di DANILO CARUSO
La mia lettura del “Manifesto SCUM”
(1967) di Valerie Solanas (1936-1988), discussa intellettuale femminista
americana, ha prospettato l’occasione di rilevare aspetti di pensiero prossimi
ai miei, e di poter dunque formulare considerazioni critiche in tal direzione,
al fine di evidenziare meglio e con precisione tangenze e differenze. L’autrice
di questo testo analizzato è una sostenitrice del femminismo, come me. Questo
non vuol dire però che io mi allinei in maniera automatica, senza esprimere,
allorché reputi giusto, obiezioni, alla posizione di ciascuna pensatrice
femminista. Sebbene giudichi di enorme spessore alcune spiegazioni del
“Manifesto SCUM”, non posso di certo condividere l’aspirazione al genocidio
degli uomini espresso proprio nell’incipit, dove si auspica una gilmaniana herland in salsa transumanistica.
Bocciata con fermezza l’innaturale ambizione di soppressione del sesso
maschile, posso cominciare a indicare contenuti dello scritto in esame i quali mi
sono più che vicini nel momento in cui si scartano come una caramella buttando
via quel rivestimento protettivo così astioso ed estremista. Una cosa che ho
notato subito proviene dal ribaltamento della cristiana valutazione
patristico-scolastica a proposito della donna. Tommaso d’Aquino dice nella
“Summa theologiae”: «Quod sexus
masculinus est nobilior quam femineus, ideo humanam naturam in masculino
sexu assumpsit [filius Dei]»1. Valerie Solanas nega la superiorità
del sexus masculinus, e afferma: «Essere maschio
equivale a essere difettoso, emotivamente limitato; la mascolinità è affetta da
deficit e i maschi sono emotivi zoppi». Io
sono junghiano e comprendo che ciò possa essere possibile, diffuso, anche se
non accetto la sottolineatura della scrittrice americana in funzione di
rilevamento ontologico. Lei ci fa notare dei gravissimi difetti degli uomini,
ma non significa che questi siano strutturali. Per me sono indotti dal sistema
sociale e familiare di crescita e formazione. Agli occhi di Valerie Solanas indubbiamente
simile concorso c’è, però più come ritorno di un riflesso naturale. Io voglio
credere che la Natura dia a ciascun essere umano alla nascita capacità di base
uguali, poi magari non sviluppate a causa di un motivo o di un altro. Che siano
di più i maschi a perdere la retta via, potrei dirlo pure io vedendo
l’andamento del mondo. La guerra a me sembra un prodotto quasi del tutto
maschile. Comunque riprendiamo il filo del “Manifesto SCUM” perché vorrei fare
osservare il modo in cui sin da subito Valerie Solanas si è mostrata
vicinissima alle mie idee psicanalitiche2. Io in passato ho diviso,
sotto un profilo categoriale, gli esseri umani in due tipi in relazione al
grado di maturità libidica. Ho denominato il primo gruppo i “freudiani”, poiché
costoro agiscono sulla spinta pulsionale più animale, dove le pulsioni
elementari e basilari sono fari spettrali arginati dal “principio di realtà”:
per comprendere le problematiche di costoro basta la concezione psicanalitica
della libido di Freud. Tuttavia i “freudiani” non sono gli unici tipi umani, ve
ne sono di più maturi. Questi io chiamo “junghiani”, e a loro bisogna applicare
la psicologia analitica di Jung. Non che questa non valga pure per gli altri su
menzionati, però ogni tipologia umana – nella mia visione – possiede quel
livello di evoluzione spirituale, libidica, il quale pone ogni individuo (uomo
e donna) su uno scalino più in alto o più in basso a seconda del suo essere in
atto. A mio avviso l’autrice del “Manifesto SCUM” ha colto la presenza nella
maggioranza degli uomini di una libido
freudiana, e ha generalizzato in assoluto, in direzione estremistica. Non
aver colto la possibilità di tipi “junghiani” maschili, secondo me, è stato un
errore nevralgico di Valerie Solanas: esistono, sebbene in minoranza, uomini
non del tutto presi dalle pulsioni freudiane, i quali hanno raggiunto un
orizzonte libidico logico-creativo. Allo scopo di rendere meglio l’idea di
opposizione tra “freudiani” e “junghiani” richiamo la dicotomia frommiana
“avere/essere”. La pensatrice americana ha ragione a dire che gli uomini
“freudiani” non sono razionali e sono sudditi delle pulsioni libidiche
primordiali. Non le si può muovere nessun appunto in merito a ciò. Persino
quando li definisce – nel migliore dei casi – «una noia totale». Me ne sono
accorto – con grande rammarico – pure io. Se l’amicizia, come dice Cicerone,
risulta una sorta di solidarietà di
specie, passare tempo coi “freudiani”, connotati dal diffuso attributo
della chiusura mentale (non è affatto
una questione di acculturazione), si rivela fra le più sgradevoli perdite di
tempo3. Tra me e me pensavo, a proposito della mia dicotomia
tipologica libidica, parafrasando un po’ Aristotele, un po’ Orwell, che gli esseri umani sono animali razionali,
tuttavia alcuni sono più animali degli altri. La mia elegante ironia
intellettuale viene superata dalla crudezza di Valerie Solanas. Davanti a lei
gli uomini, concettualmente equivalenti alla mia più lucida categoria dei
“freudiani”, si mostrano essere qualcosa di intermedio «tra la creatura umana e
la scimmia». Se da un lato non posso e non voglio sostenere lo sterminio fisico
di simili persone, in seguito a ovvie ragioni umanitarie, dall’altro non mi è
possibile replicare che l’autrice del “Manifesto SCUM” abbia asserito qualcosa
senza né capo né coda. Io rispetto l’umanità nei miei simili, in qualunque
grado libidico. L’impegno di una coscienza filosofica dev’essere quello di
spronare gli altri a crescere, non di abbattere i diversi. Il mondo si rivela vario; mi sembra il caso di dargli un
ordine più sano, più giusto, più buono. E fra le cose che non vanno v’è un
maschilismo più o meno femminicida, un maschilismo il quale a mio modo di
valutare si è tramandato sin a oggi all’interno della società occidentale,
silenziosamente, grazie alla sedimentazione inconscia della misoginia cristiana4.
Quanto ho appena detto pare non essere poi neanche un mistero per Valerie
Solanas, la quale, forse in maniera inconsapevole, polemizza con Kierkegaard5.
Al cospetto del teologo danese gli uomini hanno il loro baricentro mentale
dentro la propria persona, mentre le donne lo proiettano sull’esterno. Per la
mentalità kierkegaardiana la prima cosa si rivela un pregio, la seconda un
deficit. L’autrice del “Manifesto SCUM” ripropone il quadro del Danese, ma ne
ribalta i valori: l’egocentrismo maschile si mostra il difetto, la proiezione
(agapica) femminile il merito. Personalmente non sento di dover difendere la
convinzione del pensatore religioso protestante. Allorché Valerie Solanas
sostiene, da un punto di vista biologico, che «il maschio è una femmina
incompleta» sovverte una lunga linea temporale misogina che attraversa punti
quali Aristotele (il campione filosofico del Cattolicesimo) e Freud
(teorizzatore del femminile “complesso di castrazione”). La pensatrice
americana inverte i ruoli tramandati e sostiene che «definire animale un uomo
vuol dire adularlo; lui è una macchina, un walking dildo. [...] Le donne, in
altre parole, non hanno penis envy; gli uomini hanno pussy envy». A seguire fa rilevare
alcuni aspetti meritevoli di un consono approfondimento. Ricorda che gli uomini
(i “freudiani”) sono kierkegaardiani seduttori in pectore, e che tale vocazione
sia l’espressione di una inconscia voglia transgenderista. La manchevolezza
ontologica del femminile posseduta dal maschio lo spingerebbe a erigere un
firewall: «Scopare [«screwing», variante di “fucking”] rappresenta, in
relazione a un uomo, una difesa contro il suo desiderio di essere una femmina».
Valerie Solanas ha altresì chiarito che l’uomo nel suo essere deficitario cerca
comunque di imitare le donne nella di queste proiezione interpersonale
esteriore dove abitano i più nobili valori contrapposti all’egoismo. Le donne
sarebbero peraltro vittime dell’effetto di ritorno di suddetto colpo di mano,
il quale rovescerebbe su di queste la negatività di condotte maschili
riadattate in un misogino immaginario al femminile. In simili osservazioni
dell’autrice c’è un fondo di verità, il quale io miro a ispezionare con una
lente di ingrandimento junghiana. Valerie Solanas ha affermato che all’uomo
manca la dimensione femminile. Secondo me ella ha avuto una forte intuizione
junghiana, solo che si è fermata alla superficie della questione non
oltrepassando lo stretto schema biologico naturale. Io vedo questa carenza
negli uomini “freudiani” nella veste di mancato collegamento da parte dell’Io
con la controparte psichica junghiana dell’“anima”. Ecco l’origine di tutti gli
squilibri maschili evidenziati dall’autrice del “Manifesto SCUM”: il blocco del
“processo di individuazione”. Nel caso contrario viene fuori un’armonia
interiore. Il che, quantunque non la cosa comune, testimonia la guisa in cui la
scrittrice americana sbaglia a generalizzare il suo anatema a scapito di ogni
uomo. Lei ha ampi tratti di ragione, però esistono imprecisioni estensive e
intensive non trascurabili, le quali sono foriere di un estremismo non
condivisibile. La mia analisi non si prefigge di ripercorrere punto per punto
le enunciazioni del “Manifesto SCUM”, bensì di indicare ombre e luci in
rapporto ai miei interessi di studio e al mio pensiero. Così, ad esempio, trovo
molto degno di nota il richiamo di Valerie Solanas a una liberazione del tempo
umano dal lavoro produttivo e industriale attraverso l’uso di tecnologie
sostitutive della massa dei lavoratori6. Una cosa di cui ella però
non ignora le conseguenze immediate: gli uomini (i “freudiani” puntualizzo io)
piomberebbero prigionieri della loro aridità
interiore, improduttiva e sterile, da cui distrazione era il compito
professionale, lavorativo, in precedenza svolto. Questo deserto dello spirito
ingabbiato dal potere della retribuzione pecuniaria e dalla sottrazione di
tempo libero causerebbe una catastrofe mentale in simili vuoti individui
(incapaci da sé di una elevazione “junghiana”). Aggiungo io quello che per me
farebbe la libido freudiana non sottoposta alla servitù del lavoro. E per
renderlo evidente ricordo l’esperimento condotto dall’etologo John Calhoun, denominato
UNIVERSO 25, dove gruppi di topi messi nelle migliori condizioni di
sopravvivenza culminano dopo fasi degenerative in un destino di estinzione7.
In parole povere i “freudiani” possiedono una natura autodistruttiva, e Valerie
Solanas lo ha capito. A beneficio delle donne chiede la soppressione del
modello sociale fondato sul lavoro retribuito, giacché l’uguaglianza di
trattamento all’interno di questo protrarrebbe la condizione del disagio
femminile (ossia degli “junghiani” capaci di gestire al meglio il loro tempo
libero). Inoltre la scrittrice sottolinea come i soldi siano uno strumento
maschilistico di potere. Anch’io ho parlato, in generale, anni addietro della
facoltà del denaro di tramutare in una specie di divinità il capitalista in
quanto i soldi sono certificati di tempo condensato nel senso che consentono di
ottenere ciò che si vuole in maniera più rapida quanti più se ne hanno in luogo
di dover lavorare a lungo al fine di ottenerli in previsione di una determinata
acquisizione8. La vita espropriata del lavoratore così dura un
giorno, mentre chi ha accumulato denaro potrebbe vivere, nel paragone, mille
anni di libertà. Valerie Solanas ha chiara questa situazione, perciò non
accetta la par condicio lavorativa fra i sessi, dacché aggiunge schiavitù a
schiavitù. Nel “Manifesto SCUM” il rilevamento che la “famiglia borghese”, di
stampo maschilista, abbia ridotto l’essenza femminile alla sua funzione materna
contesta qualcosa di ormai accertato che i nuovi tempi hanno criticato in vario
modo: l’uomo eterosessuale borghese donnaiolo e padre di famiglia era un’icona
antiLGBT. Oggigiorno quell’appiattimento di matrice veteroreligiosa cristiana è
stato cancellato di parecchio. L’ortodossia borghese stessa si è aperta verso
qualcosa ancora di non ben definito. Non è priva di sale la seguente
affermazione di Valerie Solanas: «Non v’è ragione perché una società composta
di esseri razionali in grado di empatizzare inter se, completi e privi di un
naturale motivo di competere, dovrebbe avere un governo, leggi o leader». Non
sono mai stato simpatizzante di aspirazioni anarchiche, però, d’altro canto,
non me la sento di scartare l’ipotesi in virtù di cui una società senza
“freudiani”, composta di soli “junghiani” individuati,
possa sopravvivere con una rete organizzativa ridottissima, funzionale al
soddisfacimento dei bisogni naturali e non alla repressione di crimini.
Potrebbe, per me, darsi che la disonestà, la brama, l’invidia, la violenza,
siano tendenzialmente e soprattutto “freudiane”. Uno stato razionale di Natura
non dovrebbe avere, altresì, nevrosi di alcun tipo, poiché ognuno vivrebbe in
armonia, libero e soddisfatto, con tutto il resto. Il “Manifesto SCUM”
prospetta qualcosa del genere, che superi le sovrastrutture maschilistiche di
potere e di pensiero. Abbiamo visto che la dicotomia radicale del testo
analizzato risulta essere “maschile/femminile”. Ho detto che la considero
valida se sviluppata in direzione archetipica junghiana, operazione non
compiuta da Valerie Solanas, cui riconosco grandi capacità di analisi accanto a
questi da me considerati limiti non da poco. Quella coppia oppositiva
“maschile/femminile” in tal modo può concettualmente riversarsi nella mia
dicotomia “freudiani/junghiani”. Alla luce di quanto ribadito si potrà leggere
questi brani del “Manifesto SCUM”, interpretandoli mediante la chiave di lettura
del mio pensiero allo scopo di capire la guisa in cui essi dicano delle verità
eclatanti, inossidabili, cristalline: «L’amore non è dipendenza o sesso, ma
amicizia, e perciò, l’amore non può esistere tra due maschi, tra un maschio e
una femmina o tra due femmine, uno o ambo di chi è un irragionevole, insicuro,
fa il mezzano al maschio; come la conversazione, l’amore può esistere soltanto
tra due soggetti femminili sicuri, autonomi, indipendenti, dacché l’amicizia è
basata sopra il rispetto, non sul disprezzo. [...] L’amore non può fiorire
dentro una società fondata sui soldi e sul lavoro senza motivo: esso richiede
completa libertà economica così come personale, tempo a disposizione e
l’opportunità di impegnarsi in attività intensamente coinvolgenti, emotivamente
soddisfacenti le quali, nel momento in cui condivise con quelli che ti
rispettano, conducono all’amicizia profonda. La nostra “società” non fornisce
in pratica nessuna opportunità di impegnarsi in tali attività». L’errore di
Valerie Solanas – ripeto – è stato quello di rimanere impantanata sopra una
superficie fisiologica dei sessi: non tutti gli uomini sono da buttare, non
tutte le donne sono esenti da pecche. Se ci sono nel mondo elementi umani
negativi non si deve però affatto procedere alla loro soppressione, come
suggerito dalla pensatrice americana. Bisogna correggere e educare meglio,
mirando a conseguire la scomparsa di discriminazioni e reati, non la
disintegrazione dei loro artefici. Al di là di questi limiti concettuali, molto
distorcenti secondo me nell’obiettivo di ottenere la più nitida comprensione,
il “Manifesto SCUM”, nella mia emendante lettura filojunghiana, continua a
proporre contenuti e osservazioni molto significativi e profondi. I “maschi
(Solanas) / freudiani (Caruso)” sono «insipid [insipidi, sciocchi, insulsi]»;
chi appartiene a questa categoria «non avendo niente in interiore non ha niente
da dire». Si rivela osservabile che, come rimarca la pensatrice americana,
certe pseudoculture e pseudoacculturazioni producano amorfi pupazzi e figuri, i
quali sono vuoti ripetitori di un’ortodossia ideologica la quale piega una
massa di soggetti acritici ad assorbire e rispecchiare la sua vulgata. Sono
d’accordo con Valerie Solanas sul fatto che Arte e Cultura debbano configurarsi
quali divertimenti e non come
strumenti manipolatori. E non trascuriamo che ciò è un’affermazione
perfettamente junghiana: la libido non è solo pulsione sessuale o pulsione di
soddisfacimento di altri fisiologici bisogni. La stessa violenza, ci dice il
“Manifesto SCUM”, si mostra ingiustificata e ingiustificabile da parte
dell’essere umano perché rappresenta un risvolto di frustrazione, una
manifestazione libidica inaccettabile in un soggetto razionale che non sia
regredito all’animalità pervadente. L’esercizio della sessualità, dal canto
suo, non costituisce il top offerto dalla libido: è tipico del regno animale
non umano, ma nessuna bestia ha mai scritto un libro o creato un’opera d’arte.
Nei maschi (freudiani) Valerie Solanas sostiene, in maniera corretta, che ci
sia un’opinione bestiale predominante, e infatti parla del «maschio il cui ego
consiste nel suo cock» (nulla di più esatto – credo – si potrebbe dire dei
freudiani uomini). Non che si debba abbandonare naturalmente il congresso
carnale, tuttavia la più elevata manifestazione libidica si rintraccia nella
creatività intellettuale. I “freudiani” vivono soltanto la parte bassa della
libido; la dimensione animale direbbe l’autrice del “Manifesto SCUM”, in un
travaglio interno il quale sul serio opera sacrifici e fatica alla volta di
tenere in piedi il “principio di realtà”. Da qui nevrosi, violenza, etc. Gli
“junghiani” (le donne in Solanas) patiscono la dittatura dei primi, una tirannia della maggioranza (Alexis de
Tocqueville, John Stuart Mill). Il congresso carnale assume un compito
essenziale nella riproduzione della specie umana e nella costruzione della
famiglia (la quale, assieme allo Stato, costituisce ai miei occhi una società naturale), eppure, al di là di
ciò, nella considerazione biologica, in sé non rappresenta qualcosa di molto
spirituale; da un punto di vista umano, differente da una valutazione formulata
all’interno di un’area che raccoglie tutto il resto del genere animale
naturale, esso rimane in generale un’apprezzabile attività ricreativa. Il
“Manifesto SCUM” evidenzia una gerarchia libidica di stampo junghiano, però smarrendosi in herland: mi sono preso
l’incarico di tirarlo fuori da simile selva
correggendone i ritenuti distorsivi sbagli concettuali di fondo (sempre
ovviamente operando dalla mia ottica). In ogni caso non posso far a meno di
dare ragione ancora una volta a Valerie Solanas quando rammenta il modello
maschile dell’infido cagnolino delle
donne, testimoniante l’insensatezza logica di chi vive la dimensione
libidica maschile in maniera parziale. L’ultimo segmento presentato nel
“Manifesto SCUM” espone un progetto distopico già in precedenza proclamato:
cancellare il genere maschile dalla faccia della Terra. Esso costituisce un
proposito irrazionale, innaturale, non avallabile. Se Valerie Solanas ha
esposto altre idee, le quali in qualche modo sono riuscito a salvare, qua debbo
esternare la mia netta contrarietà, ma non in quanto uomo eterosessuale
cisgender, ma in quanto ζῷον λόγον ἔχων.
Non posso per niente simpatizzare a favore di una involuzione in direzione
della distopia quantunque femminista. Nel momento in cui qualsiasi buon motivo
perde la bussola del Logos e si spinge a reclamare le sue ragioni patrocinando
l’uso della violenza, di pratiche discriminatorie, di forme totalitarie, non è
ammissibile accodarsi ai sostenitori di catastrofi. Simile aggressivo
estremismo è da bocciare e stigmatizzare. Valerie Solanas, purtroppo, lo ha
perseguito in concreto in un per fortuna tentato, in quanto fallito, omicidio
plurimo: Andy Warhol e Mario Amaya feriti da colpi di pistola nel 1968
riuscirono a salvarsi. Quell’atto lesivo sembra essere stato animato da
misandria e paranoia. Allorché si toccano simili punte di deviazione dal lecito
uso della volontà ogni rivendicazione legittima si macchia in maniera indelebile.
Non possiamo omettere di rilevare diversi tratti distopici nel “Manifesto
SCUM”. Se in un Vangelo apocrifo il Messia dichiarò che in Cielo non sarebbero
entrate le donne se non trasformate in uomini, Valerie Solanas afferma il
contrario in relazione alla fase di transizione verso herland: alla volta di un orizzonte transumanistico i maschi
dovrebbero assumere una integrale vocazione transgender. La pensatrice
americana inoltre prospetta, nel contesto dell’eliminazione del genere
maschile, di far proseguire l’esclusiva specie umana femminile con
inseminazioni mirate delle donne: qualcosa in stile Brave New World9.
Simili distopici auspici non possono che farmi esprimere una netta
disapprovazione di tali desideri. Il “Manifesto SCUM” nella mia visione
critica, rappresenta il nodo che unisce due fili provenienti da “Herland” di
Charlotte Perkins Gilman e “The power” di Naomi Alderman10. Si
tratta di due romanzi, per me entrambi distopici, i quali, in virtù da parte
del primo dell’essere stato concepito quale una utopia, stanno fra di loro come
una sorta di tesi e antitesi, momento hegeliano che trova una sua sintesi nel
“Manifesto SCUM”. La distopia di Naomi Alderman disinnesca questo femminismo
deviato, eversivo, violento. Valerie Solanas ha studiato psicologia, e ha avuto
fortissime intuizioni le quali, purtroppo, secondo la mia impostazione
analitica, ha spinto in una direzione sbagliata. Se ripartiamo dalla sua
stazione e non abbandoniamo il binario della Ratio, giudico che quel pensiero
possa esprimere un prodotto meritevole di scientifica attenzione e non di
esclusiva censura. Le traversie esistenziali di Valerie Solanas hanno avuto un
indubbio peso, e a esse addebito il demerito di aver alimentato l’estremismo
della pensatrice americana.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”
1 Nella mia monografia Teologia
analitica (2020) si trova un segmento intitolato L’irrazionale misoginia tomista che consiglio di leggere a chi vuol
approfondire.
2 Riguardo a esse indico, sulla strada dell’approfondimento, un mio testo:
Le implicazioni filosofico-politiche del
mio schema psicanalitico, nella mia opera Storia e pensiero (2023).
3 Piuttosto senechiana la mia valutazione. Pertanto colgo l’occasione di
segnalare un pertinente mio studio a chi volesse andare oltre: Il severo monito di Seneca, nella mia
pubblicazione Critica letteraria
(2017).
4 Indico, in rapporto al tema, una mia analisi, la quale riporta nelle
note ulteriori rimandi ad altri miei scritti in merito. Detto studio è una
sezione della mia monografia Oscurantismo
e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023), una parte
dedicata al De cultu feminarum (pagg.
8-17).
5 Del pensiero kierkegaardiano ho discusso in un esame critico all’interno
del quale ho pure trattato della mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Si trova
nel mio saggio Filosofie sadiche
(2021) e reca il titolo L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard.
6 Questo tema è stato toccato da un romanzo utopico americano il quale è
stato oggetto di una mia analisi. Non reputo fuori luogo indicarla a chi
volesse condurre approfondimenti tematici: La
libertaria critica al capitalismo selvaggio di Robert Anson Heinlein, nella
mia pubblicazione intitolata Distopie
occidentali (2023).
7 UNIVERSO 25 è
stato un esperimento significativo rivelante un’affinità con la mia filosofia
della distopica storia futura, in particolar modo presso gli ultimi tre gradini
temporali (“Brave New World”, “sadismo” e “mondo di Eloi e Morlock”) dove
alcuni aspetti dell’esperienza registrata dall’americano Calhoun si mostrano
confacenti: disgregazione degli schemi relazionali canonici, pansessualità,
violenza, cannibalismo. Per chi volesse saperne di più sulla mia psicostoria
riporto il prospetto sinottico e l’elenco dei miei pertinenti scritti.
1) Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (saggio del 2015);
2) La terribile distopia di H. G. Wells in Critica
letteraria (2017);
3) La tanatolatria di de Sade in Filosofie sadiche (2021);
4) Una distopica ginoide contro la mantide
religiosa, Sex doll prima del Brave
New World, Tra Primavera Bobinski e
la sadista Justine, Attacco
all’inconscio collettivo in Letteratura
e psicostoria (2022);
5) Induismo e Occidente in Partita a scacchi (2022);
6) La distopia della sciocchezza dei fratelli
Strugatzky in Distopie occidentali
(2023);
7) Intelligenza artificiale e stupidità
naturale in Ritorno critico
(2024).
8 Per approfondire il discorso suggerisco la lettura dentro la mia opera Critica dell’irrazionalismo occidentale
(2016) della parte recante il titolo Il
gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi.
9 Al celeberrimo romanzo huxleyano ho dedicato una monografia: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley
(2015).
10 Tali testi sono stati materie di miei studi. Ne sono scaturiti due
scritti: Il femminismo distopico di
“Herland” e La complessa distopia di
Naomi Alderman, rispettivamente nelle mie opere Letteratura e psicostoria (2022) e Prospettive rinnovate (2023).
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/la-complessa-distopia-di-naomi-alderman.html

