebbero magari mostrarsi migliori
dei primi se posti sotto diversa luce. Non è il caso del “Titus Andronicus”,
dove due schieramenti di simile valore negativo si misurano. È dalla parte dei
buoni che viene fuori l’idea, a quanto pare buona (?), di uccidere il neonato
nero. Tale gravissimo crimine si chiama infanticidio, e sta là a ornamento
narrativo avanzato dai buoni. Se i cattivi sono sadici, i buoni non scherzano.
Studiando la civiltà occidentale e i suoi prodotti culturali ho capito che
occorreva una ermeneutica contestuale, e che al riguardo delle società
cristianizzate i più non ne capiscono l’evoluzione. Nella nostra era la massa
pensa la carità evangelica e i valori cristiani come contenuti positivi.
Perlopiù è ormai così ora: regnano spiriti conviviali nei gruppi, la
religiosità si accompagna a lieti momenti consumistici e di divertissement. Si
cerca di pensare altresì ai bisognosi in qualche circostanza, ma senza turbare
il clima festoso con idee fuori mano (del tipo: abolire le banche private). In
effetti il Cristianesimo ha camminato sempre da Costantino in avanti accanto al
potere politico. Sino all’epoca illuministica è stato dominante,
successivamente è iniziato il declino a vantaggio del liberalcapitalismo vicino
al Protestantesimo (Weber). Puntualizzo ciò per rammentare che le evoluzioni
sociali dei contesti cristiani non sono tutte uguali. Ciò che intendo dire è
che quanto oggi si intende con carità evangelica e valori religiosi cristiani
non costituisce la medesima cosa di era anteilluministica. V’è stato un
graduale passaggio di correzioni di posizioni nei cristianesimi durante
l’Ottocento e il Novecento fino a giungere a oggi dove in luogo di roghi e
torture di streghe, omosessuali, eretici, non allineati, ci sono panettoni,
colombe e uova di pasqua festosamente scambiati in dono. Ai tempi di
Shakespeare le categorie ideali del Cristianesimo erano altre. Quelle le quali
possiamo osservare nel “Titus Andronicus”, per me un monumento di radicalismo
nevrotico e pregiudiziale di ascendenza religiosa. Qualcuno potrebbe replicarmi
che quello fu cristianesimo mal capito. Con tutto il rispetto, modestamente
secondo me, altri hanno mal compreso il Cristianesimo preilluministico. Una
delle primissime novità del morente Impero romano assorto alla religione unica
di Stato fu il rogo riservato agli omosessuali, per dirne una. Per dirne
un’altra: è nota la plurisecolare “mal comprensione” dello schiavismo, non
condannato dalla Bibbia, e ritenuto dunque lecito troppo a lungo per poter
ipotizzare quest’idea fantasiosa di “mal comprensione”. In alcune circostanze
le cose sono quelle che appaiono, basta verificare bene, però girarci attorno
non serve a gran che nel tentativo di salvataggio<sup>3</sup>. Il Dio biblico
uccide tutti i primogeniti degli Egizi: che problema c’è nella logica
shakespeariana a proporre con disinvoltura l’uccisione di un neonato nero
figlio di un diavolo e della porta dell’inferno? Risposta: a quanto pare,
nessuno. È una cosa che i buoni possono fare. Su questa falsariga viene
consentito a Tito Andronico di giurare odio sino alla vendetta. Il fratello di
costui mostra persino toni xenofobici. Loro, essendo i buoni, possono fare e
dire quello che vogliono. Mentre i cattivi sadici stupratori Chirone e Demetrio
vengono accusati di aver ereditato dalla madre la loro natura deviata e
ipocrita, il che produce l’ennesimo esempio della feroce misoginia di
quest’opera teatrale. Neanche a Lavinia, la figlia di Tito Andronico, è
riservato un trattamento di favore in qualità di vittima, come vedremo, nel
finale della tragedia. Il suo personaggio, così orrendamente trattato, alla
nostra più moderna matura sensibilità suscita uno spirito di immediata
solidarietà emotiva. Ma in quell’epoca dove le donne si potevano facilmente
torturare e uccidere per stregoneria, io reputo che la figura di Lavinia
colpita fosse percepita diversamente. Una società che causa il massacro di Salem
non rispetta le donne, non pensa come noi. Pensa invece che queste innanzitutto
si possano torturare e ammazzare in forza di assurde motivazioni religiose
oscuranti una lucida razionalità e impedienti il suo valido uso. Il caso di
Lavinia costituisce exemplum del modo in cui la vecchia cultura cristiana
misogina potesse pretendere e mettere, poi a parte nella realtà, in atto
qualsiasi forma di violenza sopra il corpo femminile. Non posso giudicare
altrimenti la proposizione al pubblico di allora di simili contenuti sadici
senza sospettarne assuefazione. È come se si volesse rendere convenzionale la
violenza estrema a danno del gentil sesso, a prescindere dalla fonte: le donne
sono porte dell’inferno ontologicamente e quanto meno in potenza, a colpirne
una si colpirebbe sempre un soggetto di natura diabolica, per cui non vale la
pena prendersela così tanto. E infatti noteremo che a Tito Andronico non
interessa vendicare la figlia in quanto donna offesa, a lui interessa vendicarsi
dello stupro (per cui sua figlia avrebbe perso la sua purezza originaria) e
dell’offesa familiare di ritorno. Lui stesso ci dice che le mutilazioni patite
da Lavinia sono inferiori alla perdita della castità. Quando uno si esprime in
siffatta guisa convalida tutti i miei ragionamenti. Che Cristianesimo è quello
che autorizza Tito Andronico a usare i cadaveri di Demetrio e Chirone per farne
pietanze da offrire a Tamora? Ciò è puro sadismo. Se la tragedia greca
possedeva uno scopo catartico, qua invece si fa propaganda di misoginia,
razzismo, xenofobia, e si offre al fruitore macabro compiacimento. Siamo agli
antipodi: se da un canto esisteva un fine pedagogico, qui l’obiettivo si rivela
differente. Manipolare e adescare il pubblico in direzione di contenuti estremi
e psicopatologici. I moderni possono rileggere il “Titus Andronicus” alla luce
della forte simpatia verso Lavinia, mettendo in secondo piano tutto il resto
come fosse acqua passata. Però così non capiremo molto, a cominciare dal
passato le cui radici archetipiche si prolungano sino a oggi. Non potremo mai
capire il presente al di fuori di un’adeguata conoscenza del passato. Io credo
ad esempio che i femminicidi che si verificano ai nostri tempi in Italia siano
il prodotto di una sedimentazione di inerzia comportamentale maschilistica e
misogina di cui si è smarrita la visione della radice nevrotico-religiosa
sepolta dai secoli e dall’ignoranza storica. Per comprendere le cose c’è da
scavare, la superficie non dà tutta la verità. Prima di passare alla
conclusione della mia analisi c’è un dettaglio testuale della tragedia
esaminata che vorrei far notare, principalmente nell’ottica della mia
trattazione. Ho parlato di Lavinia quale un personaggio nella costruzione
shakespeariana non molto tutelato nella sua femminilità personale. Il senso di
quest’offesa completa il testo lo esprime in un punto preciso, laddove lo zio
Marco trova Lavinia violentata dai due mostri sadici e la definisce «cervo che
ha ricevuto alcune ferite incurabili». Non so se qualcuno prima di me abbia
rilevato l’analogia con “Il cervo ferito” di Frida Kahlo. Il dipinto kahloista
ci comunica la condizione di Lavinia, giacché rileva la femminilità offesa e
ferita in ogni tempo e in ogni dove in un’immagine concreta pittorica. Questa è
comunque imago unisex poiché l’ho ritrovata pure nel “Frankenstein; or, the
modern Prometheus” di Mary Shelley in relazione al protagonista scienziato. Il
cervo ferito rappresenta un simbolo junghiano dell’umanità in generale offesa e
ferita. Dopo aver evidenziato le aberrazioni di gran parte del “Titus
Andronicus” mi resta di visitarne il finale alla luce di quanto ho scritto
sinora. In tale finale di tragedia compare una chicca di fatalismo protestante
protoweberiano. Ma mi voglio soffermare meglio sulle bestialità di Tito
Andronico. Quando costui definisce Tamora «madre di cani usciti dall’inferno»,
mi fa pensare al Gesù evangelico che insegnò a non dare le cose sante alle
cagne (secondo me il sostantivo del testo greco biblico è al femminile). Dalle
bestialità dette (perché Tito Andronico dimentica che è stato lui il primo a
uccidere e a innescare il meccanismo tragico) passiamo alle bestialità fatte
alla fine. Dopo aver fatto mangiare a Tamora a di lei insaputa le carni dei
figli preparate ad hoc nel migliore stile sadico (però rammentiamo che lui
appartiene all’esercito dei buoni) uccide ex abrupto la figlia, in quanto, a
detta di lui, avendo perso la castità costituiva motivo di vergogna e dolore
per lui. Questo non è un buono, è buono per la detenzione di criminali
psicopatici. Tuttavia l’impostazione dicotomica narrativa della tragedia ci
spiega che è giusto compiere determinate per noi moderni ormai nefandezze
giacché una morale nevrotica religiosa esige condotte da folli. Tito Andronico
trova la faccia di affermare che i reali assassini siano stati de facto
Demetrio e Chirone col loro sadico gesto. Il “Titus Andronicus”, in parole
povere, sta proponendo, per bocca dei buoni, l’eutanasia a carico delle
fanciulle violentate. Un femminicidio a Tito Andronico non basta e ammazza pure
Tamora. Che cosa avrebbe dovuto imparare di utile la gente del popolo a
guardare simile sadico surrealismo orrorifico? A diventare più insensibile e
accondiscendente verso un regime misogino e razzista? In un irreale gioco di
uccisioni la tragedia si chiude con le altri morti di Tito Andronico e
dell’imperatore. Un figlio del primo prende il posto del secondo: i buoni (?)
sono salvi e possono fare giustizia (il resto di sadica vendetta). In
particolare al cadavere di Tamora tocca una sorte simile a quella della regina
Gezabele. La conformità religiosa è stata fatta salva. Soprattutto se pensiamo
al Gesù evangelico il quale sostenne di non essere venuto a portare pace bensì
spada. Tutti i morti ammazzati della conclusione del “Titus Andronicus” si
mostrano “canonici”. L’importante è che i buoni trionfino, poi se c’è una
logica malata in tale pretesa, all’epoca, pare non lo percepissero in molti.
C’è voluto l’Illuminismo al fine di cominciare un percorso migliore e diverso
per l’Occidente, cammino che tuttavia a tutt’oggi, nonostante larghissimi
miglioramenti, resta ancora da completare.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Analisi
letterarie e filosofiche”</div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><a href="https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche">https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche</a></span></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Circa un approfondimento sul sadismo indico un mio studio: <i>La tanatolatria di de Sade</i> contenuto
nella mia monografia <i>Filosofie sadiche</i>
(2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> A chi interessasse approfondire il paragone consiglio la
lettura di un mio lavoro: <i>Nevrosi e
irrazionalismo in Agostino d’Ippona</i> presente nel mio saggio intitolato <i>Teologia analitica </i>(2020).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Reputo utile al lettore ricordare una mia analisi pubblicata
dentro la mia opera menzionata nella nota precedente, recante il titolo <i>Aristotele e il pericoloso regno di Dio</i>.</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio.html</a></span></div><span style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-40798787305448200652023-07-01T08:56:00.000+02:002023-07-01T08:56:03.021+02:00LE VIE CRITICHE DI “METROPOLIS”<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"> </span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipCu9lSp41RqtQMVEX2nNd1nrb6nsbMkLKDA3uGPovf6uiLvRZQr4Ikxwu6mZL0zfKudcRMm7YIHYISDvfxWnq2vgeTlQ_hJQkvfQ8ul0oaQ4wVgJUpO9PhLQUSTyya3nEuaPTpjbtX93yNSqm9FESz8QFuCc97oFxjyC79R0v-b9WdMsTizZTS9k3_GE/s448/b.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="448" data-original-width="306" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipCu9lSp41RqtQMVEX2nNd1nrb6nsbMkLKDA3uGPovf6uiLvRZQr4Ikxwu6mZL0zfKudcRMm7YIHYISDvfxWnq2vgeTlQ_hJQkvfQ8ul0oaQ4wVgJUpO9PhLQUSTyya3nEuaPTpjbtX93yNSqm9FESz8QFuCc97oFxjyC79R0v-b9WdMsTizZTS9k3_GE/w137-h200/b.jpg" width="137" /></a></div>Nel 1927 fu proiettato per la prima volta al pubblico il divenuto celeberrimo film muto “Metropolis”. Il regista ne era Fritz Lang,
autore della sceneggiatura assieme alla moglie Thea von Arbou (1888-1954).
Costei, scrittrice, attrice, nonché pure regista, era stata l’autrice del
soggetto della pellicola. Precedente al film, ambientato nel 2026, era infatti
l’omonimo romanzo di Thea von Arbou, uscito a puntate su un periodico tedesco
nel 1925. Mi soffermerò a parlare di questo. La vicenda è incentrata nella
distopica città di Metropolis, posta sotto il controllo di un tiranno
tecnocrate capitalista. L’idea che in passato avevo espresso sul rapporto di
lavoro subordinato di un prestatore d’opera per cui tale rapporto si qualifica
nel regime capitalistico quale una forma di stupro a svantaggio del lavoratore,
di cui appunto si abusa della sua dimensione corporea nella fornitura,
pressoché coercitiva, dell’opera (volta a ottenere mezzi di sussistenza) è
presente nelle parole del despota Joh Fredersen, rivolte al figlio Frederer,
allorché lui esplicitamente evoca l’immagine del congresso carnale a proposito
della piacevole disponibilità, a suo modo di vedere, di un fornitore d’opera
che sarebbe disposto volentieri a svolgere il lavoro di più altri per puro
spirito di soddisfazione. Nel ragionamento di Fredersen torna la mia idea di
uno stuprum, ma egli la ribalta nella valutazione qualitativa, sostenendo che
quella che ai miei occhi sarebbe una vittima di circostanze costringenti
diversamente sarebbe consenziente e ben disposta a quello che io considero un
abuso. Fredersen anticipa già qui un primo punto embrionale di carattere
edonistico dello huxleyano Brave New World<sup>1</sup>. Il piacere non è
sostanzialmente molto evidente, ma la sua forma è ormai il quadro di
inserimento dell’agire umano. Egli chiarirà inoltre che non è l’impegno nella
nuova gestione produttiva dominata dall’innovativa veste tecnica a logorare gli
individui, è semmai la loro inadeguatezza. Quindi conclude che non potendosi
cestinare la manodopera non all’altezza resta necessario differenziare la
collocazione nell’assetto. In parole povere sta prefigurando le diverse
categorie sociali huxleyane da α a ε, dove ognuno è felice di trovarsi e rimanere
stabilmente al livello in cui si vede. Una reminiscenza letteraria in
“Metropolis” mi offre l’opportunità oltre che di indicare un piccolo
riferimento nel passato di porre altresì l’impianto del testo di Thea von Arbou
(nei suoi limiti distopici) quale prodromo della mia psicostoria esposta nelle
mie opere<sup>2</sup>. Joh Fredersen ha chiesto al suo scienziato servitore
Rotwang di creare androidi da sostituire agli umani al servizio delle
meccanizzate catene produttive, però il secondo progetta e costruisce il modello
di una ginoide, la quale chiama inizialmente anche Futura. Non possiamo fare a
meno di pensare a “L’Ève future” di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam<sup>3</sup>
in simile analogia di denominazione. Fredersen replica, nel testo di Thea von
Arbou, a Rotwang che non aveva ordinato una donna giocattolo. Il primo non si è
reso conto che lo scienziato aveva inventato le sex doll. Questo rappresenta un
argomento il quale percorre il mio distopico schema storico sull’avvenire e che
nel romanzo “Metropolis” rilevato al di là delle righe, nel profondo
potenziale, ricollega ulteriormente all’edonismo di “Brave New World”. Il
personaggio di Maria, in “Metropolis”, inaugura molteplici piani di analisi
attraverso la sua figura proiettati. Ella parla del bisogno di una mediazione
tra la facoltà dirigenziale, ossia la capacità razionale, e la messa in atto
dei comportamenti, mediazione la quale deve accadere mediante la facoltà sentimentale.
È lampante nelle sue parole uno spirito junghiano, un richiamo all’equilibrio
delle facoltà razionali in senso lato nella psicologia analitica di Jung individuate
nella “ragione (stricto sensu)” e nel “sentimento”. Ella sta discutendo in
termini collettivi nel romanzo, ma il suo parlare come Menenio Agrippa assume
una valenza psicologica in singulis. Non c’è equilibrio inter homines senza
prima equilibrio in interiore homine. Il di lei discorso sul mediatore si
connota di tinte messianiche religiose, assumendo una seconda valenza esteriore
la quale mi rammenta il pensiero in materia di Simone Weil. Costei ha posto in
maniera incisiva l’accento su simile concetto di mediazione, evocato con pari
enfasi da Maria. Ella sollecita i suoi ascoltatori a non affidarsi alla
violenza nella risoluzione del conflitto sociale capitale/lavoro, e ad
attendere l’incruenta mediazione. È possibile qua immaginare un pacifico
auspicio di Thea von Arbou di superamento delle reali e storiche tensioni
sociali a inizio ’900, un augurio che mostra chiedere di accantonare un
sovvertimento rivoluzionario marxista e di caldeggiare una via peronista<sup>4</sup>.
A me Maria ricorda Evita, la madonna dei descamisados. Il mediatore che
emergerà in “Metropolis” sarà il figlio di Joh Fredersen. A lui tocca il
compito di conferire una terza valenza al personaggio di Maria. Frederer la
dipinge come una donna angelicata stilnovistica. Egli afferma che il suo
interesse verso gi altri deriva unicamente dal suo amore nei confronti di lei,
ispiratrice di nobilissimi sentimenti. Tale madonna dello Stil novo viene
descritta con parole che paiono uscite da Guinizelli<sup>5</sup>. Una forte
prefigurazione di Brave New World nel romanzo esaminato proviene dall’uso di
una droga chiamata “maohee”. Essa anticipa il “soma” e lo “sleg”<sup>6</sup>.
Mi soffermerò in particolare sullanalogia huxleyana. Nel parallelo testo dello
scrittore inglese, Bernard Marx partecipa a “liturgici” incontri di gruppo dove
si consuma il soma in preda a un delirio collegiale lungo uno slancio modulato
su evidenti suggestioni religiose<sup>7</sup>. In “Metropolis” una simile
prassi, irrazionalistica, edonistica, ha già luogo: avviene un consumo di
“maohee” in comitiva, dove tutti sballano su una piattaforma rotante a foggia
di conchiglia ubicata dentro un rinomato locale cittadino. Caratteristica di
questa droga, provocante esperienze molto intense, è che poi non lascia memoria
di quanto vissuto successivamente all’assunzione e durante lo sballo. A
proposito della figura di Joh fredersen esiste una seconda tangenza con mie
idee espresse in passato, allorché il figlio Frederer paragona il padre nella
qualità di cittadino tiranno capitalistico, a un Dio. Io parlai<sup>8</sup> in
relazione al tema più generale di un possibile atteggiamento nevrotico che
spingerebbe gli oligarchi capitalisti a ritenersi e a proporsi (velatamente o
meno) come una sorta di Elohiym, di soggetti i quali in virtù del vampirismo
del tempo altrui (nell’arco di cui si sviluppa il corso produttivo di tutti i
beni, materiali e immateriali) riescono a sommare un accumulo di potenzialità
sproporzionata rispetto al resto della società grazie al denaro di cui si
appropriano, nel momento in cui la moneta equivale a potenza di tempo-lavoro
che costoro non dovrebbero attuare personalmente. Perciò la vita dei capitalisti
possiede confini qualitativi e quantitativi più ampi in confronto agli altri,
tali da farli apparire Dei muniti di sovrumani poteri; poteri che ci sono, ma
non divini, e sovrumani nel senso in realtà concreto in quanto somma di
sottrazioni ai singoli, somma la quale si viene a sovrapporre quale ingannevole
astrazione sopra la comunità, a un piano falsamente giudicato divino. Nei fatti
non esistono Elohiym, ma sempre esseri umani che comunque riescono ad avere
un’esistenza più lunga giacché il loro tempo non è vampirizzato dalla servitù
del lavoro, la quale potrebbe essere ridotta a vantaggio di tutti, o
praticamente addirittura quasi abolita grazie alla moderna tecnologia. In
seguito a ciò ho parlato di «dei falsi e bugiardi». In “Metropolis” compare una
dicotomia “mondo infero / mondo supero” che invertita nella sua proiezione
distopica si era mostrata nel romanzo wellsiano “The time machine”. Qua ci sono
i Morlock, degenerazione della classe capitalistica, sottoterra, e gli Eloi,
prosecuzione della discendenza dei prestatori d’opeta, sulla superficie. Nel
testo di Thea von Arbou la dicotomia viene ricondotta a un ordine originario:
sulla terra ancora i gaudenti benestanti, in spazi sotterranei abitano e si
riuniscono i proletari guidati da Maria. Nella narrazione Rotwang crea una
ginoide, be tselem di Maria per volontà di Joh Fredersen. Questa è destinata a
sostituire quella reale in modo tale da poter ingannare la massa. La dicotomia
Maria-organica/Maria-ginoide è ricca di contenuti critici. Un primo grado di
analisi inerisce alla sfera sociopolitica immediata. La vera Maria si rivela a
mio modo di valutare le cose “peronista”: sostiene la collaborazione sociale,
la fratellanza simboleggiata nell’escudo peronista. La Maria inorganica, per
volere machiavellico di Joh Fredersen, istiga alla violenta lotta di classe, a
una rivoluzione di ascendenza marxista. Questo primo gradino di lettura rinvia
a un secondo di natura filosofica, e mi riferisco alla biga alata platonica. Il
mito testé citato in Platone assume una valenza psicanalitica, come ben
sappiamo. Associo la prima Maria, quella reale, che ci ha parlato della
necessità della mediazione del “sentimentale” junghiano, al cavallo bianco,
simbolo della sfera emozionale. Un’immagine positiva cui si oppone a latere il
cavallo nero, l’altro simbolo stavolta negativo della sfera passionale.
L’insegnamento platonico chiede di non abbandonarsi alle pulsioni animali
freudiane. La dicotomia fra le due donne, la Maria urania e la Maria ctonia,
ribadisce la sostanza del mito di Platone in altra guisa narrativa. Un terzo
livello di interpretazione prosegue la scia psicanalitica per addentrarsi nel
campo religioso. Le vicende di “Metropolis” si connotano qua e là con marcate
tinte religiose cristiane dai toni cupi e apocalittici. La figura di Maria
viene investita dalla misoginia biblico-patristica a prescindere dall’essere
quella in carne e ossa o la ginoide. La frangia religiosa estremista
metropolitana capeggiata dal monaco Desertus, e avversa al capitalista Joh
fredersen desideroso di abbattere la cattedrale cittadina per fare spazio
urbano, viene aizzata da questo novello Savonarola contro costei, indicata come
al solito quale la pericolosissima porta dell’inferno. A proposito di questo
piano religioso il romanzo di Thea von Arbou è pervaso da uno spirito
francescano che anima la Maria urania e respinge da un lato i toni esagitati di
Desertus, i quali non sono meno pesanti di quelli che hanno storicamente
causato il femminicidio di Ipazia di Alessandria, e dall’altro le istigazioni
(in mala fede) della Maria ctonia a pro della rivoluzione. In fin dei conti, se
andiamo a fondo del problema, non rappresentano le macchine in sé il male bensì
l’uso che se ne fa. La tecnologia e la meccanizzazione migliorano e snelliscono
la produzione. Nefasto risulta asservirvi uomini, e per giunta pochi (con orari
non adeguati). Lavorare meno, lavorare tutti, e grazie alle macchine lavorare
tutti poco e niente. Il nocciolo della questione non è tanto il dominio formale
della tecnica, ma l’uso capitalistico della tecnologia. Le macchine migliorano
la vita, però non abbiamo bisogno di invenzioni belliche mortali o di creare
una classe di servi in lotta inter se per essere assunti a scopo di
sussistenza. Ci vuole intelligenza nella massa, nonché una guida onesta. Il
progetto escogitato da Joh Fredersen, mirante a recuperare la vicinanza del
figlio, persa a causa di Maria e del di lei impegno nell’incruenta lotta
sociale, prevedeva che la ginoide (segretamente posta in sostituzione della
rapita vera Maria) istigasse la massa dei lavoratori di Metropolis al luddismo.
Il fine quello di distruggere assieme alle macchine anche i sistemi che tengono
in vita la città sotterranea proletaria. I suoi abitanti non si rendono conto,
inebriati dallo spirito della rivolta anticapitalistica, che danneggiare la
sede centrale di controllo degli apparati meccanici metropolitani avrebbe
provocato un allagamento delle loro aree residenziali collocate sotto il
livello della superficie terrestre. In queste pagine ho trovato singolare
sentire sulla bocca di Joh Fredersen parole, rivolte al figlio, analoghe a
quelle dell’evangelico Gesù Cristo quando sottolineò a chi lo ascoltava che è
più importante curarsi dei vivi che dei morti. Nel subbuglio generato dai
proletari capeggiati dalla ginoide si inseriscono dal canto loro i fanatici di
Desertus inneggianti all’apocalisse e sempre a parte i colpiti dall’inondazione
sotterranea desiderosi di vendicarsi sopra Maria ignorando che in giro ve ne
sono due, la ginoide e l’organica (liberatasi dalla prigionia). Questa grazie
all’aiuto di Frederer salverà i figli dei proletari da simile sorta di diluvio
universale infero cercato da Joh Fredersen. La Maria ginoide viene presa da chi
nutriva desiderio di vendetta e messa al rogo. Riguardo a ciò mi pare il caso
di evidenziare il comportamento irrazionalistico di tale parte di folla che ha
reclamato letteralmente l’uccisione di una strega. Qui non ha rilevanza il
luddismo di costei, bensì l’inaccettabile e sadico atto compiuto da persone che
non è possibile definire esseri umani. Considero bestie tutti quelli che nei
secoli scorsi sono stati a presenziare a una condanna al rogo, in ispecial modo
a quelle organizzate da istituzioni religiose cristiane. Perché non si capisce
dove sia andato a finire l’amorevole (?) messaggio che abbraccia ciascuno (a
meno di concludere che non fosse stato ideato così tanto amorevole e così molto
esteso a ognuno). Ho il sospetto che, oltre al sadismo collettivo, l’odore di
carne arrostita e infine carbonizzata non fosse sgradevole bensì ricercato. Se
la Maria ctonia stimola luddisti istinti per rimanere vittima ingiustificata di
altri bestiali irrazionali istinti, la Maria urania salva i figli dei proletari
dal castigo “divino” di Joh Fredersen. La prima possiede accenti dionisiaci e
tragico-shakespeariani, incarna l’irrazionalismo e gli effetti collaterali di
ritorno in linea formale: l’irrazionalismo finisce con l’autodistruzione.
L’altra Maria invece, «madre de todos los niños, […] de los descamisados», mette
in sicurezza poi i bambini salvati presso la sede di “svago” dei giovani
appartenenti alle ricche famiglie di Metropolis. In relazione a questo
passaggio letterario ho rilevato un nuovo piccolo parallelismo col venturo
huxleyano romanzo “Brave New World”. Thea von Arbou ci comunica che le pórnai
in quella casa di divertimenti impiegate si erano mostrate in quella
circostanza spontaneamente nella veste affettuosa materna nei riguardi dei
fanciulli entrati. Nel testo di Aldous Huxley v’è un brano con Lenina Crowne e
Bernard Marx alla riserva, dove lui le dice che la maternità la adornerebbe,
facendola inorridire. Ancora una volta notiamo un accostamento letterario
analogo in contrasto. “Metropolis” si chiude in una guisa junghiana. Centrale è
qua l’immagine di Joh Fredersen la quale gioca il ruolo simboleggiante la
divinità. Jung ha criticato nella teologia del Dio cristiano la sua mancata
associazione col suo antagonista, il quale è rimasto personificato e
pietrificato in un personaggio rigidamente separato ma pur esprimente
nonostante il suo radicale rifiuto una dimensione della libertà. Ovviamente il
male non va attuato, però mutilare il pensiero della capacità di cogliere tutte
le possibilità equivale a un taglio alla libertà medesima in abstracto. Joh Fredersen
ha agito in un primo momento, quando è scattato il suo machiavellico disegno, a
mo’ del Dio veterotestamentario il quale non aveva allora un antagonista morale
bensì Dei simili concorrenti<sup>9</sup>. La ricomposizione finale dell’opera
di Thea von Arbou propone una integrazione simbolica non dei piani
veterotestamentari concorrenziali dei vari Elohiym, ma una junghiana
integrazione morale dove l’assorbimento del male serve a due scopi. Il primo
più evidente appare quello di conservare la gamma della libertà possibile non
mutilata: nessuna libertà rimane sul serio tale se si circoscrivono i confini
del pensare; il che non vuol indicare la liceità di tradurre in atto tutto
quanto sia pensabile. Il secondo obiettivo si rivela l’altro appunto di
squalificare le possibilità di male dalla dignità di attuazione. A tal riguardo
possiamo notare che il Dio del Vecchio Testamento in più occasioni si mostra
privo di bontà e propenso ad azioni mortali e distruttive su scala variabile.
Ci è possibile accostare le vicende conclusive di “Metropolis” all’anello di
congiunzione concettuale biblico tra Antico e Nuovo testamento. Nel romanzo
esaminato è Frederer alla fine a rendere “morale” il padre Joh Fredersen. Ma
una analoga cosa si mostra rilevabile nella Bibbia. È l’ingresso del
neotestamentario Figlio di Dio a conferire una moralità dicotomica (Bene/Male)
al Padre: qui però col difetto di dissociare il Male personificandolo in foggia
antagonistica. Thea von Arbou nella sua narrazione ha superato tutti i limiti
teologici biblici attraverso le parti svolte dai suoi simbolici personaggi.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Analisi
letterarie e filosofiche”</div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><a href="https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche">https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche</a></span></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Al noto romanzo di Aldous Huxley ho dedicato un mio saggio
nel 2015: <i>Il capitalismo impazzito di Aldous
Huxley</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley">https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Indico il mio scritto più recente pertinente a essa e
suggerisco di seguire da lì i rimandi contenuti nelle note all’indietro verso
tutti i miei lavori in merito: <i>La
distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky</i> nella mia pubblicazione
recante il titolo <i>Distopie occidentali</i>
(2023).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/05/la-distopia-della-sciocchezza-dei.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/05/la-distopia-della-sciocchezza-dei.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> A questo noto autore ho dedicato una mia monografia: <i>Parricidio dantesco</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco">https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Allo scopo di approfondire il giustizialismo peronista
consiglio la lettura di miei studi: Il giustizialismo peronista e <i>La Fondazione “Eva Perón”</i> nel mio saggio
<i>La morte delle ideologie</i> (2011).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/il-giustizialismo-peronista.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/il-giustizialismo-peronista.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>5</sup> Dello Stilnovismo guinizelliano ho parlato in un mio lavoro
intitolato <i>Guido Guinizelli e la nascita</i></span></div></sup><div style="text-align: justify;"><i>della
sistematica caccia alle streghe</i> contenuto nella mia
opera avente il titolo <i>Radici occidentali</i>
(2021).</div><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>6</sup> Circa lo sleg si veda la mia analisi indicata nella nota 2.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>7</sup> Per approfondimenti nel mio saggio menzionato nella nota 1
si veda alle pagg. 12-14.</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>8</sup> Nella mia monografia <i>Critica
dell’irrazionalismo occidentale</i> (2016) si veda la sezione <i>Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e
bugiardi</i>.</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://lettere-filosofia.blogspot.com/2016/09/il-parricidio-marxiano-di-locke-figlio.html">https://lettere-filosofia.blogspot.com/2016/09/il-parricidio-marxiano-di-locke-figlio.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>9</sup> Al fine di
approfondire consiglio di leggere un mio lavoro: <i>Il Dio del Tanak non è solo
</i>presente nella mia opera <i>Ermeneutica religiosa weiliana </i>(2013).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/il-dio-del-tanak-non-e-solo.html</a></div></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-23180182403498476452023-07-01T08:54:00.000+02:002023-07-01T08:54:00.923+02:00INCONTRI LETTERARI CON GLI ALIENI<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtdbISwEteGw3IbNG_IPj3szBnnMSlrLrWkzRjgUd7GK8kco-adacIiz75MGYmQ5-h51utWJNuff6vEdRINUfK2FgP2in-SuOhs8zjy_qJ8iLgazVuTbXqEHPC-vmXDq0p-8JPLxibjPxO8W7RcObVzQS5YB9vWXdQVXRnIN4MrcVWn-l-_4J9wqpjLL4/s314/c.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="314" data-original-width="222" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtdbISwEteGw3IbNG_IPj3szBnnMSlrLrWkzRjgUd7GK8kco-adacIiz75MGYmQ5-h51utWJNuff6vEdRINUfK2FgP2in-SuOhs8zjy_qJ8iLgazVuTbXqEHPC-vmXDq0p-8JPLxibjPxO8W7RcObVzQS5YB9vWXdQVXRnIN4MrcVWn-l-_4J9wqpjLL4/w141-h200/c.jpg" width="141" /></a></div>Quando nel 2019 è scoppiata l’epidemia di coronavirus (poi
assorta subito dopo a pandemia) cercai di inquadrare questa fase storica, così
significativa, in termini di figurazioni-figure e di dialettica hegeliane.
Cosicché quanto mi prefiggevo di conseguire era una terna tesi-antitesi-sintesi
dove la pandemia occupasse un posto. La diffusione della covid a livello
mondiale aveva indubbiamente un connotato “negativo” in senso molto più
generale, il suo “opporsi” al mondo a essa precedente ha “limitato”
praticamente tutto: quindi non risulterà difficile il perché abbia concepito la
pandemia in termini di negativo razionale hegeliano rispetto al momento tetico
della globalizzazione. Sembra che la pandemia fosse il segnale che la
globalizzazione “illimitata” fosse entrata in una crisi la quale richiedeva un
intervento ad hoc. Tale ragionare alla maniera di Hegel postulava un movimento
sintetico il quale approdasse a un positivo razionale di più ampio margine della
globalizzazione. Ma se già abbiamo esaurito la scala planetaria, cosa ci
resterà per andare più in là? Dirigerci oltre il cielo stellato, nel letterale
iperuranio, a incontrare un’altra civiltà planetaria aliena. Ho pensato la
problematica in siffatto modo, e alla fine della pandemia mi è capitato di
leggere un romanzo di fantascienza di Robert James Sawyer intitolato “Factoring
humanity” e risalente al 1998. Quest’opera mi ha particolarmente colpito per il
fatto non solo di intrecciare miei motivi di interesse intellettuale (fra cui
uno inerente proprio all’argomento di apertura di questa riflessione), ma anche
perché la protagonista, Heather Davis, è una psicanalista junghiana. È notorio
che la mia critica letteraria si appoggi alla mia adesione alla psicologia
analitica di Jung. In tale romanzo tuttavia essendo già palesi i contenuti
junghiani non avevo niente da far emergere dal profondo simbolico: era tutto
scritto alla superficie. Si parlava chiaramente di Inconscio collettivo e di
altro. Il testo perciò mi è piaciuto molto altresì nel suo intersecare segmenti
vari di miei interessi. Io sono junghiano, credo ragionevolmente nell’esistenza
di altre civiltà in altri sistemi solari, e in particolar modo reputo la razza
umana sulla terra un portato emigratorio interplanetario<sup>1</sup>.
“Factoring humanity” non si è espresso sulla linea della mia specifica ultima
idea testé esposta, però è rimbalzato su molteplici pareti a me congeniali. Per
farla breve sul racconto dico che attraverso dei messaggi decodificati da
Heather gli alieni hanno trasmesso ai Terrestri le indicazioni di costruzione
di una macchina per entrare nell’Inconscio assoluto. Ciò avviene nel 2017, e
poi nel 2019 gli extraterrestri giungono a ridosso del nostro pianeta
incontrando l’umanità. A tal proposito ho notato che l’anno era quello del
covid, e la vicenda quella del “positivo razionale” della mia terna hegeliana
(ideata da me nel 2020). Riguardo al viaggiare dentro all’Inconscio impersonale
ho parlato in precedenza allorché ho analizzato fantascientifici spostamenti
temporali riconducendoli a non figurati viaggi nell’Inconscio collettivo<sup>2</sup>.
Per me navigare nel tempo equivale letteralmente a un attraversamento
dell’Inconscio assoluto (in particolar modo nei confronti del passato). E
questo è quanto opera Heather: mediante una macchina di tecnologia non
terrestre si immerge a ispezionare le microaree di memoria personali. Pertanto
ha sincronicamente davanti tutti gli accadimenti di vita individuale a
beneficio del suo sguardo. Simile suo inoltrarsi nella sincronicità metafisica
junghiana grazie a una macchina aliena mi ha immediatamente fatto pensare al
time traveller wellsiano<sup>3</sup>: nell’ottica dei miei ragionamenti e della
mia impostazione, Heather appare analoga e parallela al time traveller di H. G.
Wells, ma si mostra “psycho-traveller”. Circa le macchine psicanalitiche, come
quella adoperata da Heather nella sua storia la quale possiede un finale non
tragico, sono stato indotto a pensare, nella qualità di critico letterario,
alla macchina di Wilhelm Reich volta a catturare l’energia orgonica positiva
proveniente da tale sorta di libido freudiana universalizzata e ontologizzata
in guisa un po’ junghiana (l’orgone reichiano si trova metà strada fra Freud e
Jung). Quest’altro studioso della psiche in aggiunta ad aver progettato e
costruito simile cosa mirante a catturare energia orgonica positiva, affermò
pure che esistono degli alieni i quali condizionano l’umanità in peggio
proiettando sugli esseri umani una energia orgonica negativa. Non escludo che
le idee e le vicende di Wilhelm Reich possano aver influenzato la creazione
letteraria di “Factoring humanity” da parte di Sawyer: da una prospettiva
reichiana pessimistica passiamo a un’ottica più idealistica dove gli alieni
sono junghiani e ben disposti verso gli uomini. Un tema nel romanzo di Sawyer il
quale ritengo ancora utile sottolineare è l’idea che l’Inconscio impersonale
sia a livello universale regionalizzato: la regione occupata dagli uomini ad
esempio non ha di conseguenza interagito con quella degli alieni sino al
momento in cui non sono venuti in contatto stretto e diretto soggetti dei due
gruppi. Dunque si trarrebbe la conclusione che senza una significativa tangenza
l’area umana dell’Inconscio collettivo non elaborerebbe i contenuti di un’altra
regione appartenente a un mondo nello spazio distante. Una prospettiva di
tragico incontro con gli extraterrestri proviene da “The war of the worlds”,
celeberrimo romanzo di H. G. Wells uscito nel 1897. Qui gli alieni vengono da
Marte sulla terra con obiettivi tutt’altro che pacifici. La loro ambizione è
conquistare il pianeta, a loro pro, attraverso l’uso della forza militare. I
loro mezzi di conquista muniti di potenti armi appaiono nella narrazione
wellsiana immediatamente inquietanti anche al di fuori della finzione
letteraria. La sadica distruzione portata da questi strumenti militari, alti e
giganti, a tre piedi mobili, con il proprio incendiario raggio devastante,
risulta molto impressionate giacché realistica. Anticipa il terrore atomico,
lascia sgomenti. Simili macchine di morte rappresentano un simbolo del potere
della tecnica, del dominio tecnico incombente sull’umanità. Il riferimento è
ovviamente rivolto allo sviluppo capitalistico e alle sue possibilità non
preventivamente ponderate a dovere. Lo scenario di annichilimento generato
dall’agire dei Marziani costituisce un segnale d’allarme a proposito degli
effetti eventuali della tecnica e del progresso se lasciati liberi senza un
controllo veramente e profondamente razionale. Al di là degli strumenti di
devastazione degli extraterrestri, creanti un’atmosfera molto cupa,
apocalittica, angosciante, l’aspetto e la mentalità di costoro suscitano
ulteriori sensazioni kafkiane. Non possiedono sembianze antropomorfe, a forma
di palla con grandi occhi, sono esseri di esclusiva razionalità pragmatica e
utilitaristica. Non vivono una dimensione sentimentale, emozionale, guidati dai
loro enormi cervelli contenuti in quei corpi sferici privi di un comune
apparato digerente. I Marziani infatti si nutrono direttamente di sangue
trasfuso nel proprio organismo mediante un canale apposito, sangue prelevato
dalle vittime. Simile dettaglio rammenta il vampirismo (figurato) dei
capitalisti nella critica marxiana. A questa prima interpretazione simbolica ne
devo aggiungere una seconda che la prosegue sulla scia del mio pensiero esposto
nelle mie opere. L’arroccamento nella razionalità da parte dei Marziani mi ha
ricordato la mia idea sull’origine nevrotica del Cristianesimo e dei suoi
pericolosi difetti<sup>4</sup>. Quando ho parlato da junghiano di un indebito
ripiego ed esclusivo sopra la facoltà della ragione stricto sensu lungo l’asse
delle capacità razionali (in senso lato: l’altra è il sentimento), ho detto che
è stato prodotto un assetto nevrotico ripudiante il femminile sentimentale a
pericoloso vantaggio del maschile-razionale nell’ambito di simile segmento
psichico. Gli alieni wellsiani oltre a essere, come visto, soggetti portatori
di una razionalità (?) malata, sadica, poiché nevrotica, non si riproducono più
attraverso un comune congresso carnale fra persone di sessi opposti: ciascun
marziano può generarne uno nuovo sulla base di una differente autonoma
biologia. Tali dettagli meglio approfonditi mi hanno ricondotto a un sostrato
di più radicale nevrosi, e quindi a Max Weber e alla sua analisi dove
Cristianesimo (protestante) ed economia si legano. La critica di H. G. Wells al
capitalismo e alla di esso sfruttata tecnica, in “The war of the worlds”, non è
estranea al disvelamento di strati nevrotici inerenti alla religione. La morte
e la violenza causate dai Marziani non simboleggiano solo una dimensione
recente di sviluppo della tecnica, ma altresì l’incubo angoscioso, kafkiano
dell’aggressione cristiana alla civiltà umana per mezzo di persecuzioni,
torture, uccisioni di streghe, omosessuali, Ebrei, non cristiani, atei e
intellettuali non allineati. Il rogo, il fuoco, divengono il raggio mortale
degli alieni distruttori, angeli di morte calati dal cielo, paragonabili
altresì agli inquisitori accompagnati dalle loro sadiche macchine di tortura.
Questo raggio il quale si irradia dai meccanici mostri dotati di una trinità di
gambe mi rievoca l’emissione dello Spirito Santo sugli uomini, rappresentato in
foggia ignea, qua, kafkianamente e apocalitticamente, volto da “consolatore” a
“giustiziere”. Ritornando al livello di lettura prossimo, dobbiamo rilevare che
gli alieni fanno uso di armi chimiche a detrimento degli abitanti della Terra:
in tal caso non possiamo non vedere terribili prefigurazioni e preoccupazioni
inerenti ai due futuri conflitti mondiali novecenteschi, i quali io giudico una
singola peloponnesiaca contesa interna capitalistica globale. Gli esseri umani
avranno comunque la meglio sui Marziani in virtù di un’imprevista e
sottovalutata arma epidemiologica nei riguardi di cui erano abbondantemente
immunizzati: la presenza di microrganismi sulla Terra ormai innocui al cospetto
degli uomini, però non nei confronti degli alieni, i quali nutrendosi del
sangue terrestre hanno mangiato e bevuto la loro rovina contagiandosi. Gli
eventi avversi della loro nutrizione li hanno alla fine sterminati tutti.
Rappresenta questo finale l’occasione per il famosissimo scrittore inglese di
formulare l’auspicio che di fronte a un nemico pericoloso (tra le righe: il
capitalismo selvaggio) gli esseri umani (la classe degli sfruttati, dei
diseredati, degli emarginati) possano prendere una coscienza di gruppo
(marxiana coscienza di classe), e unirsi omogeneamente a tutela comune contro
paventati rischi alla sicurezza e al benessere. Questa è la lezione wellsiana
di “The war of the worlds”, dove gli extraterrestri rappresentano simboli di
realtà storiche precise rintracciabili dietro il velo della finzione narrativa
fantascientifica.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Analisi
letterarie e filosofiche”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche">https://www.academia.edu/104106473/Analisi_letterarie_e_filosofiche</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> A proposito di questo mio filone di argomentazioni indico
una mia recente analisi con i suoi ulteriori rinvii a ritroso nelle note: <i>Scoperte stellari</i>, nel mio saggio <i>Partita a scacchi </i>(2022).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Si veda nelle mie precedenti pubblicazioni: <i>Storia e pensiero </i>e <i>Distopie occidentali </i>del 2023.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero">https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali">https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Una mia analisi di “The time machine” è presente nella mia
monografia <i>Critica letteraria </i>(2017):
<i>La
terribile distopia di H. G. Wells</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/11/la-terribile-distopia-di-h-g-wells.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/11/la-terribile-distopia-di-h-g-wells.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Ho destinato parecchi lavori d’analisi a simili argomenti,
ne indico uno a titolo di exemplum utile all’approfondimento del mio
scientifico punto di vista, un saggio: <i>L’apologia
dell’irragionevole di Robert Hugh Benson</i> (2017).</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson">https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson</a></span></div><span color="rgba(0, 0, 0, 0)" style="font-family: "Times New Roman", serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-69685185847740991632023-06-07T12:19:00.001+02:002023-06-07T12:19:54.832+02:00THE DEATH OF MINOS IN SICILY<div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: verdana; font-size: large;">by DANILO
CARUSO</span></b></div><div style="text-align: left;">
<div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> </span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Beetwen the
centuries VIII and VI b.C. numerous groups of Greeks emigrated in Sicily, those
brought their civilization in the island coming into contact, and also
clashing, with the old inhabitants (Sicanians and Siculians). They said in the
antiquity that Minos, character belonging more to the Greek legends that to the
history, he had been here in precedence killed by a sicanian king, Cocalus, and
that after he had been buried in a point on which subsequently rose a temple of
Aphrodite.</div><div style="text-align: justify;">The
mythology narrates that Daedalus, run away by Crete, found hospitality in
Sicily beside Cocalus but the mythical cretan sovereign that pursued him to do
justice to himself for the episode of the Minotaur tracks him. The thalassocrat
unwisely accepts an invitation of the Sicanian to his fortress of Kamikos, and
here he is killed during a bath together with his daughters. Theron, tyrant of
Agrigento between 489 and 472 b.C., taken back the story of the killing of
Minos and used it in order to conquest: the myth was built by the
Agrigentinians to annex a territorial band beyond own confinements and with
fundamental defensive importance.</div><div style="text-align: justify;">Theron took
like pretext of his military action the fact that he wants to avenge the cretan
king. According to the thesis from me elaborated, exposed in my essay “<b>SICANIA
/ Il sito sicano di Colle Madore: dalla leggenda alla realtà (2004)</b>”, the
sacellum (with the surrounding environments) of the archaeological area
analyzed, set to the outskirts of the Commune of Lercara Friddi, represents
what was in past identified as <b>temple of Aphrodite / sepulchre of Minos</b> about
which Diodorus Siculus then spoke in his “Historical Library”: the particular
position of the hill, the etymology of the name, the analysis of the finds and
the type of liturgy that there unwound allow to intend it. The Madore and the
Sicanianss, that lived in it for remote times, joining, beginning from a
millennium before the birth of Christ, were crushed beetwen the States of two
new greek cities: Agrigento to south and Himera to north.</div><div style="text-align: justify;">The hill and
its zone were neuralgic for a military point of view for the control of the
surrounding regions. This hill was in fact closed to the dominion of Akragas,
on an height of the strategic watershed of the rivers Torto and Platani, from
which the ways in direction of the Tyrrhenian Sea and the Mediterranean were
checked. At first the Greeks of none of the two parts occupied with the
strength the area, rather they maintained it neutral through the exploitation
of its temple devoted to Aphrodite. These spaces of border was besides
characterized in the thematic reflection by the image of the water. The name
Madore derives from the Greek adjective <b>madarós</b> (wet): the
territory around the hill had perhaps called <b>the region of the waters</b>,
the proximity to the river basins and the presence of aqueous strata make to think
it. The recovery of an aedicule, on which a man is represented sat on the edge
of a tub (Minos), and of a basin for lustral water – both coming from the
sacellum – also testify the centrality of the water as cultual element, in a
liturgical context characterized by sacrificial offers (thysía).</div><div style="text-align: justify;">The
Acragantinians in a second moment thought about acting in a different way: the
invasion in weapons of a zone made neutral through religious motivations asked
for a valid justification in order to avoid the accusation of sacrilege. They
said, with hypocrisy, that the sepulchre of Minos was on Colle (Hill) Madore,
under the temple of Aphrodite. It gave the possibility to attack because they
affirmed to want to avenge him: and this would not have made them in appearance
guilty of an unfair thing in the judgments of their contemporaries. By doing so
the Madore (together with the whole territory of Himera) fell in the hands of
Agrigento around 483 b.C.</div><div style="text-align: justify;">The
excavations conducted on this tract of land (1995, 1998 2004) by the
Superintendence to the cultural heritage from Palermo – after the <b>donation
of Antonino Caruso</b> to the Commune of Lercara Friddi of the first finds
accidentally discoveries in 1992 – have brought to the light, besides, the
sacred area in examination, situated in proximity of the top. Meaningful
recoveries are parts of statuettes of Demeter and an incision in punic language
(evocative of Astarte) recalling, for analogy, the cult of Aphrodite, whose
presence on the Madore is without doubt proved by different recoveries: an
acephalous statuette of female divinity that has in her arms a hare (sacred
animal to Aphrodite), a piece of bowl with on the fund reproduced a swastika
and a foil embellished by bull heads embossed worked (clear figurative representations
to her connected).</div><div style="text-align: justify;">As a
consequence of the false revenge of Theron the substitution of Demeter to
Aphrodite (both goddesses of the fertility) is possible, given the absence,
because of the following lack of the theme of the sepulchre, of the
couple <b>Aphrodite/Minos</b>: the nature was compared to the female
figure, therefore Aphrodite was equivalent to Demeter. Other finds (the
fragments of the antefisses of the temple, the model of hut with circular plan,
etc.) confirm my study that also justifies the presence of material imported
from Himera as simple commercial purchase, material that was inserted in a
culture influenced by Akragas. Among the bronzy foils discovered one represents
a female divinity (or Aphrodite or Demeter).</div><div style="text-align: justify;">The sacred
space of this temple of Aphrodite partially was destroyed, in the way according
to which Diodorus Siculus tells, in 483/482 b.C. by Theron of Agrigento (in
reality in what could appear his hypogeal place there was not the Minoan tomb
invented by the Acragantinians, on the contrary a shop for the workmanship of
the metals). In the spring of 409 b.C. the Carthaginians, which occupied a
western part of Sicily, destroyed during a war against the Greek, the whole
inhabited area of Colle Madore and its population therefore was dispersed.
Considered the renown of the place I have believed possible a visit of the poet
Pindar in the <b>temple of Aphrodite / sepulchre of Minos</b> during
the period of his permanence in Sicily (476/475 b.C.), seen his relationships
with the Emmenidians and the aristocratic and commemorative matrix of his
poetry. My thesis is alternative to a series of other four locations proposed
by other researchers: Eraclea Minoa, the tholoi of Sant’Angelo Muxaro, Licata,
the Caves of the Gurfa of Alia.</div><div style="text-align: justify;">The fortress
sicanian of Kamikos was usually identified with Sant’Angelo Muxaro, but this
should not involve that the pretense burial of Minos must automatically be
situated in its proximities: in the Greek reality the choice of the site of the
sepulchre and the connection with the myth were functional to the expansive
agrigentinian politics and not to the legend. Colle Madore introduces suitable
connotations and doesn’t matter the fact that is distant from the coast, rather
what is more is that it was situated on the axle Sabucina-Polizzello delimiting
in the VI century b.C. the northern border of the acragantinian dominion.</div><div style="text-align: justify;">A study of
the early nineteenth century of G. Nicastro set Kamikos at Sutera: the summit
of the mountain San (St.) Paolino (to whose feet the modern country is placed)
is visible from the Madore looking toward east. The tholoi are always very
suggestive, but they are functional to the mythical aspect of the minoan
stories unlike the history of Agrigento and Theron more pertinent to the
analysis.</div><div style="text-align: justify;">With regard to
Colle Madore my system diverges from a formulation elaborated by the
archaeologist Stefano Vassallo that connects this site to the influence of
Himera: particularly he interprets the person of the aedicule above mentioned
as Heracles and moreover sustains an etymology from the arab language of the
place-name Madore.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><b><div style="text-align: justify;"><b>Danilo
Caruso / SICANIA - Il sito sicano di Colle Madore: dalla leggenda alla realtà</b></div></b><div style="text-align: justify;">(essay in pdf)</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/4354970/SICANIA_Il_sito_sicano_di_Colle_Madore_dalla_leggenda_alla_realt%C3%A0">https://www.academia.edu/4354970/SICANIA_Il_sito_sicano_di_Colle_Madore_dalla_leggenda_alla_realt%C3%A0</a></div></span></div>
<p class="MsoNormal"><span style="color: windowtext; font-size: 10.0pt;">
<!--[if !supportLineBreakNewLine]-->
<!--[endif]--><o:p></o:p></span></p>
</div>Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-68579471034512574192023-06-07T12:19:00.000+02:002023-06-07T12:19:27.001+02:00LA MUERTE DE MINOS EN SICILIA<div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: verdana; font-size: large;">de DANILO
CARUSO</span></b></div><div style="text-align: left;">
<div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> </span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;">Entre los
siglos VIII y VI a.C. emigraron en Sicilia numerosos grupos de Griegos los que
llevaron su civilización en la isla poniéndose en contacto, y también
estrellándose, con los viejos habitantes, Sicanos y Sículos. Se contaba en la
antigüedad que Minos, personaje perteneciente más a las leyendas griegas que a
la historia, fue asesinado aquí en precedencia por un rey sicano, Cócalo, y que
después hubiera sido sucesivamente enterrado en un punto sobre que surgió un
templo de Afrodita.</div><div style="text-align: justify;">La mitología
cuenta que Dédalo, huido de Creta, encontrara hospitalidad en Sicilia cerca de
Cócalo pero el mítico soberano cretese que lo persigía para hacerse justicia
del episodio del Minotauro lo localiza. El talassócrata acepta imprudentemente
una invitación del Sicano a su peñón de Camico, y aquí es matado durante un
baño junto a las hijas de él. Terón, tirano de Agrigento entre el 489 y el 472
a.C., reanudó la historia de la matanza de Minos y la utilizó para conquista:
el mito fue construido por los Agrigentini para agregar una faja territorial
más allá de los sus confines y de fundamental importancia defensiva.</div><div style="text-align: justify;">Terón tomó a
pretexto de su acción militar el hecho de querer vengar al rey de Creta. Según
la tesis de mí elaborada, expuesta en mi ensayo “<b>SICANIA / Il sito sicano di
Colle Madore: dalla leggenda alla realtà (2004)</b>”, el sacellum, con los
entornos circunstante, del área arqueológica analizada, colocada a la periferia
del Ayuntamiento de Lercara Friddi, representa lo que fue en pasado
identificado como <b>templo de Afrodita / sepulcro de Minos</b> de
que Diodoro Siculo luego habló en la “Biblioteca Histórica”: lo dejan entender
la particular posición de la colina, la etimología del nombre, el análisis de
los restos y el tipo de liturgia que allí se desarrollaba. El Madore y los
Sicanos, que lo habitaron de tiempos remotos, asociándose, a partir de un
milenio antes del nacimiento de Cristo, se encontraron comprimidos entre los
Estados de dos nuevas ciudades griegas: Agrigento a sur y Himera a Norte.</div><div style="text-align: justify;">La colina y
su zona fueron neurálgicos de un punto de vista militar por el control de las
regiones circunstantes. Esta colina se encontró en efecto limitrofe al dominio
de Akragas, sobre una altura de la estratégica parteaguas de los ríos Torto y
Platani, de cuyo se controlaban los caminos en dirección del Tirreno y del
Mediterráneo. En un primer tiempo los Griegos de nadie de los dos partos
ocuparon con la fuerza el área, más bien la mantuvieron neutral por la
valorización de su templo dedicado a Afrodita. Estos espacios de confín además
fueron caracterizados en la reflexión temática por la imagen del agua. El
nombre Madore deriva del adjetivo griego <b>madarós</b> (mojado): el
territorio alrededor de la colina fue llamado quizás <b>la región de las
aguas</b>, lo hacen pensar la vecindad en los embalses fluviales y la presencia
de faldas acuíferas. El hallazgo de un edículo, sobre cuyo es representado un
hombre sentado al borde de una <span lang="ES">bañera (Minos), y de una jofaina para
agua ritual – ambos procedentes del sacellum – además testimonian la
importancia del agua como elemento de culto, en un contexto litúrgico
caracterizado por ofertas sacrificales (thysía).</span></div><div style="text-align: justify;">Los
Acragantinos en un según momento creyeron actuar de modo diferente: invadir en
armas una zona hecha neutral por motivaciones religiosas <span lang="ES">exigía
una válida justificación para evitar la acusación de sacrilegio. Decir, con
hipocresía, que el sepulcro de Minos estuviese sobre Colle (Colina) Madore,
bajo el templo de Afrodita, dio la posibilidad de atacar porque afirmaban de
quererlo vengar: y esto no les haría en apariencia culpable de una cosa injusta
en los juicios de sus contemporáneos. Así haciendo el Madore, junto al entero
territorio de Himera, cayó en las manos de Agrigento alrededor del 483 a.C.</span></div><div style="text-align: justify;">Las
excavaciones realizadas sobre este relieve (1995, 1998, 2004) por la
Superintendencia a los bienes culturales de Palermo – después de la <b>donación
de Antonino Caruso</b> al Ayuntamiento de Lercara Friddi de los primeros
restos accidentalmente hallados en el 1992 – han llevado a la luz, además, el
área sagrada en examen, situada en proximidad de la cima.</div><div style="text-align: justify;">Significativos
son partes de estatuitas de Demetra y una incisión en lengua púnica,
conmemorativa de Astarte, que hace referencia, por analogía, al culto de
Afrodita, cuya presencia sobre el Madore es sin duda probada por muchos restos:
una estatuita acéfala de divinidad femenina que tiene en brazo a una liebre,
animal sagrado a Afrodita, un trozo de escudilla con sobre el fondo reproducido
una cruz gamada y una lámina adornadas por cabezas taurinas repujadas (se trata
de claras representaciones figurativas a ella conectada).</div><div style="text-align: justify;">A
continuación de la simulada venganza de Terón es plausible la sustitución de
Demetra a Afrodita, ambas diosas de la fecundidad, por el venir menos, a causa
de la siguiente falta del tema del sepulcro, de la pareja <b>Afrodite/Minos</b>:
la naturaleza era comparada con la figura femenina, luego Afrodita le
equivalgía a Demetra. Otros restos, los fragmentos de las antefijas del templo,
el modelo de choza a planta circular, etc., confirman mi estudio que también
justifica la presencia de material importada de Himera como simple adquisición
comercial, material que se introduzcía en una cultura influenciada por Akragas.
Entre las láminas de bronce halladas una representa una divinidad femenina (o
Afrodita o Demetra).</div><div style="text-align: justify;">El espacio
sacro de este templo de Afrodita vino parcialmente destruído, en el modo en que
Diodoro Siculo cuenta, en el 483/482 a.C. por Terón de Agrigento (en realidad
en lo que pudo aparecer un lugar suyo ipogeo no estaba la tumba minóica
inventada por los Acragantinos sino un taller por la elaboración de los
metales). En la primavera del 409 a.C. los Cartaginenses, los que ocuparon una
parte occidental de Sicilia, destruyeron durante una guerra contra los Griegos,
todo lo poblado de Colle Madore y su población pues se disperdío.
Considerado el renombre del sitio he creído verosímil una visita del poeta
Pindaro en el <b>templo de Afrodita / sepulcro de Minos</b> durante
el período de su permanencia en Sicilia, 476/475 a.C., vistos sus relaciones
con los Emmenides y la matriz aristocrática y conmemorativa de su poesía. Mi
tesis es alternativa a una serie de otras cuatro localizaciones propuestas por
otros estudiosos: Eraclea Minoa, las tholoi de Sant’Angelo Muxaro,
Licata, las Grutas de la Gurfa de Alia.</div><div style="text-align: justify;">Se tiende
generalmente a identificar el peñón sicano de Camico con Sant’Angelo Muxaro,
pero eso no debería comportar que la falsa sepultura de Minos tenga que ser
ubicada automáticamente en sus vecindades: no debe ser descuidado que en la
realidad griega la elección del sitio del sepulcro y el relacionarse al mito
fueron funcionales a la política expansiva agrigentina y no a la leyenda. Colle
Madore presenta connotaciones adecuadas y no tiene importancia el hecho que
está lejos de la costa, más bien cuenta que fuera colocado sobre el eje
Sabucina-Polizzello, delimitación en el VI siglo a.C. del confín norteño
del dominio acragantino.</div><div style="text-align: justify;">Un escrito
de principio del ’900 de G. Nicastro puso Camico a Sutera: la cumbre del Monte
San Paolino, a cuyo pies se encuentra el país actual, es visible del Madore
mirando hacia oriente. Las tholoi quedan siempre muy sugestivas, pero son
funcionales al aspecto mítico de los hechos minóicos a diferencia de la
historia de Agrigento y Terón más pertinente al análisis.</div><div style="text-align: justify;">Sobre Colle
Madore mi sistema diverge de una impostación formulada por el arqueólogo
Stefano Vassallo que vincula este sitio a la influencia de Himera: en
particular él interpreta el personaje del edículo mencionado como Eracle y
además sostiene una etimología del árabe del topónimo Madore.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><b><div style="text-align: justify;"><b>Danilo
Caruso / SICANIA - Il sito sicano di Colle Madore: dalla leggenda alla realtà</b></div></b><div style="text-align: justify;">(ensayo en pdf)</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/4354970/SICANIA_Il_sito_sicano_di_Colle_Madore_dalla_leggenda_alla_realt%C3%A0">https://www.academia.edu/4354970/SICANIA_Il_sito_sicano_di_Colle_Madore_dalla_leggenda_alla_realt%C3%A0</a></div></span></div>
</div>Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-8580034491847975602023-05-12T07:35:00.001+02:002023-05-12T07:35:19.355+02:00IL NEVROTICO E DISTOPICO IDEALISMO DI SPINOZA<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div>
<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"> </span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: right;"><i>Io sono YHWH e non</i></div><div style="text-align: right;"><i>sono uno in aggiunta.</i></div><div style="text-align: right;"><i>Isaia 45,18</i></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrGx4h60XWjNo_gW7hWq9efVUT52YfjnbyJpBo6xrh_imL_iXesyowv6ytc9QItNXk72Y9hHC9LEAHMmaZAqlH0GG7sL7pYjHkjJrbRMP5OqAYKuvQf5yQX_TFVZ6kkOzvttOP-fPIr8Tuz6JzBQ9iGDfqUY03dkTbkuAxzGniR9MsWz4VYS4mhRDV/s448/1.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="448" data-original-width="281" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrGx4h60XWjNo_gW7hWq9efVUT52YfjnbyJpBo6xrh_imL_iXesyowv6ytc9QItNXk72Y9hHC9LEAHMmaZAqlH0GG7sL7pYjHkjJrbRMP5OqAYKuvQf5yQX_TFVZ6kkOzvttOP-fPIr8Tuz6JzBQ9iGDfqUY03dkTbkuAxzGniR9MsWz4VYS4mhRDV/w126-h200/1.jpg" width="126" /></a></div>I miei studi sulla tradizione giudaicocristiana e quelli sulle distopie mi hanno condotto lungo un percorso concettuale, a ritroso nel
tempo, che partendo da Hegel (e dal suo panlogismo) ha portato a quest’analisi
spinoziana, dove i due suddetti motivi si incontrano. Ho scritto un saggio sul
romanzo di Zamjatin intitolato “Noi”, in cui l’autore manifesta una posizione
antipanlogistica. In quel mio testo ho esaminato i dettagli hegeliani con
accuratezza, e pertanto rinvio là il lettore desideroso di cogliere un più
approfondito prospetto sullo sviluppo dell’idealismo di Spinoza in quello
romantico di Hegel<sup>1</sup>. Per quanto concerne invece i miei studi
storico-letterari su Ebraismo e Cristianesimo, in relazione a questo scritto,
indicherò in nota la strada dell’approfondimento in direzione di una migliore
comprensione. Qui parlerò soprattutto di Baruch Spinoza, seguendo le due linee
ispiratrici testé indicate, e volgendomi alla fine lungo l’asse stoico a
recuperare contenuti eraclitei ricomparsi in Hegel. A mano a mano che esporrò
le mie argomentazioni tutta l’analisi sarà più chiara nelle sue tappe e nella
sua omogeneità di struttura. Cominciamo con l’esame del sistema filosofico
spinoziano. Il pensiero di Baruch Spinoza è in bilico tra l’essere considerato
una filosofia (e quindi una scienza laica che guarda alla religione) o una
teologia (ossia, nel di lui caso, una costruzione di matrice religiosa
edificata con mattoni razionalizzanti). Indubbiamente le due strade hanno
trovato nell’elaborazione mentale spinoziana più volte delle tangenze, ma
adottarne una nella veste di linea interpretativa del filosofo ebreo in maniera
esclusiva mi pare possibile. Occorre dunque capire quale delle due sia stata la
causa remota dell’edificio filosofico-teologico di Spinoza. La mia impressione
è che predominante sia stata la mentalità religiosa acquisita nella prima fase
quando ricevette un’educazione intellettuale nel suo ambiente originario.
Perciò, secondo me, tutto partirebbe in primis da un ripensamento concettuale
dell’Ebraismo. Il fatto che Spinoza sia accostato allo stoicismo ne è la
riprova. In precedenza ho segnalato le analogie semitiche fra Giudaismo e
pensiero stoico<sup>2</sup>, niente di strano dunque che la mentalità
ebraico-semitica del pensatore giudaico lo abbia portato a riscoprire la sponda
dello stoicismo fondato da Zenone di Cizio. La riflessione spinoziana ha
ripercorso topoi in comune tra Ebraismo e visione stoica del mondo. Quindi ad
esempio lo spirito del “Qoelet” veterotestamentario, con il suo più o meno
amareggiato distacco dai beni materiali e mondani, che è d’altro verso
l’atteggiamento tipico del saggio stoico, viene a riemergere in Spinoza in una
guisa unificata, la quale dei due lati filosofico e religioso fa un tutt’uno
nel modo appena spiegato. Io credo che l’autore giudeo sia partito da una base
nevrotica. Più avanti, nel corso della mia esposizione, ne illustrerò i
dettagli. Adesso comincerò l’esame sistemico filosofico. Spinoza mostra
nell’ambito scientifico una posizione progressista: ha fiducia nelle scienze e
giudica che queste possano migliorare la vita dell’uomo, e che quindi vadano
coltivate e applicate. Se pensiamo all’oscurantismo scientifico cristiano che
ha zavorrato l’Occidente per circa quindici secoli, cogliamo un aspetto di
modernità la quale possiede nell’auspicio spinoziano un quid di attivistico (ho
trattato nei miei scritti della rilevanza dell’attivismo nella storia occidentale
quale fattore promuovente comportamenti caratteristici, di società e di
personalità, sin dall’antichità, volti all’espansione e all’affermazione di sé<sup>3</sup>).
Vediamo con precisione di esaminare sezioni peculiari del pensiero di Baruch
Spinoza. Perché egli mette in cima a tutto Dio? E che cos’è il suo Dio? Ritengo
che il teologo collochi al posto numero uno Dio per una questione religiosa, in
seguito alla sua formazione di base personale. Gli è stato insegnato che in
cima a tutto sta un Dio, ha assimilato quest’impostazione, dominante anche nel
pensiero teologico cristiano, e da essa è partito in maniera spontanea come la
più naturale delle cose. Il Dio spinoziano però non si ripresenta nella foggia
tradizionale giudaica, non è una persona separata dal resto della realtà. Da
cosa il filosofo ebreo sia stato influenzato e indirizzato nella creazione del
suo monismo panteistico ho l’impressione di rintracciarlo nel prologo del
Vangelo non sinottico (brano che ho studiato con attenzione<sup>4</sup>).
Secondo me, Spinoza rileva quelle dinamiche e quelle categorie di Dio e Verbo,
Theós e Logos, e da lì si riallaccia per un verso alla sponda semitica
neoebraica e neostoica dell’epoca giovannea, la cui fusione di queste due
momenti nella nuova prospettiva cristiana ha consentito poi al pensatore giudeo
di toccare quest’altra sponda in virtù delle di essa radici. È il Dio cristiano
a essere pervasivo, sulla falsa riga del Logos stoico, nei confronti della
realtà materiale. Dio è in cielo, in terra, in ogni luogo. La riflessione
spinoziana accomuna schietto stoicismo e idee cristiane sulla base di una loro
comune radice, e marcia in una direzione di superamento razionalistico (in
apparenza, almeno nella sua architettura dichiarata) della dicotomia
Giudaismo/Cristianesimo. Spinoza, in parole povere, ci ha lasciato una nuova
religione, secondo lui, elaborata in guisa scientifica. Per tal motivo sarebbe
vera e inconfutabile. La verità è invece che il sistema filosofico-teologico
spinoziano si mostra nevrotico. Il suo filosofo creatore pone a monte
dell’attività divina il concetto di necessità. Poco sopra ricordavo
l’importanza dell’attivismo nella mentalità semitica. Neanche il Dio di Spinoza
ne rimane esente, a tal punto che il suo agire, quale evidenza delle sue
primazia e affermazione ontologiche, viene presentato come obbligatorio,
sebbene non subordinato ad altro. Il Dio spinoziano al fine di essere il non
plus ultra, necessita di agire, di affermarsi sulla materia e di inglobarla: tutto
è in Dio, come nel Cristianesimo, poiché Dio è ovunque e abbraccia tutto; Dio
sta sopra e la materia sta sotto come nell’ordinamento ontologico
immanentistico stoico; Dio è il principio determinante e il resto rappresenta
il determinato come insegna la genesi biblica<sup>5</sup>. L’autore ebreo
unisce varie specifiche visioni in una sintesi non tanto originale rispetto a
idee pregresse. È apprezzabile la prospettiva di pacificazione religiosa
occidentale che propone. Spinoza vorrebbe andar oltre il confronto
Giudaismo/Cristianesimo. Il quale è stato funesto per gli Ebrei come lui. Il
pensiero spinoziano influì in modo determinante su Hegel nella misura in cui
nel filosofo giudeo sono rilevabili forme di idealismo romantico ante litteram.
Spinoza prende in considerazione tutta la realtà nella veste di una singola
totalità, e di simile rilevazione filosofica fa un caposaldo del suo sistema.
Il Deus sive Natura che ne viene fuori è già qualcosa di hegeliano. Il
meccanismo di dispiegamento interiore, della somma unità ontologica, l’unica
sostanza (la quale possa dirsi spinozianamente tale), segue un meccanismo di
necessità che procede dalla primordiale necessità che occorre a Dio, cioè
quella di essere “attivo”, di agire, allo scopo di dare il segno del suo
imporsi su tutto. Nel far questo Dio non può ammettere altro da sé, uno scarto
ontologico di fronte a cui possa compararsi; la sua eccellenza ontologica
comporta l’esclusività. Pertanto rimane l’unica sostanza, e fagocita la
totalità del reale imponendogli una dinamica che deve confarsi a lui, e perciò
dalla necessità del suo agire, una nietzschiana “volontà di potenza”
obbligatoria al suo statuto ontologico, scaturisce la analoga necessità del
dispiegarsi delle fasi del reale. Niente può andare diversamente da come la
tutela dell’integrità sostanziale divina ha programmato, vale a dire che il
Deus sive Natura segue una mappa logica in maniera estremamente scrupolosa,
“matematica”, nello sviluppare la “razionalità del reale” funzionale al suo
essere. Hegel è già in Spinoza, è il pensatore ebreo a teorizzare il panlogismo
e il pensatore idealista tedesco a riprenderlo in virtù di fattori che lo
avvicinavano a Spinoza. Costui è radicale nella sua teologia, non vuole creare
il moderno idealismo tedesco, a lui interesse esaltare Dio al massimo grado. La
conseguenza che ne vien fuori è che il Dio spinoziano ingloba tutto il reale,
non lasciando altro da sé, cosicché in maniera involontaria questa elaborazione
religiosa si trasforma nella costruzione di un modello idealistico tedesco.
Hegel la riprenderà volentieri per due motivi:</div><div style="text-align: justify;">1) l’aspetto religioso della filosofia-teologia di Spinoza
col suo cardine attivistico-semitico si riallaccia all’attivismo della
mentalità luterana hegeliana (a breve chiarirò meglio questo dettaglio);</div><div style="text-align: justify;">2) l’aspetto filosofico del sistema spinoziano, come detto,
configurantesi nella guisa di un idealismo di stampo formale fichtiano, dà
l’opportunità di non uscire fuori del seminato idealistico romantico (e Hegel
porrà un accento spinoziano, logico, all’idealismo tedesco: il sistema
hegeliano risulta una “matematica” dell’Assoluto).</div><div style="text-align: justify;">Quando i luterani criticheranno Hegel rinfacciandogli il
fatto di essere filosofico-idealistico, non capiranno il fatto che costui ha
sposato la radicalità monistica teologica del precursore giudeo. I filosofi,
invece, comprenderanno il legame avito di Hegel col Luteranesimo. Perciò se Dio
non crea l’universo con un libero atto amorevole, non c’è da stupirsi né in
Hegel né in Spinoza: la perfezione dell’attivismo divino obbliga Dio a produrre
(dal momento tetico-logico dell’in-sé a quello antitetico-negativo del
fuori-di-sé, della Natura, dei modi “negativi” spinoziani) secondo “necessità”
immanentistica. Il Deus sive Natura del filosofo ebreo rappresenta già
l’Assoluto hegeliano (con le precisazioni sopra accennate). La predestinazione
luterana è formalmente analoga al “fatalismo” stoico, e noi ritroviamo il
fatalismo degli stoici estremizzato in Spinoza. Nel momento in cui l’autore giudeo
dice che lo schema logico delle idee nella Sostanza e il suo dispiegarsi
rappresentano la stessa cosa sul piano fenomenico del divenire mondano si pone
quale anello di congiunzione fra Hegel e lo stoicismo (il quale concepiva la
realtà sulla base della immanentistica dicotomia attivo/passivo). Spinoza
guarda al mondo stoico per via delle affinità semitiche di ispirazione ebraica
e inoltre per via delle suggestioni cristiane (giacché, come visto, il
Cristianesimo si è rifatto allo stoicismo quando c’è stata la saldatura con il
Giudaismo). Esiste quindi un asse che da Eraclito (l’ispiratore di Zenone di
Cizio, fondatore dello stoicismo) passando dal pensiero degli stoici giunge
sino al Giudeo Spinoza e poi culmina in Hegel e nel suo idealismo assoluto. La
triade hegeliana Idea-Natura-Spirito ricalca topoi spinoziani. Al primo posto
c’è Dio, che in quanto sive Natura esce fuori-di-sé nell’attributo spinoziano
della res extensa, e dunque ritorna in-sé, mantenendo così l’unità sostanziale
salda senza dar luogo a emanazioni ipostatiche separate, nella dimensione
dell’altro attributo noto, quello della res cogitans. Hegel non è poi così
innovativo nei grandi termini del suo sistema, molto più apprezzabile e
originale nei dettagli. Spinoza dal canto suo riscopre lo stoicismo, per i
motivi chiariti, e visto che il suo Dio alla fine va ad assumere fortissime
connotazioni appartenenti al logos stoico ripropone il vecchio ideale del
“vivere secondo Ragione”. Come visto il Dio spinoziano costituisce una Ratio
universale, pertanto è sommamente saggio vivere in modo razionale, abbandonando
ciò che non sia lucida scelta non condizionata dalle passioni. Nonostante nel
discorso su come neutralizzare le passioni il filosofo ebreo sembri precorrere
l’idea freudiana legata alle “rimozioni” nell’inconscio della psiche, tutto
sommato egli rimane legato a una prospettiva comportamentale semitica la quale
subordina l’agire individuale umano a un primato ontologico superiore (Dio,
Logos). Perciò laddove Spinoza appare moderno, non va dimenticato il suo
background e il peso di esso in termini interpretativi. Cosicché, allorché
ripropone l’“amor fati”, giacché tutto ciò che è reale è razional-divino, e
dunque da giudicare positivamente, da accettare senza girarci attorno, egli non
sta altro riproponendo che il modello di Giobbe, exemplum giudaico di saggio
stoico nell’accettazione del corso degli eventi. Bisogna rassegnarsi alla
volontà divina: è un’idea tipica della tradizione giudaicocristiana arrivata a
Hegel con tutte le sue discutibili contraddizioni. Spinoza dal canto suo ad
esempio chiariva che nel momento in cui comprendiamo uno stato di tristezza
personale nel quadro dell’universale piano divino lo trasformiamo da passione
(incompresa) in qualcosa motivo di allegria in virtù di simile illuminazione
conoscitiva. Un’idea che lascia perplessi, e a me fa pensare al nevrotico
Kierkegaard il quale spiegava che per stare bene bisogna stare male<sup>6</sup>.
Vedere un quid di positivo nelle condizioni negative costituisce un pensiero
contorto. È vero che, come recita il proverbio, non tutto il male viene per
nuocere, ma anche qui “ragionevolmente” c’è un limite. L’essere umano nel
sistema filosofico-teologico spinoziano non è libero. L’unico incondizionato è
Dio, il quale tuttavia opera secondo necessità, come spinto da nevrosi
ossessiva compulsiva, non sopprimendo peraltro gli aspetti di male nella
realtà, i quali rimarranno anche un problema nella costruzione hegeliana.
Questo Assoluto perché contempla le
guerre e non le sopprime visto che c’è solo esso a stabilire la realtà? Il male
dunque è “necessario” al divenire? Un problema non di poco che pone capo a
pesanti considerazioni. specialmente quando Spinoza afferma che Dio ama se
stesso. La sua spiegazione riporta suggestioni stoico-trinitarie, poiché dal
primo grado rappresentato dalla Sostanza divina si transita al secondo del
Logos progettante il reale immanente (la Natura, il fuori-di-sé hegeliano) per
culminare al terzo grado dell’Amore: in parole povere questa è la dinamica
trinitaria cattolica (Padre, Figlio e Spirito Santo) portata nel monismo
panteistico spinoziano agli estremi dell’immanentismo ontologico. L’itinerarium
mentis in Deum presentato da Spinoza ricomparirà in Hegel, dove pure l’unica
libertà è quella del realizzarsi dell’Assoluto e nell’Assoluto. Tutto il resto
non conta. L’Io empirico e la collettività costituiscono epifenomeni, “media”
della totalità soggettiva (la quale il pensatore giudeo ha definito
“Sostanza”). Spinoza parla di un “intelletto infinito”, un “modo” (ossia un
accidente della Sostanza) infinito, intermedio tra l’“attributo” (qualità della
Sostanza) della res cogitans e la singola mente umana (anima). Questa sarebbe,
durante la vita corporea, puntualizzazione di una Mente universale eterna. La
mente umana (anima) poggia il suo esistere, unito col corpo, sopra
un’idea-essenza della res cogitans divina (pensiero pensante). Per Spinoza la
mente umana è un momento ontologico (transeunte) dell’intelletto infinito di
Dio (pensiero pensato nella sua totalità). L’anima di un singolo essere umano
in virtù di ciò conosce specularmente la dimensione della res extensa giacché,
come ricordato sopra, ordo idearum e ordo rerum sono due facce di una stessa
medaglia divina. E vedere tutto in Dio costituisce il sommo, pacificatore delle
passioni, ideale esistenziale del filosofo ebreo. Questo è il suo “amor Dei
intellectualis” panacea di ogni male. Terminata questa mia prima tappa
analitica dedicata ai capisaldi del sistema teologico spinoziano debbo dunque
passare a quell’esame più puntuale di cui sopra ho anticipato contenuti: gli
elementi di nevrosi nella mente di Baruch Spinoza. Si tratta di aspetti del suo
pensare che non possono essere sottovalutati. Già abbiamo notato la maniera in
cui il Dio-Sostanza spinoziano sia il prodotto di un’impostazione ricevuta in
maniera kafkiana dall’autore ebreo, compresso nel credo religioso del suo
ambiente formativo giovanile. Da simile cappa non si è liberato, e ne ha
portato le evidenti tracce nella formulazione della sua nevrotica filosofia, la
quale però sarebbe più giusto definire una teologia giudaicocristiana di stampo
dogmatico. La vocazione matematica spinoziana costituisce in lui una forma
nevrotica, il tentativo di dare una facciata quanto più convincente alla sua
religiosità, e quindi un tentativo in apparenza vestito di razionalismo. Che
Spinoza sia pseudorazionalista lo dimostrano vari contenuti delle sue posizioni
sociopolitiche, in aggiunta alla sua nevrotica matrice teologica. Nessuno può
ammantare misoginia, omofobia e xenofobia di razionalismo. Il Dio
veterotestamentario, quello più specificamente ebraico, è misogino, omofobo e
xenofobo<sup>7</sup>. E Spinoza ne ripropone i temi. Il filosofo giudeo usa nei
suoi testi i termini “mulier” e “foemina” quali sinonimi, caricando entrambi
dell’accezione spregiativa patristica posseduta dal secondo. Perlopiù adopera
questo. In un piccolo paragrafo dell’“Etica” addirittura compare tredici volte.
Nella mentalità spinoziana il concetto di “foemina” si contrappone a quello di
“vir” (il cui significato si riversa nel sinonimo parimenti usato “homo”: in
ossequio al suo sistema Spinoza non distingue molto il lato fisiologico da
quello intellettivo, perché rappresenterebbero la medesima cosa vista da
“attributi” diversi). La gerarchia umana stabilita da Dio risulta: viri,
mulieres, pueri. Una donna per il pensatore ebreo sarebbe sotto il profilo intellettuale
una via di mezzo tra un bambino e un uomo adulto. Dentro tale misoginia di
ispirazione giudaicocristiana si rintracciano le prove di assenza di una
sincera, autentica e vera vocazione razionalistica, poiché non si possono
affermare assurdità che già Platone aveva dimostrato false. La partecipazione
alla Ragione non ammette differenze di genere, tuttavia Spinoza permanendo nel
reazionario solco antifemminista riecheggia bestialità, le quali lo qualificano
come un uomo non soltanto chiuso in pregiudizi irrazionali (e non dunque aperto
a un corretto uso della Ragione), ma anche (a dispetto di un sedicente status
di pensatore razionalistico) affetto da nevrosi. Uno che pensa nella veste di
filosofo non dovrebbe andare a impantanarsi in simili cose, anzi dovrebbe
superarle. E lui non lo ha fatto: ha costruito un Dio onnivoro (alla maniera di
Saturno) ponendolo addirittura nella qualità di garante di un simile
ordinamento misogino, omofobico e xenofobico. Come detto, Spinoza disprezza le
donne. Sono quelle che piangono. Ci sono poi le «mulierculae». Le spiegazioni
spinoziane dei deficit femminili sono chiare e sconcertanti. Egli giustifica il
fatto di una “foemina” che nell’Antico Testamento profetizzò perché la donna
possiede una naturale carenza intellettuale, e dunque sarebbe più propensa
all’immaginazione, la caratteristica connotante i profeti a dispetto della
visione razionale. Il re Giosia si rivolse a una donna in luogo dell’indisposto
profeta Geremia «quae ex ingenio muliebri magis apra erat». Cioè «in forza di
[ex]» un difetto costitutivo Spinoza sta qualificando una capacità femminile, e
non in seguito a una prerogativa che potrebbe essere denotata attraverso una
forma positiva. Il filosofo ebreo è tanto sconcertante quanto sorprendente. Nel
ribadire una sola forma lecita di congresso carnale, quella eterosessuale
matrimoniale volta alla procreazione di figli (come i precetti
giudaicocristiani esigono), egli, a sua insaputa, ha scoperto la “libido”
freudiana e l’ha sotterrata sotto il suo pseudorazionalismo al posto di
inquadrarla sul serio in un contesto di vera analisi razionale. Ha sovrapposto
su tutto il suo campo d’esame le proprie credenze dogmatiche religiose,
spacciandole per espressioni di una Ragione universale. A proposito del
dettaglio appena evocato ricaviamo che Spinoza, oltre a non avere una matura
lucidità psicanalitica, in quanto bloccato da nevrosi religiose, è altresì
omofobo. Riguardo a Freud e misoginia, l’autore giudeo, nel suo antifemminismo
radicale, cita un passaggio dello storico Curzio Rufo, il quale, nel rifiuto e
disprezzo della possibilità che le donne possano partecipare al governo della
res publica, prospetta il paragone foemina/castratus. In aggiunta alla
rievocazione di una bestialità in funzione di diminutio, Spinoza ha qui
vagamente intuito la freudiana teorizzazione del complesso femminile di
castrazione. Il filosofo ebreo non nutre alcun riguardo verso le donne, le
quali vuole decisamente fuori della politica amministrativa. Per lui il potere
politico si declina solo al maschile. Il modello sociale spinoziano non è
affatto improntato a uno spirito liberale completo. Accanto al lasciare le
«mulieres […] in potestate virorum», ammette la schiavitù (servi in potestate
dominorum), e l’esclusione dalla vita politica comune dei rei di «turpe vitae
genus» (vale a dire, per esplicitare un esempio, degli omosessuali). La donna è
agli occhi di Spinoza inferiore all’uomo per Natura riguardo a fortitudo animi
e ingenium, ed egli rifiuta con fermezza una possibiltà di parità di genere.
Ritiene inconcepibile donne intellettuali, mentre le declassa a soggetti di
mera generica rilevanza sessuale<sup>8</sup>. Spinoza la spara veramente grossa
quando afferma che la partecipazione della donna alla vita politica della comunità
possa costituire un magnus pacis detrimentum. Questi elementi antifemministi
del pensiero spinoziano costituiscono punti imprescindibili di estrema gravità,
tra l’altro. A Oudewater, cittadina olandese sotto il dominio cattolico
spagnolo (Spinoza visse nell’Olanda indipendentista e liberale del suo tempo),
all’era dell’autore ebreo, si praticava la pesatura delle donne allo scopo di
stabilire, in caso di “leggerezza”, l’appartenenza alla categoria delle
streghe. E lui prende posizione contro il gentil sesso in luogo di avanzare
proposte sostanzialmente liberali. La libertà di cui parla Spinoza non
rappresenta un concetto genuino e limpido, bensì una libertà orwelliana: quella
dell’animal farm, dove tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono alla fine
più uguali di altri. Egli non indossa i panni di un illuminato equo
liberalismo, rivendica solo lo spazio, toltogli da un antisemitismo in generale
sempre deprecabile, per poter attuare un suo modello totalitario, una
androcrazia omofobica, addirittura informata da razionalità divina (a suo modo
di vedere). Spinoza eredita tutti i limiti della visione sociopolitica e
antropologica veterotestamentaria (rinnovati con vigore dal Cristianesimo) e
non se ne rende conto, prigioniero nel suo kafkiano recinto mentale. Egli pone
sullo stesso piano di valutazione la misericordia muliebre, la parzialità e la
superstizione. Giudica che le donne siano più fonte di penosa gelosia a
pensarle fedifraghe, che non di normale benessere, a causa di loro inconstantia
et fallax animus. Lui fu vicino al matrimonio e venne lasciato da lei – oserei
dire, fortunatamente – a vantaggio di un altro più facoltoso. Non so quanto
c’entri la motivazione economica in tale abbandono di questa, comunque,
avveduta precorritrice di Regine Olsen, tuttavia per Spinoza la donna è ancora
la porta dell’inferno che introduce alla perdizione della retta via. Se
pensiamo che il filosofo ebreo accoglie la validità normativa in termini morali
della Scrittura ci rendiamo conto con chiarezza in quale circolo di idee si sia
andato a impelagare senza scampo<sup>9</sup>. Egli reputa i Giudei un popolo
eletto da Dio ma non in maniera esclusiva. Nutre una concezione weiliana in
ciò. La patologia nevrotica spinoziana proviene dalla sua personalità, non
dagli insegnamenti religiosi che ha ricevuto, poiché poteva essere più
equilibrato facendo uso di quella ragione che lui ha invece distorto e piegato
verso i suoi interessi speculativi di stampo appunto nevrotico-religioso.
Spinoza crede che sia l’odio antisemita a tenere in vita il popolo ebraico, che
la circoncisione sia lo strumento atto a contrassegnarlo in questa lotta per la
sopravvivenza, la quale a suo avviso potrebbe terminare con la costituzione di
uno Stato giudaico moderno se Dio vorrà di nuovo accordare agli Ebrei una nuova
forma di predilezione. Spinoza adotta la Bibbia cristiana e accetta la validità
neotestamentaria. Gesù Cristo sarebbe per lui un interprete razionale, il quale
ha visto nella Sostanza-Dio le verità divine nitidamente, a differenza di
limitati predecessori veterotestamentari. Il pensatore giudeo distingue
chiaramente filosofia e teologia, e pensa di poterci parlare dal primo campo in
virtù di un presunto esercizio di razionalità, ma in verità ci parla sempre da
teologo nevrotico. A suo modo di vedere, Scrittura e filosofia, fides et ratio
non sono in contrasto. L’inclinazione freudiana di Spinoza si trova di nuovo
nel punto in cui chiarisce la nascita del diritto positivo dalla limitazione
del diritto naturale inteso quale lecita possibilità assoluta di agire al fine
di assecondare la propria personale natura, qualsiasi essa sia (Es) e cioè
priva di una posteriore inquadratura razionalistica (principio di realtà): è
preferibile, allo scopo di tutelare la propria integrità, approdare a una
condotta ragionevole la quale mantenga la coesione sociale in luogo di una
generale originaria anarchia hobbesiana. Spinoza chiama potere democratico
(democrazia) il potere assoluto di uno Stato Leviatano hobbesiano. Simile forma
di sovranità statale spinoziana è incondizionata, subordina tutti i componenti
sottostanti al centro rappresentativo di essa. Il filosofo ebreo postula uno
Stato etico dal momento che esso ha rilevato dal basso il requisito della
razionalità delegata in modo universale (in parole povere qui c’è già Hegel). E
tale Stato, stando all’avviso spinoziano, va sempre comunque seguito, pure se
sbaglia. L’auspicio dell’autore giudeo è ovviamente quello che il potere
sovrano possa evitare, in previsione della propria conservazione, gli errori.
Egli parla di una comunità di uguali deleganti, tuttavia, a ben guardare, la
sua non rappresenta una vera e propria democrazia di uguali dacché ha escluso,
sulla base di assurdi pregiudizi, tutto il genere femminile della popolazione e
gli indegni per, a volte discutibilissimi, motivi morali. Il pensiero politico
di Spinoza ci prospetta una forma di borghese apartheid misogina, omofoba e
xenofoba. La distopica liberaldemocrazia spinoziana si mantiene peraltro in
linea con la veterotestamentaria ebraica xenofobia<sup>10</sup>. Spinoza, il
quale possiede una contorta idea di pacifismo (per lui vale il “si vis pacem
para bellum”), ci spiega (irrazionalmente) che, se una città nemica occupata
non offre la sicurezza di una stabile e tranquilla gestione degli sconfitti, è
meglio raderla al suolo e deportare la popolazione. Il pensatore ebreo ha
teorizzato un modello di democrazia borghese (anticipante uno schema preso di
mira da Marcuse ne “L’uomo a una dimensione”), dove stabilità e quiete sociali
(di huxleyana memoria<sup>11</sup>) costituiscono dei cardini, e dove il distacco
dello Stato da problematiche teologiche divisive viene più apprezzato di un
intervento dirimente. Secondo Spinoza, al fine di creare una società coesa, non
è bene lasciare la proprietà immobiliare nelle mani della molteplicità dei
cives, poiché il frazionamento proprietario sarebbe movente di divisione.
Preferibile demandare a un ente pubblico la proprietà di case e terre, il quale
provvederà ad affittarle. Il ricavato andrà speso in parte nel settore della
difesa militare, in parte destinato al soggetto detentore della sovranità
statale. Spinoza lascia alla singolarità del civis a più ampia libertà nel
campo delle attività finanziarie, bancarie e commerciali, la cui fluidità e la
cui diffusione reputa causa di corresponsabilizzazione. Dai prestiti bancari o
personali a interesse bisogna, a suo avviso, escludere gli stranieri. Questo gli
ha ispirato il suo nativo mondo olandese (essendo nato ad Amsterdam nel 1632),
il quale gli ha garantito un migliore spazio di vita. Spinoza osserva che un
essere umano non può essere giudicato in tribunale sulla base delle idee
religiose bensì sulla base di quel che fa. Allorché c’è «Charitatis et
Aequitatis exercitio» da parte del singolo non ci sono problemi di sorta in
ambito religioso, come anche in generale. Il filosofo giudeo, però, nel suo
argomentare in merito produce altresì un significativo esempio legato al suo
modello sociopolitico, ed elogia la società liberal-borghese nel momento in cui
si mostra incurante degli aspetti religiosi, ma attenta in banca ad esempio a
guardare solo il grado di ricchezza della gente e la affidabilità comportamentale.
L’autore ebreo, in vita, fu vittima di emarginazione da parte dei suoi
originari correligionari, uno dei quali cerco persino di ammazzarlo. Spinoza,
il quale non poteva disprezzare giustamente un ideale di pacifica e libera
coesistenza sociale, non seppe elevarsi a posizioni di superamento della
misoginia, della omofobia e dello schiavismo insiti nella tradizione
giudaicocristiana. Alla fine egli rimane un pensatore di impostazione
religiosa, alla ricerca di una libertà i cui benefici non ripartisce con
“carità ed equità”. Rimane parziale. Mi chiedo se lui possa considerare
eversive le pari opportunità di genere in politica e nella società, e
l’accettazione degli omosessuali, giacché la sua presunta razionalità divina si
manifesta misogina e omofobica. In mezzo a queste perplessità, la libertà che
Spinoza teorizza, con pertinenti forme argomentative, in abstracto pregevoli e
raffinate, sembra in fondo apparire soltanto la propria. Esiste dunque un velo
di ipocrisia nella sua esaltazione (riservata non a tutti) della libertà di
pensiero e di opinione? Egli è in grado di dire che le credenze astrologiche
dei magi evangelici fossero non scientifiche (ma prodotto di una fantasia ad
hoc indicativa), però i suoi limiti di vedute non li sa affatto notare,
intrappolato nel nevrotico recinto teologico biblico. Se visse appartato, ciò
non potrebbe essere stato in seguito a un calcolo di convenienza
autoconservativa? Spinoza visse in quelle epoche in cui i cristiani, come
scrisse, si scontravano ferocemente inter se avendo fatto scadere la religione
al livello di un’estetica di potere. Disprezzava altresì l’antico mondo pagano,
a testimonianza del suo sostrato religioso più che schiettamente filosofico. La
richiesta di libertà spinoziana pare in primis mirare alla soppressione
(lecitamente richiesta e richiedibile, nonché auspicabile) dell’antisemitismo
cristiano. Ora, però, il sistema filosofico di Spinoza si rivela aporetico: se
tutto si svolge secondo un piano divino all’interno dalla Sostanza, che senso
ha andare opporsi contro l’ineluttabile corso del reale? Nell’ottica filosofica
spinoziana l’antigiudaismo non dovrebbe essere un momento storico imprescindibile
e inevitabile? So che si tratta in pratica di domande assurde, però
scaturiscono dalle aporie spinoziane. Dal momento in cui il filosofo giudeo
spiega che pure il peccato originale di Adamo nella prospettiva di Dio era
razional-hegeliano, non era un male, ma che anzi il male in assoluto non esiste
perché lederebbe la perfezione divina; che senso ha lamentarsi per problemi
secondo lui visti dalla prospettiva inferiore, umana, limitata? Contestare
l’antisemitismo non equivale a contestare i progetti di Dio per la storia umana?
Se il male esiste soltanto a causa dell’incapacità di valutare tutto l’insieme
del reale in divenire, perché Spinoza si concentra su cose che reputa dettagli
minori allo sguardo di Dio? Perché non trova quella pace interiore prevista dal
suo sistema nel contemplare il tutto in Dio? Perché nella tragica tristezza
dell’antisemitismo non si rallegra più e si ribella de facto al liberticida Dio
giudaicocristiano (il quale ha preteso invece di esaltare maniera assoluta)? Le
contraddizioni nella testa di Spinoza sono pesantissime, denotano nevrosi
kafkiane e non uso di razionalità genuina. Il pensatore ebreo, come visto, si
rivela in ultimo più un teologo nevrotico e dogmatico, un costruttore di uno
pseudofilosofico sistema di pensiero, messo in crisi dal creatore stesso,
artefice di aporie radicali e insuperabili, le quali dimostrano l’orizzonte
nevrotico spinoziano e un finto richiamo alla razionalità autentica. Spinoza ha
ricevuto una formazione educativa giovanile connessa al mondo ebraico, e questa
impronta ha indirizzato la sua mentalità in maniera stabile. Quando il filosofo
giudeo puntualizzò le cose seguenti che riporterò in sintesi, non va trascurato
che il suo elogio della libertà discrimina le donne (ritenute dotate di scarsa
razionalità), gli omosessuali (per motivi di morale religiosa biblica) e gli
schiavi. Sebbene qui Spinoza dica cose condivisibili e apprezzabili, dobbiamo
ricordare che sono unicamente riservate a una parte del genere maschile della
società. La presunta razionalità del patto fondativo sociale spinoziano è
maschilista (e ritroveremo la tara maschilista in Hegel). Il Deus sive Natura
si mostra misogino, omofobo e schiavista, nonché legittima la pena capitale. L’autore
ebreo parla di una facultas libere ratiocinandi dell’individuo la quale il
potere politico non può né praticamente, nonostante metodi repressivi, né
lecitamente sopprimere. La verità e la falsità non possono essere stabilite e
imposte per legge. La ragione umana abita in uno spazio interiore, che non
costituisce uno spazio pubblico (al pari dell’intera psiche del singolo).
Perciò questa dimensione privata non può essere campo di censura statale. Finis
Reipublicae revera libertas est, precisa Spinoza. Il modo in cui raggiungere la
devotio erga Deum non è materia di deliberazione pubblica rivolta alla
collettività. Esiste nei confronti della politica un diritto personale di
critica libera, pacifica, intellettualmente onesta. L’ordinamento giuridico
vigente va comunque rispettato. Spinoza non approva spiriti eversivi e rivoluzionari.
Per lui vale il principio: salus reipublicae suprema lex esto. Non va dimenticato
che lo Stato nelle concezioni del filosofo giudeo nasce storicamente in seguito
alla delega comunitaria di porzioni di razionalità individuali, le quali
assommate generano una razionalità super partes e vincolante in quanto tale. La
macrorazionalità statale prevale in ogni caso sulla microrazionalità personale,
a prescindere da chi abbia realmente ragione. Lo Stato, in quanto tale non può
essere oggetto di contestazione senza rompere il patto comunitario di delega
della razionalità. Tuttavia da parte del potere statale «quae prohiberi
nequeunt, necessario concedenda sunt, tametsi inde saepe damnum sequatur». La
facultas libere ratiocinandi non può essere messa a tacere, essendo anche la
base del progresso scientifico. L’impossibilità dello Stato a mettere a tacere
la ragione individuale, nel caso di repressione della libertà di pensiero e del
diritto di critica, comporterebbe una deriva di ipocrisia. I depositari di «bona
educatio, morum integritas, et virtus» resterebbero sempre intolleranti verso un
regime liberticida. Spinoza reputa controproducente per lo Stato fare martiri
fra i liberi pensatori (in ciò si riscopre in linea con un ragionamento
dell’orwelliano O’Brien), meglio lasciare un’aperta dialettica di punti di
vista (la cui pericolosità comunque nei riguardi dello Stato liberal-borghese
si trova limitata da azioni possibili di censura e repressione antieversive e
antirivoluzionarie: bisogna evitare dialettiche violente, neanche gradite allo
huxleyano Brave New World). Da questo confronto pacifico dovrebbe emergere una
maggioranza nel caso della politica la quale, in seguito al patto fondativo della
razionalità condivisa, possiede il diritto di esprimere la norma vincolante
(pur sempre emendabile o abrogabile in futuro). Le chiare, evidenti,
contraddizioni del pensiero sociopolitico di Baruch Spinoza ci rivelano una
personalità molto legata e vincolata al suo tempo e alla sua tradizione
culturale familiare. Più che un difensore della libertà, mi pare l’edificatore
di una distopica (capitalistica) visione del mondo, dove da un lato il suo
onnivoro Dio non lascia nessuna altra libertà che quella di adeguarsi a un
preciso schema teologico misogino, omofobico, schiavistico, e dall’altro
Spinoza cerca di sdoganare un concetto di libertà borghese, laicizzante e
tendente a spegnere i violenti scontri religiosi non molto favorevoli a un
regime di vendite mercantili. L’autore ebreo mi sembra in particolare un
teorico e promotore del primato della finanza speculativa bancaria. Nella sua
nevrosi egli non è un ateo, come gli fu rimproverato. È invece più vicino al
protestantesimo attivistico. Dio predilige Abele, cioè l’attività
imprenditoriale a rischio, e non Caino, curatore della più sicura rendita
immobiliare proveniente dalla terra. Dio predilige la manifattura e lo
strumento del denaro. Il teologo giudeo postula perciò non soltanto un Deus
sive Natura, ma anche un Deus sive Capitalismus. L’attività divina, realizzante
il suo essere in interiore, non si ferma staticamente di fronte alla Natura.
Detto fuori-di-sé, in termini hegeliani, già prodotto attivistico di Dio, viene
ulteriormente sottoposto ad attività, la quale smonta la materia (l’immobile)
in direzione del bene mobile grazie alla manifattura, e procede infine alla
volta dell’astrazione finanziaria (il denaro). L’azione divina sulla Natura
mediante l’uomo costituisce una techne, cioè una conoscenza universale messa in
pratica; e in tal senso si profila un dominio della tecnica sulla Natura
(componente quindi dell’amore del Dio spinoziano per sé). L’attività umana
rappresenta un riflesso dell’attività divina. Dio è il primo tecnocrate (sia in
ordine cronologico che gerarchico). Il Deus sive Capitalismus di Spinoza rappresenta
l’archetipo filosofico del “distinto crociano” dell’economia”. Scremate da
tutto il resto sostanziale, le parole del filosofo ebreo dedicate alla libertà
sono formalmente molto belle e condivisibili, ma se poi mettiamo a fuoco rimaniamo
delusi a scoprire che si tratta di uno specchietto per le allodole, e per
giunta discriminante una grande fetta del genere umano. Se egli avesse distinto
gli esseri umani ponendo come riferimento il possesso effettivo del Logos (QI),
senza farsi trascinare da idee reazionarie, sarei stato d’accordo con lui<sup>12</sup>:
ha sbagliato a non seguire una via platonica. L’attivismo teologico di Spinoza
va altresì a sfociare in un’esaltazione della libertà la quale possiede un
risvolto economico. Gli Ebrei, per tradizione esilica (conseguenza di
irrazionale condannabile antisemitismo), erano dediti al commercio e alla
finanza (lecite attività in ogni caso). Che egli vada a sposare un ideale
liberal-borghese non è un caso: ciò costituisce de facto un conveniente
matrimonio per affinità di interessi ideologici e anche materiali. La famiglia
di Spinoza era coinvolta in attività imprenditoriali, andate fallite. Egli è
vicino all’idea di predestinazione luterana, la cui radice prossima è
agostiniana, ma quella remota è stoica. Nel pensatore giudeo compare quella
mentalità attivistica del protestantesimo, e ben rilevata da Weber, in Spinoza
presente grazie ai suoi propri canali a latere. È stato proprio costui in un
illuminante e significativo esempio a chiarirci che nella sua liberal-democrazia
(borghese) il denaro posseduto e l’affidabilità a gestirlo costituiscono cose
importanti. Tutto il resto viene declassato, dalla religione alle pari
opportunità di genere, a roba che non deve assurgere a intralcio del sistema
liberal-capitalista. È evidente che pure in Spinoza l’elezione divina si rende
riconoscibile nella forma del “successo attivistico”. Il filosofo ebreo non
esalta la ricerca della ricchezza (effetto), la quale verrebbe dunque da sé
(premio), come nel caso di Giobbe, esalta esclusivamente il momento attivistico
in sé (causa). Ricercare la ricchezza rappresenta una passione nell’accezione
spinoziana, un impulso non lucido, il quale farebbe smarrire l’ideale supremo
di riscoprirsi in Dio e nei suoi progetti. L’attivo impegno (nevrotico) dev’essere
questo: conformarsi al pensiero e alla volontà divine. Il rifiuto di una
prospettiva di diretta ricerca delle ricchezze avanzato da Spinoza non abolisce
il valore di segno di elezione divina nella sua teologia. Tale ragionamento di
rifiuto di intenzione ad agire è comprensibile: l’essere umano nella concezione
spinoziana deve concentrarsi sulle cause e non sugli effetti. Esiste un
parallelo nelle analisi weberiane sull’etica protestante di quest’atteggiamento
di repulsione da parte dell’autore giudeo circa la ricchezza desiderata in
quanto tale (e non attesa invece in premio per l’attivismo). Si tratta del caso
dell’accumulazione capitalistica: Weber nota che i grandi detentori di capitali
tendano a non sprecare il denaro, come se non esistesse nelle loro mani.
Spinoza dice la stessa cosa: agisci, come se il denaro e le ricchezze non
esistessero. Quel che conta è unicamente l’agire (nevrotico compulsivo). Il
filosofo ebreo sarebbe potuto vivere di rendita grazie a un considerevole estraneo
lascito, però preferì fare l’ottico. Sarebbe potuto andare a fare il docente in
seguito a una prestigiosa proposta, ma preferì il lavoro manuale. Pare che il
Dio-Sostanza-Attività spinoziano apprezzi molto il lavoro della manifattura per
realizzarsi. Alla mia esposizione manca in conclusione quella parte dedicata a
Eraclito nella veste di ispiratore del semita Zenone di Cizio, dal cui
stoicismo sorse poi il Cristianesimo. Allo stoicismo si riagganciò l’Ebreo
Spinoza per via delle parentele concettuali semitiche. Ecco quindi quell’asse
che dal pensatore presocratico di Efeso passa dallo stoicismo e dal
Cristianesimo per giungere a Spinoza e infine a Hegel. L’esame della sezione
riservata a Eraclito nell’opera di Diogene Laerzio offre ottimi spunti di
riflessione circa una rilettura spinoziana e hegeliana del filosofo di Efeso.
Alcuni brani del biografo greco costituiscono preziosi spunti in tale direzione.
Per Eraclito il fuoco costituisce l’immagine del principio determinate, sempre
esistito, un principio di forma; dunque, un contenitore, che al suo interno
sviluppa una continua dialettica di alterità nella processione dei suoi
elementi, un insieme il quale nel complesso mira alla stabile permanenza
ontologica della forma-logos (determinante il divenire continuo del suo
contenuto-materia): in parole povere questo rappresenta l’embrione della
Sostanza di Spinoza e dell’Assoluto di Hegel. Nelle parole del biografo greco a
proposito di Eraclito, in aggiunta a intravedere le analogie stoico-semitiche
col monismo spinoziano (a sua volta tra le fondamenta hegeliane), possiamo
ritrovare la teorizzazione del “negativo” quale motore universale. Senza il
“negativo” (“modo” spinoziano, “fuori-di-sé” hegeliano) non c’è divenire:
l’Assoluto ante litteram eracliteo poi si ricompone; e il determinato viene
sussunto nel determinante, la materia-divenire nella forma armonica. Il
contenitore, che Eraclito dal canto suo chiama Logos, esce fuori-di-sé dal
momento tetico (formale), cioè dal suo stretto essere un principio determinante
di forma. Ecco così recuperati, dopo il chiarimento del “negativo”, i termini
canonici della dialettica hegeliana. A Eraclito non sfugge neanche il problema
del “cattivo infinito” giacché afferma che l’universo sia limitato
(un’affermazione a questo punto da intendersi più riferita al suo interno e
alle sue interiori dinamiche di opposizione: il cosmo si limita in primis in
interiore). E infine il filosofo di Efeso supera pure la problematica di
hegeliana di una sola chiusa crescita dialettica storica parlando di macrocicli
rigenerativi. Tale idea di Eraclito sarà ripresa dallo stoicismo, il quale in
generale attraverso Spinoza, sarà di spunto a Hegel: il Logos egemonico e le
ragioni seminali sono idee stoiche di derivazione eraclitea.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Distopie
occidentali”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali">https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> “L’antipanlogismo di Zamiatin” (2015).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/13469501/L_antipanlogismo_di_Evgenij_Zamjatin">https://www.academia.edu/13469501/L_antipanlogismo_di_Evgenij_Zamjatin</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Si veda in particolare il mio studio <i>Gesù stoico e dionisiaco </i>contenuto nella mia pubblicazione <i>Partita a scacchi</i> (2022).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/06/gesu-stoico-e-dionisiaco.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Per approfondimenti indico miei lavori: 1) dentro la mia
opera <i>Note di critica </i>(2017) la sezione intitolata <i>Radici
sumere di Ebraismo e capitalismo</i>; 2) la monografia <i>Critica dell’irrazionalismo occidentale</i> (2016).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/29344784/Critica_dell_irrazionalismo_occidentale">https://www.academia.edu/29344784/Critica_dell_irrazionalismo_occidentale</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Si veda lo studio segnalato nella nota 2.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>5</sup> Suggerisco un approfondimento grazie a questo mio scritto: <i>Radici
egizie</i>, contenuto nella mia
monografia <i>Ermeneutica religiosa weiliana</i> (2013).</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>6</sup> Ho dedicato una analisi al teologo danese: <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i>,
nel mio saggio <i>Filosofie sadiche</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>7</sup> Al fine di approfondire consiglio due miei scritti: 1) <i>Antropogonia
e androginia nel Simposio e nella Genesi</i>, dentro la mia opera <i>Considerazioni
letterarie</i> (2014); 2) <i>Aristotele e il pericoloso regno di Dio</i>, dentro il mio saggio <i>Teologia analitica</i>
(2020).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.it/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio_4.html">http://danilocaruso.blogspot.it/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio_4.html</a></div><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/05/aristotele-e-il-pericoloso-regno-di-dio.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>8</sup> Per approfondire indico un mio studio: <i>Sul biblico
“Cantico dei cantici” e su Gn 1,1</i>, all’interno della mia pubblicazione
<i>Radici occidentali </i><i>(2021)</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>9</sup> Si veda il punto 2) di nota 7.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>10</sup> Vedasi nella nota 7 il punto 2).</div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>11</sup> A “Brave New World” di Aldous Huxley
ho dedicato una monografia: <i>Il capitalismo
impazzito di Aldous Huxley</i>.</div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley">https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>12</sup> Allo scopo di possibile
approfondimento indico un mio scritto in merito: <i>Le implicazioni filosofico-politiche del mio schema psicanalitico</i>,
contenuto nel mio saggio <i>Storia e
pensiero</i> (2023).</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/01/le-implicazioni-filosofico-politiche.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/01/le-implicazioni-filosofico-politiche.html</a></span></div><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-39004173397798755392023-05-11T07:19:00.003+02:002023-05-13T09:39:39.496+02:00LA LIBERTARIA CRITICA AL CAPITALISMO SELVAGGIO DI ROBERT ANSON HEINLEIN<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO<br /></b> <br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLk9vZ7izLLxS4jq_IHBIZWD_xRN9u8jEPDMHtXs3rcIOIksBBySQSj7RGkjtH-w6vKRg3dpsUtc2LVCYox8iSkiVTfGH73SZ06SFTBvFA8mPNqWUnhbr9JiOvaQx3zy_hKXYO2T6fyvoJOpaCgccDMDyImAf4xJySFp3Vl6RlThMaNEPD1QEVSMRO/s431/a.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="431" data-original-width="304" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLk9vZ7izLLxS4jq_IHBIZWD_xRN9u8jEPDMHtXs3rcIOIksBBySQSj7RGkjtH-w6vKRg3dpsUtc2LVCYox8iSkiVTfGH73SZ06SFTBvFA8mPNqWUnhbr9JiOvaQx3zy_hKXYO2T6fyvoJOpaCgccDMDyImAf4xJySFp3Vl6RlThMaNEPD1QEVSMRO/w141-h200/a.jpg" width="141" /></a></div>Nel 2003 dopo l’imprevisto ritrovamento del testo inedito,
risalente alla fine degli anni ’30, il romanzo intitolato “For us, the living”,
opera di Robert Anson Heinlein (1907-1988), fu dato alle stampe. In origine non
raccolse l’approvazione dell’editoria negli USA alla vigilia della seconda
guerra mondiale. Le ragioni saranno evidenti non appena esporrò la mia analisi
critica del romanzo: quelle idee rappresentate dallo scrittore americano non
avrebbero avuto una facile via di pubblicazione allora. Perciò il testo finì
accantonato e sepolto dal suo creatore, sino al suo inaspettato recupero post
mortem. Ritengo “For us, the living” un romanzo molto rilevante perché ci
mostra un qualificato punto di vista dell’assetto sociopolitico statunitense
cronologicamente ruotante attorno al 1939. L’autore guarda al suo recente
passato, cogliendone gli aspetti contraddittori, ma soprattutto guarda al
futuro manifestando delle aspettative per l’immediato e degli auspici
idealistici nei riguardi del futuro remoto (il quale nel romanzo si spinge al
2086). Questo prolungato sguardo di un secolo e mezzo circa incrocia il nostro
al principio del XXI secolo. La cosa risulta proficua nel confronto storico
(sin dove ci è possibile) poiché simile operazione ci restituisce spunti
storiografici. Ciò che Heinlein, si attendeva, posto accanto a quello ch’è
realmente avvenuto, ci dà una misura del periodo anteguerra negli Stati Uniti.
Possiamo intuire un senso di delusione dell’autore nel dopoguerra, il che
contribuì al sotterramento a tempo indeterminato di “For us, the living”. Il
suo creatore fu prima della redazione del romanzo politicamente impegnato nelle
file del Partito democratico in California, dove fu candidato, senza conseguire
l’elezione, al Parlamento statale nel ’38. Quantunque egli avesse coscienza
della torbidità della politica, pare di intravedere, a posteriori, dalla
lettura della sua pregevole opera, qualche strato di ingenuità (poi sicuramente
rimosso). Sulla base di tutte queste premesse ci possiamo addentrare nel
romanzo, il quale ha come protagonista un uomo morto nel 1939 negli USA
risvegliatosi dall’oltretomba grazie a un procedimento scientifico negli Stati
Uniti del 2086. Il testo heinleiniano sviluppa un paragone tra quei due mondi
collegati da un arco storico venturo immaginato. Viene ricordata la non tanto
florida situazione economica della nazione alla fine degli anni ’30 a causa dei
deficit di bilancio, della considerevole presenza di disoccupati e dell’alto
debito pubblico. Heinlein evidenzia l’ipocrisia borghese della società
statunitense della sua era (impantanata nelle sperequazioni, nella povertà e
nel disagio dei proletari), un sepolcro di corruzione imbiancato, un castello
di falsità e di ricchezze disoneste, pervasi a ogni livello da una volontà di
sopraffazione e di raggiro a svantaggio dei semplici, dalla politica marcia
alla religione e ai capitalisti che si intromettevano nello spazio della prima
servendosene per i propri obiettivi. In simile clima, che rammenta gli effetti
collaterali dell’attivistica etica protestante, lo scrittore americano
sottolinea altresì la maniera in cui venga apprezzato il successo personale
nella società a prescindere da un’adeguata valutazione morale. Quel che conta è
il segno dell’elezione divina alla salvezza ultraterrena, non il suo modo di
raggiungere questi segni visibili di benessere terreno. Perciò l’onestà non
rappresenta più un altissimo valore, dal momento che il privilegio divino non
si ottiene mediante essa e che questo costituisce un a priori a prescindere
(predestinazione). In ossequio a una tale visione le forme assistenziali
statali vengono considerate bestemmie: chi sta male, chi è privo di cibo, e non
possiede i mezzi per rimediare non rappresenterebbe un problema “pubblico”. Le
vicissitudini di costoro sarebbero questioni “private”, di cui non occuparsi
attraverso lo Stato. Heinlein non manca inoltre di condannare il maschilismo
dell’uomo americano di allora. Da lì in poi l’autore immagina la storia a
venire rispetto a lui cominciando col dare la Casa bianca nel 1940 ai
repubblicani. Costoro abbandoneranno i provvedimenti di assistenza ai
disoccupati, il che inasprirà le tensioni sociali, e indurrà il Congresso a
praticare di nuovo le politiche assistenziali. Il creatore del romanzo
inserisce la morte dell’ex presidente Roosvelt nel ’44, un dettaglio
immaginario evidentemente poco gradito, tra l’altro, quando lo scrittore
propose la sua opera per la pubblicazione. In quegli anni ’40 immaginati è
scoppiata la guerra in Europa (e non era così difficile prevederlo, o vederlo
direttamente alla fine del reale 1939): Heinlein ci dice che a vincere saranno
Francia e Regno Unito a scapito di Germania nazista e Italia fascista, Hitler
si suiciderà e Mussolini rimetterà il suo mandato nelle mani del re. Gli USA
non parteciperanno alla guerra a fianco di Francesi e Inglesi. L’autore di “For
us, the living” ci mostra simile cosa quale un motivo di vanto del presidente
F. D. Roosvelt, desideroso di tenere gli Stati Uniti fuori di un possibile
secondo conflitto mondiale (la storiografia della realtà storica ha elaborato
pareri divergenti). La seconda successiva presidenza americana immaginaria
repubblicana aveva scaricato sugli Europei l’origine dei problemi
socioeconomici interni, i quali non era stata in grado di risolvere. Aveva
chiesto che gli sconfitti nella Grande guerra saldassero i loro debiti. E
altresì aveva intrapreso una politica interna autoritaria, reazionaria e nazionalista.
Questo piano comportò l’emarginazione di donne e stranieri parallelamente alla
messa in atto di un radicalismo moralistico rivolto ai giovani e alle famiglie.
Tale presidente Malone, del partito dell’elefantino, arrivò a instaurare una
dittatura reprimendo le manifestazioni di dissenso della popolazione con la
forza, dopo aver proclamato uno stato di emergenza nazionale. Lo iron heel
terminerà nel 1950 in occasione dell’uccisione del presidente despota,
consentendo il ritorno alla normalità, in seguito alla quale Fiorello La
Guardia (il sindaco di New York) terra la White house per otto anni. Costui
proseguirà la politica di disimpegno internazionale roosveltiana evidenziata
nel romanzo (Heinlein considera una mossa sbagliata l’intervento statunitense
nella Prima guerra mondiale). All’operato di La Guardia si deve la creazione di
una banca pubblica allo scopo di superare i limiti imposti dagli interessi di
parte e dallo spirito affaristico delle banche private (difetti a sua volta
proiettati sulla privata Federal Reserve, la quale concede il suo denaro solo
ad altre banche). Heinlein a proposito espone ragionamenti economici che
condivido. Egli sottolinea il fatto che la moneta sia diventata una merce e che
non venga ritenuta uno strumento di crescita della comunità: qui ricorda la
pertinente critica di Marx. La banca pubblica di la Guardia prestava il proprio
denaro calcolando il tasso d’interesse sulla base dei costi di gestione
bancaria, sommando un aspetto di assicurazione equivalente in pratica a coprire
eventuali perdite di erogazione. Alle banche private fu altresì impedito di
prestare denaro al di fuori di una propria copertura prevista e concretamente
esistente, allo scopo di evitare l’indiscriminato aumento della massa monetaria
attraverso passaggi fittizi celanti in realtà scopertura di reale liquidità.
Simili connotati costituiscono i pregi della società americana del 2086, la
quale il creatore di “For us, the living” vuol elogiare nella sua utopistica
prospettiva finale evolutasi da stadi distopici. Nonostante i progressi
apportati dalle riforme laguardiane, poco più di un secolo prima, al principio
della terza guerra intestina europea, negli Stati Uniti rimaneva un problema di
sovrapproduzione, la cui via di soluzione fu trovata nell’America Latina.
Simile riversamento di merci e tale invasione commerciale però produssero
enormi effetti collaterali, poiché detta iniziativa indebitò gli Stati
sudamericani al punto di renderli incapaci di pagare. Questa situazione, la
quale urtò in primis l’Argentina (grande esportatrice agricola) sfociò in un conflitto
fra gli Stati Uniti e i debitori insolventi iniziato nel 2002, allorché la
marina americana attaccò infruttuosamente Buenos Aires. Dopo questo
significativo successo (ottenuto grazie all’appoggio di Brasiliani e Cileni),
gli Argentini conseguirono un secondo successo bellico di rilievo grazie al
devastante attacco provenuto dal mare su New York nel 2003. Tale evento
indirizzò le sorti della guerra perché durante esso perirono importanti
dirigenti della finanza americana, ai quali Heinlein addebita l’intervento
militare statunitense contro gli insolventi debitori stranieri sudamericani.
Quel vuoto lasciò aperto il cammino alla volta della pace panamericana nel
2004. La spiacevole e tragica esperienza bellica indusse gli USA all’adozione
del XXVII emendamento, il quale stabiliva che gli Stati Uniti per entrare in
guerra dovessero passare, a meno di essere invasi, attraverso un referendum
popolare approvativo in cui aventi diritto di voto sono gli abili al servizio
militare. il creatore di “For us, the living”, comunque, continua a esprimere
pensieri contro le partecipazioni belliche da parte esterna americana.
Conseguenza di questo nuovo clima di idee la nazionalizzazione dell’industria
militare statunitense: ciò rappresenta in generale un’ipotesi che apprezzo allo
scopo di mantenere la pace internazionale più salda (meno produttori di armi
privati, come ci dice Heinlein, meno finestre rotte di Bastiat e meno casus
belli). Con la cessazione delle ostilità belliche riemerse negli Stati Uniti
incalzante la questione della sovrapproduzione. Tuttavia fu reinterpretata in
un nuovo modo: non come merce da smaltire all’estero, bensì da indirizzare al
mercato interno. In quale maniera? Fornendo, con oculatezza, mediante la banca
di Stato creata da La Guardia moneta gratis, stampata e distribuita ad hoc
nella quantità occorrente. I prezzi al dettaglio furono calmierati al fine di
evitare l’aumento inflazionistico, e scontati di un 10% riscattabile presso la
suddetta banca nazionale degli USA. Detto piano non fu forzoso, ma ebbe la
spontanea adesione degli esercenti. L’economia statunitense ne risentì
positivamente. L’industria rifiorì riassorbendo la crisi e la disoccupazione.
L’inflazione non crebbe anche perché parecchio di quel denaro aggiunto rimase
figurato dentro le banche, depositato in conti correnti di esercenti cui veniva
versato. Il nuovo modello socio-assistenziale americano esperito nel 2086 del
romanzo contempla una universale sanità gratuita per i cittadini e provvede a
erogare un “reddito di cittadinanza”, vale a dire una quota di denaro non
soltanto utile alla sopravvivenza delle categorie di persone non occupate o non
stipendiate, ma altresì funzionale all’acquisto di prodotti commerciali in
maniera tale da allontanare la vexata quaestio della sovrapproduzione, problema
derivante da mancanza di capacità d’acquisto della base sociale. Il merito di
questo nuovo regime sociale risiede nel fatto che alla moneta non è stata fatta
corrispondere più una convertibilità con l’oro bensì con prodotti di concreta
utilità o con attività parimenti utili. Heinlein qui è molto filosofico, a
prescindere dai ragionamenti di schietta impronta economica (risalenti a
Clifford Hugh Douglas), e rievoca la distinzione epicurea dei bisogni umani:
alcuni sono naturali, altri no; e fra tutti quelli naturali non tutte le
possibilità sono necessarie. Tenendo d’occhio tale criterio si può costruire
una società giusta ed equilibrata, sulla scia anche del pensiero aristotelico
che respinge l’esistenza della povertà e di una soglia di arricchimento
esagerato e controproducente. L’autore del romanzo indica la causa di tutti i
mali di una società capitalistica, quale quella statunitense, nel denaro che
rimane bloccato dalle accumulanti speculazioni all’interno delle banche
private. Dunque lui ha esaltato il ruolo rivestito dalla banca pubblica di La
Guardia e l’emissione statale di denaro coperta da beni concreti. La
meccanizzazione della produzione, le nuove tecnologie emancipano dal lavoro
nella catena produttiva sempre più persone, e non c’è motivo a fronte di una
ricchezza reale (PIL) di lasciare nella povertà gente a causa della semplice
ragione di non emettere moneta nella lecita misura (de facto avvalorata) e di
offrirla gratis a chi ne avesse bisogno. Il sistema statale non crollerebbe,
mentre entrerebbe in crisi progressiva davanti a sovrapproduzione non assorbita
e disoccupazione dilagante nel momento in cui ulteriormente prendesse prestiti
di denaro o vendesse titoli pubblici a vantaggio di banche private, nei
confronti delle quali si ritroverebbe in una condizione finale di insolvibilità
e costretto al default per via, appunto, della mancanza di liquidità a propria
disposizione. Garantire quindi a tutti, sin dall’infanzia, la disponibilità e
il diritto a una quota personale di denaro, con un PIL all’altezza, nel romanzo
– come ben rimarcato dall’autore – ha reso i cittadini degli USA i padroni
dell’apparato riguardante la loro economia, e non i prigionieri di una
oligarchia capitalistica. Se il denaro diventa un mezzo di crescita, e non un
fine alla volta dell’accumulazione e dell’arricchimento irragionevole, un
modello liberal-capitalistico moderato può sopravvivere a vantaggio delle
imprese. Le quali subiscono nel capitalismo selvaggio le manovre di
speculazione bancarie: se le banche private non danno crediti le attività
imprenditoriali possono rischiare di fallire e nello stesso tempo i tassi di
disoccupazione crescere per un motivo o per un altro. In seguito a tutte queste
considerazione a me sembra positiva la soppressione di tutte le banche private
e la sopravvivenza di soli istituti di credito pubblici. Heinlein critica il
peso di una possibile eccessiva pressione fiscale a carico delle imprese,
giudicandolo un intralcio al circuito economico. Tuttavia al fine di evitare
l’accumulazione capitalistica, che egli ugualmente disapprova, non ha
manifestato favore all’idea di una partecipazione ai dividendi d’impresa da
parte dei dipendenti in aggiunta allo stipendio fisso: potrebbe essere, secondo
me, un ottimo canale per aumentare la facoltà d’acquisto a una determinata
categoria di gente senza far ricorso al di là della sommatoria di reddito di
cittadinanza standard e di stipendio a ulteriore conferimento di denaro gratis
da parte statale. Va evitato ovviamente un rilassamento nell’inattività in
seguito al minore coinvolgimento di persone nel settore produttivo favorito
dalla tecnica, e il creatore di “For us, the living” suggerisce a chi non si
dedicherà assiduamente ai lavori stipendiati extra reddito di cittadinanza di
concentrarsi su attività intellettuali o di volontariato (non meno importanti
nello sviluppo sociale del lavoro perlopiù manuale retribuito). Sono
perfettamente d’accordo con lui che il tempo individuale vada liberato non per
sprecarlo inutilmente ma per capire il mondo e contribuire in un modo o
nell’altro al suo miglioramento. Circa le possibili attività intraprese in
forma professionale con ritorno di lucro Heinlein fa menzione del caso dei
medici: più medici, nel settore pubblico o privato, potrebbero contribuire a una
migliore tutela della salute dei cittadini. Anche gli intellettuali sono
apprezzati dallo scrittore americano, specialmente nel caso in cui non
impiantano la loro attività legandola all’idea di guadagno. Tutti sono liberi
di contribuire come meglio credono al benessere comune. E se poi ci fossero
soggetti scarsamente attivi nella popolazione, il creatore di “For us, the
living” rammenta che in ogni caso i lavoratori ufficiali, come visto,
guadagnerebbero di più rispetto ai percettori di semplice reddito di
cittadinanza, anche in virtù del fatto che una minore quantità di prestatori
d’opera sul mercato comporterebbe, stando alla legge domanda/offerta, un costo
di assunzione non certamente basso. L’autore del romanzo non ha simpatie
marxiste e rifiuta il criterio marxiano del valore di scambio di una merce
collegato ai parametri di tempo e lavoro necessari a produrla. Per Heinlein il
valore di scambio del prodotto deriva dalla “desiderabilità” di esso e dalla
moneta a disposizione dei potenziali acquirenti: La somma di tali due fattori
poi giocando nel meccanismo domanda/offerta determina il prezzo di vendita
reale, la quale avviene allorquando il produttore riscontri praticamente una
differenza positiva tra costo di produzione e prezzo di vendita della singola
merce. Lo scrittore americano attribuisce molta importanza all’intraprendenza
imprenditoriale e alle innovazioni tecnologiche nella produzione, per lui la
qualità del prodotto costituisce il requisito fondamentale in direzione della
messa in commercio: i prodotti scadenti, in virtù della concorrenza, causano
fallimenti. Non sono in disaccordo nei riguardi di simile modo di apprezzare la
libera intraprendenza commerciale, però non posso far a meno di rilevare
l’eventualità di derive. Si potrebbero indurre gli acquirenti, come rammentato
da Marcuse, a desiderare le merci che comprano per ragioni in sostanza
stupidissime (ad esempio lo status symbol). Non credo che il desiderio di una
merce determini il suo effettivo valore, giacché si possono desiderare cose
inutili o rese costosissime unicamente dal marchio. Campagne promozionali e
disinformazione potrebbero addirittura impreziosire prodotti inutili, o
addirittura nocivi, inducendo al loro consumo, a danno non solo della tasca ma
altresì della salute. Una produzione onesta, come converrebbe Heinlein, sarebbe
alla base dei prezzi di vendita. Quindi finiremmo sempre su posizioni
ricardiano-marxiane: il tempo e l’energia coinvolte determinano i valori, e se
ci volesse poco e niente a produrre, oltre a regalare i soldi, si potrebbero
regalare pure i prodotti uscenti da catene meccanizzate a bassissimo costo.
Però sfamare un’intera popolazione, ad esempio, per quattro soldi, in termini
economici, riveste un valore di gran lunga infinitamente superiore a tutta la quantità
di denaro che si possa emettere o accumulare. Alla fine non avremmo neanche più
bisogno di usare molta moneta. Se il secondo decennio del XXI secolo negli
Stati Uniti fu caratterizzato dalla problematica della sovrapproduzione, il
terzo fu caratterizzato dal radicalismo religioso cristiano. Un nuovo movimento
puritano e il suo leader avevano infatti catturato la scena. Costui ritenendo
vicino il neotestamentario tempo apocalittico mise in piedi un’organizzazione
integralistica grazie al concorso di adepti. Heinlein coglie l’occasione di
rammentarci che gli Usa, sin dall’epoca coloniale, erano stati ricettacolo
anche di due differenti tipologie di persone per quanto concernesse la
categoria dell’opposizione dentro la società: i moralisti fanatici e i
pacifisti anarchici. E, a proposito dei primi, ricorda altresì che, sebbene
l’originaria carta costituzionale statunitense sia a favore della libertà di
culto, gli estremisti religiosi hanno invaso sempre e condizionato la vita
sociale e politica americana, e non sempre con metodi incruenti. Dalla morale
sessuale a tutto il resto, molte idee religiose hanno conformato il sistema
normativo americano nel tempo, restringendo i margini di libertà con il
pretesto a volte integralistico e non proprio adeguato di sanare e correggere.
L’errore sta nel considerare alcuni storicizzati principi provenienti dalla
religione non come incrostazioni tradizionalistiche sedimentate dall’ossequio
acritico dei più, bensì quali formulazioni di una illuminata ragionevolezza. Cosicché
una buona parte degli Americani ha scambiato una nevrosi per buonsenso. Il
progresso medico-scientifico del XXI secolo grazie all’introduzione di migliori
metodi anticoncezionali e di cura delle malattie veneree radicalizzò lo scontro
tra questo movimento religioso reazionario e integralista puritano e gli
autentici liberal-democratici. Dalla sessualità allo svago tutto ricadde in
questa battaglia pseudomoralistica molto estremizzata. Non si salvava pressoché
niente in detta crociata mirante al sovvertimento dell’ordine costituito. La
seconda metà degli anni ’20 divennero un regno del terrore inquisitorio, perché
il movimento aveva ottenuto in seguito a manifestazioni progettate ad hoc
l’acquiescenza e la disponibilità della classe politica. Tale patristico regno
di Dio negli USA fu sconfitto infine sul piano politico elettorale da uno
schieramento genuinamente e sinceramente liberale, non senza che si passasse da
un confronto violento. Il ritorno della pace sociale e della tranquillità
istituzionale fu sancito dalla nuova Costituzione statunitense del 2028, pietra
angolare del futuro benessere, tangibile in quel 2086 della narrazione di “For
us, the living”. Più in particolare nel testo del romanzo viene riportato il
rinnovato principio costituzionale libertario: nessuno può essere privato della
personale libertà se non è stato accertato un comportamento a detrimento di
un’altra persona fisica, giacché le persone giuridiche sono state declassate e
considerate rilevanti soltanto nella circostanza in cui siano immagine di un
danno subito da persone fisiche. Quest’ultima cosa ha soppresso le possibilità
di abusi, a scapito della collettività, compiuti da grandi organizzazioni
(persone giuridiche) finanziarie e capitalistiche. Una qualificata formazione
politica dei cittadini permette inoltre di esprimere scelte elettorali non
superficiali. Il sistema giudiziario nel 2086 si mostra molto evoluto. La
vecchia forma mentis sociale weberiana è stata dismessa, e tutti ragionano
secondo schemi mentali non viziati da quelle tare nevrotiche attivistiche.
Heinlein ha impostato il problema della devianza da una sana e normale condotta
sotto il profilo psicanalitico. La nuova giustizia interviene sulla psiche
dell’imputato, indagando le cause di deragliamento comportamentale. La prima
cosa da fare adesso è rendere consapevole l’accusato del fatto che ha compiuto
un eccesso (tipico, e magari approvato, soltanto nel passato). Esiste dunque un
iter di correzione psichica cui un criminale può essere sottoposto, oppure costui
può optare per il confinamento dentro gli USA, o anche per l’esilio, se non
accetta il primo. Le parole dello scrittore americano sull’argomento inerente
alla correzione sono profonde poiché colgono l’aspetto di incidenza delle
nevrosi a carico del singolo in una guisa lucida; l’obiettivo dell’emendamento
psicocomportamentale è proprio quello di curare alla radice il difetto. Bisogna
evitare eventuali crimini nella società rimuovendo la possibilità di ripetere
una dannosa induzione nevrotica. Il discorso del romanzo si fa molto
interessante allorché capiamo che in esso entra l’intellettualismo etico
socratico, perché il male è il frutto dell’ignoranza della propria nevrosi.
Allorché v’è coscienza nitida e matura di essa, questa svanisce quale movente efficace
di deviazione. Altresì si rivela pertinente a questa parte del testo esaminato
il collegamento con la Legge morale kantiana: il soggetto, illuminato e edotto
del suo sbaglio, viene portato ad agire in maniera universalmente esemplare
volendo evitare un potenziale ritorno negativo legittimato dalla sua possibile
prassi. Alla fine il nuovo sistema giudiziario americano mira attraverso una
platonica indicazione dell’errore (ossia del malevolo sopravvento del cavallo
nero della biga alata) a dimostrare razionalmente all’imputato che cosa sia
“bene” e “come” perseguirlo. Il tutto passa dalla demolizione di nevrosi e
passioni allo scopo di guidare al meglio la libido e di superare eventuali
ricadute in un vecchio relativismo socioculturale di gruppo (dove ad esempio si
possono alimentare e coltivare forme di maschilismo patologiche). Nel mondo
statunitense del 2086 il concetto di privacy ha informato marcatamente e
sostanzialmente l’ordinamento sociale e la vita dei cittadini: è infatti
illegale violare la riservatezza individuale al di là dell’ambito lavorativo
per tutte le possibilità extragiudiziarie. Nel caso del matrimonio si nota una
sua totale privatizzazione. La procedura di sottoscrizione di un contratto
pubblico è sparita. Il legame coniugale ora viene creato sulla parola, sulla
base di un semplice reciproco assenso alla convivenza more uxorio. Tutto il
resto, tradizionale, non è più necessario. Il poliamore è moralmente lecito, e
quindi poliandria e poligamia sono diventati legali (e fatti esclusivamente
privati). Il creatore di “For us, the living” non crede alla favola dell’amore
romantico (il quale sarebbe un’illusione, nevrotica, passeggera). Gli eventuali
figli sono liberi di scegliere il loro destino, giacché vengono assistiti dallo
Stato. Nel caso di “divorzio” la crescita di costoro potrebbe essere demandata
a questo grazie ad apposita istituzione educativa, nelle circostanze in cui
fosse presente una lacuna genitoriale. L’opzione statale è comunque
universalmente aperta alla richiesta del fanciullo. Circa l’argomento coniugale
non condivido l’idea di abbandonare il contratto matrimoniale pubblico,
tuttavia sono del parere che si debba concedere la facoltà di stipularlo a
tempo determinato (ad esempio quadriennale) con opzione di rinnovo. Il completamento della mia analisi mi
richiede due cose nella mia ottica critica: riportare l’immaginaria storia
europea di cui non ho più fatto cenno dagli anni ’40 del romanzo alla terza
guerra europea, e mettere in evidenza le ombre di “For us, the living”. Cominciamo
colla prima cosa. In Europa alla fine del periodo bellico era sorto uno Stato
federale (una sorta di UE all’ultimo stadio), strutturato nella forma di
monarchia costituzionale con a capo dal ’44 l’ex re inglese Edoardo VIII
(quello che abdicò per via della sua relazione con Wallis Simpson). La
rinnovata Europa unita si distinse in virtù dell’adozione di una moneta unica,
della creazione di una libera rete commerciale interna, e dell’adozione di un
sistema di difesa unitario. La floridezza comune europea crollò nel 1970 quando
morto l’imperatore Edoardo gli successe nel governo l’Americana imperatrice
Wallis. Il Regno Unito, che non l’aveva mai gradita, uscì dall’Europa unita,
innescando un quarantennale scontro bellico nel quale gli USA non prenderanno
parte. Accanto alla distruzione di un efficiente apparato sociale a sostegno
dei cittadini europei coinvolti, Heinlein riporta nella sua opera quale causa
del calo demografico, in aggiunta a varie patologie (ad esempio la sterilità
dei maschi provocata da radiazioni), aborti spontanei. Chiuso questo quadro,
passo all’altro su citato. Un lato oscuro del romanzo è rappresentato
dall’attuazione nella società americana del 2086 di procedure eugenetiche
correttive e soppressive (in senso intensivo, ma teoricamente pure estensivo
per ragioni demografiche): si tratta di una prospettiva inquietante,
soprattutto se vista con l’immediato sguardo post-bellico dei reali anni ’40.
Lacune discutibili provengono d’altro lato in “For us, the living” dal non aver
tematizzato alcune pesanti materie. La pratica della pena di morte e il
suprematismo bianco dei discendenti dei coloni europei. Heinlein ha trovato lo
spazio per parlare di razzi (e di approdo americano sulla Luna), però non l’ha
trovato per affrontare l’argomento del razzismo nella maniera dovuta. La sua
immaginaria evoluzione degli USA da distopia a utopia ha ignorato la sinofobia,
la discriminazione dei neri, l’emarginazione degli Indiani. Sono dettagli di
enorme peso ai quali non riserva né discussione né tantomeno soluzione utopica.
Mentre è stato capace nel testo di riformare il comune senso del pudore dal
momento che gli Statunitensi utopici vanno in giro, a casa e fuori, più o meno
nudi (ha operato una sorta di reviviscenza antico-egiziana estremizzata sfruttando
la laicizzazione illuministica della società, liberata da invadenti e
condizionanti tare religiose). A conclusione di questo mio lavoro critico e
analitico sopra “For us, the living” non posso omettere di segnalare la
vicinanza delle teorie economiche henleiniane a quelle poundiane<sup>1</sup>.
Appare plausibile come pure le traversie vissute da Ezra Pound, a causa delle
sue posizioni politiche, abbiano indotto in vita Robert Anson Heinlein a tenere
costantemente sepolto questo suo romanzo. Ritornato alla luce al principio del
XXI secolo (un po’ sulla falsariga del protagonista letterario), è stato
giudicato pubblicabile nell’era successiva all’attentato alle Twin Towers.</span></div>
<div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Distopie
occidentali”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali">https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><span style="font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><sup>1</sup></span><span style="font-family: verdana;"> Per approfondire consiglio la lettura di un mio precedente
scritto, <i>Attualità di Ezra Pound</i>, che
ho inserito in una mia pubblicazione del passato del 2014 intitolata <i>Considerazioni letterarie</i>.</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/03/attualita-economica-di-ezra-pound.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/03/attualita-economica-di-ezra-pound.html</a></span></div></span></sup></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-16410008265336621082023-05-10T18:10:00.001+02:002023-05-10T18:10:47.301+02:00DISTOPIA E PSICHE IN JEFF SUTTON<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4WrlVFvgQkrl8fuxw1ekqv6YC1REr0wBAWWwTIbnSjQ8Tmp3oBD-gbxBOdCsmqME2StB1iBehnzseFNrwU0i6E77y3V_91PXNEIbCHgi8DDvG3f_z-iv3oOZU4E7LCyN-TVySiMZ4BMObAHKatf_VnNamPuF-0J1AK7EHmeG9pfc1OuY05Q1KVua-/s408/3.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="408" data-original-width="274" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4WrlVFvgQkrl8fuxw1ekqv6YC1REr0wBAWWwTIbnSjQ8Tmp3oBD-gbxBOdCsmqME2StB1iBehnzseFNrwU0i6E77y3V_91PXNEIbCHgi8DDvG3f_z-iv3oOZU4E7LCyN-TVySiMZ4BMObAHKatf_VnNamPuF-0J1AK7EHmeG9pfc1OuY05Q1KVua-/w134-h200/3.jpg" width="134" /></a></div>La lettura che ho svolto di “Whisper front the stars”, un
romanzo fantascientifico uscito nel 1970, e creato da Jeff Sutton (1913-1979),
mi ha rivelato la presenza di idee che avevo sostenuto in passato. È stato un
po’ sorprendente aver rintracciato un simile coagulo di ricchezza concettuale
in comune. La prima tangenza riguarda l’origine dell’umanità sul nostro
pianeta, la quale io ritengo pure il risultato di un’emigrazione
interplanetaria dall’esterno del sistema solare di cui fa parte la Terra<sup>1</sup>.
Io ho parlato in particolar modo della possibilità di insediamenti altresì su
Marte e Venere. Si tratta di ipotesi che nel tempo ho visto già pensate
concretamente prima di me, e, come sto spiegando, ogni tanto rinvenute appunto
qua e là in più autori a me precedenti. “Whisper front the stars” attribuisce
l’ipotesi emigratoria a un immaginario Krado Fromm, e inoltre menziona
probatori rinvenimenti archeologici su Marte: il che è tutto precisamente in
linea col mio modo formale di vedere la cosa nella realtà scientifica. Anch’io
credo che possano trovarsi reperti sopra Marte (o altrove) a testimonianza
dell’emigrazione e della colonizzazione umana in seguito a partenza da altro
sistema solare. Il romanzo suttoniano è ambientato all’inizio del XXIII secolo,
sulla Terra esistono ancora gli USA (da dove partono le vicende raccontate) e
l’umanità ha raggiunto e sfruttato altri luoghi del sistema solare. Non ci sono
state più guerre dal XXI secolo, in Europa e in Asia governano delle unità
amministrative continentali centralizzate. Il governo americano descritto,
sotto il profilo sociale, è alquanto sui generis: è infatti parecchio
assistenziale. D’altro canto tale misericordia è stata bilanciata da
un’atmosfera orwelliana dopo che lo Stato ha assunto uno spirito tirannico
antiliberale e antidemocratico, giacché ogni cittadino viene inserito in un
rigorosissimo meccanismo di controllo e di capillare monitoraggio. Tutti
finiscono schedati in vista dell’ottenimento di tutti i benefici possibili, e a
chi avesse atteggiamento contestatorio nei confronti del governo viene negato
il diritto di accedere a quasi tutte le opportunità di sopravvivenza e di
assistenza. In parole povere ciò equivale al rilascio di una abilitante tessera
di partito in una società totalitaria, dove chi rimane senza resta in grosse
difficoltà. Esiste un dipartimento governativo denominato Ufficio di salute
pubblica, parente orwelliano del Ministero dell’amore, il quale toglie dai
piedi i soggetti manifestanti opposizione e dissenso all’indirizzo del regime
oppressivo. La seconda delle tangenze concettuali fra me e il testo di Sutton,
tangenze di cui accennato in apertura, riguarda il mondo psicanalitico.
L’autore di “Whisper front the stars” non è stato estraneo a questo campo, e io
ho colto lo spunto mostrato da alcune impostazioni narrative del romanzo e le
ho interpretate alla luce della mia critica di carattere junghiano. Voglio
anticipare alcune cose poiché prima di leggere tale opera suttoniana avevo pubblicato
un mio scritto nel quale parlavo di viaggi nel tempo<sup>2</sup>. E a proposito
del passato ho inquadrato la cosa come un viaggio nell’Inconscio collettivo
junghiano. Questa sarà la mia chiave di lettura del testo di Sutton. Testo nel
quale ho trovato altresì qualche cammeo filosofico e letterario (Kant e pascal,
cielo stellato e canna pensante; Sylvia Plath, la campana di vetro). Circa le
presenze junghiane posso cominciare a dire che nelle parole di Ann Willett (lei
simbolo dell’“anima junghiana” nei confronti di Joel Blake) c’è un elogio della
“solitudine” e dei benefici che concede. Più in là lo scienziato Mark Randall
(simbolo dell’archetipo del “vecchio saggio”) si immergerà in una serie di
considerazioni fisiche e metafisiche nelle quali mi sono trovato a perfetto
agio perché sono formulazioni di idee che ho espresso in passato esponendo più
volte il mio modo di concepire l’Universo. Randall critica il comune e
semplicistico realismo ingenuo dei più, e attraverso un passaggio
schopenhaueriano (dove demolisce le concezioni di esistenza di spazio e tempo
autonomi) approda a un orizzonte cronologico e metafisico eleatico in cui i
diversi tempi non scorrono come lungo una retta distinti progressivamente in
senso unidirezionale, bensì si collocano distinti, ma contemporaneamente – per
così dire –, sullo stesso piano. Questa rivisitata dimensione temporale
mantiene la diversità logico-concettuale di un “prima” e di un “dopo”, nonché
di un “presente”, però relativizza tutto e lo pone metafisicamente sotto un regime
di sincronicità. Il “presente” viene dunque declassato a frutto
dell’autocoscienza attuale, una dimensione di consapevolezza pertanto interiore
la quale non penetra la cosa-in-sé al di là di noi, al di fuori dello spazio e
del tempo categoriali. Nel mio scritto citato poco sopra ho parlato proprio di
tale sincronicità junghiana. Jeff Sutton, dal canto suo, fa introdurre al
protagonista narrante Joel Blake (simbolo del complesso psichico dell’Io) di
conseguenza l’idea di un fato stoico, di una sorta di preordinazione del corso
della vita e delle rappresentazioni fenomeniche. Ci sono “cause di forza
maggiore” (gli input archetipici e i meccanismi fenomenici di causa-effetto in
secondo piano), ma Randall chiarisce che esse non sono inderogabili (da cui l’estrema
difficoltà affrontata dall’astrologia junghiana<sup>3</sup>). Prosegue lo
scienziato, sempre con tono junghiano, discutendo di una possibilità di
correzione del passato e di viaggio temporale per mezzo della mente. In
particolare di quest’ultimo argomento avevo esplicitamente posto il tema, come
detto. Non è una letterale time machine a consentirci di viaggiare nel tempo, e
poi noi non viaggeremmo nel tempo fenomenico bensì nell’Inconscio impersonale
dentro a cui siamo immersi. Randall, il quale parla da seguace di Schopenhauer
in pectore, allude con lucidità alla voluntas-libido. Ontologia e psicologia
analitica qui si fondono, e l’unità emersa pone il quesito: che cosa s’intende
per “correzione del passato”? Puntualizzato che non esiste tempo e suo scorrere
a prescindere da una categoria schopenhaueriana, possiamo ulteriormente
approfondire il discorso in senso junghiano, e mettere in campo il “processo di
individuazione” teorizzato da Jung. È Ann a farlo nel romanzo davanti a Joel allorché
costei propone un fine esistenziale di compimento del proprio destino, idest
raggiungere il Sé junghiano nel processo appena menzionato e diventare sé
stessi nell’ottica positiva della propria natura personale. Quindi sul finire
del romanzo tocca poi a Randall ammaestrare Blake al riguardo parlando di
processo mentale e di correzione degli errori del passato. Nelle pagine
conclusive di “Whisper front the stars” comprendiamo la maniera in cui quel
governo americano orwellianamente tratteggiato assurga a simbolo dell’Ombra
junghiana, nemica del benessere individuale, ostacolo della felicità personale
attraverso la sua tentacolare nevrotizzante azione. Il processo di
individuazione junghiano deve in primis far prendere coscienza dell’Ombra, la
quale sebbene induca suggestioni negative rientra nell’ambito delle possibilità
di libertà. Ora, non va mutilata la possibilità, il che è impossibile senza
menomare la facoltà di libertà in sé, va destrutturata e perciò depotenziata
l’Ombra in sé. Cioè bisogna condurre un cammino antitetico a quello di Joe
Goldberg in “You” di Caroline Kepnes, dove il protagonista realizza
nevroticamente l’Ombra, mostrandosi alla fin fine meno libero di quanto si
possa credere, poiché libertà è libertà di rifiutare da sé l’Ombra dopo averla
vista e riconosciuta. Sopprimere a priori illiberalmente la figura potenziale
dell’Ombra risulta pericolosissimo, in quanto comporta l’incapacità di gestire
una presenza scomoda e sconosciuta. Per concludere la mia analisi debbo
spiegare cosa sia la “correzione del passato” di cui tratta il romanzo
suttoniano. A mio modo di valutare essa possiede un significato psicanalitico,
e, a prosecuzione della mia linea critica junghiana, la ricollego alla
dicotomia “fase naturale / fase culturale”. Nella riconsiderazione del proprio
passato che ciascuno ha facoltà di azionare a pro dell’individuazione
junghiana, quel “nuovo sguardo culturale junghiano” proiettandosi sul passato
illumina e “corregge” i difetti e le inclinazioni perniciose e nevrotiche,
possibilmente ereditate, a beneficio di un presente ottimizzato.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Distopie
occidentali”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali">https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Per approfondimenti indico un mio primo lavoro (con i suoi
ulteriori rimandi) intitolato <i>Scoperte
stellari</i> e contenuto nel mio saggio <i>Partita
a scacchi</i> (2022).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> <a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2023/01/tempo-storia-e-verita.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2023/01/tempo-storia-e-verita.html</a></span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>3</sup> Allo scopo di approfondire suggerisco un mio piccolo studio: <i>Astrologia e tarocchi nella visione di Jung</i>
nel mio saggio <i>Percorsi di analisi
umanistiche</i> (2018).</div></o:p></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2018/01/astrologia-e-tarocchi-nella-visione-di.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2018/01/astrologia-e-tarocchi-nella-visione-di.html</a></span></div><span color="windowtext" style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-29064900367279443332023-05-02T10:12:00.003+02:002023-05-10T18:19:01.864+02:00LA DISTOPIA DELLA SCIOCCHEZZA DEI FRATELLI STRUGATZKY<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><b><span style="font-family: verdana; font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9zhZFaSKbw7ffIVWouS84D2KXHSCeNHfnktZ-NZ1eCN92h7lULxuJfbraF6SC3vd296kxpqHlMyIKaikSEQsZIhd2VUSERWjndhb2clTTTs5QzRdfVuigPmxXsoAOlB0YInpVV_N3OTsXOwJC0PTGGtIb_RnJGB6SVTajmZQS4gemO2P-Z90K_ncq/s448/2b.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="448" data-original-width="299" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi9zhZFaSKbw7ffIVWouS84D2KXHSCeNHfnktZ-NZ1eCN92h7lULxuJfbraF6SC3vd296kxpqHlMyIKaikSEQsZIhd2VUSERWjndhb2clTTTs5QzRdfVuigPmxXsoAOlB0YInpVV_N3OTsXOwJC0PTGGtIb_RnJGB6SVTajmZQS4gemO2P-Z90K_ncq/w134-h200/2b.jpg" width="134" /></a></div>“L’ultimo cerchio del paradiso” (titolo in italiano non coincidente con l’originale russo) dei fratelli Strugatzky, romanzo del 1965, è
un testo che mi ha prospettato l’opportunità di aggiornare il mio schema
degenerativo storico distopico<sup>1</sup>. E in particolare, attraverso il
concetto dello “sleg” (слег) di porre un ponte fra i temi dell’interfacciamento
neurale e dell’edonismo (v. in calce). Tale testo di fantascienza russa
presenta una precisa società, al cui interno il protagonista si trova a
investigare, i cui dettagli ai miei occhi sono risultati molto rilevanti nella
direzione succitata. Lo Stato in cui si trova Ivan Zhilin vive all’insegna di
una ideologia collettiva improntata al divertissement. Gli uomini ampiamente
emancipati da lunghe giornate lavorative, sono, appunto, dediti al soddisfacimento
edonistico. L’obiettivo di simile regime di vita è bandire il pessimismo e il
malumore, e mantenere alti l’ottimismo e il buonumore. La diffusione di una
comune e condivisa sensazione di benessere viene demandata anche all’intervento
della scienza medica mediante la neurostimolazione (ad esempio per indurre
sogni piacevoli). Pare di capire, in un elogio da parte di un personaggio
secondario del romanzo, che la “filosofia del neo-ottimismo” contempli
l’esistenza di qualcosa paragonabile al Viagra. Di questo dottor Opir, fautore
e sostenitore, di fama, della spensieratezza, più avanti nella narrazione, si
approfondisce di nuovo e un po’ meglio il “pensiero ottimistico”. Per lui tutti
dovrebbero rimanere o ritornare allo stadio mentale di fanciulli senza inquietudine,
nella ricerca di detta ottimale condizione – nell’articolo attribuito al
filosofo Opir – si sottolinea l’importanza dei trattamenti attraverso onde
elettromagnetiche al fine di indurre quei gradevoli sogni. Non dovrebbero
esistere frustrazioni in ambiti sociale e sessuale, la strada va perciò
spianata a scapito di forme ansiogene. Si parla di un “generatore di sogni”
operante per mezzo di radiazioni. Il dottor Opir condanna le critiche di coloro
che avversano, a di lui detta, i benefici della scienza apportati dal
progresso: la neurostimolazione descritta salva da dipendenze tossiche (come
droga e alcol) e offre il modo di vivere una vita sana in mezzo agli altri. Al
che gli autori Strugatzky replicano mediante le riflessioni di Ivan, il quale constata
la sciocchezza assorta a sommo ideale di vita: lo sciocco è diventato il tipo
giusto e apprezzabile inter homines; al di sopra di costui si colloca un’egida
mediatica che lo protegge e lo plasma, a difesa dai contestatori della benefica
(?) scienza; gli sciocchi sono tutelati dalla scienza (?) a differenza di
estremisti sovversivi. A quest’ironia si aggiunge la rilevazione di inusuali
inspiegabili (in apparenza) decessi sopra cui la macchina mediatica stendeva il
suo obliante rassicurante velo. Cosicché tutti gli sciocchi di ogni livello si
persuadessero della bontà della scienza ufficiale e dell’immutato ottimo
andamento delle cose. Il pericolo a un siffatto regime che rincoglionisce il
popolo proviene dall’effetto della noia sulla gente, una peste pericolosissima
al cospetto del divertissement. Infatti, se da un canto c’è una sorta di
carboneria la quale ricerca il risveglio sociale con metodi che potremmo
definire “terroristici”, dall’altro c’è uno sviluppo della ricerca del
divertissement il quale è sfuggito di mano alla scienza ufficiale. Gli
Strugatzky, andando più in là nella narrazione, a premessa della chiara
spiegazione della natura dello слег (evocato nella mia apertura d’analisi),
tengono a evidenziare alcuni concetti nevralgici nella società capitalistica:
l’educazione intellettuale degli individui non richiede altro sale che quello
sufficiente a inserire l’essere umano nei meccanismi di produzione e consumo.
Pertanto questo vuoto automa viene definito dagli autori del romanzo esaminato
“homo illitteratus”. In un simile elemento frizza autenticamente soltanto una
bestiale libido freudiana<sup>2</sup>: in lui latita il piacere intellettuale.
D’altro lato Gramsci ci rammenta che gli studi classici insegnano a pensare, a
ragionare (una forma, oltre che una sostanza). Gli homines illitterati vivono
una piattezza mentale, concepiscono il mondo sotto il loro sguardo invariato e
invariabile rispetto a così com’è: non esiste qualcosa di diverso nel passato e
lontano dal loro naso, l’analfabetismo funzionale costituisce poi un grande
loro limite. Nella finzione narrativa si fa menzione del pericolo della tecnica
neurostimolatrice mediante onde elettromagnetiche, tema sollevato da qualche,
più assennato, scienziato. Si sottolinea che quel rincoglionimento di massa
rischia di portare l’uomo fuori della realtà esistenziale vera, imprigionandolo
in uno spazio virtuale non positivo. E all’assuefazione in questo stadio
“scientifico” di virtualità indotta fa seguito l’introduzione clandestina dello
слег. Che cos’è? L’ultima parte del romanzo ce lo spiega bene. Si tratta di una
nuova tecnica di immersione della coscienza personale in uno stadio
neurostimolativo più intenso. È stato scoperto dagli sciocchi per caso: adopera
un paio di aggeggi comuni (manomessi ad hoc) e un prodotto chimico pure
comunemente diffuso. Si mettono quattro pasticche di questo in una vasca
d’acqua (calda in bagno, perlopiù), se ne ingerisce una, ci si beve sopra un
alcolico, e si aziona quell’apparecchio ottenuto indicato testé. Probabilmente,
dicono gli Strugatzky ancora, nelle parole di Ivan, il dottor Opir
legittimerebbe e sdoganerebbe lo слег, amato e temuto, conosciuto e sottaciuto
dalla massa. È infatti esso a causare le misteriose morti ricordate. A questo
punto della mia disamina posso ricollegarmi col mio menzionato schema
degenerativo e puntualizzare che lo слег è uno strumento e rappresenta una
prassi costituenti un medium fra gli estremi dell’edonismo (Brave New World) e
dell’interfacciamento neurale. Ovviamente sotto il profilo tecnologico non è
all’altezza degli strumenti presenti nei romanzi da me in passato menzionati
(ed esaminati), i quali per giunta si trovano in gradini inferiori. Ma noi
dobbiamo tenere conto di due cose: 1) la possibilità degenerativa scientifica a
tratti; 2) il fatto che il “concetto” di слег (non tanto la sua occasionale
tecnologia descritta) rappresenta un ponte, appunto, concettuale fra
interfacciamento neurale e edonismo. Lo слег porta a vivere esperienze
virtuali, stati della coscienza, in direzione edonistica. Attraverso di esso
possiamo abbandonare la tappa delle sex doll, nei miei due primi gradini,
intercalando quella nuova dello слег, la nuova terza. L’ultimo cerchio paradisiaco
strugatzkyano raffigura un’anticamera dello huxleyano Brave New World. Le
analogie di collegamento ci sono. Senza soffermarmi su dettagli, mi basti dire
che pure quello di Huxley è un mondo di sciocchi ottimisti, prodotto da
articolate manipolazioni personali e collettive<sup>3</sup>. Altra cosa la
quale infine mi ha spinto a inserire lo слег nella mia teoria storica distopica
è il richiamo preciso che nel romanzo viene fatto della libido freudiana
allorché si evidenzia che tale tecnica libera le pulsioni più animali, più
basse, dell’essere umano. Al di là della tangenza immediata huxleyana ho
pensato ai successivi gradini sadisti<sup>4</sup>: la linea concettuale dunque
può andare più avanti e dimostrare saldo e pertinente il mio nuovo terzo
gradino.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: center;"><i><u>LA CRONOGRAFIA AGGIORNATA DELLA MIA PSICOSTORIA</u></i></div><div style="text-align: justify;"> <div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX4tKDRIgAkn8yaxD1mNZP6ezRD2WdihyvVvV91oaeQxC27SVuR_0f5g2UNWSHpzFaouoOYHDi08pBn3MeW6KocPu48I0ihGzs94B7Lbj4u5MKxXbSXBJ84QmKFosd_0BQ690-mSSj7jqSpyHTBTyb5Nq9BrchZfMAy8MUJwCk7ttgiOWVx-U4u2Vf/s598/1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="598" data-original-width="480" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjX4tKDRIgAkn8yaxD1mNZP6ezRD2WdihyvVvV91oaeQxC27SVuR_0f5g2UNWSHpzFaouoOYHDi08pBn3MeW6KocPu48I0ihGzs94B7Lbj4u5MKxXbSXBJ84QmKFosd_0BQ690-mSSj7jqSpyHTBTyb5Nq9BrchZfMAy8MUJwCk7ttgiOWVx-U4u2Vf/w514-h640/1.jpg" width="514" /></a></div><br /></div><div style="text-align: justify;"> </div><p style="text-align: justify;"><u>NOTE<br /></u> <br /></p><div>Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Distopie occidentali”<br /><a href="https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali">https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali</a></div><p></p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> A tal riguardo consiglio un approfondimento seguendo il filo
conduttore a ritroso, iniziando dal mio saggio <i>Partita a scacchi </i>(2022) e seguendo via via le note di rimando
all’indietro.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi">https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Circa questo dettaglio mi sembra utile invitare a leggere, a
proposito della libido freudiana, il mio scritto intitolato <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i> e
contenuto nella mia monografia <i>Filosofie sadiche</i> (2021).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://lettere-filosofia.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://lettere-filosofia.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> A questo romanzo huxleyano ho dedicato un saggio: <i>Il
capitalismo impazzito di Aldous Huxley</i> (2015).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley">https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> In relazione a questo argomento generale suggerisco un
approfondimento sadiano per mezzo di una mia analisi dal titolo <i>La tanatolatria di de Sade</i> la quale si
trova all’interno del saggio indicato nella nota 2.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/01/la-tanatolatria-di-de-sade.html</a></div><span color="rgba(0, 0, 0, 0)"><o:p></o:p></span></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-50992332169399416512023-04-22T12:24:00.005+02:002023-05-10T18:15:50.312+02:00L’INCUBO DEL TEMPO DI STEPHEN BAXTER<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmeUoQuGpg3JY4HAr8V0W0ZRGQXhf_lIPTw2L-nafl-gyfJqTFfsIqp93bPtCgF5hyYu94c1D-DpyPpoC4SDkrR_5ymbqTr0UBcUipJu9ZsbArnmM-x2qvmHg3GByrcFJbBtS7jYcfPTSByO3evjXXzn3Qq00Hys5FM6mkWxmUZcFnrofTiVKKuLVK/s271/1.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="271" data-original-width="235" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgmeUoQuGpg3JY4HAr8V0W0ZRGQXhf_lIPTw2L-nafl-gyfJqTFfsIqp93bPtCgF5hyYu94c1D-DpyPpoC4SDkrR_5ymbqTr0UBcUipJu9ZsbArnmM-x2qvmHg3GByrcFJbBtS7jYcfPTSByO3evjXXzn3Qq00Hys5FM6mkWxmUZcFnrofTiVKKuLVK/w173-h200/1.jpg" width="173" /></a></div>“The time ships” è un romanzo fantascientifico uscito nel
1995, opera dello scrittore Stephen Baxter, e unico testo riconosciuto dalla
fondazione dedicata a Herbert George Wells quale seguito di “The time machine”
(il noto romanzo wellsiano del 1895 al quale ho dedicato una precedente analisi<sup>1</sup>).
Il lavoro redazionale baxteriano mi è parso molto interessante. Nella mia
disamina ne evocherò aspetti chiave alla luce delle mie impostazioni analitiche
di carattere junghiano. Dobbiamo precisare, per chiarezza, che in tale secondo
romanzo il time traveller è all’inizio tornato nel futuro, un futuro alterato
dal suo precedente viaggio, dove questa modificata linea temporale gli rivela
un mondo di Eloi e Morlock molto diverso da quello che aveva conosciuto durante
il primo cronoviaggio. Qui ora i Morlock rappresentano l’incarnazione di una
isolata e pura facoltà razionale, ma non distopica come potrebbe in apparenza
sembrare. Il vero perno del romanzo è infatti il Morlock Nebogipfel, il
personaggio letterario che accompagnerà il viaggiatore temporale nelle di lui
peripezie sino alla fine del racconto quale una sorta di novello Virgilio. Il
testo baxteriano possiede qua e là un quid di atmosfera dantesca. Il primo cardine
di razionalità emergente in simile nuova realtà morlock è il superamento della
dicotomia fides/ratio. Non esiste più l’idea di un contraddittorio Dio a cui
aggrapparsi, un Dio il quale nella sua onnipotenza non rimuove il male dal
mondo. Il concetto di “sacralità” poggiata su qualsivoglia azione cruenta (con
spargimento di sangue) è cancellato. La Ragione ha qui purificato l’animo della
specie dai suoi torbidi grovigli e legacci interiori. È la pragmatica evidenza
logica a trionfare. come già anticipato, non si tratta di un ideale distopico
sopra una falsariga zamjatiniana<sup>2</sup>. Il superamento dei generi
sessuali attuato dai Morlock non è da intendersi accostandolo all’ectogenesi
del Brave New World<sup>3</sup> o alla creazione dell’androgino biblico<sup>4</sup>.
Noi dobbiamo intravedere in Nebogipfel un simbolo junghiano, e precisamente
quello del sommo archetipo androginico. Nebogipfel costituisce la chiave di
lettura di tutto. È un Virgilio di razionalità equilibrata (androginica). e non
più di pseudorazionalità dantesca maschilista<sup>5</sup>. A ben guardare il
comportamento del Morlock nell’intero romanzo, esso appare animato da tutto
l’asse junghiano delle facoltà razionali (ragione e sentimento). Nebogipfel ha
anche un cuore razionale. L’ideale di vita di questi Morlock è infatti filosofico:
l’obiettivo della specie umana e post-umana risiede nella sua autoconservazione
attraverso lo studio di se stessa e della realtà. La conoscenza quale via di
benessere. Il time traveller non sta letteralmente compiendo viaggi nel tempo,
sta viaggiando attraverso l’Inconscio collettivo; dobbiamo vedere “The time
ships” come una sorta di “Liber novus”. E da ciò capiremo che questo nuovo
baxteriano time travell costituisce la rappresentazione di un percorso di
rinascita alchemica junghiana, un “percorso di individuazione” il quale alla
fine, appunto, approderà col salvataggio di Weena (raffigurante l’“anima
junghiana”), cioè, in termini di psicologia analitica, l’incontro del complesso
dell’Io con la sua inconscia controparte sessuale psichica. Il percorso di
rinascita alchemica da parte del time traveller principia con un viaggio nello
spazio, accompagnato da Nebogipfel, dentro qualcosa che egli definisce una
“bara”. Ciò mi ha fatto pensare a Elwin ransom in “Perelandra” e a quanto avevo
scritto a proposito in un mio saggio dedicato alla cosmic trilogy di Clive
Staples Lewis<sup>6</sup>. Uscendo da queste simboliche bare ha luogo un
risorgimento spirituale interiore. esso passa però da urti negativi. Uno è
rappresentato dall’alternativo mondo storico baxteriano della prima metà del
’900 dipinto nel romanzo, un mondo che rimane comunque in conflitto con
connotazioni differenti rispetto alle reali nostre. È inquietante, veramente
distopico, sentire l’elogio di un personaggio secondario di una forma sociale
totalitaria. Il mondo angloamericano nel 1938 alternativo mirerebbe, nei sui
centri direzionali, a manipolare e a indirizzare le masse con metodi
illiberali; in parole povere, spiegando con (pseudo)autorevolezza ciò che è
bene e ciò che è male alle persone, le quali dovrebbero adeguarsi acriticamente
e dogmaticamente. La diversità di idee (sale dell’esistenza comunitaria), il
concetto stesso di “opposizione politica”, dovrebbero essere banditi
nell’interesse dell’unico (pseudo)bene. Pare l’elogio dell’unidimensionalità
marcusiana. E se non bastasse, v’è pure un attacco all’istituto cardine della
Società civile, la famiglia. Essa dovrebbe essere sostituita da altre forma
associative migliori imprecisate, in un discorso che non possiede nemmeno una
platonica ragionevolezza. Simile modello occidentale antitedesco (per via della
guerra contro la Germania) dovrà assumere, come poi riassunto con amarezza da
un protagonista del romanzo, il controllo globale del pianeta al termine della
guerra. Un’élite di (pseudo)illuminati (manipolatori) dirigerà (in maniera
autonoma) le sorti dell’umanità. L’organizzazione sociale totaliatria e gli
interessi economici saranno i fari di una nuova era di (falso) benessere. Tale
distopica aspirazione necessiterebbe di “correzioni” genetiche della specie
umana, con il risultato su larga scala di eliminare il (presunto) peggio. Il
meglio (?) auspicato e prodotto da simile tecnocrazia tuttavia, nelle parole
dello sconcertato coprotagonista, sarebbe tuttavia destinato a trovare la
disapprovazione di molti nel mondo, ancora illuminati da una retta
ragionevolezza. La scienza e la tecnica che si trasformano in dogmatiche nuove
deliranti religioni sono additate quali pericoli verso la libertà e la vita.
Nella mia lettura di “The time ships” ho trovato singolare il modo in cui un
fatto reale sia stato trasposto nella finzione narrativa: durante una delle due
esplosioni atomiche in Giappone nel nostro 1945, una bomba atomica disintegrò
un essere umano lasciando proiettata sul muro l’assenza dell’impatto dell’ondata
termica radioattiva; un episodio del genere viene attribuito ai Tedeschi, i
quali nel Paleocene romanzesco usano un ordigno nucleare contro gli Inglesi. Il
prosieguo narrativo dell’opera di Baxter presenta poi nel futuro alternativo la
distruzione dell’ecosistema planetario e la scomparsa del genere umano dalla Terra,
costretto a emigrare altrove. Andando più avanti nel cronoviaggio, il time
traveller e Nebogipfel si inoltrano dunque dentro un’era con dettagli positivi
a dispetto della glaciale desolazione terrestre. Il genere umano è stato
rimpiazzato dall’intelligenza artificiale: macchine intelligenti, sparse
nell’Universo, portano avanti quella missione che i Morlock baxteriani si erano
prefissati, idest esaminare, archiviare, custodire ogni esperienza e ogni
conoscenza, dal più profondo passato fino a loro. In tale reticolo di
unità-nella-molteplicità vedo l’Inconscio assoluto junghiano al di là
dell’immediato piano letterale. Alcune parole di Nebogipfel sono illuminanti in
tal senso. I “Costruttori universali”, tali macchine, sono gli eredi e i
simboli di complessi psichici di Io. In simile sorta di informatico Intelletto
passivo universale, sempre Nebogipfel sembra spiegare una dinamica magmatica
interna di scontro fra elementi la quale è analoga a quella fornita da Jung
circa la formazione degli archetipi: l’obiettivo di queste dialettiche mira a
sintetizzare un punto di mediazione, di equilibrio, e a posarsi su di esso, in
direzione del progresso e della sanità dell’insieme costitutivo generale
elaborante. Il Morlock chiarisce nelle sue parole in seguito che il modello
capitalista debba essere destinato a essere superato e che l’umanità debba
essere affrancata, in virtù della tecnologia, da servizi di lavoro non più
necessari: il tutto a beneficio di una comune crescita conoscitiva, di
consapevolezza dell’universo. Fuori del contesto immediato di trattazione di
Nebogipfel, potremmo dire saltando al campo psicanalitico che l’Inconscio
impersonale potrebbe essere sgravato di parte delle sue tensioni intestine.
Verso la fine del romanzo la valenza fenomenica del comune mondo quotidiano
viene evidenziata dal time traveller, ormai alla volta di concludere il suo
percorso alchemico junghiano. Aveva abbandonato la nigredo uscendo fuori di
qualcosa paragonato a una bara, quindi dai costruttori universali era stato
riparato e “ricreato” a livello molecolare. Diremo di quest'altro passaggio: un
secondo grado di rinascita (albedo). Nella sua citrinitas, come appena detto,
l’impalcature fenomenica del mondo viene oltrepassata. E ciò viene fatto con un
dettaglio narrativo che mi ha colpito. Il time traveller evoca le categorie di
base schopenhaueriane della Welt als Vorstellung, spazio e tempo, affermando di
esserne all’esterno. Si trova cioè a contatto con l’Inconscio collettivo:
Nebogipfel glielo dice chiaramente. Il time traveller ci informa inoltre di
percepire la vita, ossia la libido (voluntas schopenhaueriana) che pervade e
ingloba l’Universo: egli in questa fase non possiede più una dimensione corporea.
È ridotto al suo semplice complesso dell’Io di cui scopre i limiti, la
piccolezza, la relatività. Simile coscienza gli spalanza l’individuazione
junghiana. A questo punto la rubedo e la sizigia sono alla sua portata.
Infatti, tornato umano, abbandonato Nebogipfel, andrà di nuovo in quel futuro
dove, nel primo romanzo wellsiano, aveva perso Weena (“anima junghiana”): la
ritroverà, la salverà e rimarrà con lei.</div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><div style="text-align: justify;"><div>Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Distopie occidentali”<br /><a href="https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali">https://www.academia.edu/101566960/Distopie_occidentali</a></div></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> <i>La terribile distopia di H. G. Wells </i>dentro la mia pubblicazione intitolata <i>Critica
letteraria</i> (2017).</span></div></sup><span style="mso-bidi-font-style: italic;"><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/11/la-terribile-distopia-di-h-g-wells.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/11/la-terribile-distopia-di-h-g-wells.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p></span><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Per approfondimenti indico un mio saggio del 2015: <i>L’antipanlogismo di Evgenij Zamjatin</i>.</span></div></sup><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/13469501/L_antipanlogismo_di_Evgenij_Zamjatin">https://www.academia.edu/13469501/L_antipanlogismo_di_Evgenij_Zamjatin</a></div></o:p><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Al fine di approfondire consiglio un’altra mia monografia
dello stesso anno: <i>Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley</i>.</span></div></sup><span style="mso-bidi-font-style: italic;"><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley">https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p></span><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Si veda al riguardo un mio studio: <i>Antropogonia e
androginia nel Simposio e nella Genesi</i>, nella mia opera <i>Considerazioni letterarie</i> (2014).</span></div></sup><span style="mso-bidi-font-style: italic;"><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p></span><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>5</sup> Per approfondimenti consiglio il mio saggio <i>Parricidio dantesco </i>(2021).</span></div></sup><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco">https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco</a></div></o:p><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>6</sup> <i>Mitopoiesi junghiana
in Clive Staples Lewis</i> (2017).</span></div></sup><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/32959451/Mitopoiesi_junghiana_in_Clive_Staples_Lewis">https://www.academia.edu/32959451/Mitopoiesi_junghiana_in_Clive_Staples_Lewis</a></div></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-77021255488898923232023-02-16T17:35:00.005+01:002023-02-16T17:45:43.292+01:00SINISTRE PARALLELE<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvbCM0zl_Yjcbss0htOs3MrfvFtyX95iUh9lc8RJtNZ8MjCxjJl5qFKFK5og3FfxTwBp8235LsBOqrjLxG94LAg6evNAiO8hUQWT-KPHx2VvmDa7ueWpiOBW6q_gu_FTcK85me-GH57TQ1uSzsiDepC8Dag_1m8f5kTZH1ep2FQ494DFSQ-MmDNQWG/s640/1.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="472" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhvbCM0zl_Yjcbss0htOs3MrfvFtyX95iUh9lc8RJtNZ8MjCxjJl5qFKFK5og3FfxTwBp8235LsBOqrjLxG94LAg6evNAiO8hUQWT-KPHx2VvmDa7ueWpiOBW6q_gu_FTcK85me-GH57TQ1uSzsiDepC8Dag_1m8f5kTZH1ep2FQ494DFSQ-MmDNQWG/w148-h200/1.jpg" width="148" /></a></div>Questa mia analisi ha un carattere storiografico e filosofico, non pretende di offrire una ricostruzione esauriente, bensì
mediante lavori di sintesi degli eventi cerca di consegnare un risultato il
quale mi sembra opportuno premettere ai momenti analitici e di riflessione in
itinere. Intendo dimostrare, sotto un profilo vichiano, presa in esame la
storia italiana novecentesca, e in particolar modo nei periodi seguenti ai due
dopoguerra, come ci siano stati un “corso” e un “ricorso” dinamici.
Naturalmente la facciata statica degli eventi possiede le sue esclusività
cronologiche, tuttavia nell’operazione analitica che a breve illustrerò ho
recuperato le linee profonde che mi consentono quest’azione di sovrapposizione
formale fra il secondo e il primo dopoguerra in Italia. Ritengo
metodologicamente il caso di parlare prima del secondo dopoguerra e di indicare
successivamente la sua sovrapposizione al primo, però mantenendosi in
controluce onde vedere per mezzo di questi raggi luminosi (concettuali) i quali
attraversano tali due piani storici resi traslucidi (diacronia) le cose in
comune (sincronia vichiana). Appunto ho rilevato simile parallelismo, evocato
in apertura in maniera teorica, fra le vicende della dialettica nazionale
borghesia/sinistra dopo il 1918 e dopo il 1945. A me sono apparsi un “corso” e
un “ricorso” dove la grande borghesia italiana ha cercato di allontanare da sé
il pericolo marxista. E ho notato che sembra esserci stata la medesima
strategia perseguita nelle due fasi storiche prese in esame, tant’è che ho
parlato di “sinistre parallele”. L’apparato borghese italiano industriale e
latifondista, per due volte, da quanto si mostra a me nella veste di analista
scientifico, nel corso del ’900 pare aver perseguito il tentativo di dividere
il vario fronte delle sinistre allo scopo di portare alleato nel suo campo lo
schieramento avversario più disponibile ai compromessi pragmatici e dunque meno
intransigente nella ricerca di concretizzare i propri obiettivi ideologici di
partenza. Cosicché è la Storia alla fine a mostrarci un reale cammino di
progressiva emarginazione della sinistra radicale dallo scenario
politico-istituzionale. E ciò si è svolto in due fasi fotocopia (primo
dopoguerra e secondo dopoguerra), nelle quali la più recente ha contemplato la
seconda sostanziale scomparsa dei marxisti dalle aule parlamentari italiane. Il
mio presente lavoro d’analisi vuol sottolineare alcuni particolari aspetti
storici, collegandoli inter se, al fine di raggiungere la nitidezza vichiana,
ottenibile in conclusione, ma premessa in questa introduzione per un obiettivo
di migliore comprensione di quanto mi sono prefisso di illuminare. Mi sembra
che i fatti parlino secondo le direzioni analitiche accennate, e che io non sia
andato fuori del seminato ipotizzando un filo vichiano nel sovrapporre due
archi cronologici consecutivi, uno sull’altro. Partiamo allora col delineare il
primo blocco cronologico. Le elezioni parlamentari italiane del ’48 si erano
svolte in un clima di forte ostilità, proveniente dalla Chiesa e dagli USA,
verso le sinistre, unificate in un cartello elettorale (comunisti e
socialisti). La vittoria elettorale della Democrazia cristiana filoamericana
portò quindi poi l’Italia in seno alla NATO (1949) e negli embrionali progetti
di formazione dell’UE nell’immediato dopoguerra. Il capitalismo occidentale era
riuscito a creare un argine antimarxista saldo in tutta l’area d’influenza
nordatlantica. E all’interno di questo spazio l’imprenditoria italiana seppe
produrre il famoso boom economico che portò il Paese, in virtù della sua
laboriosità e della sua intraprendenza, fra le prime potenze economiche
mondiali. Il consolidamento del capitalismo in Italia avvenne non senza
criticità. Il segretario del PCI, Palmiro Togliatti, tre mesi dopo le lezioni
del 1948 rimase vittima incolume di un attentato da parte di un soggetto
solitario. Questa la versione ufficiale. C’è da pensare che quel gesto avrebbe
potuto comportare un’insurrezione rossa e la possibile conseguente messa
fuorilegge del Partito comunista. All’epoca del Terzo reich i comunisti furono
espulsi dal Parlamento tedesco, e i nazisti diventarono maggioranza assoluta.
La strage di Portella delle ginestre, avvenuta il primo maggio 1947, su cui
gravano ombre, aveva a suo tempo e a suo modo indicato il cammino dentro il
quale l’Italia stava andando a immettersi. La scissione del sindacato unitario
nazionale dei lavoratori italiani nel 1950, con la nascita della cattolica CISL
e della moderata di sinistra UIL, testimoniano ancora una volta come de facto si
andasse svolgendo un processo d’indebolimento della sinistra italiana
comunista. D’altro canto la DC al suo interno aveva una sorta di troncone
integralistico religioso nel quale furono riciclati soggetti che plaudirono
alle antisemite leggi razziali fasciste, una specie di area filo franchista la
quale in Parlamento presentò una interrogazione alla Camera dei deputati circa
la immoralità nella diffusione del romanzo “Lolita” di Nabokov in un anno in
cui la Chiesa non aveva ancora abolito l’Indice dei libri proibiti (1966).
Nonostante il boom economico, la società italiana sottostava a un clima di
controllo sociale alquanto reazionario. Nel corso dei decenni si andrà
affievolendo, e saranno introdotte leggi di “sinistra” come quelle sul divorzio
(1970) e sull’aborto (1978). Leggi che superarono referendum abrogativi
sostenuti da MSI e DC. È sui generis la storia del Movimento sociale italiano,
eredità del fascismo e della RSI. Soprattutto in relazione a quest’ultima<sup>1</sup>
sarebbe dovuto essere un partito di sinistra non marxista, però in Parlamento
andò a sedere a destra in antitesi ai “fratelli” comunisti e socialisti. Il
recupero di posizioni da fascismo di anni ’20 e ’30 lo trasformò, a mio avviso,
in direzione involutiva, verso una destra vera e propria di stampo
conservatore. Quello che è rimasto di autenticamente fascista è stato definito
con un ossimoro “destra sociale”. L’appiattimento sul capitalismo occidentale
comportò posizioni critiche interne. L’esperienza socioeconomica fascista, fra
le cose positive del regime (ad esempio ricordata da uno scrittore di valore
quale Antonio Pennacchi), la quale certamente non cancella altre cose molto
negative, non è stata recuperata, ma anzi scartata a vantaggio del sistema
liberista. Non dimentichiamo che il perno dell’economia italiana, prima
dell’ultima guerra mondiale e dopo (per lungo tempo), fu l’IRI, una creatura
fascista (assieme all’IMI: tutt’oggi la Germania ha un istituto pubblico di
credito del genere, mentre l’Italia non più). I missini nel ’49 furono contrari
all’entrata italiana nella Nato, tuttavia nel ’52, dopo un non facile
travaglio, diventarono ufficialmente atlantisti. Se si pensa poi che i
monarchici confluiranno nel Movimento sociale (AN aveva al suo interno Azione
monarchica), si nota un’evoluzione di posizioni contraddittorie: i
repubblichini di Salò cantavano «a morte la casa Savoia». Il fronte
filocapitalistico occidentale nel secondo dopoguerra aveva ottenuto quanti più
punti d’appoggio nel panorama politico in Italia. La crescita economica del
Paese però non era così gradita poiché diminuiva i benefici stranieri dominanti
sui mercati. In questo quadro si inserisce l’operato del presidente dell’ENI,
il democristiano Enrico Mattei, perito nel 1962 in circostanze rimaste poco
chiare. Nel 1963 con Aldo Moro venne formato il primo governo italiano di
centrosinistra, dove i socialisti di Nenni accettarono la bontà della NATO.
Tale Svolta che apriva ad alleanze organiche fra DC e PSI presenta complesse
sfaccettature. La prima, più machiavellica, dà come risultato l’allontanamento
dei socialisti dai comunisti, e ricaccia indietro lo spauracchio di governi
PCI-PSI. Rappresenta ciò il dettaglio più vistoso e più radicale nei
presumibili auspici del capitalismo occidentale. Non tutti gli industriali italiani
capirono e valutarono bene la cosa subito. Infatti, d’altro canto, bisognava
oramai fare qualcosa di “sinistra” al governo, e i socialisti, tra l’altro,
chiesero l’erogazione dell’energia elettrica posta sotto tutela di un servizio
pubblico. La nazionalizzazione prodottasi con l’ENEL (1962) è oggigiorno andata
in fumo assieme ai suoi vantaggi per le masse. Durante il centrosinistra di
governo fu varato lo Statuto dei lavoratori (1970), poi ammorbidito dal Job act
del Governo Renzi che ha reso più flessibili, e quindi meno difficili, i
licenziamenti. La paura borghese in Italia che il Partito comunista si potesse
avvicinare al governo grazie all’idealistica visione cristiana della sinistra
interna della DC, promosse due falliti colpi di Stato (nel ’64 e nel ’70). Il
fatto che praticamente non fossero andati in porto indicherebbe iniziative
“all’italiana” senza ipotizzabili speciali benedizioni dall’esterno, dove la
divisione della sinistra (divide PCI et PSI, et impera) sarebbe potuta essere
stata la soluzione gradita meglio. Dall’attentato di Piazza Fontana a Milano
(1969) a quello di Bologna (1980) pare essersi attuata una strategia della
tensione volta a costruire le condizioni emotive propizie all’accettazione di
un regime governativo “forte” di sicurezza nazionale. Altrove, come in Cile,
Argentina e Grecia, negli anni Sessanta e Settanta, golpes militari abbatterono
governi democratici socialpopolari. Durante la seconda metà degli anni ’70,
naufragato il centrosinistra governativo italiano sotto il peso delle sue
contraddizioni, il Partito comunista ebbe in Italia una fiammata elettorale che
sembrava proiettarlo al primato politico e dunque a una possibile prospettiva
di guida del Paese. Con il segretario Enrico Berlinguer il PCI assumeva in
quegli anni una posizione di distacco del nostro Paese dall’URSS, e parimenti
abbandonava il proprio precedente rifiuto dell’inserimento italiano
nell’Organizzazione del trattato nordatlantico e nelle strutture comunitarie
europee. Simile svolta sui generis dei comunisti italiani – l’eurocomunismo –
ottenne varie non indifferenti adesioni di dirigenze comuniste in Europa. Le
pesanti ingerenze sovietiche dei vicini decenni precedenti in Ungheria e
Cecoslovacchia avevano lasciato i loro strascichi. Da tale idea di autonomia da
Mosca, sulla falsariga jugoslava, venne fuori la proposta di Berlinguer di un
“compromesso storico” in Italia, ossia la coalizione tra schieramenti socialprogressisti
la quale recuperasse a beneficio del progetto l’appoggio di cattolici non
conservatori e del PSI in direzione di una grande stagione innovatrice.
L’intenzione non sortì unanimi entusiasmi né ebbe grande successo in termini di
consenso elettorale. Dopo le elezioni politiche italiane del ’76 un governo
monocolore della DC guidava il Paese grazie all’appoggio esterno di altri
partiti, fra cui il PCI. Nel ’77 i comunisti di Berlinguer chiesero di
partecipare direttamente al governo, ma la dirigenza democristiana e gli Usa si
opposero. In mezzo alle difficoltà politiche di allora emerse un nuovo
monocolore (di nuovo guidato da Giulio Andreotti) con esplicita maggioranza parlamentare
costituita da democristiani, repubblicani, socialdemocratici, socialisti e
comunisti. La marcia verso un più pieno ingresso comunista nel governo aveva un
qualificato sostenitore in Aldo Moro, la cui tragica morte nel 1978 rappresenta
una vicenda rimasta non molto chiara nella storia della Repubblica. Frutto di
quegli anni Settanta carichi di spinte anelanti a una migliore giustizia
sociale, in aggiunta al divorzio, all’aborto e allo Statuto dei lavoratori, fu
nel 1978 il gratuito e universale servizio sanitario assistenziale statale
(SSN) che correggeva la parzialità della “cassa mutua” prevista con la Legge
Mariotti del 1968 e basata su un criterio assicurativo a pagamento. Nel ’79 i
comunisti interruppero la loro organica collaborazione governativa ritornando
all’opposizione. Iniziò allora, fra delusioni, una lenta agonia del PCI, culminata
con la caduta del Muro di Berlino (1989), cui fece subito seguito la svolta
della Bolognina proclamata dal segretario Achille Occhetto che annunziò il
cammino di trasformazione del PCI nel venturo sostitutivo Partito democratico
della sinistra. L’aggettivo/sostantivo “comunista” parve essere caduto in
disgrazia, e il crollo dell’URSS accelerò il processo di metamorfosi. Il Partito
comunista fu dunque sciolto nel 1991. Da tale operazione politica sorse il già
detto PDS e, per dissenso e in contrasto, il Partito della rifondazione
comunista. Prima che tramontasse la stagione della cosiddetta Prima repubblica,
e si passasse alla legge elettorale maggioritaria (con quota di un quarto di
proporzionale), il governo tecnico di Azeglio Ciampi insediatosi nel 1993 aveva
contemplato al suo interno tre ministri del PDS (Visco, Barbera e Luigi Berlinguer).
La loro partecipazione piena al governo terminò subito con impreviste
dimissioni in segno di disapprovazione perché la Camera dei deputati aveva
respinto quattro autorizzazioni a procedere su sei richieste dalla magistratura
a carico di Bettino Craxi. Il primo vero tentativo di esperire il “compromesso
storico” auspicato da Enrico Berlinguer durò quasi niente. Nel 1998-2000 il
post-comunista dei DS (Democratici di sinistra, ulteriore evoluzione del PDS)
Massimo D’Alema fu Presidente del consiglio dei ministri (vicepresidente Sergio
Mattarella), governi sostenuti dal Partito dei comunisti italiani creato dopo
una scissione dal PRC passato all’opposizione durante il primo governo Prodi.
Nel secondo di quei governi D’Alema era stato incaricato quale sottosegretario
alla difesa l’ex missino e fuoruscito da Alleanza nazionale Romano Misserville,
il quale fu costretto a dimettersi subito per via di polemiche generate dalle
sue simpatia fasciste e per aver paragonato D’Alema ad Almirante. La storia dei
due ricordati governi Andreotti ebbe una sorta di vichiano ricorso ravvicinato
con i due governi di Romano Prodi appoggiati dal PRC (1996-98 e 2006-8). Nel
2007 i DS si fusero con la centrista formazione politica della Margherita al
fine di costituire il Partito democratico. Alle elezioni politiche italiane del
2008 la scelta del segretario del PD Walter Veltroni di non allearsi per le
elezioni coi comunisti di Fausto Bertinotti (presidente uscente della Camera
dei deputati) causò, in virtù del meccanismo elettorale l’uscita, perdurante,
di un considerevole schieramento di esplicito e tradizionale richiamo marxista
dal Parlamento italiano. Da quel momento a sinistra del PD soltanto alcuni
piccoli partiti, non paragonabili al vecchio PCI, ai suoi consensi elettorali,
e soprattutto alla sua impronta ideologica. L’era dei prodiani avvenuti, in un
modo o nell’altro, determinanti “compromessi storici” (finché durarono) è scomparsa
per l’assenza di un partito comunista di peso alle elezioni politiche. Prima della
svolta di Occhetto uno su tre votava nel dopoguerra il PCI al Parlamento. Ai
nostri giorni il consenso elettorale marxista si è enormemente ridotto.
L’estromissione dei comunisti post-sovietici dalle aule di Camera e Senato è
stata pressoché totale. Terminata questa prima sintesi possiamo passare alla
seconda cui la suddetta è da sovrapporre al fine di ritrovare le analogie che
ho indicato in partenza d’analisi. La Rivoluzione russa e la nascita
dell’Unione sovietica nel 1917-18 rappresentano degli eventi chiave per la
comprensione del primo dopoguerra italiano. L’avvento del fascismo al potere in
forme via via graduali e sempre più esclusive all’inizio degli anni Venti, a
mio avviso, non può essere classificata come un sintomo consequenziale di una
crisi istituzionale del sistema liberale ereditato dal periodo post-unitario. Dal
mio punto di vista si può parlare di una evoluzione tattica liberal-borghese
mirante all’autoconservazione della classe sociale dominante degli industriali
e dei latifondisti. A costoro era chiaro l’obiettivo di evitare una rivoluzione
armata marxista pure in Italia. E perciò giocarono la migliore carta del
momento, cioè quella di dividere lo sfaccettato schieramento delle forze
politiche di sinistra allo scopo di contrapporre il segmento più propenso a
compromessi coi borghesi ai rivoluzionari filocomunisti russi, i quali, con
un’esperienza di avvenuto socialismo reale, costituivano davvero un terrificante
per loro problema di tenuta sociale e politica. Non è stato il fascismo a
conquistare il potere, è stato il sistema liberal-borghese a compiere l’unica
mossa per sé intelligente, e a sacrificare, come direbbe Sun Tzu, assediato dal
“pericolo rosso”, una parte del proprio potere a vantaggio di una sinistra non
marxista, la quale era disposta alla collaborazione col vecchio apparato
liberale, che i marxisti, rimasti coerenti, avrebbero invece voluto abbattere
sulla falsariga russa rivoluzionaria. Non ci voleva gran che a sbarazzarsi dei
fascisti. Il punto della questione era impedire che questi facessero fronte
unito e unico coi marxisti. La borghesia italiana giocò il più classico dei
machiavellismi: divide et impera. Certamente perse una fetta non indifferente
di potere, ma restò in vita, tutelata entro quei nuovi strategici limiti. Le
politiche sociali del fascismo furono dei realizzati progetti di “sinistra”. Se
da un lato poterono rappresentare delle conquiste proletarie superiori al
passato prefascista, dall’altro non lesero più di tanto i borghesi, i quali
invece si ritrovarono una massa più acquietata e non sensibile ai richiami
rivoluzionari marxisti. Il fascismo italiano fu un’esperienza politica
governativa sui generis e irripetibile. Da un canto costituì un freno
reazionario borghese alle “spinte rosse”, tuttavia da un altro – sempre in
termini di politica sociale ed economica – rappresentò un progresso
apprezzabile. Il fascismo è stato polimorfo. Ha messo in atto anche cose molto
deprecabili quali le leggi razziali antisemite, l’entrata in guerra accanto
alla Germania (con le sue nefaste conseguenze), l’invasione dell’Abissinia, lo
squadrismo e – io aggiungerei tra l’altro – i Patti lateranensi. Avere
resuscitato il Cattolicesimo a una riconosciuta e rinnovata dimensione politica
statale, per me, è stato un grave errore mondiale<sup>2</sup>. Il fascismo
perseguendo una linea anticomunista (in funzione della quale fu celebrato in
Occidente a suo tempo) sbagliò pressoché tutta la politica estera. Se c’era una
cosa che si doveva conservare del sistema liberal-borghese era la marcata
separazione fra religione e politica. Aver riconsegnato alla Chiesa la dignità
di Stato costituisce un errore sotto tutti i profili i cui effetti perdurano
tutt’oggi. Non dimentichiamo che il Vaticano non intralciò le leggi razziali
contro gli Ebrei in Italia, e quando il governo Badoglio le abolì ne chiese
addirittura un mantenimento di alcune parti. A causa della misoginia cattolica
Mussolini evitò di allargare il suffragio politico nazionale alle donne. Il
fascismo, in quanto coagulo anticomunista, conteneva diverse anime: quella di
destra evidente dei nazionalisti confluiti, quella dannunziana fiumana
progressista, quella monarchica liberale massonica, quella dei post-marxisti
(come Mussolini, Bombacci, e altri), e infine quella tardiva cattolica. In
parole povere era come un dado. Ma la costruzione del “dado fascista” aveva una
storia ordinata cronologicamente, ed ebbe la sua ultima faccia nella RSI. Alle
elezioni politiche svoltesi nel ’19 un terzo dei deputati era andato al Partito
socialista e un quinto al Partito popolare: il campanello d’allarme era suonato
molto forte per l’apparato borghese, pressato a sinistra dai marxisti e a
destra dai cattolici. Il problema principale però proveniva da sinistra, dove
una magmatica area contemplava uno spazio rivoluzionario filosovietico di cui
facevano parte Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, poi fra i fondatori,
assieme a Nicola Bombacci, del PCI nel 1921. Gramsci in quegli anni dirigeva un
suo periodico, l’“Ordine nuovo”, su cui promuoveva l’avvento di uno Stato
comunista in Italia sul modello russo. Sosteneva ante litteram una sorta di
“compromesso storico” antiliberale. Contestualmente a simili aspirazioni nello
schieramento di sinistra marxista, fu dalla piccola borghesia che emerse una
proposta diversa, sì non di richiamo fortemente proletario ma neanche di evidente
derivazione altoborghese. I “Fasci di combattimento” costituitisi nel ’19 e
guidati dall’ex socialista Benito Mussolini si prefiggevano in origine dei
precisi punti programmatici in direzione di un migliore equilibrio sociale:
colpire i redditi provenienti dal grande capitale e le proprietà religiose,
tutelare i lavoratori attraverso un limite orario alle prestazioni d’opera e
all’introduzione di salari minimi, garantire l’inserimento operaio negli organi
di gestione industriale (quest’ultimo aspetto – la socializzazione delle
imprese – connotò la sansepolcrista
Repubblica di Salò). I liberali provarono a formare nel 1919-21 dei governi
assieme ai socialisti, una specie di “grande coalizione”, cosa cui il PSI
rimase sordo altresì in occasione dell’arrivo mussoliniano. A tal riguardo è da
rammentare l’indeterminatezza in quell’epoca di Pietro Nenni, più in là
vicepresidente del primo governo di centrosinistra repubblicano presieduto dal
democristiano Aldo Moro. Nenni fu in origine repubblicano, e, al pari del
socialista Mussolini, interventista. Nel ’19 aderì brevemente al fascismo
divenendo pure lui antimassimalista. Quando il 15 aprile 1919 la sede
dell’“Avanti” fu assaltata e devastata da estremisti nazionalfascisti, Nenni
espresse un plauso. Nel corso delle divergenze tra socialisti e comunisti,
Nenni divenuto socialista sarà successivamente definito con astio un Mussolini
in miniatura. Togliatti non mostrò in era fascista simpatie per Nenni, il quale
in effetti nel dopoguerra assieme a Moro diede una grande spallata all’ideale
di sinistra unitaria. Che fosse giunto a fare il Ministro degli esteri nel
primo governo di Mariano Rumor la dice lunga sulla sua collocazione ideologica
nazionale e internazionale. L’azione politica gramsciana nel primo dopoguerra
in virtù, tra l’altro, dei destabilizzanti effetti ricercati, spinse la grande
borghesia, delusa dall’azione di contenimento liberale governativo, a ripiegare
sui fascisti. Industriali e latifondisti sostennero pertanto le famose
“squadre” contro i marxisti e i loro seguaci proletari. Il progetto di usare un
pezzo di sinistra non marxista da anteporre ai filorivoluzionari era entrato
all’opera con lo stesso uso della violenza previsto da un contesto di
sovvertimento non pacifico quale quello avuto luogo in Russia poco prima.
L’uccisione della famiglia dello Zar era un fattaccio vivo nella memoria
monarchco-borghese, assieme agli altri fenomeni di violenza rivoluzionaria. Lo
“squadrismo fascista” agì, in maniera ingiustificabile e ovviamente da
condannare, in modo omogeneo e in funzione preventiva filoborghese. Lo
squadrismo pregovernativo diffuse terrore e violenza antimarxista su ampia
scala, fatti nella loro qualità (non estensione) riallacciabili in linea
concettuale poi a eventi quali la strage di Portella delle ginestre e
l’attentato a Togliatti. Nel primo dopoguerra l’ordine istituzionale
monarchico-borghese lasciò il “lavoro sporco” all’“opportunismo fascista”. Il
PNF nato nel ’21 abbandonò la esplicita precedente vocazione ideologica di
sinistra: era sorto il partito fascista dalle diverse contraddittorie anime.
Pure la Chiesa, oltre a tutto l’Occidente russofobo, finì per benedire il
“fascismo monarchico”. La frantumazione del PSI in tre tronconi autonomi
(comunisti di Gramsci e Togliatti, vecchi socialisti tradizionalisti di Nenni,
socialisti riformisti di Matteotti) completò un quadro in parte spontaneo e in
parte ricercato di globale “divide et impera” esercitato sulla sinistra dai
liberal-borghesi. Alle elezioni politiche italiane del ’21 liberali,
nazionalisti e fascisti si presentarono alleati e uniti nel “Blocco nazionale”.
Le tensioni e lo scontro sociale provenienti dalla dicotomia
borghesia/proletariato continuarono nel frattempo a crescere, il che promosse
il boom fascista dei consensi antimarxisti. Alla fine del ’22 i fascisti
consapevoli della loro reale forza politica idearono quella che in effetti
risultò una messa in scena: la Marcia su Roma. Il re Vittorio Emanuele III non
firmò il decreto proclamante lo stato d’assedio emanato dal governo del
liberale Luigi Facta (il quale Facta voterà di lì a breve la fiducia
parlamentare al governo Mussolini). Il re quindi, nella cui persona, a norma
statutaria, risiedeva il potere esecutivo e di nomina del Capo del governo,
diede l’incarico di Presidente del consiglio dei ministri a Benito Mussolini.
Avrebbe potuto legittimamente potuto revocargli la nomina in qualsiasi momento
prima del luglio del ’43, quando per giunta un Mussolini appena dimessosi fu
arrestato e in seguito liberati dai Tedeschi. Giunto a questo punto
dell’analisi in merito al secondo segmento storico esaminato eviterò di essere
ripetitivo ricalcando cose che ho detto altrove parlando del fascismo. Rinvio
perciò il lettore ad altri miei scritti riguardanti la dimensione di sinistra
del fascismo<sup>3</sup>. Essendo ormai arrivati al tratto conclusivo del
percorso argomentativo tengo qui a evidenziare altri contenuti. Il ’900
italiano rappresenta un pezzo di storia europea e mondiale in cui il faro
ideologico dominante è stato costituito dagli USA. Il capitalismo americano in
seguito alle due guerre mondiali (le quali io considero una unica “peloponnesiaca”
contesa intestina capitalistica) che hanno visto uno scontro di fondo tra
Americani e Tedeschi (la cui rilevanza Jack London aveva intuito in principio
del secolo XIX) ha indicato la via a tutto l’Occidente. E tale via è sempre
stata di rifiuto e di chiusura nei confronti del marxismo. L’Italia ha fatto
parte di simile schema. Dal punto di vista statunitense lo sbaglio epocale del
fascismo fu quello di allearsi coi Tedeschi, desiderosi di rivalsa dopo la
sconfitta nella Grande guerra. Come non dimenticare le grandiosi celebrazioni
negli USA degli aviatori fascisti in occasione della seconda crociera atlantica
di Italo Balbo nel 1933? Il fascismo ha sfidato il capitalismo americano dopo
Pearl Harbour e ha perso la guerra. È finita così quella sui generis
coabitazione tra borghesi italiani e vocazioni di sinistra del fascismo durata
in Italia per un ventennio. Nonostante tutti i danni causati e i tragici errori
compiuti è difficile non riconoscere all’azione fascista nel settore
socioeconomico una vocazione di sinistra (pensiamo ad esempio ancora alle
osservazioni di Antonio Pennacchi). Io credo che al di là di simile specifica e
circoscritta esperienza fascista nel campo dell’economia, in virtù dello Stato
etico, non ci sia stato nient’altro nella storia italiana così poderosamente, e
concretamente, di sinistra (non trascuriamo che Lenin aveva ammirato il
socialista Mussolini). L’IMI e l’IRI sopravvissero alla caduta del fascismo
lungamente, smantellati da politiche liberiste. Secondo me, non è iperbolico
ritenere che il fascismo sociale monarchico e infine quello sansepolcrista
repubblicano di Salò abbiano contribuito a creare dei precedenti in favore di
una presa di coscienza popolare, i cui germi autenticamente socialisti siano
sopravvissuti e trasmigrati idealmente nella base del più grande partito
comunista dell’Occidente, che è stato il PCI. Il regime fascista non pose in
subalternità ideologica la massa del popolo nei riguardi di un primato d’azione
imprenditoriale liberista. La guerra partigiana del 1943-45 fu la nemesi
marxista sopra l’epoca dello squadrismo degli anni Venti. Penso che la suddetta
consapevolezza di poter attuare in Italia politiche socioeconomiche di vera
sinistra sia alla base dell’attivismo comunista post-bellico. Altrove non
avevano la diretta percezione di una apprezzabile fattibilità avvenuta.
Comunque sia la mia personale idea sul tema centrale della dialettica
liberalborghesi/socialcomunisti è la seguente, e ragiono da simpatizzante del
giustizialismo peronista<sup>4</sup>. La proprietà privata se priva una parte
dell’umanità e della società del diritto alla partecipazione a condizioni di
benessere di base, di cui garante la comunità statale, si mostra
indubitabilmente nella veste di nocumento a degli esseri umani. Pare proprio
che sostenere in astratto un diritto universale senza tener conto degli effetti
collaterali concreti non sia saggio: saggezza sta nel dare a seconda dei casi
in base a bisogni e meriti. L’esclusivo, altresì pratico, primato di questi
ultimi entra in conflitto con il sistema costitutivo statale, un consorzio
della razionalità: si rivela irrazionale ammettere che l’insieme dei cittadini
sia vincolato in previsione positiva di notevoli sperequazioni, anche a livello
internazionale. Infatti, chi reclama una minore presenza dello Stato, proclama
il desiderio di giocare la partita senz’arbitro. L’eccesso di accumulazione
della ricchezza in poche mani, non pubbliche, rappresenta qualcosa da evitare
affinché non ci siano in assoluto sacche di povertà nel mondo. Se è ragionevole
prevedere dei tetti all’arricchimento individuale, è compito dell’apparato
statale, super partes, tradurre nella realtà concreta tale principio di
giustizia sociale, non meno importante di quello della libertà. Qualsiasi
abilità imprenditoriale non può vantare il diritto a tramutarsi in vampiro a
scapito di tutti. Nel momento in cui la proprietà privata sottrae indebitamente
spazi di benessere a una più equilibrata distribuzione sembra doveroso
intervenire: liberté, ma anche égalité e fraternité. Il principio di
solidarietà sociale, alla radice della fondazione dello Stato, merita dal canto
suo una più efficace applicazione legislativa.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqwb1UF-7vBx-Nk82J1Yojs8QweEwPv7eK3Opo0QsEyrEI5tS60TYYYxkAhYJst0jYxL0EyZR4bXUkvFVE0dBHQAcC5e9W_OA_pc_iQk6O2k42scXfyec47kQe5gVZsPj3qYBwc4e8OKnopn8y78JBd3XWEWkg3CK3VPpnEVxiXJNTi8pIDH8DX3oj/s755/a.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="755" data-original-width="561" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqwb1UF-7vBx-Nk82J1Yojs8QweEwPv7eK3Opo0QsEyrEI5tS60TYYYxkAhYJst0jYxL0EyZR4bXUkvFVE0dBHQAcC5e9W_OA_pc_iQk6O2k42scXfyec47kQe5gVZsPj3qYBwc4e8OKnopn8y78JBd3XWEWkg3CK3VPpnEVxiXJNTi8pIDH8DX3oj/s16000/a.jpg" /></a></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><u>NOTE</u></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del
mio saggio intitolato “Storia e pensiero”</div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero">https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Per un iniziale approfondimento
sulla Repubblica sociale italiana indico un mio studio: <i>L’utopia della RSI</i> contenuto nella mia monografia <i>La morte delle ideologie</i> (2011).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/lutopia-della-repubblica-sociale.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/lutopia-della-repubblica-sociale.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Sia pur brevemente, è doveroso dare
un mio accenno di spiegazione a simile affermazione. Una considerevole parte
delle mie indagini scientifiche si è concentrata sulla storia e sulla
letteratura cristiano-cattoliche. Ho raccolto svariati elementi che mi inducono
a giudicare largamente negativi l’azione e il pensiero della Chiesa nella
società. Indico qui appresso alcuni miei lavori, che mi sembrano significativi
in funzione di eventuale approfondimento, dove argomento con chiarezza e
profondità obiettive: <i>Parricidio dantesco</i>
(2021), <i>Teologia analitica</i> (2020), <i>L’apologia
dell’irragionevole di Robert Hugh Benson</i> (2017), <i>Il Medioevo
futuro di George Orwell</i> (2015). Dentro all’altra mia opera intitolata <i>Letture critiche</i> (2019), <i>Il machiavellico disegno della “follia”
erasmiana</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco">https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica">https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div></o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson">https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell">https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> In
aggiunta a quello già menzionato nella nota precedente: <i>La democrazia
corporativa</i>, sempre contenuto nella pubblicazione là ricordata; <i>Mussolini,
il fascismo e la borghesia</i>, quest’altro invece presente nel mio saggio <i>Note
di critica</i> (2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2017/12/mussolini-il-fascismo-e-la-borghesia.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2017/12/mussolini-il-fascismo-e-la-borghesia.html</a></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/la-rappresentanza-organica.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/la-rappresentanza-organica.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> Per approfondire il peronismo
suggerisco dei miei studi al’interno della mia monografia indicata nella nota
1: <i>Il giustizialismo peronista</i> e <st1:personname productid="La Fondazione" w:st="on"><i>La
Fondazione</i></st1:personname><i> “Eva
Perón”</i>.</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/il-giustizialismo-peronista.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/il-giustizialismo-peronista.html</a></span></div><span color="windowtext" style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-15083590531970054282023-02-01T10:16:00.001+01:002023-02-16T16:47:06.470+01:00LE IMPLICAZIONI FILOSOFICO-POLITICHE DEL MIO SCHEMA PSICANALITICO<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2Tiqz7OFIQk0yQZct1TPBux92gp4aUIBA9_LPBvH9R1jp-by8OZDZ7C-EccyPsPizhpLRkyUNLA-Zd-RFAGrBdZuokEe-f58wvGuMFsxJjlZvVuaHJnihqs4Hzy8Xod846jg2T9EfLyXxMrUMdD0cLbqad2WvXov7Kvwgk2broTpP_0w5ZHpnKtlF/s640/1b.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="640" data-original-width="370" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi2Tiqz7OFIQk0yQZct1TPBux92gp4aUIBA9_LPBvH9R1jp-by8OZDZ7C-EccyPsPizhpLRkyUNLA-Zd-RFAGrBdZuokEe-f58wvGuMFsxJjlZvVuaHJnihqs4Hzy8Xod846jg2T9EfLyXxMrUMdD0cLbqad2WvXov7Kvwgk2broTpP_0w5ZHpnKtlF/w116-h200/1b.jpg" width="116" /></a></div>In un mio precedente scritto avevo introdotto ed esposto la
mia teoria sui tipi psicologici ponente la bipartizione fra “tipi freudiani” e
“tipi junghiani”<sup>1</sup>. La distinzione da me operata ha posto l’accento
sul grado di libido individuale maturata dal soggetto, sicché i due sistemi
analitici di Freud e Jung, sebbene alternativi, non entrassero in contrasto
estensivo, bensì avessero un’opportunità di coesistenza a seconda dello
psicanalizzato. Le due forme libidiche descritte da questi due autori, secondo
me, non sono assolute, ma caratterizzano due gradi (fase naturale e fase
culturale, in Jung): uno più basso freudiano e uno più nobile junghiano. Simili
modalità esistenziali coabitano inter homines, e l’obiettivo sarebbe
raggiungere una maturità culturale junghiana, staccandosi dal livello freudiano
più vicino al bestiale. Questo stadio di partenza può rimanere dominante nella
vita. Predomina in tal caso la dimensione pulsionale animale nella ricerca del
soddisfacimento degli appetiti corporei. In un soggetto del genere l’uso della
razionalità non è adeguato allo status di “essere umano”, ed esso rimane
limitato a funzioni essenziali volte al mantenimento del proprio posto nel
consorzio sociale. La psicologia comportamentista, a mio avviso, si calibra sul
gradino più basso psichico-libidico, e mi pare che qui la strategia sia quella
di un ammaestramento di una scimmia evoluta. La mia partizione degli
antropomorfi dotati di linguaggio articolato, costruita sulla base della
constatazione della maturità della libido, la quale ha purtroppo comportato una
sorta di aristotelica dicotomia discriminante “animale/razionale”, dove tutto
si gioca su una gamma intensiva a proporzionalità inversa, ha intravisto
un’occasione di migliore approfondimento nel pensiero di Thomas Hobbes. Una
cosa che non ho ancora ben legata alla mia teoria distintiva tra “freudiani” e
“junghiani” è il quoziente intellettivo, il quale nel primo tipo, secondo me, è
perlopiù inferiore rispetto al secondo. I soggetti “junghiani” possiedono una
padronanza del logos aristotelico nel senso vero e proprio, contrariamente a
chi ha una testa letteralmente vuota e vive, gettato per caso nel mondo, non
interessandosi (seriamente) della sfera umanistico-scientifica. La società
capitalistica predilige individui facilmente plasmabili, imbottiti delle più
varie distrazioni e stupidità, gente da ammaestrare, come chiarito da Marcuse,
senza particolare fatica ricorrendo agli strumenti mediatici e a piccole
gratificazioni. Ho ritrovato simile categoria di persone nella riflessione
filosofia hobbesiana, la quale si contrappone a quella sociopolitica
aristotelica: il che fa pendant con la mia dicotomia “freudiani/junghiani”.
Thomas Hobbes ha confusamente rilevato gli effetti di una libido freudiana
sopra l’agire umano che nella sua visione rimarrebbe condizionato da meccaniche
sensistiche. In parole povere si è arenato alla superficie dell’introspezione,
non avendo avuto la capacità poi di Schopenhauer di cogliere qualcosa che non
era sottoponibile a parametri di rigore matematico. Comunque per Hobbes la
possibile libertà umana di assentire o dissentire all’input rimane succube di
qualcosa di istintuale. Infatti egli definisce «l’uomo un lupo per l’uomo».
Prende atto cioè del soggetto “freudiano” con accanto alle sue pulsioni
appetitive di base e di soddisfazione corporale le altre pulsioni strumentali
miranti alla distruzione esterna. Dall’assenza, che il filosofo inglese generalizza
nei confronti di tutti gli antropomorfi umani, di un’aristotelica e pacifica
forza ordinatrice (logos), egli postula il radicale, presociale, «bellum omnium
contra omnes». Io giudico che abbia fatto di tutta l’erba un fascio. Non credo
che tutti siano lupi, reputo che nella costituzione dello Stato ci siano
possibilità spontanee, razionali, pienamente “umane”, alla maniera
aristotelica: pensiamo al colonialismo greco-antico. Ovviamente inquadro le due
vie nell’ottica della mia bipartizione “freudiani/junghiani”, consapevole che
un qualsiasi raggruppamento umano è stato sinora misto. Non si è mai
storicamente realizzata una società che accorpasse fasce sul criterio della
maturità libidica e del quoziente d’intelligenza. Il che è poi in sostanza l’ideale
aristocratico della repubblica platonica. Lo Stato è quasi sempre sorto sulla
Terra seguendo il modello hobbesiano. A tal riguardo, al fine di inserire con
chiarezza la sociologia di Thomas Hobbes nel mio primo gradino psicologico, è
il caso di ripercorrere il pensiero hobbesiano pertinente. Il filosofo inglese,
come Freud, puntualizza che per gli antropomorfi in questione (al pari di
qualsiasi bestia) è centrale l’obiettivo della propria autoconservazione,
cercando di evitare ogni situazione di pericolo. Simili due propositi, le due
facce di una stessa medaglia, mi hanno fatto pensare alla hegeliana dialettica
“signore-servo”. Il tipo freudiano, scoperta la sua inferiorità di fronte a
qualche suo pari più temerario, allo scopo di avere salva la vita cede la
sovranità al Leviatano, allo Stato hobbesiano il quale si pone al di sopra dei
cittadini in una autonomistica concentrazione del potere. Il Leviatano non deve
giustificarsi, è uno Stato etico. È esso a stabilire cosa è bene e cosa è male.
Quest’altra sfaccettatura mi fa volgere lo sguardo ulteriormente in direzione
di Nietzsche e de Sade<sup>2</sup>. Il Leviatano persegue nella concezione di
Hobbes la “forma” del bene, quale sia la concreta sostanza appare relativo. Lo
Stato assolutistico hobbesiano per sopravvivere si trasforma in “volontà di
potenza”, il metro di se stesso è esso medesimo, non un’etica razionale. Simile
Stato tirannico, che Hobbes definisce un Dio (a dimostrazione che non si fonda
sulla Ragione, ma sull’aspetto deterrente echeggiato dal paragone col
terrificante mostro biblico), sembra un oppressore. In effetti il moderno Stato borghese a economia
capitalista ricalca il modello hobbesiano e produce la marcusiana compressione
sociale di deboli tipi freudiani, vittime di aver ceduto all’assalto del
“padrone”, il quale ha imposto la sua “potente” signoria-di-classe. Chi detiene
il potere della forza armata del Leviatano controlla tutto, a cominciare
dall’indottrinamento mediatico (a seconda delle ere) sopra le masse. La forza
militare fa la differenza (pensiamo al peso attribuito ai difensori nella
repubblica platonica). I golpes con più alta probabilità di successo sono opera
di generali o colonnelli: come dice Machiavelli i disarmati hanno poche
speranze di successo. E anche nella conservazione del potere politico la forza
militare mantiene il suo compito strategico centrale. Il Leviatano è perciò il
mostro più terrificante. I singoli homines-lupi sono costretti nella quasi
totalità a inchinarsi a esso, a condannarsi alla frustrazione di una libido
freudiana mortificata e inappagata (principio di realtà). Non ci vuole molto a
capire che tale garbuglio è patologico. La arendtiana “banalità del male”
emerge dalla frustrazione dei miei tipi freudiani. La germania nazista aveva
uno Stato hobbesiano. Con la propaganda di massa ha infine plagiato un popolo.
Se i tipi che io definisco “freudiani” costituiscono obiettivamente la parte
sociale (associata) vulnerabile, e si convertono di conseguenza in potenziali
pericoli nei confronti di autentici stabilità, benessere, progresso, non mi
appare esagerato studiare una forma pacifica al fine di disinnescare il
problema. Costoro reputo siano i più propensi, tra l’altro, a delinquere,
spinti a ciò da brame e appetiti pulsionali (passionali) non banditi da un
corretto esercizio della razionalità. Mi pare lecito tutelare la parte migliore
e più sana della società. Di fronte a tutta questa problematica, da cui
peraltro si evince l’origine delle diffuse moderne comuni nevrosi, ho
riflettuto a lungo ponendomi i più gravi dilemmi. Mi ha accompagnato da sempre
l’idea dell’uguaglianza universale degli uomini. E nemmeno ora metto in dubbio
che tutti gli esseri umani nascano eguali davanti al mondo, e che a tutti
debbano essere concesse e garantite pari opportunità di crescita, di sviluppo,
di formazione, di inserimento sociale. Tuttavia dopo decenni ho concluso che
questa realtà in cui compariamo – per un motivo o per un altro – è la prima a
diversificarci e a “discriminarci”. De facto siamo diversi e assortiti. Questa
non è un a novità. Il campione del liberalismo, non soltanto inglese, John
Stuart Mill propose di dare la facoltà di esprimere numericamente pro capite
più voti politici alle persone di migliore qualità intellettiva rispetto al
livello di base. Non ha parlato così un principe delle forme antidemocratiche.
E a John Stuart Mill intendo proprio riallacciarmi, in una chiave più avanzata
e parallela al pensiero scientifico post-ottocentesco. Prenderò in esame il
diritto all’elettorato (attivo e passivo), nella fattispecie della nostra
Repubblica italiana. A una determinata età da noi si diventa maggiorenni, e
quindi si può accedere alla facoltà (a seconda dei casi previsti dalle leggi
vigenti) di esprimere “un” voto per pubbliche magistrature popolarmente
elettive, e di essere a queste eletti. Cioè si “discrimina” questo
riconoscimento di diritti sulla base dell’età in relazione alla quale ogni
individuo si ritenga sia diventato affidabile, capace, consapevole,
responsabile. Ebbene, sono stato portato a credere che non sia il mito dell’età
cronologica a rendere matura e saggia una persona. Sotto il profilo dello
sviluppo della personalità, avere superato la soglia della ritenuta “maggiore
età” non dice niente. Quanti irresponsabili, poveri di abilità e di conoscenza,
adulti ci sono in giro ad esempio a cui si darebbe un’età mentale di otto anni?
Daremmo a minorenni, nel corpo di qualcuno più in avanti negli anni la
possibilità di indirizzare le sorti della società e dello Stato? A me,
sinceramente, non sembra cosa buona e giusta lasciare correre una cosa del
genere. John Stuart Mill e Montesquieu hanno parlato del problema della
“dittatura della maggioranza” dentro un sistema democratico, che per me è la
maggioranza dei “freudiani” all’interno della democrazia borghese, maggioranza
sui cui poggia e specula il capitalismo. Chi vota deve “capire”, chi è votato
non può essere qualcuno con “basse qualità intellettuali”. Ritorna qua il parametro
del “quoziente d’intelligenza”. A chi pensasse inappropriato e superato un
recupero delle osservazioni di Mill oggigiorno, giacché la moderna
scolarizzazione avrebbe resi tutti eguali e abili, voglio ricordare un articolo
del professor Tullio De Mauro, ministro della pubblica istruzione nel secondo
governo Amato del 2000-2001, un preciso articolo datato 6-3-2008 e pubblicato
sull’“Internazionale” (numero 734), nel quale l’eminente studioso ha
evidenziato aspetti che ho sin qui evocato. All’inizio di questo secolo XXI
nella fascia di popolazione italiana di anni da 14 a 65 il 5% è analfabeta;
circa uno su tre ha le abilità di un bambino che non ha completato la scuola
elementare; quattro italiani su cinque in generale non possiedono una qualità
intellettiva all’altezza della realtà dove vivono, la quale li supera rimanendo
nebulosa e lontana. Sempre nel suo articolo De Mauro ha lamentato che questi
molto preoccupanti dati, emergenti da ricerca, non abbiano ricevuto un’adeguata
attenzione da parte del mondo politico né tanto meno un’opportuna
sottolineatura mediatica. Qual è il succo concreto di quest’interessante e
profondo articolo? L’80 %, più o meno, degli Italiani vive in un proprio mondo
di fantasia, impastato di arretratezze conoscitiva, culturale, tecnologica. Si
può affidare il destino politico del consorzio in cui sono inseriti a costoro,
cioè a persone che non capiscono le dinamiche politiche concrete attuali? Al
cospetto di tale quesito propongo di sostituire il criterio dell’età
cronologica con quello dell’età mentale effettiva (connesso all’espressione
verificata di abilità cognitive e analitiche consone al potere di elettorato
attivo e passivo). Questa periodica procedura si può realmente definire: esame
di maturità. Al di sotto di un certo QI, secondo me, non si dovrebbe poter
accedere alla possibilità di fare “cose complesse” superiori alle proprie
attuali capacità, cose inerenti specialmente al bene pubblico e comune.
Ovviamente c’è la speranza di migliorarsi, e si potrebbe verificare ogni 5/10
anni il QI individuale per attribuire il diritto di voto. Non penso di aver
detto un’assurdità, o qualcosa di inattuabile. Periodicamente si fa il
censimento popolare: si faccia il censimento intellettivo. La facoltà
universitaria di medicina è a numero chiuso: si faccia similmente del diritto
di voto e della politica una “facoltà a numero chiuso” a cui accedere dopo
apposito accurato esame. Giudico che la salute dello Stato non sia meno
importante della salute biologica. Reputo che se si facesse prezioso tesoro
dello spunto offerto dal liberale John Stuart Mill la società potrebbe
migliorare. L’ideale rimane che le istituzioni scolastiche e familiari possano
essere realmente in grado di formare “persone” e “cittadini” proiettati al
grado junghiano della personalità e artefici di un mondo equilibrato in tutti i
profili. La meta di “un pezzo di carta” ancorato a una “mira di guadagno”, studiando
poco, riflettendo poco, capendo poco del mondo (presente, passato e venturo)
non genera gran che di positivo. Una società malata è destinata a crollare su
se stessa in balia di sciacalli e avvoltoi di turno. In verità sono conscio che
quando propongo di dividere la gente in α+ (eccellenti) e α (normali) da un
lato e β (deficitari) dall’altro possa io apparire distopico o in modo
involontario sinistramente evocativo. Ho cercato di evitare queste fuorvianti
non volute impressioni, mirando unicamente ad avanzare un’“idea”. Indubbiamente
se ci fosse più “pensiero” in giro non ci sarebbe bisogno di idee come questa
mia. La mia preoccupazione in relazione al futuro dell’umanità è per l’appunto
quella che il mondo possa cadere in una spirale distopica, di cui ho sviluppato
un modello storico degenerativo ipotetico<sup>3</sup>. Per il momento non mi
sembra esagerato e fuor di luogo che “minorenne” debba essere considerato chi
abbia un quoziente d’intelligenza inferiore al minimo richiesto, e
“maggiorenne” (con i diritti della maggiore età) chi stia al di sopra della
soglia. La Grecia classica ha trattato assurdamente le donne davanti allo Stato
da perpetue minorenni. Di fronte a una tale assurda discriminazione di genere,
lenta a scrostarsi, durata nella storia in varie forme, mi permetto di indicare
il parametro che a mio modesto avviso è quello che realmente conta: il possesso
di base di un “logos” efficiente (e dunque non deficiente) il quale connota il ζῷον πολιτικόν / ζῷον λόγον ἔχων. E simile tipo a me pare, nel mio modello
sociopsichico, appartenere in primis agli “junghiani”. Una volta ho
definito l’insieme di questi: comunità logica. Se qualcuno pensasse
“illiberale” il mio progetto, rammento che nell’Italia “liberal-borghese” post-unitaria
ebbero diritto di voto della popolazione 2 su 100 nel 1861-82, 7 su 100 nel
1882-1912, 1 su 4/5 nel 1912-23. Altresì voglio ricordare che il suffragio
universale maschile giolittiano partiva dai 30 anni, riducibili a 21 con almeno
una delle seguenti condizioni: 1) possesso della licenza elementare, 2)
svolgimento del servizio militare, 3) pagamento annuo al fisco regio non
inferiore a L 19,80. Nel 1912 il pane costava 38 c. al kg, l’imposta unica sui
redditi era dell’8%, un bambino su cinque moriva entro i 5 anni; il
proletariato, netta maggioranza popolare, in pratica era estromesso dalla
politica. Oggigiorno, dopo il suffragio universale per età cronologica
post-bellico (nel 1950 uno su otto degli Italiani era analfabeta), esiste il
fenomeno dell’alto tasso dell’astensionismo che coinvolge un elettore su tre,
idest un partito italiano fantasma sul 30%. Ciò non rappresenta motivo di
encomio della democrazia borghese, la quale silenziosamente ha riacquistato un
quid di quell’Italia unitaria liberale prefascista. Esistono ora moltissime
persone che non sono motivate a recarsi alle urne: costituisce questo un enorme
fallimento sociale non solo educativo. Davanti al quale non è facile replicare,
dal mio punto di vista, che distopico, illiberale e antidemocratico sia il mio
sistema proposto di suffragio universale per QI, nel momento in cui la realtà
concreta si riveste già di tratti negativi significativi. La mia impressione è
che nelle democrazie borghesi la politica sia per vari tratti una roba marcia
connotata da affarismo e interessi personali (causa prossima), e che la causa
remota di tutto quanto sia il far votare un elettorato non interamente
qualificato sopra il quale germogliano e crescono rigogliosi i più pesanti
problemi, per la cui soluzione, dunque alla radice, ho avanzato una “soluzione
platonica”. Io ho riflettuto nel merito allo scopo di miglioramento, e non
certo di peggioramento. Ho il dubbio che se per far studiare la gente ci vuole
un “obbligo” (il che è un concetto agli antipodi di qualcosa compiuto
“liberamente”, “spontaneamente”) forse l’errore stia a monte: non esistono gli
obblighi di mangiare o bere. Aristotele direbbe che lo studio nutre l’anima
razionale, e non quella vegetativa. Ma il logos è raggiungibile solo dalla
prima. Potremmo lasciare liberi tutti quelli che non vogliono studiare ed
esercitare il logos di vivere la loro vita come vogliono. Sarebbero in fin dei
conti filosofi “cinici”. Con la conseguenza però che costoro finirebbero nel mio
gruppo β disconnesso dall’esercizio delle prerogative politiche (nella polis ci
vuole il logos: no logos, no polis). Umano è colui che indaga il mondo
circostante, i bambini sono filosofi naturali, un peccato sprecare simile
predisposizione dentro una società che vanifica le cose serie a beneficio di
un’estetica del vuoto divertissement. Allorché tale coltura del niente svanirà
non ci sarà più bisogno, secondo me, di dividere la massa in α e β: ci sarà un
livello di base interamente di α senza più β. È stato Antonio Gramsci a
richiamare in passato l’importanza degli studi umanistico-scientifici a
vantaggio della classe proletaria, giacché questi costituiscono, tra l’altro,
una palestra per il pensiero. Il quale se non si cimenta con i limiti alti
dell’attività mentale non produrrà atleti all’altezza di una società che vuole
essere giusta, sana ed equilibrata. Chi possiede scarse qualità di analisi e di
sintesi, congiunte a una bassa acculturazione, cadrà sempre in balia di
persuasori i quali non sempre sono limpidi e onesti. Tullio De Mauro nel suo
articolo ricordato ci ha segnalato una grave lacuna contemporanea
nell’adeguatezza intellettuale. Io ho legato tutti i fili della mia analisi nel
modo migliore possibile, nella maniera più ordinata volta a rintracciare un’alternativa
allo status quo problematico. Mi sono reso conto che la mia bipartizione fra
“tipi freudiani” e “tipi junghiani”, introdotta da me in termini psicanalitici,
è tutto sommato già operante nella repubblica platonica laddove il grande
filosofo ateniese separa i filosofi-governanti e i difensori dalla terza
categoria degli operatori produttivi materiali. Platone aveva già compreso
quanto io ho spiegato sopra, e che cioè chi è ancorato alle “passioni freudiane”
rappresenta un fattore di squilibrio se inserito nel contesto amministrativo
della res publica. Al celebre allievo di Socrate non è sfuggita una superiore
valenza della libido, la quale lui ha illustrato nel “Simposio”, un dialogo a
cui io a tal riguardo ho dedicato un mio precedente studio mostrando le
analogie del caso tra il pensiero platonico inerente all’eros e lo sviluppo
della libido nella psicologia analitica di Jung<sup>4</sup>. Platone ha dunque
posto quelli che io definisco “tipi junghiani” nelle prime due classi della sua
repubblica, concentrando i “freudiani” nella terza. Prima della nascita della
moderna psicanalisi non era possibile un ragionamento politico platonico
chiarito alla mia maniera psicanalitica. Le conseguenze della mia impostazione
investigativa e costruttiva si rivelano molto ricche poiché ci forniscono il
modo di capire altresì perché il comunismo storico marxista è fallito nel
Novecento. Puntualizzo che, da peronista giustizialista, sono favorevole a una
abolizione della grande proprietà privata personale, lasciando solo il possesso
esistenziale (il frommiano “avere esistenziale”) di quanto sia essenziale (come
ad esempio la casa e quanto ci sta dentro). Sono quindi più vicino a Proudhon
che non a Marx nel merito. Detto ciò, proseguo dicendo che il socialismo reale
non ha avuto il successo che Marx e i suoi seguaci si aspettavano per il fatto
di non avere attuato la mia separazione proposta tra α e β.
Nell’amministrazione statale sono stati messi “tipi freudiani” i quali hanno
necessariamente fatto naufragare l’esperienza marxista storica. Se in quella
classe dirigente comunista si fossero trovati perlopiù “tipi junghiani” le cose
ovunque, a mio avviso, sarebbero andate meglio. E ciò è quanto Platone ci aveva
fatto intuire nella sua filosofia politica allorché creava categorie di matrice
attitudinale. Simile inconveniente, trascurato nell’attuazione del socialismo
reale, è stato poi evidenziato dall’idealista Trockij. Una burocrazia, che io
definirei “freudiana”, ha preso il potere pratico, interponendosi nell’andare
verso la direzione dei più sinceri ideali marxisti di giustizia sociale e di
benessere universale. Ovunque permane, nello Stato liberal-borghese o nello
Stato socialista marxista, un istintuale latente «bellum omnium contra omnes»
nelle menti dei dirigenti non c’è pertanto il trionfo dell’illuministico ideale
di <i>liberté égalité fraternité</i>. Nella
fattispecie marxista la dittatura del proletariato è stata appunto la via
erronea, quella che ha portato i “freudiani” al potere, creando la criticata
“tirannia della maggioranza” (Mill e Montesquieu). Tant’è che Lenin ha dovuto
correggere un po’ la prospettiva di approccio al potere sostenendo che la
borghesia più illuminata avrebbe dovuto collaborare coi comunisti. Lenin aveva
intuito qualcosa di platonico, purtroppo è morto precocemente nel 1924 a 53
anni, e non sapremo mai se la sua URSS sarebbe stata migliore di quella di
Stalin. Avviandomi alla conclusione della mia analisi voglio fugare due
possibili critiche ad hoc. Mi si potrebbe far osservare che io abbia elaborato un
modello pseudoscientifico di suprematismo intellettualistico. Il che, nel mio
caso, non sarebbe vero. È attualmente scientifica la procedura sanitario-giuridica
che verifica le capacità di intendere e di volere di una persona verificandone
in pratica l’efficienza intellettiva. Una cosa del genere non è assurda né
tanto meno una novità, sarebbe semmai approfonditamente e periodicamente
rivolta a tutti, sempre nell’ambito medico consolidato. Non si tratterebbe di
qualcosa di razzistico-spiritualistico, ma di una selezione seria e obiettiva
rivolta a creare condizioni di miglioramento sociale e non mirante a generare
una nuova forma di razzismo. Non è razzistica la distinzione
maggiorenni/minorenni, cambierebbe solo il criterio di individuazione: al posto
dell’età cronologica il QI. Fugata questa possibile osservazione ne voglio
prendere in esame un’altra che parimenti non si è celata alla mia attenzione.
Non voglio assolutamente proporre una specie di nuova “lotta di classe”: α
contro β. Ho sempre parlato in termini di ricerca di armonia sociale senza
voler proporre contrapposizioni. Mi basti ricordare il simbolo del Partido
justicialista argentino dove due mani sono strette inter se a indicare
collaborazione e non antagonismo. La società allo scopo di crescere e di
approdare verso lidi migliori ha bisogno di una pacifica dialettica di idee, da
cui emerga quella che appare più utile al bene collettivo integrale. Non abbisogna
di scontri di alcuna sorta e di competizioni nelle gare per la vuota
esteriorità. Sicuro di quanto ho appena affermato, intendo infine superare
dimostrato il vaglio di costituzionalità della mia idea allorché questa si
configura in proposta legislativa. Il mio ragionamento non è sovversivo
dell’ordine costituito, di cui anzi sono altamente rispettoso. Si tratta di una
“riforma”, non di una “rivoluzione”. Partiamo dall’art. 48 della Costituzione
italiana: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto
la maggiore età. […] Il diritto di voto non può essere limitato se non per
incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di
indegnità morale indicati dalla legge». Procediamo adesso per gradi, incominciando
dalla «maggiore età». Io non ho intenzione di sostituire il concetto indicato
con saggezza dalla carta costituzionale, poiché appunto è quello giusto.
Propongo, mantenendone la forma, di sostituire il criterio della “maggiore età
cronologica” con quello della “maggiore età effettiva mentale (QI)”: la
Costituzione resterebbe inalterata in quanto si andrebbe ad agire con legge a
parte statuente la maggiore età in guisa diversa rispetto a ora. La non
assurdità giuridico-costituzionale del mio procedere è ulteriormente ben
dimostrata quando ad hoc si proclama: «Il diritto di voto non può essere
limitato se non per incapacità civile». Idest propter impotentiam utendi ratione. È
infatti ciò di cui ho parlato io nella mia analisi. In Italia sino alla Legge
13 maggio 1978 n. 180 i soggetti dichiarati mentalmente inabili dal Giudice
civile erano privati del diritto di voto. È esistito un dispositivo di legge
che imitava il mio disegno. Si tratterebbe di recuperarlo e adeguarlo
all’occorrenza da me disegnata. La Costituzione parla pure di esclusione dal
voto per «casi di indegnità morale indicati dalla legge». E anche qui è
possibile trovare una sponda utile. Chi, volontariamente, e non dunque per
cause esterne alla propria volontà (quali ad esempio patologie mediche o
disagi), rimanesse in uno stadio mentale arretrato in relazione all’età
cronologica in atto per pigrizia negli studi e disinteresse verso il bene
comunitario potrebbe essere imputato di questa «indegnità morale» testé
evocata. L’art. 48 parla chiaramente, basta soltanto capire cosa ci vuol dire e
cosa ci può dire con esattezza. Gli artt. 2-3 della nostra carta costituzionale
restano centrali e fondamentali, nonché di sprone: «Art. 2 – La Repubblica
riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento
dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. / Art. 3
– Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale davanti alla legge, senza
distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali. […]». A tal riguardo è il caso che io faccia
delle puntualizzazioni esplicative nella mia ottica. I β over 18 andrebbero
equiparati in giudizio agli α a causa della loro accidia. Per i β non ci
sarebbe un “carcere minorile” o una particolare “giurisprudenza minorile”. Gli
under 18 rimarrebbero “minorenni” per convenzione naturale, chi entra negli α
ci rimarrebbe a tempo indeterminato senza nuovi periodici esami (a meno dei
casi di incapacità già previsti dalle leggi vigenti che dispongono l’adozione
di un tutore). Il computo dell’età degli α, ai fini delle leggi già esistenti,
rimarrebbe anche quello tradizionale cronologico (per cui non ci sarebbe
nessuno sconvolgimento pratico). Tutti i β over 18 avrebbero un tutore, al pari
delle donne nell’antica Grecia. L’art. 2 della Costituzione dove afferma i
«doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» offre
un’altra sponda di sostegno alla mia argomentazione. I β risulterebbero
responsabili per via della loro voluta inadeguatezza intellettiva di
“inadempimento di quei doveri”: «fatti non foste a viver come bruti, ma per
seguir virtute e canoscenza». L’art. 51, parimenti a quelli 2 e 3, resta un
faro prezioso inalterato: «Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso
possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. […]». Tutte le mie
parole non intendono sovvertire, ma riformare. Ho ragionato in maniera nitida
cercando di sondare tutti gli angoli al fine di stare saldamente ancorato
nell’alveo della legalità e del buonsenso. Ho dimostrato la ragionevolezza
della mia argomentazione in vario modo. Il mio obiettivo analitico è stato
quello di fornire uno spunto mirato a migliorare il sistema democratico. La
Storia ci ammonisce severamente. Assemblee parlamentari elette a suffragio
popolare possono legittimare governi autoritari e antidemocratici. Possono
consegnare il potere a governi in grado di instaurare dittature di breve o
lunga durata. Dittature le quali possono prendere in ostaggio politico i
parlamenti elettivi, nella quale circostanza si rivelano composti da
opportunisti e curatori di interessi ridotti e parziali. Viceversa assemblee
parlamentari in larga maggioranza sane non aprono le porte a prospettive
dannose e illiberali. Da dove simili nefasti regimi? Da elettori squalificati,
secondo me. Qualificando l’elettorato attivo, sarà più qualificato qualsiasi
parlamento. Un parlamento di superiore selezione nella guisa da me illustrata
dovrebbe essere un argine più robusto alle maree speculative e affaristiche.
Per quanto mi è dato capire tutto il problema ha la sua radice nel “livello
freudiano”. Da simile impostazione la mia soluzione platonica che ricerca il
Bene. Il XXI secolo dimostra ulteriormente in virtù della mobilità globale di
idee e persone che il vecchio concetto di “razza” sia qualcosa di reazionario,
e che radicarsi nelle differenze equivalga a chiudersi al futuro. Esiste de
facto una sola razza umana, la cui unica differenza interna deriva dal grado di
avvalersi del pensiero razionale. La barriera che può separare proviene dunque
dall’incapacità di acquisire conoscenze obiettive delle dinamiche storiche e
dello sviluppo degli eventi attuali. L’idea classica e conservatrice di
“Patria” appare superata dagli effetti della mobilità globale, e supportarla di
contenuti religiosi si rivela un irrazionale progetto di conservazione
pseudoculturale, soprattutto quando questi contenuti si rivelano frutti di
tempi arretrati nella civiltà. Cultura è apertura all’apprendimento da cui
consegue crescita: l’isolamento mentale proviene da nevrosi (o malafede) e
conduce a nevrosi, nonché è strumento possibile di condizionamento di soggetti
ignoranti. La storia insegna che disegnare confini nazionali costituisce
un’operazione accidentale, così come la filosofia mostra che ritagliare limiti mentali
si rivela deleterio. La vita è movimento, chiudersi in sepolcri imbiancati non
sembra ragionevole. L’obiettivo rimane la pacifica coesistenza globale nel
benessere, e le chiusure producono attriti e ostacoli nel processo di armonizzazione generale. Nessuno migliorerà
con lo spirito di contrapposizione militante (nazionale e/o religioso). Nel
’900 i capitalismi nazionalistici produssero un grandissimo conflitto mondiale
(1914-1945) combattuto in più fasi (sulla falsariga della guerra del
Peloponneso). Sfumare i confini (per abolirli del tutto) diminuisce le
tensioni: l’amalgama verso il meglio e l’incontro creano stabilità. A chiusura
di tutto questo scritto invito a leggerne un altro, sempre mio, pertinente,
dedicato al “Discours sur la servitude
volontaire” di Étienne de La Boétie, una
analisi che rappresenta più la torta di questa ciliegina, che non la ciliegina
su questa torta<sup>5</sup>.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8RnQXrJhOmgJRuTMtvqYuJqr6NheseCzkIS3GAaKWNgbjaBWodR-HkHT110rICOgpz7tgHUiAkSOgNqimpA8pUVDB0HQDq_E-s_6x3sYPy_v9JEOawvrWK12QsgSgCFUKOEwAVd5iYo9M2zjRU7Uhnu9uT6uE2KgS-i31OkfGxwUQMkvgzKRsCxM3/s613/2b.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="613" data-original-width="480" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8RnQXrJhOmgJRuTMtvqYuJqr6NheseCzkIS3GAaKWNgbjaBWodR-HkHT110rICOgpz7tgHUiAkSOgNqimpA8pUVDB0HQDq_E-s_6x3sYPy_v9JEOawvrWK12QsgSgCFUKOEwAVd5iYo9M2zjRU7Uhnu9uT6uE2KgS-i31OkfGxwUQMkvgzKRsCxM3/w314-h400/2b.jpg" width="314" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div>Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Storia e pensiero”</div><div><a href="https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero">https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero</a></div></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1</sup> Si veda nella mia
monografia <i>Filosofie sadiche</i> (2021) la parte intitolata <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i>:</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2</sup> Per approfondimenti indico il mio saggio citato nella
precedente nota:</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/45301442/Filosofie_sadiche">https://www.academia.edu/45301442/Filosofie_sadiche</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Vedasi nota 1.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><o:p><div style="text-align: justify;"><sup>4</sup> <a href="http://danilocaruso.blogspot.it/2017/09/diotima-non-deve-morire.html">http://danilocaruso.blogspot.it/2017/09/diotima-non-deve-morire.html</a></div></o:p><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><span style="font-family: verdana;"><sup>5</sup></span><span style="font-family: verdana;"> <a href="http://danilocaruso.blogspot.it/2016/11/la-boetie-ipocrisia-borghese-o-marxismo.html">http://danilocaruso.blogspot.it/2016/11/la-boetie-ipocrisia-borghese-o-marxismo.html</a></span></span></div></sup></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-77364226652082429532023-01-08T13:09:00.005+01:002023-02-16T16:46:07.187+01:00TEMPO, STORIA E VERITÀ<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: x-large;"> </span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKT46QF2kdnVxPQN_4eQAmPr_j7CKQPj-IgM3QYvGdODoIyZ95flXmKWEhQ9GythskBBgeseKyfyXKPnkVKM04OdBHZvSDjSpvmhlrik9kspzYyFyYWG7ls2Pn7wako9PBUXbgBVKTbR1-MWv93c7ZwLRJ_yzze8FK14UjSPHjx0cD-P_5vuXs7379/s1448/1.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1448" data-original-width="878" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKT46QF2kdnVxPQN_4eQAmPr_j7CKQPj-IgM3QYvGdODoIyZ95flXmKWEhQ9GythskBBgeseKyfyXKPnkVKM04OdBHZvSDjSpvmhlrik9kspzYyFyYWG7ls2Pn7wako9PBUXbgBVKTbR1-MWv93c7ZwLRJ_yzze8FK14UjSPHjx0cD-P_5vuXs7379/w121-h200/1.jpg" width="121" /></a></div>Uno degli argomenti che ha attirato la mia
attenzione nel campo scientifico è quello dei “fantascientifici” viaggi nel
tempo. Sulla base della fisica einsteiniana risulta teoricamente possibile fare
un salto nel futuro, partendo da un determinato momento e arrivando attraverso
un “viaggio” a una meta temporale posta in avanti. Riflettendo sulla natura del
tempo però sono approdato alla conclusione che uno scorrere oggettivo temporale
non esiste: il tempo misura spostamenti, cambiamenti, però chi osserva non si
sposta mai da se stesso, perciò il misuratore che rileva la variazione cade in
contraddizione col contenitore in cui crede di essere. Il tempo è un modo
mentale di ordinare esperienze fenomeniche. Mi verrebbe da dire, con
Schopenhauer, che spazio e tempo siano categorie soggettive consustanziali al
fenomenico, ma non vorrei accantonare l’estetica trascendentale kantiana. In
ogni caso spazio e tempo sono categorie soggettive non inerenti alle cose.
Infatti sulla base della teoria della relatività di Einstein viaggiando a
velocità notevolissima all’interno di tale veicolo si avrebe un rallentamento
dell’invecchiamento, il quale veicolo è paragonabile a un freezer temporale
trattandosi di un finto viaggio nel tempo, il quale produce una sorta di
“congelamento” mirante a mantenere la coerenza, cioè l’ordine delle Idee
platoniche (alla base della struttura fisica, fenomenica dell’Universo).
Constatata l’impossibilità del viaggio nel tempo futuro nella guisa fantascientifica,
poiché il tempo non esiste, mi sono posto il tema speculare del passato. In
modo fenomenico potremmo andare molto più in là. Però, cosa vorrebbe dire
viaggiare nel passato, sulla base di quanto ho già chiarito? Significa fare un
viaggio nell’Inconscio collettivo junghiano, al di fuori dello spazio e del
tempo fenomenici. All’interno dell’Inconscio impersonale non vale il principio
di causa-effetto, in questo “passato” v’è solo “sincronicità” extrafenomenica
la quale garantisce che io non entri in conflitto col me precedente e con lo
schema di coerenza fenomenica (per l’appunto abbandonato).
Andare-indietro-nel-tempo equivale a tuffarsi nell’Inconscio assoluto, anche a
rischio di annegarci. Qui è registrata tutta la storia universale delle
coscienze singole, e come in una rivisitazione scenica allestita ad hoc potremmo
piombare nella virtualità sui generis riproposta di qualsiasi evento. La Verità
è pertanto ontologicamente univoca. Non è l’uomo storicizzato a essere misura
di tutte le cose nelle varie epoche, esistono dei diritti naturali universali.
Un regime distopico grazie a una modalità da caverna platonica potrebbe
tuttavia velarla e impedirne la conoscenza obiettiva. È questo il pericolo in
seguito a una possibile distopia. La storia passata ha offerto esempi di
sistemi totalitari. Il rischio futuro proviene da una forma di relativismo
manipolatorio delle masse generante alla fine, nella maniera più perfetta e
raffinata, l’assorbimento della contraddizione intellettuale di cui parlava
Marcuse. Un meccanismo totalitario neo-orwelliano potrebbe prendere atto che la
verità di qualcosa non si può nascondere e che la conseguenza di ciò sarebbe
controproducente nei confronti di un goebbelsiano inganno delle masse. Quando
infatti si scopre la verità occultata si resta contrariati a causa dell’essere
stati ingannati. Evita nel “Mi mensaje” dice che bisogna essere “fanatici”
nella difesa della giustizia sociale. Non è che sta parlando una donna
estremista per motivi ideologici a monte: lei era veramente arrabbiata contro un
iniquo sistema oligarchico. Al cospetto di potenziali ingannatori la
costituzione di un fronte “molto convinto” avverso non sarebbe facile da
combattere. Quindi sarebbe machiavellicamente meglio agire in modo diverso
rispetto alla repressione aperta della verità. Tu non devi sotterrare la verità
con sistemi repressivi, giacché prima o poi tornerà sempre a galla davanti ai
più, devi far in modo di declassare il pensare la verità a qualcosa di remoto,
assurdo. Cioè devi diluire la verità in un oceano di sciocchezze in maniera che
essa stessa assuma in questo quadro generale una connotazione superficiale
analoga. Dunque se tu induci a pensare la gente che determinate possibilità del
reale siano possibilità irreali e assurde hai fatto di meglio di un regime
totalitario del passato. Non si alimenta così un fronte nemico carico di
risentimento nel momento del disvelamento veritativo. Come poter indurre la
gente ad assecondare il potenziale neototalitarismo? Mediante i canali
mediatici. Passando attraverso i luoghi di una “finzione” espositiva. Allorché
tu collochi le possibilità della realtà, in particolare quelle sensibili e
critiche, in quegli ambiti, e disconnesse da un concreto aggancio col reale
pregresso, porti la massa a pensare a quelle cose come roba di “fantasia”, e in
automatico da scartare allo scopo di interpretare il reale. Se quella è
fantasia, non puoi istintivamente accostarla al reale: sfruttare questo fondo
di residua coerenza logica sarebbe machiavellicamente scaltro. Pertanto la
gente scarterebbe per istinto quelle chiavi di lettura: chi addurrebbe una
declassata descrizione di presunta fantasia al fine di interpretare la realtà
verrebbe deriso. Laddove si procedesse con metodi da Santa Inquisizione (censura,
repressione, demonizzazione dell’avversario) si produrrebbero nell’era di
internet frange di “fanatici” della verità, quelli che in ogni modo legale e
lecito manifesterebbero il dissenso. Scenari da “1984” e “Il tallone di ferro”
genererebbero un contrasto forte difficile alla lunga da assorbire senza alta
tensione sociale. Sarebbero totalitarismi rimasti legati a un modello antiquato
e inadeguato. La gente, in generale, rimane urtata, se contrariata da un aperto
disprezzo: molti capirebbero nel momento in cui aprissero gli occhi che altri
starebbero calpestando i loro diritti naturali, e che addirittura a loro si potrebbero
rivolgere parole che nessun intelligente direbbe (maggiormente se volesse
portare avanti una repressione sociale: non vai ad urtare la sensibilità e
l’intelligenza della massa). I media non dovrebbero censurare i contrari. Quando
lo facessero qualche crepa si aprirebbe sbagliando strategia mediatica in
maniera grossolana. Allorché qualcuno disprezza una categoria perbene e si
appella a un principio di autorità, al di fuori del fornire spiegazioni (quelle
sì strumento di convincimento) comprensibili, contribuirebbe a sminuire la
credibilità e l’apprezzamento di un apparato mediatico totalitario. Non
avrebbero avuto la subdola profondità: si sarebbero accaniti sulla repressione
della verità con spirito nazista. Una repressione dal volto soft è preferibile
a un modello dal volto hard che rischierebbe di crollare. I furbi non ti impedirebbero
di pensare i contenuti del reale, però te li farebbero pensare nella regione
intellettuale del fantastico, dell’assurdo, e perciò non li vai a trasporre
spontaneamente sul piano concreto come modello di lettura. Gli antiquati punterebbero
sul dogmatismo e mirerebbero a mutilare del tutto la possibilità di pensare a
qualcosa di “differente” dalla verità ufficiale/rivelata. Vi rendete
perfettamente conto che tra il modello soft e quello hard quest’ultimo sia
quello più antipatico. Poiché, mentre il primo avrebbe contribuito a creare la
piattezza di pensiero nei cittadini difficilmente capaci di sollevarsi
dall’unidimensionalità e quindi organici al sistema in guisa non pericolosa, il
secondo allorché si trovasse davanti gli oppositori avrebbe di fronte
“fanatici” (termine da intendersi nell’accezione positiva, come sopra spiegato).
O’Brien chiariva a Winston che chi controlla il passato controlla il futuro, e
chi controlla il presente controlla il passato. Il principio non cambierebbe,
muterebbe solo la sostanza del controllo: da hard a soft (da Oceania a Brave
New World). Dalla “banalità del male” si passerebbe alla “sciocchezza della verità”: il relativismo sofistico combattuto da Platone. La mia filosofia della storia ventura ha prospettato simili scenari<sup>1</sup>.
Ciò che cementa i due livelli di argomentazione in questo scritto affrontati è
il romanzo wellsiano “The time machine”. In tale distopia ritroviamo il senso
del viaggio nel tempo in funzione tragico-catartica (qui nel futuro). Io nella
mia prima parte qua di discorso ho parlato pure di viaggio nel passato.
L’analisi storica obiettiva, l’ermeneutica contestuale, l’esame psicanalitico
del passato sono fondamentali per la crescita della Civiltà umana. L’ignoranza
genera masse controllabili con facilità e le nevrosi generano mostri.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjA6RqVkcrf9e6Rr5wiKHIgIByVqltb_5X6VoQHVemyiTTAPmA8ooKWXq8l277GmyZ8cQ_pNK2Fv74i-gfstWUGNvOdXRA5KdXaMCpa_eP5y3D6HTR6X96kDFMw7vPiJXo-1oPPljjGPeQuzNZvKM53-zc2zT1nbs12bblfJy6jmSSgGj87Dm9MN1oM/s1049/b.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1049" data-original-width="712" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjA6RqVkcrf9e6Rr5wiKHIgIByVqltb_5X6VoQHVemyiTTAPmA8ooKWXq8l277GmyZ8cQ_pNK2Fv74i-gfstWUGNvOdXRA5KdXaMCpa_eP5y3D6HTR6X96kDFMw7vPiJXo-1oPPljjGPeQuzNZvKM53-zc2zT1nbs12bblfJy6jmSSgGj87Dm9MN1oM/w434-h640/b.jpg" width="434" /></a></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/ULLUn9fe3bc" width="320" youtube-src-id="ULLUn9fe3bc"></iframe></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><span style="color: black;"><div style="text-align: justify;"> </div></span><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><div style="text-align: justify;"><div>Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Storia e pensiero”</div><div><a href="https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero">https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero</a></div></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><sup>1</sup> <span style="font-size: large;">Suggerisco di
seguire a ritroso il filo conduttore, attraverso il rimando delle note, iniziante
qui:</span></div></sup><o:p><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/10/induismo-e-occidente.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/10/induismo-e-occidente.html</a></div></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-64206686834928336422022-12-25T12:06:00.015+01:002023-02-16T16:46:30.885+01:00LE PROBLEMATICHE STORIOGRAFICA E PSICOLOGICA IN “FONTAMARA”<div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di
DANILO CARUSO</b></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b><br /></b></span></div><div style="text-align: left;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEga6BVzcTIe0xFYT9Kr83CNKwXcHHrYEzdKEih4F8By8zlVubZvWak4wVUUPZFmHfB_ritp1m1By4-suZl1l7ZIPSErbPX7MdkTpdScARHI9e7_DXYO0YUQgtfwbUAEiZzZZUsMkDV5ZcKOoyuw2q9KD6N63hX9DnUclXbzXInayKMcWHiX4pQCfFTb/s500/1.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em; text-align: center;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="300" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEga6BVzcTIe0xFYT9Kr83CNKwXcHHrYEzdKEih4F8By8zlVubZvWak4wVUUPZFmHfB_ritp1m1By4-suZl1l7ZIPSErbPX7MdkTpdScARHI9e7_DXYO0YUQgtfwbUAEiZzZZUsMkDV5ZcKOoyuw2q9KD6N63hX9DnUclXbzXInayKMcWHiX4pQCfFTb/w120-h200/1.jpg" width="120" /></a>La
mia lettura del romanzo “Fontamara” dell’autore Ignazio Silone (1900-1978) mi
prospettò dopo i primi due capitoli un che di aristofanesco (“Le donne
all’assemblea”) e un altro quid di manzoniano (“Promessi sposi”). Dopo la
lettura del cap. III le mie impressioni manzoniane non scomparvero, anzi trovarono
un nuovo spunto. Questo è un capitolo dedicato in particolare al personaggio di
Berardo, il quale è concettualmente imparentato con Renzo: entrambi hanno una
vocazione agli spropositi e a mettersi in modo ingenuo in cattive acque. C’è
poi l’impedito matrimonio con la candida Elvira, trasposizione di Lucia.
Compare un sacerdote di paese organico al sistema di potere politico; si noti
la paronomasia: Don Abbacchio / Don Abbondio. Non manca neanche la
figura-simbolo dell’ingiustizia: il nuovo podestà (eco formale di Don Rodrigo).
Appare altresì l’esempio archetipico del “vecchio saggio”: Zompa = Fra
Cristoforo. Lo stesso fatto che il romanzo di Silone sia incentrato sugli
umili, costituisce altra ulteriore tangenza tematica, al di là di quelle rinvenute
nell’architettura dinamica narrativa. Letto il IV cap. di “Fontamara”, mi si pose
con maggiore intensità un quesito: perché ridurre la materia descritta al
livello del grottesco? La prima metà del romanzo suscita a distanza di molto
tempo dalla pubblicazione (1933) simile sensazione, di certo non voluta né
prevista da Silone. Il problema è ermeneutico. L’intenzione dell’autore si
richiama a un ideale di giustizia universale, oppure il suo è un romanzo
politico? Ed eventualmente che nesso esisterebbe tra il condizionamento
ideologico e il suddetto effetto? I temi affrontati in “Fontamara” sono molto
seri, ed è chiaro che l’apparenza di scene comiche produca una percezione
distorta. In quale misura tale aspetto potrebbe rappresentare un limite nella redazione
dell’autore? Noi leggiamo “I promessi sposi”, testo ancor più vecchio, senza
inciampare in atmosfere da commedia antica degli equivoci. Mi chiedo se Silone
sia rimasto vittima di impetuosità intellettuale. Puntualizzo, a scanso di
essere frainteso, la mia parziale simpatia per Marx, ma per il Marx destruens
(quello critico-analitico), e il mio distacco dal Marx costruens (quello
politico-rivoluzionario). In sostanza il dilemma è: Ignazio Silone è critico o
politico? Nella seconda metà del romanzo l’ardua sentenza. Il cap. V di
“Fontamara” richiede un’attenta e obiettiva valutazione storica. Si descrive
uno stupro di gruppo compiuto da militanti fascisti. L’atto, in sé e per sé, è
gravissimo, ed è ovvio che sia oggetto della massima condanna (in qualsiasi
forma di considerazione o da qualsiasi punto di vista lo si esamini). Non si
possono mai assolvere stupratori, qualunque sia la loro veste. Quello che mi ha
colpito, nell’ambito letterario dell’opera, è la non probabilità storica
dell’accaduto. È l’unico caso di cui so di stupratori fascisti: siamo in Italia
dopo i Patti lateranensi (il fascismo si era già affermato e non c’erano più
disordini), neanche a proposito dell’epoca dello squadrismo postbellico ho
letto notizie simili (e quello sarebbe stato un periodo che avrebbe avuto più
credito). L’argomento è delicato, e non nego la possibilità di una realtà in
qualche posto dei fatti criminali narrati, tuttavia d’altro verso questi
Fontamaresi, alla maniera descritta da Silone, fanno pure la figura di deficienti
totali (il che non mi piace, poiché non realistico), unici in Italia, a non
saper dire: evviva Mussolini (o il duce). Tale comunità raffigurata non ha
tratti sempre obiettivi, e scade spesso nel grottesco. Poi con un improvviso
volo pindarico Silone, come sparando un colpo di fucile, introduce la tragica
(e comunque spiacevolissima) scena dello stupro. Siano perseguitati e
condannati severamente tutti gli stupratori, però collegarli a una categoria
politica in simile guisa mi sembra un artificio di pura propaganda politica.
Inoltre Silone descrive prima una stranezza poco decente: «In un angolo della
piazzetta alcuni ragazzi e bambine giocavano allo sceriffo: lo sceriffo non può
andare a piedi, deve andare a cavallo, e a turno ogni bambina faceva da
cavallo». È credibile che in una comunità all’antica gli adulti stessero là a
guardare, senza intervenire, e mettere nel ruolo di cavalli altri ragazzi? Un
interessante documentario della RAI<sup>1</sup> parla dell’ambigua e oscura
personalità di Ignazio Silone. Costui fu spia della polizia sabauda ancor prima
dell’avvento del fascismo, marxista espulso dal PCI, paziente di Jung.
“Fontamara” trae la sua origine in un periodo di crisi profonda seguita alla
morte del fratello (condannato al confino) a causa di malattia. I contenuti del
documentario, condotto da Giovanni Minoli, sono da collegare alle mie analisi
pregresse, le quali vi trovano un forte sostegno. Il disagio esistenziale di
Ignazio Silone rappresenta la chiave di lettura della sua opera letteraria e della
sua personalità. Non mi pare il caso di muovere rimproveri alla sua
contraddittoria vita, segnata nella prima metà da pesanti esperienze di
famiglia. La scomparsa del fratello, in particolare, fu una detonazione
psichica che lo gettò fuori di un contatto ordinato con la realtà. Da comunista
e collaboratore della polizia italiana, divenne poi – sempre contemporaneamente
– anticomunista e antifascista (e in seguito pure collaboratore della CIA).
Beneficato da Don Orione in passato, in “Fontamara” si trovano posizioni
alquanto anticlericali. Il testo in questione più che “romanzo storico” mi pare
“romanzo psicologico”: l’autore più che fare giustizia per mezzo della
letteratura crea le basi letterarie di quello stesso farsi giustizia. È
indubbio che i fatti di “Fontamara” costituiscano obiettive possibili
gravissime ingiustizie di quell’Italia, tuttavia da è da chiedersi se la
produzione di Silone, da “Fontamara” in poi, avrebbe avuto luogo senza quegli
spiacevolissimi vissuti di gioventù. Lo scrittore finì in cura da Jung; la cosa
sembra essere giovata nel progresso di un suo recupero dalla personale crisi.
Un recupero che purtroppo non fu mai completo: la mancanza di un orizzonte di
risanamento ideale si nota sempre nelle sue parole. Silone rappresenta quindi
uno scrittore da comprendere comunque nella sua soggettività, e da giudicare in
relazione a connotazioni biografiche e storiche obiettive: in tale maniera
potremmo apprezzare il suo anelito di giustizia davanti ai soprusi e alle
violenze. Forse, in fondo al suo animo giaceva un triste “cupio dissolvi”, la
porta al cui accesso egli ha lasciato un po’ socchiusa al lettore che avesse
voluto sino in fondo inoltrarsi nelle radici narrative della sua opera. Alla conclusione
della lettura di “Fontamara”, non potei fare a meno di notare nuove anomalie in
quel tessuto narrativo, il quale pur rimanendo possibile, assume tratti
surrealistici e anche contraddittori. Silone racconta: «I militi erano venuti a
Fontamara e avevano oltraggiato varie donne; questa era stata una prepotenza
odiosa, però in sé assai comprensibile. Ma l’avevano fatta in nome della legge
e alla presenza d’un commissario di polizia, e questo non era comprensibile.
[…] I cosiddetti fascisti, a varie riprese, come si udiva raccontare, avevano
bastonato, ferito e anche ucciso persone contro le quali la giustizia non aveva
nulla da dire e solo perché davano noia all’Impresario, e questo poteva anche
sembrare naturale. Ma i feritori e gli assassini erano stati premiati dalle
autorità, e questo era inspiegabile». Cosa c’è di comprensibile in uno stupro?
Rimango sconcertato di fronte a un simile ragionamento prospettato nella prima
metà del brano. Che di fatto poi fosse accaduto quanto descritto in tale
sezione, con le modalità esposte nel romanzo, pare improbabile: gli squadristi
furono violenti come i rivoluzionari marxisti; distrussero, uccisero, nella
prima metà degli anni ’20, ma poi la situazione si normalizzò. Uno stupro, se
non documentato nei fatti, quale quello evocato nell’opera di Silone, davanti a
un rappresentante delle forze dell’ordine, all’epoca dei Patti lateranensi e
nel periodo in cui lo Stato fascista aveva compiuto una memorabile azione
contro la criminalità in Sicilia grazie al prefetto Mori, lo giudicherei un
episodio letterario da non generalizzare. E con tale punto di vista valuto
altresì la seconda sezione del suddetto brano: fatti di violenza possibili,
però anacronistici nella loro collocazione narrativa. Più avanti nel romanzo
dice il suo autore: «Per strada trovammo Baldovino Sciarappa che maltrattava ad
alta voce sua moglie, cui addossava ogni colpa per la rovina della casa; e la
povera donna lo supplicava di tacere e di rinviare la discussione, i
rimproveri, le battiture a più tardi nell’intimità della famiglia […]. […] Americo
parlava di Elvira, non certo per dirne male, ma, insomma, ne parlava. Berardo
gentilmente, come se si ricordasse di un affare da regolare, chiamò Americo
dietro la cantina, nell’orto; e poco dopo lo ricondusse dentro che gli
sanguinavano un orecchio e la bocca». Baldovino e Berardo usano violenza fisica
inaccettabile, tuttavia non sono membri del PNF, né tanto meno Silone condanna
la loro condotta: perché tali eccezioni? Inoltre, cosa che mi ha lasciato
alquanto perplesso, i Fontamaresi ambirebbero a compiere un attentato
terroristico (naturalmente da disapprovare) ai danni del podestà usurpatore:
ciò che mi ha disorientato non è tanto l’atto in sé, qui comprensibile
nell’ambito storico e letterario, ma la sua causa. È il problema dell’acqua a
provocare un simile desiderio, non lo stupro: questo gravissimo passaggio, che
griderebbe vendetta, finisce nell’oblio (quasi a testimoniare la sua scarsa
credibilità in quelle vistose forme). Silone in detti particolari non mostra
molto rispetto nei confronti delle donne, e identica condotta mantiene agli
occhi dell’obiettività storica. Condivisibile lo spirito di quanto segue: «Le
sedi delle banche erano l’una più grandiosa dell’altra, e alcune avevano delle
cupole, come le chiese. Attorno a esse vi era un gran vivaio di personaggi e di
automobili. Berardo non si stancava di ammirare. “Ma hanno la cupola” io
obiettavo “forse sono chiese.” “Sì, ma con un altro Dio” rispondeva Berardo
ridendo. “ll vero Dio che ora effettivamente comanda sulla terra, il Denaro. E
comanda su tutti, anche sui preti come don Abbacchio, che a parole predicano il
Dio del cielo. La nostra rovina” aggiungeva Berardo “forse è stata di aver
continuato a credere al vecchio Dio, mentre sulla terra adesso ne regna uno
nuovo”». L’autore di “Fontamara” accantona molta storia reale nel suo racconto.
Il governo fascista, tra l’altro, fece approvare leggi bancarie per
rimediare a situazioni le quali avevano portato a grossi scandali nel periodo
umbertino. E poi riguardo alla burocrazia italiana: non era paragonabile a
quella sovietica nei termini espressi da Trotzkij, perseguitato da Stalin, la
cui URSS non sembra(va) preferibile al fascismo italiano. Lo sterminio degli
Ucraini all’inizio degli anni ’30, voluto da Stalin, è reale (con milioni di
morti per inedia): “Fontamara” rappresenta un romanzo contro le ingiustizie,
tuttavia più che apparire testo storico si presenta quale opera distopica. Lo
accolgo in simili vesti, accostandolo a “Il tallone di ferro”<sup>2</sup>: il
fascismo in Italia ebbe larghi e grandi tratti negativi, ma dimenticare le
violenze rivoluzionarie in Russia, lo stalinismo, e che questi fenomeni erano
il contraltare della situazione maturata in Italia, significa guardare alla
storia con un occhio solo, chiudendosi alla seria comprensione d’insieme degli
avvenimenti storici<sup>3</sup>. Nel suicidio di Teofilo, il sacrestano di
Fontamara, si cela forse il proprio simbolico olocausto da parte di Silone:
tale episodio evoca a mio avviso una giustizia espiatoria in relazione ai
benefici ricevuti dallo scrittore tramite il contatto con Don Orione. Che il
romanzo di Silone sia una costruzione letteraria di profonda ascendenza
soggettiva lo testimonia oltre alla già ricordata influenza de “I promessi
sposi”, il seguente brano: «Una sera, di fronte alla nostra locanda, trovammo
un grande attruppamento di persone. Un traino militare aveva perduto una ruota
e si era rovesciato su un fianco, contro un muro, e varie persone si sforzavano
inutilmente di rimetterlo in piedi facendo più rumore che sforzo, come spesso
si usa in città. Berardo si fece avanti, si tolse la giacca e il cappello, si
chinò sotto il carro, si mise in ginocchioni sotto il carro, e con la schiena,
lentamente, sollevò il carro dalla parte con la quale toccava terra e lo resse
finché il conducente non rimise a posto la ruota tra l’ammirazione dei
presenti». Comprendiamo che Silone ha letto “I miserabili”, e dunque quale
genere di mattonelle rivestivano la stanza del suo Io. Il suddetto brano è
molto incidentale nel narrato, però molto significativo al fine di cogliere
sfaccettature psicologiche nella complessa personalità dello scrittore. Ciò che
succede nel finale di “Fontamara” sa di inconcepibile se generalizzato sullo
sfondo della realtà quotidiana di allora, per tanti motivi. La polizia arresta
per caso due ignoranti fontamaresi, sospettandoli di essere sovversivi
divulgatori di stampa clandestina. Berardo perde il lume della ragione, dopo la
morte di Elvira prende ex abrupto una singolare coscienza politica, e confessa
falsamente di essere il propagandista ricercato. Silone offre al lettore un
cattivissimo esempio di istigazione a un inutile martirio. Non dimentichiamo
che lui collaborò per un decennio con le forze dell’ordine italiane, iniziando
prima dell’insediamento di Mussolini al governo. Tale ideale
romantico-decadente emendamento letterario, alla luce del suo comportamento
globale, non lo assolve dalle personali responsabilità: dov’era stato nella
realtà il suo eroismo? Al di là di tutto questo, rappresentante una possibilità
narrativa (un genere però da me non gradito, giacché si carica di sinistre
connotazioni), noto altresì il fatto che lo scrittore faccia morire Elvira in
maniera gratuita e illogica. Quanto si legge alla fine di questo libro
esaminato si avvicina a “Noi” di Zamjatin<sup>4</sup>. Se “Noi” costituisce un
racconto distopico sull’URSS, “Fontamara” oscilla fra il grottesco (comico e
tragico) e il distopico (in relazione alla realtà italiana, portandola lontano
da un realismo obiettivo). A onor del vero, e non della demonizzazione
indifferenziata di alcunché, debbo però aggiungere che, se da un lato non venne
ucciso direttamente e subito neanche Gramsci in carcere, esistono documentati
particolari casi di reali abusi e violenze da parte di funzionari ed esponenti
del regime fascista: tra di essi voglio ricordare la spiacevolissima vicenda di
Benito Albino, figlio di Ida Dalser e Mussolini (è stato realizzato un film
sull’argomento). Quando si parla di storia ci vuole serietà, studio, abbandono
di spiriti faziosi. E dunque credibilità in quello che si dice. Come si può
ritenere verosimile che la poverissima gente di un paesino qualsiasi,
all’improvviso, si metta a fare un giornalino, e che venga perciò per giunta
presa a schioppettate? Questa messa in scena sembra propaganda politica,
non storia… L’Italia liberale, sparò sulla popolazione, con Bava Beccaris… La politica
socioeconomica del fascismo (del quale non si vogliono affatto trascurare i
pesanti lati negativi) non fu antiproletaria: i provvedimenti assunti negli
anni lo testimoniano (la riforma agraria del 1940 ad esempio). Il realismo
letterario del fascista Pirandello (nel ’34 Nobel per la letteratura) non ha il
corredo di ombre siloniano, e quello che i partigiani fecero col cadavere di
Claretta Petacci (uccisa in circostanze poco chiare) nemmeno Silone è arrivato
a immaginarlo e proporlo in “Fontamara”. I partigiani assassinarono pure il
filosofo Giovanni Gentile, ma i fascisti non avevano ammazzato il dissidente
liberale Benedetto Croce (lasciandolo anzi nel Senato del Regno, il quale era
di nomina regia).</div></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEii1lNFv5ko4wPuTxyEm3FnelLg3wvaahSTjpfRx40kNfWTBGioNLbhoYKGdUWDGGS8Av3iQTi-oAFKgzsOUJFGM3e6gbShkZMSmFgUqMrarwU0vU1zMo0dAzlaI_n7ZbBDlSVd3165Fh9za-K2bLHUHQd41flSWyxYeRe50-tQN3bCtyOcoM88O3Oa/s600/2.jpg" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="600" data-original-width="398" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEii1lNFv5ko4wPuTxyEm3FnelLg3wvaahSTjpfRx40kNfWTBGioNLbhoYKGdUWDGGS8Av3iQTi-oAFKgzsOUJFGM3e6gbShkZMSmFgUqMrarwU0vU1zMo0dAzlaI_n7ZbBDlSVd3165Fh9za-K2bLHUHQd41flSWyxYeRe50-tQN3bCtyOcoM88O3Oa/w426-h640/2.jpg" width="426" /></a></div><br /><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div>Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Storia e pensiero”</div><div><a href="https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero">https://www.academia.edu/97009818/Storia_e_pensiero</a></div></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>1
</sup>La
storia siamo noi – Il caso Silone</span></div><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><a href="https://www.youtube.com/watch?v=2c2P0m4Yavo">https://www.youtube.com/watch?v=2c2P0m4Yavo</a></span></div></sup><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>2
</sup>A
questo romanzo londoniano ho destinato parte di un mia monografia: <i>Socialismo e finzione letteraria in
Aleksandr Bogdanov e Jack London</i> (2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/34094094/Socialismo_e_finzione_letteraria_in_Aleksandr_Bogdanov_e_Jack_London">https://www.academia.edu/34094094/Socialismo_e_finzione_letteraria_in_Aleksandr_Bogdanov_e_Jack_London</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>3</sup> Per uno spunto
d’approfondimento suggerisco un mio scritto: <i>Mussolini, il fascismo e la borghesia</i> contenuto nel mio saggio <i>Note di critica </i>(2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2017/12/mussolini-il-fascismo-e-la-borghesia.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2017/12/mussolini-il-fascismo-e-la-borghesia.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><span style="font-size: large;"><sup>4</sup> A quest’altro
romanzo distopico russo ho dedicato un saggio: <i>L’antipanlogismo di Evgenij Zamjatin</i> (2015).</span></div></sup></span><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><a href="https://www.academia.edu/13469501/L_antipanlogismo_di_Evgenij_Zamjatin">https://www.academia.edu/13469501/L_antipanlogismo_di_Evgenij_Zamjatin</a></span></div><span style="font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-7853188570647289232022-10-07T12:19:00.003+02:002022-10-09T15:34:26.679+02:00INDUISMO E OCCIDENTE<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><b>di DANILO CARUSO</b></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: justify;"><br /></div>Il sistema religioso induista contiene tutte le grandi
possibilità della filosofia occidentale. Spiegherò simile affermazione in
dettaglio, superando la radicale forma dicotomica Occidente/Oriente. Per
evitare un fraintendimento a monte preciso che non si tratta di equiparare
bensì di collegare. Parto da una considerazione cui sono giunto a conclusione
rispetto all’impressione e alla riflessione di partenza. Essendo junghiano,
dopo aver visto che la filosofia greca antica altro non ha fatto che ripensare
l’Induismo in maniera razionalistica ottenendo varie differenti direzioni di
pensiero speculativo conseguenti, ho pensato di avvalermi dello schema di Jung
relativo alla struttura caratteriale umana che distingue: due facoltà razionali
(la ragione in senso stretto e il sentimento) e due irrazionali (la percezione
e l’intuizione). Nel consueto cerchio quadripartito derivante ho collocato l’Induismo
nella posizione dell’intuizione. Detta religiosità infatti ha sviluppato tale
dimensione. Non si è espressa in guisa razionalistica al pari dei Greci, ha
usato argomentazioni residenti sul piano del mito (alla stregua di Platone). E là
è rimasta pur formulando principi molto profondi e molto pregni di ricchezza
concettuale. L’Induismo ha colto intuizioni, e tali le ha lasciate nella
fissazione delle sue verità. Non ha argomentato alla maniera filosofica
occidentale, ha assunto un’apparenza dogmatica, la quale in virtù però della
propria profondità retrostante non offre un dogma vuoto. L’Induismo presenta
una forma di idealismo non costruito con canoni razionalistici. Qui ritornano
Jung e la facoltà intuitiva quale modalità non razionale. Gli induisti hanno
percorso simile direzione con notevolissimi risultati. E la riprova di ciò si
recupera nel fatto che la razionalità junghiana è contigua all’intuizione, e
nella veste di filosofia greca ha rielaborato contenuti di una pregressa e poi
contemporanea fase intuitiva induista. In parole povere abbiamo un pilastro
idealistico in comune visto, descritto, e concepito nelle speculazioni da due
punti di vista collegati, ma separati nel loro porsi alla mente umana. L’Induismo
coglie una verità, la intuisce, cioè la trova al di fuori di una procedura e di
un cammino razionalistici, e quindi la offre. La filosofia greca, in quanto
momento valorizzante la Ragione, il logos, coltiva la trattazione sul percorso
che porta a una verità proposta. Direi che ci sono due modi mediante i quali
una stessa cosa è stata detta. E mi riferisco al pilastro verso cui i filosofi
sono stati dialettici, vale a dire che vi si sono relazionati in termini
analogici vari o di contrasto sempre differenziati in rapporto all’autore. L’Induismo
parla di un Brahman universale e totalizzante da cui deriverebbe la molteplicità
di atman, gli Io che diventano empirici incarnandosi e paragonabili all’“Io
penso” kantiano. Nell’emanazione fenomenica del mondo compaiono i quattro
elementi greci e l’etere (il contenitore, la spazialità, la chora platonica).
Platone possiede un impianto molto induista. Oltre a una cosmologia
fenomenistica la quale squalifica la realtà sensibile, mirando a proiettarci
alla volta del metasensibile (Brahman), pensiamo alla proposta politica
principale del grande filosofo ateniese che tripartisce la società in tre
categorie le quali ritroviamo uguali nella società indiana induista. Il più
importante allievo di Socrate rivela altresì la presenza dei tre “guna” nel suo
pensiero, cioè i tre caratteri specifici di ognuna di quelle tre classi
sociali, i quali poi sono qualità individuali operanti in interiore homine: da
un lato sapienza/coraggio/continenza, dall’altro virtù/passione/ignoranza. Ogni
sistema ha colto sfumature di cose analoghe. Platone e l’Induismo sono
concettualmente imparentati. Rammentiamo anche il tema della metempsicosi.
Colgo lo spunto delle analogie platoniche allo scopo di aprire un nuovo
versante della mia analisi. Riguarda la teologia emersa dal pensiero cristiano:
il Dio unico e creatore di tutto. Questa non è la tesi originale biblica veterotestamentaria<sup>1</sup>.
In “Genesi” gli Dei vengono fuori dal Caos, e poi un demiurgico Dio platonico
ordina e monta il cosmo da una materia a lui parallela e non creata. L’idea che
Dio sia “uno” proviene dagli antichi Veda, l’idea che non esista una indipendente
materia separata dalla sostanza divina è di matrice induista. Mi pare che la
teologia cristiana delle origini abbia preso spunti dal pilastro orientale.
L’incarnazione divina stessa nel Messia ci riporta pure al concetto di avatàr.
Ritornando alla Grecità, l’intellettualismo etico di Socrate, per cui colui che
ha raggiunto la conoscenza non può più compiere il male inconsapevolmente (e
dunque non dovrebbe metterlo in atto), rappresenta nuova tangenza induista.
Nell’Induismo la “virtù” sopra accennata costituisce “conoscenza”: conoscenza
che tutto si rivela transeunte e non merita attaccamento. Perciò, come in
Socrate, il sapiente saprebbe infallibilmente che cosa è bene e che cosa è
male. Del resto in Aristotele il sapere sommo rimane fine a se stesso, e il
medesimo Dio aristotelico si mostra “atto puro” e “causa finale”: simili
aspetti evocano il Brahman e il relazionarsi a esso. Nella filosofia greca tale
tendenza intellettualistica dell’etica è culminata negli stoici. Il
vivere-secondo-Ragione costituisce per loro il massimo, e tale posizione è
scaturita da conoscenza. Analoga si manifesta la mentalità induista la quale
ovviamente presenta la cosa nella forma del
vivere-secondo-le-intuizioni-illuminanti partite con i Veda. Le ellenistiche
atarassia e aponia possiedono equivalenti postulazioni nell’intuizionismo
induista. A proposito dello stoicismo e al suo concetto di “fato” pensiamo
altresì al parallelo concetto di Dharma, il quale a sua volta ci rammenta la
rincarnazione esposta nel “Fedro” di Platone. Stoici e induisti poi condividono
la visione ciclica di generazione/distruzione/rigenerazione dell’universo.
Volendo chiudere questa serie di cenni alle tangenze voglio richiamare
l’ontologia eleatica, Pirrone di Elide, Plotino. Quest’ultimo nella cosmogonia
parte da un Uno il quale emana una realtà discendente in direzione della
materialità similmente al Brahman. E pure Plotino sostiene che il compito da
perseguire sia il ritorno a una realtà immateriale. Successivamente la
filosofia occidentale ha ripreso la parentela ontologica induista con più
marcata evidenza attraverso Spinoza, Berkeley, Kant, l’idealismo tedesco, e in
modo particolare attraverso Schopenhauer. L’Induismo e la filosofia, così come
li ho descritti sopra lo sfondo junghiano, appaiono delle macrofasi concettuali
e cronologiche: all’Induismo orientale ha fatto seguito la filosofia greca e
occidentale. Se guardiamo lo schema caratteriale di Jung da me ricordato
all’inizio, vediamo che dopo la ragione (in senso rotatorio) troviamo la percezione.
Che cosa mettere in questa casella? Io metto il capitalismo, il quale è fondato
su un’ideologia ponente la sua produzione commerciale nel campo della
percezione. Lo spirito capitalistico gioca tutta la sua esistenza sfruttando i
lati della sensibilità e della sensualità. Da questa parte siamo sull’asse
delle facoltà junghiane irrazionali in antitesi rispetto all’Induismo, il quale
predica la rinuncia, il distacco riguardo al sensibile e a una materialità
giudicati impermanenti (panta rhei), non sede di felicità. Il capitalismo
realizza la felicità umana dentro la chora, l’Induismo fuori del fenomenico.
Per tale motivo simili due visioni del mondo, seppur accomunate dal concetto di
“predestinazione weberiana”, sono antitetiche, e la seconda mantiene una
vicinanza migliore col Cattolicesimo e il suo risanante e beatifico paradiso.
L’ultima casella junghiana sarebbe contemporaneamente rappresentante
dell’optimum di partenza e della meta ideale da raggiungere e recuperare. Siamo
nel “sentimentale” e nel “femminile”. Io ci metto il matriarcato originario.
Diotima che spiega a Socrate: ecco l’immagine emblematica e chiave per capire
la mia individuazione di simili quattro macrofasi. Come ci fa intendere Platone
nel “Simposio”, se la filosofia si declina perlopiù al maschile, la religione
dovrebbe declinarsi perlopiù al femminile. Altrove ho spiegato perché ritengo
che l’umanità sia giunta sulla Terra da altri pianeti<sup>2</sup>. A questo
punto credo che l’Induismo abbia mantenuto memoria di un sentimento anticapitalistico
in quanto l’industrializzazione sregolata (penso a Venere) possa aver
distrutto, sostenuta da brama di arricchimento, diverse civiltà planetarie nel
nostro sistema solare
(aggiungo Marte e Fetonte). Mi spiego così l’incisivo appello induista a non
legarsi alle cose. Poi la mentalità capitalistica ha ripreso via via a
diventare sulla Terra di nuovo dominante a partire dai Sumeri<sup>3</sup>.
L’Occidente ha comunque mantenuto nel suo DNA tratti induisti. A conclusione di
questo scritto si può comprendere meglio quell’affermazione di Simone Weil per
cui «chaque religion est seule vraie». Dall’Occidente all’Induismo esiste un
unico solco all’interno del quale sono fiorite diverse piantine alimentate da
un solo tipo di terra: ambienti differenti e distanze hanno creato specificazioni
varie. L’analisi che ho sviluppato ha fatto emergere elementi di filosofia
della storia cui debbo sommare la mia teoria degenerativa delineata nella mia
monografia “Letteratura e psicostoria” (2022). Anche in un altro mio saggio, “Critica
dell’irrazionalismo occidentale” (2016), avevo affrontato temi storiografici e
di filosofia della storia inerenti al passato e al futuro. Colloco l’ipotetica
linea distopica della prima pubblicazione fra i punti cardinali junghiani della
percezione (capitalismo) e del sentimento (matriarcato). Dunque, alla
degenerazione dovrebbe seguire una positiva rinascita per mezzo di quei
passaggi futuri che ho descritto nella seconda mia opera citata, nelle sezioni
intitolate “La lancia di Atena”<sup>4</sup> e “La nuova Sparta”<sup>5</sup>. Appare pertanto possibile
nel contesto della mia filosofia della storia raggiungere forme di equilibrio e
di benessere universali.</span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWOkBILahl7BwnKNFQVBjkEJoLwtex1COMZlewsze3HLDkPuO9SXyyxRWORC56VyyZCzbCNe1jhNYj74fSir7ov6MwgDiUsc7LncqNDG2p2Ub3rdWNHyzToOj9gPRMsNPcuV_MZ7vXPitQGWwpeVAmqeSAQg9qb0HWc0b8ZNpNZcc0luFClYCBU6ae/s2149/a%20(1).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="2062" data-original-width="2149" height="384" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgWOkBILahl7BwnKNFQVBjkEJoLwtex1COMZlewsze3HLDkPuO9SXyyxRWORC56VyyZCzbCNe1jhNYj74fSir7ov6MwgDiUsc7LncqNDG2p2Ub3rdWNHyzToOj9gPRMsNPcuV_MZ7vXPitQGWwpeVAmqeSAQg9qb0HWc0b8ZNpNZcc0luFClYCBU6ae/w400-h384/a%20(1).jpg" width="400" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i><u><br /></u></i></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i><u><br /></u></i></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i><u>LA CRONOGRAFIA DISTOPICA DELLA MIA TEORIA DEGENERATIVA STORICA RIPORTATA IN “LETTERATURA E PSICOSTORIA</u></i></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i><a href="https://www.academia.edu/75613515/Letteratura_e_psicostoria">https://www.academia.edu/75613515/Letteratura_e_psicostoria</a></i></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><i><u><br /></u></i></span></div><div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiapbBWB97CZkDM6Rud_6OGlBbVHjKk31XVVJ8EH4rs0AKIA294phbaqmVRUX4H893LS5nBdgXYwGH14n1nJAp6HyV73Au_OizgYXMApc4kjfKabL6hu-nABCsV5FDJtOX0wRIsnfyHpykhjgQs7D1mYxDjtLhfBXkaaEHOIskQ-FKlgpzcHFitxjvF/s1827/a%20(2).jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1827" data-original-width="1430" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiapbBWB97CZkDM6Rud_6OGlBbVHjKk31XVVJ8EH4rs0AKIA294phbaqmVRUX4H893LS5nBdgXYwGH14n1nJAp6HyV73Au_OizgYXMApc4kjfKabL6hu-nABCsV5FDJtOX0wRIsnfyHpykhjgQs7D1mYxDjtLhfBXkaaEHOIskQ-FKlgpzcHFitxjvF/w501-h640/a%20(2).jpg" width="501" /></a></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/JWhA3ldZcyY" width="320" youtube-src-id="JWhA3ldZcyY"></iframe></div><br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><iframe allowfullscreen="" class="BLOG_video_class" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/5aHTuK5-ltg" width="320" youtube-src-id="5aHTuK5-ltg"></iframe></div><br /> <br /><u>NOTE<br /></u> <br />Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Partita a
scacchi”<br /><a href="https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi">https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi</a><br /> <br /><sup>1</sup> Nel mio saggio <i>Radici
occidentali</i> (2021) si veda la sezione intitolata <i>Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1</i>:<br /><o:p></o:p><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html</a><br /> <br /><sup>2</sup> Per approfondire rinvio qui (altra sezione di “Partita a
scacchi”):<br /><o:p></o:p><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html</a><br /> <br /><sup>3</sup> Nella mia
pubblicazione <i>Note di critica</i> (2017) si trova una parte grazie a cui
poter condurre approfondimento: <i>Radici sumere di Ebraismo e capitalismo</i>:<br /><o:p></o:p><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html</a></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span></div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><br /></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><sup>4</sup> <a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/09/la-lancia-di-atena.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/09/la-lancia-di-atena.html</a><br /><o:p></o:p></span><span style="font-family: verdana; font-size: large;"> <br /></span><sup><span style="font-family: verdana; font-size: large;">5</span></sup><span style="font-family: verdana; font-size: large;"> <a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2016/09/la-nuova-sparta.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2016/09/la-nuova-sparta.html</a></span><span style="color: windowtext; font-family: Times New Roman, serif; font-size: 11pt;"><o:p></o:p></span></div>
</div><div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><span color="windowtext"><o:p></o:p></span></span></div></div>Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.comtag:blogger.com,1999:blog-4169702633452984417.post-6792659316055919972022-08-10T15:52:00.006+02:002022-12-25T12:15:09.562+01:00L’INDIVIDUALISTICO E AUTODISTRUTTIVO ATTIVISMO DI MARTIN EDEN<div style="text-align: left;"><div style="text-align: justify;"><span style="font-family: verdana;"><b><span style="font-size: large;">di DANILO CARUSO</span></b></span></div><span style="font-family: verdana; font-size: large;"><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiH83H07VBg606NZ1Mv7HOQ40GrTEfFvrcJvOkvydV6-85U7q8ZGPEJPrJxihZXYeb1CHEbsGZdCiV60qmdcUXhqkM8r2GPjeAI0wteMVDCdhGkQu3vgimYeM2JlhJi-tg9LXu21STvzMxdedDqwnF4WeiOh2es813D1O2Epd89ePP5nhYxTihsrA5w/s448/3b.jpeg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="448" data-original-width="309" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiH83H07VBg606NZ1Mv7HOQ40GrTEfFvrcJvOkvydV6-85U7q8ZGPEJPrJxihZXYeb1CHEbsGZdCiV60qmdcUXhqkM8r2GPjeAI0wteMVDCdhGkQu3vgimYeM2JlhJi-tg9LXu21STvzMxdedDqwnF4WeiOh2es813D1O2Epd89ePP5nhYxTihsrA5w/w138-h200/3b.jpeg" width="138" /></a></div>“Martin Eden” è un romanzo di Jack London (1876-1916)
pubblicato nel 1909, un anno dopo “The iron heel” (altro romanzo londoniano cui
ho dedicato la metà di un mio saggio<sup>1</sup>). “Martin Eden” rappresenta
un’opera contenente diversi spunti autobiografici. La vita di Jack London è
stata alquanto sregolata, il che sta alla base della sua prematura scomparsa.
In questo testo egli castiga a livello ideologico cose che praticò. Quest’opera
sta sullo stesso piano del suo socialismo e de “Il tallone di ferro”. È da
notare che come si suicidò Martin Eden così il medesimo London pose più o meno
indirettamente fine alla propria vita provocandone a causa di sregolatezza il
termine precoce. “Martin Eden” costituisce una sorta di avvertimento che il suo
autore non ha saputo cogliere, nonostante si sia sforzato di indicare i chiari
pericoli di quel percorso esistenziale. Il messaggio dell’Inconscio collettivo
nell’archetipo (negativo) di Martin Eden (l’attivista irrazionale e non molto
riflessivo, più impetuoso che altro) non è stato colto appieno dallo scrittore
californiano. Il quale ha lasciato tale romanzo sempre a mo’ di monito, ma
altresì quale emendamento della sua condotta pratica, nonché nella veste di
velata profezia della sua morte. L’ombra di “The iron heel” si risente in
“Martin Eden”. Anche se vagamente, dacché la storia narrata è diversa, si
notano certe analogie situazionali fra i protagonisti maschili principali di
tale due testi. In entrambe le opere sono presentati quali volti a ricercare
confronto e affermazione al cospetto della borghesia. In “Martin Eden” però
rispetto all’altro precedente romanzo la cosa assume una prospettiva più
tragica. L’individualismo portato avanti da questo personaggio possiede una
radice protestante, rappresenta il classico attivismo della società americana
delineato da Max Weber. Nella creazione di questo protagonista letterario Jack
London inserisce degli assi cartesiani chiari e precisi: Herbert Spencer e Friedrich
Nietzsche. Il richiamo che a costoro rivolge Martin Eden nell’esporre il suo
orizzonte di pensiero è molto eloquente. Lo scrittore americano ha intuito
delle verità analitiche filosofiche e le mette in scena attraverso il suo personaggio
nella narrazione. Costui rappresenta un simbolo del generale attivismo
weberiano, che London vuole in qualche maniera condannare in ossequio al suo
socialismo. “Martin Eden” costituisce una sorta di compagno de “Il tallone di
ferro, rappresenta in primis un romanzo politico dove si castiga l’attivismo
borghese, mentre il precedente – sebbene apertamente distopico – celebrava il
socialismo (alla fine trionfante). Si tratta di un’accoppiata di romanzi legati
cronologicamente e idealmente. Allorché parlai di “The iron heel” dissi che a mio
avviso là c’era il tocco di una mano femminile sparso in aggiunta nel testo
londoniano. La stessa impressione ho avuto altresì in “Martin Eden” in qualche
passaggio, dove mi è parso di leggere alcuni brani i quali potessero essere il
prodotto di un intelletto femminile. In entrambi i casi credo si possa indicare
la “mano fantasma” di Charmian, moglie di Jack London. Completata questa
introduzione possiamo addentrarci meglio nel telaio narrativo del romanzo e
rilevare altri più approfonditi contenuti. Un primo aspetto del mio esame che
tengo a riprendere subito è inerente all’attivismo di Martin Eden. Egli compare
all’inizio un giovane incolto, di bassa provenienza popolare, un marinaio giramondo,
che accidentalmente conosce Ruth Morse di famiglia borghese: «Lui era
profondamente sensibile, irrimediabilmente impacciato». I due si innamorano. Da
simile stilnovistica scintilla scatta la marcia di innalzamento intellettuale
di Martin. Inizia a studiare, sostenuto da Ruth, e matura il desiderio di
diventare uno scrittore. La fidanzata vorrebbe invece che lui investisse le sue
abilità in qualche professione borghese più convenzionale e più stabile. Martin
dal canto suo si ostina, fra alti e bassi, tra momenti di estremo disagio e di
piccole gratificazioni (prima di giungere al conclamato successo), a perseguire
il suo obiettivo di affermarsi nella società come scrittore. Ho già ricordato
sopra che London ha connotato il suo protagonista facendogli professare una
fede spenceriana e nietzschiana. Tale connotazione ideologica si ricollega
direttamente all’attivismo formale protestante weberiano. Spencer è un
apologeta del capitalismo industriale, odia la presenza statale, apprezza la
massima libertà individuale. Figura chiaramente quale ideologo nel solco dello
spirito attivistico alla radice della società americana. A proposito della
connessione di Martin Eden con Nietzsche posso aggiungere qualche parola di
migliore approfondimento. In una mia analisi passata<sup>2</sup> ho evidenziato
i motivi per cui la filosofia nietzschiana scaturisca del tutto da elementi
luterani rielaborati in una veste biologicizzante. Il volontarismo di Lutero
(fratello gemello dell’attivismo calvinista) ritorna nella “volontà di potenza”
di Martin come manifestazione appunto attivistica omogenea all’attivismo
weberiano: a monte di tutto esiste un nevrotico schema mirante in modo
irrazionale all’affermazione di sé quale segno di una elezione (in senso lato).
Nel personaggio londoniano ritroviamo simile nevrosi. Non vediamo in lui
riflessione e buonsenso. Egli percorre tutto il “cursus honorum” attivistico.
Lo vediamo sfacchinare qua e là ciecamente.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY6rsooXMOE6z49Di0JeKQqcErgcWQiwgkXKGV6oW9PbZ4ZBAAvAzk_JvFLFQ_RfKdMjn6FtV_Ns3BApZKnRdi-nk0soIVkWi7MxV477FOT0hFAXpJPYNaLapxumAxZOBVHk9F9P_nd1dLdr1_AW_bEVi96EO50WcmgDjxE696c-UFxIn6pAkWbqEp/s409/1.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="409" data-original-width="336" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhY6rsooXMOE6z49Di0JeKQqcErgcWQiwgkXKGV6oW9PbZ4ZBAAvAzk_JvFLFQ_RfKdMjn6FtV_Ns3BApZKnRdi-nk0soIVkWi7MxV477FOT0hFAXpJPYNaLapxumAxZOBVHk9F9P_nd1dLdr1_AW_bEVi96EO50WcmgDjxE696c-UFxIn6pAkWbqEp/w329-h400/1.jpg" width="329" /></a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Tutte le parti del romanzo che in tal senso possono apparire digressive,
sono invece strutturalmente – in relazione all’ideale edeniano – agiografiche.
Jack London mostra nella sua interezza e nella sua nitidezza quale
dovrebbe/potrebbe essere il cammino di ogni Americano ortodosso (ortodosso,
ovviamente, in relazione all’ideologia sociale dominante capitalistica). Il
fatto che di ciò l’autore californiano non faccia apprezzamento, bensì
condanna, si rileva dal fallimento esistenziale finale di Martin (nonostante
sia approdato al successo) e dal suo suicidio. L’estremo gesto possiede un quid
di romantico, a ulteriore dimostrazione che di culto della ragionevolezza nella
mente del protagonista londoniano non ce ne fosse. Si suicida in maniera
irrazionale come un qualsiasi Werther<sup>3</sup>, prigioniero del recinto
nevrotico anziché aprirsi a nuove salvifiche soluzioni. Adesso è giunto il
momento di esaminare questo rapporto sentimentale fra Ruth e Martin, dopo aver
dipinto lo sfondo in cui si cala. Questa relazione, la quale si era costruita
con l’ambiziosa meta di innalzarsi a matrimonio, costituisce il secondo asse
portante del romanzo accanto al primo su descritto. Quantunque la coppia si
fosse formata in modo spontaneo e senza ostacoli da parte della famiglia di
lei, Martin e Ruth a lungo andare vengono a trovarsi su piani psichici
differenti. Lei appartiene a quella categoria la quale altrove<sup>4</sup> ho
definito “tipi freudiani”. Vale a dire: la sua consapevolezza della libido è
bassa, si mantiene a un grado di coscienza animale (lo Es freudiano). E si
contrappone a lui il quale nutre una vocazione da “tipo junghiano”. Cioè di
colui che potrebbe rielaborare la libido freudiana in vista di una nuova fase
(la “fase culturale” junghiana) in cui questa non sia solo potenza animale: «Lui
era ribelle, selvaggio, e in guise segrete la di lei vanità fu toccata dal
fatto che egli era venuto così dolcemente alla sua mano. Allo stesso modo lei
fu agitata dall’impulso comune di addomesticare la cosa selvatica. Era un
impulso inconscio, e più lontano dai suoi pensieri che il suo desiderio era riplasmare
l’argilla di lui in una somiglianza dell’immagine di suo padre, la quale l’immagine
lei credeva essere la migliore al mondo. Non c’era là altro modo, al di fuori
della sua inesperienza, per lei di sapere che il contatto cosmico che lei
prendeva con lui era quella la più universale delle cose, amore, il quale con
uguale potere trascinava uomini e donne attraverso il mondo, cervi costretti a
uccidersi reciprocamente nella stagione degli accoppiamenti, e guidava anche
irresistibilmente gli elementi a unirsi». Lucrezio e Schopenhauer traspariscono
in tale brano. Martin Eden rimane in bilico sino alla autodistruttiva fine.
Gode di talento e intelligenza tali da permettergli di smarcarsi dal giogo
nevrotico, ma non sfrutta l’occasione, e getta tutto alle ortiche. In ciò Ruth
gli dà una mano determinante. Ella non apprezza l’homo bensì il vir: non per
niente è un tipo freudiano. Non dispone delle capacità intellettuale di Martin,
e tutto sommato l’ostacola. Alla lunga gli mette i bastoni fra le ruote, sino
al punto, delusa da lui, di rompere il fidanzamento. Ciò non vuol dire che Ruth
sia disprezzabile. E colei che gramscianamente apprezza la conoscenza del
latino: «I giocatori di calcio devono allenarsi prima del grande incontro. E
ciò è quanto la lingua latina fa per colui che pensa. Allena». Non ha tutti i
torti a chiedere un marito con una posizione salda. I livelli libidico e
sociale cui appartiene glielo chiedono. Il mondo è strutturato perlopiù di
mediocrità, e chi ci nasce quasi sempre non se ne libera. Ruth rappresenta una
di costoro, incontra il talentuoso Martin, e dal canto suo non ne trae uno
spunto di reciproca crescita spirituale junghiana. Fallisce il destino di una
coppia il quale poteva essere più brillante e che però soccombe sotto la
pressione ideologica dominante circostante. La madre di Ruth parlandole di
Martin lo disprezza e privilegia il primato canonico dell’attivismo weberiano
dove la felicità poggia le sue basi nella proprietà e nel denaro (il diritto
alla felicità nella società americana indica queste due vie): «Lui non ha un
posto nel mondo. Egli non ha né posizione né salario. Lui non è pragmatico.
Amandoti, lui dovrebbe, nel nome del senso comune, apprestarsi a fare qualcosa
che gli darebbe il diritto di sposarsi, invece di tergiversare attorno a quelle
sue storie e a sogni infantili. Martin Eden, io ho paura, non crescerà mai. Lui
non si sobbarca la responsabilità e il lavoro di un uomo nel mondo come tuo
padre faceva, o come tutti i nostri amici, Mr. Butler per esempio. Martin Eden,
io ho paura, non sarà mai uno ben remunerato [money-earner]. E questo mondo è
strutturato in modo tale che il denaro è necessario alla felicità. Oh, no, non
queste gonfie fortune, ma abbastanza soldi da permettere comuni conforto e
decenza». In “Martin Eden” è venuto a mancare l’apporto di Ruth: «Quanto era
grande e forte in lui, lei lo aveva smarrito, o, peggio ancora, mal
interpretato. Quest’uomo, la cui argilla era così duttile che lui poteva vivere
in qualsiasi numero di nicchie di colombaia dell’esistenza umana, lei giudicava
testardo e più ostinato perché ella non poteva plasmarlo per vivere nella di lei
nicchia, la quale era solamente l’unica che ella conosceva. Lei non poteva
seguire i voli della sua mente, e quando il suo cervello andava oltre lei, lei
lo riteneva eccentrico. Nessun altro cervello era mai andato oltre lei. Lei
poteva sempre seguire suo padre e madre, i suoi fratelli e Olney; perché,
quando ella non poteva seguire Martin, lei credeva il difetto in lui. Era la
vecchia tragedia dell’‘insularità che tenta di servire come mentore
all’universale». Non c’è stato il salto di entrambi alla volta di una “fase
culturale” junghiana.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIwS3vtGjvpn4iQ1HvprP8HHYM4F15P-coUVqYclTG4p3BgfjOgQQL79x9vBq5z1e35aiRDkhM-HkvvvLnQdkF8JbYNgmCumezA2QkLkQQjFC1pzx8y_m2F0XvozUcG_Ef8khLrOK6bUMVswSeP_MUglLcmQdLnRFuvdvJkTbDSNCtfNBxegiGOyry/s403/2.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="403" data-original-width="287" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIwS3vtGjvpn4iQ1HvprP8HHYM4F15P-coUVqYclTG4p3BgfjOgQQL79x9vBq5z1e35aiRDkhM-HkvvvLnQdkF8JbYNgmCumezA2QkLkQQjFC1pzx8y_m2F0XvozUcG_Ef8khLrOK6bUMVswSeP_MUglLcmQdLnRFuvdvJkTbDSNCtfNBxegiGOyry/w285-h400/2.jpg" width="285" /></a></div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Il romanzo londoniano in questione costituisce una distopia
psicologica. Ruth è quella che «mentre consapevole che la povertà era
tutt’altro che dilettevole, lei aveva un confortevole sentimento borghese che
la povertà era salutare, che era un incitamento acuto il quale esortava su al
successo tutti gli uomini che non erano stati degradati e sgobboni senza
speranza». Anche ella fa professione di maltusianismo e attivismo
capitalistico. Rimane prigioniera mentale del suo mondo borghese, con i di lei
pregi e difetti della di lei ingenuità. Prima della rottura del fidanzamento Martin
fa la conoscenza del benestante Brissenden, un intellettuale sui generis, il
quale lo metterà in contatto con altri intellettuali economicamente disagiati,
la cui scoperta sorprenderà in positivo Martin dato il loro valore di pensiero.
Brissenden lo spronerà a confrontare il peso intellettuale di Ruth con altri
parametri più validi e obiettivi. Egli la definirà: «Quella pallida,
raggrinzita, cosa femminile [that pale, shrivelled, female thing]». Brissenden
inviterà Martin a volgersi verso lidi più maturi. Però «lui l’amava al punto
che lui non la capiva completamente, e lei non poteva capirlo perché lui era
così grande che lui si era ingigantito oltre il suo orizzonte». Una coppia
evidentemente mal saldata dal destino e destinata al fallimento per via di
carenza razionalistica. Egli, alla vigilia del suicidio, dirà a lei, essendo
stato cercato da ella dopo il successo editoriale allo scopo di rimettersi
insieme, le parole della disillusione: «Ho paura di essere un commerciante
accorto, che guarda attentamente dentro i piatti della bilancia, che cerca di
pesare il tuo amore e scoprire di quale genere di cosa esso è». Non si
rimetteranno più insieme. Da un lato perché ella era rimasta sempre la stessa
borghese, dall’altro perché l’animo di Martin guardava senza interesse a Lizzie
Connolly, una donna del popolo innamorata di lui. Martin Eden al posto di
voltare pagina, di iniziare una nuova vita più serena, porta alle estreme
conseguenze il proprio individualistico attivismo. Perde interesse al mondo e
alla vita, e decide di annegarsi in mare.</div><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;"> </div><u><div style="text-align: justify;"><u>NOTE</u></div></u><div style="text-align: justify;"> </div><div style="text-align: justify;">Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Partita a scacchi”<br /><a href="https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi">https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><sup>1</sup> <span style="font-size: large;"><i>Socialismo e
finzione letteraria in Aleksandr Bogdanov e Jack London</i> (2017).</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://www.academia.edu/34094094/Socialismo_e_finzione_letteraria_in_Aleksandr_Bogdanov_e_Jack_London">https://www.academia.edu/34094094/Socialismo_e_finzione_letteraria_in_Aleksandr_Bogdanov_e_Jack_London</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><sup>2</sup><span style="font-size: x-large;"> </span><span style="font-size: large;">All’interno
del mio
saggio <i>Filosofie sadiche</i> (2021) la parte recante il titolo <i>Leopardi e Nietzsche: i profeti del male?</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2021/02/leopardi-e-nietzsche-i-profeti-del-male.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2021/02/leopardi-e-nietzsche-i-profeti-del-male.html</a></div><div style="text-align: justify;"> </div><sup><div style="text-align: justify;"><sup>3</sup><span style="font-size: x-large;"> </span><span style="font-size: large;">Al riguardo indico uno scritto della mia pubblicazione
<i>Considerazioni letterarie</i> (2014): <i>Considerazioni sul Werther goethiano</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/considerazioni-sul-werther-goethiano.html">https://danilocaruso.blogspot.com/2013/07/considerazioni-sul-werther-goethiano.html</a></div><o:p><div style="text-align: justify;"> </div></o:p><sup><div style="text-align: justify;"><sup>4</sup><span style="font-size: x-large;"> </span><span style="font-size: large;">Si veda
nel saggio indicato nella nota 2 la sezione intitolata <i>L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard</i>.</span></div></sup><div style="text-align: justify;"><a href="http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html">http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html</a></div><span color="rgba(0, 0, 0, 0)"><o:p></o:p></span></span></div>
Danilo Carusohttp://www.blogger.com/profile/14937580372537999024noreply@blogger.com