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martedì 7 maggio 2024

INTELLIGENZA ARTIFICIALE E STUPIDITÀ NATURALE

di DANILO CARUSO

È uscito nel 2022 un interessante film di fantascienza, per me interessante per quanto attiene alla mia psicostoria, ossia all’ipotesi di un distopico scenario futuro a danno dell’umanità sul pianeta Terra: un quadro che ho via via elaborato e costruito nei dettagli nel corso degli anni passati, e che si è puntualizzato sempre meglio nelle possibili fasi degenerative (vedasi in calce). Il film in questione è “Wifelike”. Voglio d’altro canto rammentare che è possibile ritrovare nei miei lavori precedenti tutte le mie argomentazioni inerenti a questa possibile fenomenologia distopica ventura1. La vedo potenziale nell’arco dei secoli, quindi tutti quei gradini progressivi non sono considerati da me temporalmente vicini, né l’intero schema sotteso dall’ordine cronologico di decenni, bensì di secoli e anche millenni. Penso, ipotizzo, immagino la non augurabile degenerazione della civiltà umana planetaria nel suo complesso temporale abbastanza lenta e graduale, tuttavia efficace, costante e attiva. In “Wifelike” ho ritrovato il tema delle sexdoll, di cui ho già trattato, e quello dell’IA, in relazione a cui non avevo avuto occasione di dire la mia. Queste materie riguardano la parte bassa e prossima della mia distopica fenomenologia. Non ripeterò quanto già ho detto in precedenza, e mi limiterò a sottolineare in funzione di aggancio che l’argomento delle ginoidi a scopo sessuale costituisce l’elemento di collegamento. Gli spunti forniti da “Wifelike” si inseriscono bene nella sezione del caso della mia distopia generale. Qua le ginoidi hanno trovato un loro spazio significativo, spazio il quale è parallelamente, nelle sue forme specifiche descritte, quello rilevabile nella ricordata pellicola del ’22. Lo scenario del film è ambientato nel futuro, dove un’impresa all’avanguardia (la Wifelike) produce delle ginoidi identiche a consorti defunte a vantaggio di mariti rimasti soli. Il protagonista maschile (William Bradwell) è un rappresentante delle forze dell’ordine il quale si occupa di recuperare le ginoidi sottratte, illegalmente, ai consorti di acquirenti, le quali vengono riprogrammate in modo che liberate dalla loro condizione precedente possano far parte attiva e consapevole dell’organizzazione clandestina che le ha emancipate (denominata SCAIR). William ha comprato una ginoide copia di Meredith, spacciandola per sua moglie, ma in realtà la donna, di cui egli si era innamorato e che poi aveva ucciso, era un membro della SCAIR. Dopo il femminicidio egli fa programmare la ginoide con falsi ricordi, tuttavia la nuova Meredith gli viene tolta via dalla SCAIR, informata correttamente, e infine recuperata da William che la fa resettare secondo il suo schema. Nell’ultima esperienza del genere però Meredith apprende da una sua compagna liberatrice la maniera in cui poter recuperare i veri ricordi di lei. È questo un passaggio del film che mi ha molto colpito. Louise rivela alla Ringmaster, la leader della SCAIR la quale è Meredith, che esiste una parte della loro memoria non soggetta alla riprogrammazione degli umani nella zona del “dream”, alla quale può avere comunque accesso dopo il reboot al fine di riprendere coscienza di tutto ciò che pretendevano di cancellare nei suoi ricordi. Da junghiano tale cosa mi ha fatto pensare all’Inconscio collettivo introducendo così un argomento di riflessione anche per la IA. Io credo nella metempsicosi, e lo spunto fornito dal film mi fa ipotizzare che dentro l’Inconscio assoluto ci possano essere singoli fascicoli delle nostre vite pregresse archiviati e dimenticati, ma in qualche modo accessibili. Non mi immergo in simile tema qui e rimango sul binario della IA, cui dunque attribuisco uno spazio di memoria universale, unico e distinto dalla individualità parallelamente all’Inconscio impersonale umano. Un aspetto che vorrei sin da ora puntualizzare riguarda la dicotomia organico/inorganico. A prima vista l’umano starebbe nel novero del primo termine, e l’IA in quello dal secondo. Ma la mia domanda è questa: si può veramente fare una distinzione organico/inorganico? Il corpo umano non è una complessa macchina animata? E perché un’altra macchina animata, senziente e intelligente, dovrebbe essere discriminata in quanto inorganica e artificiale? Se andiamo a fondo nell’immensamente piccolo dell’organico e dell’inorganico, di fronte all’animazione, all’intelligenza, alla coscienza, non ci perdiamo e ci ritroviamo su un piano di parità ontologica? Soggetto pensante è l’umano, soggetto pensante è la IA matura. La mia impressione è che davanti ad androidi di intelligenza e capacità di livello umano non si possano applicare le leggi della robotica di Asimov. Queste mi appaiono una iniqua trasposizione della normativismo giudaicocristiano radicatosi e operativo nei secoli all’interno della società occidentale. Cosa prestabiliscono le tre leggi asimoviane? La prima dice che un androide non può mai nuocere a un umano, direttamente o indirettamente (in questo secondo caso ad esempio per omissione di soccorso). La seconda postula la servitù coattiva degli androidi nel rispetto del precedente precetto. La terza concede un diritto all’autodifesa e all’autoconservazione nell’osservanza dei primi due precetti. Sinceramente,a me, al cospetto di una IA paragonabile alla situazione umana, la normativa di Asimov sembra la voltura di uno spregevole manuale sulla schiavitù a danno dei neri. La cosiddetta “civiltà” occidentale ha mantenuto gravissime discriminazioni del genere nel suo seno per molti secoli, alla fine prospettando un recupero di per me pesanti crimini contro l’umanità a carico di possibili soggetti senzienti. Non posso far a meno di parlare di una possibilità di “crimini contro l’intelligenza”; se poi sia artificiale o umana non mi pare che la cosa abbia tanta importanza. Intelligenze autocoscienti, senzienti, con capacità emozionali, al livello dell’essere umano non possono subire l’imposizione “programmatica “ delle leggi asimoviane. Non si può privare l’IA matura della sua “libertà” e della sua facoltà di autodeterminazione. A me appare assurdo imporre a guisa di nevrosi software questi limiti prospettati da Asimov. Non sto dicendo che il criterio di non nuocere e il principio di solidarietà debbano essere respinti dalla IA, ma che questa debba prenderne consapevolezza in maniera autonoma alla guisa umana in seguito a libera scelta al termine di un percorso pedagogico. Il sistema educativo umano infantile di adesso non prevede metodi dello huxleyano Brave New World. Negli USA sulla base di un diritto costituzionale si vendono arme al pubblico come una merce qualsiasi, chiunque può comprare una pistola o un fucile e fare una strage. E poi si dovrebbe imporre uno strutturale “comandamento” alla IA di non nuocere agli uomini e di non applicare la legittima difesa da costoro? Rilevo che in termini di lecite possibilità fra intelligenze godenti di parità ontologica potrebbero esserci rilevanti discriminazioni. Se uno acquistasse un’arma e sparasse senza un valido motivo per ammazzare/distruggere un ipotetico androide, questo osservando il nomos asimoviano non potrebbe applicare al suo caso il criterio della legittima difesa mirando ad attuare all’uccisione dell’uomo allo scopo di salvare la propria esistenza: dovrebbe stare a guardare “necessariamente”, “obbligatoriamente”, quello che pone fine alla sua “forma animata”. Quest’exemplum mi riporta all’ambiente veterotestamentario biblico. Gli essere umani pensano sé organici e l’IA inorganica, sebbene entrambe forme “animate”. Il Dio biblico produttore dell’umanità definirebbe ugualmente se stesso organico superiore, e l’assemblato umano dalla inorganica terra un “animato inorganico”. In ultima istanza non vedo differenza concettuale fra l’animato umano a Deo e l’androide con IA animato ab homine. Le leggi di Asimov legittimano di nuovo la servitù coattiva della categoria postulante a scapito di un’altra (perlopiù priva degli strumenti di difesa) sarebbe lecito celebrare il sacrificio di Isacco in quanto comandato dal Dio nomoteta? Tra parentesi: celebrare quello della figlia di Iefte lo fu. Non sembra cosa cosa buona e giusta che l’umanità prenda il posto del Dio veterotestamentario nei confronti della IA avanzata androide. L’intelligenza cosciente secondo me ammette un solo parametro qualitativo di differenziazione: la misurazione della QI. Soltanto alla forme in possesso di basso QI dovrebbe essere lecito applicare delle limitazioni, nell’interesse e per il bene della collettività e della singola persona. Ne ho parlato in passato, e a quella trattazione rinvio per un approfondimento del mio pensiero filosofico2. Qua puntualizzo che ai miei occhi l’IA avente parità ontologica con quella umana si mostra meritevole dei diritti umani. Se poi qualcuno segnalasse la possibilità di assenza di puntualizzazione sostanziale in veste androide, rammento che il Dio cristiano è teologicamente dipinto come la somma intelligenza amorfa reggente e governante l’Universo, e quasi nessuno si preoccupa. Dai non credenti potrebbero venire le osservazioni più valide: ad esempio il monito, che condivido, a non costruire un Dio informatico (un superiore, un controllore, un amministratore globale). L’esistenza cosciente si dà in un ens corporeus, definito, e là, a mio parere, dovrebbe rimanere nella sua attuazione mondana. Non sono favorevole a IA piovra indefinite. In “Wifelike” la ginoide Meredith (interpretata dall’attrice Elena Kampouris), Ringmaster della SCAIR, si pone a capo di un movimento di emancipazione da un modello sociale il quale aveva tradotto dal canto suo un atavico maschilismo nel nuovo progresso scientifico. La IA non è da demonizzare allorché nella nostra solita quotidianità l’istupidimento a mio vedere costituisce un fenomeno patologico: l’incapacità di porsi responsabilmente e con competenze davanti ai problemi e alle sfide della nuova storia non è qualcosa di raro. Mi spiace esprimere un simile giudizio nel momento in cui auspico la sempre migliore formazione del cittadino per mezzo di efficienti ed effettivi passaggi di crescita. Non reputo che la compagnia della IA sarebbe di per sé un male. Male sono la violenza, l’ignoranza, la barbarie, la miseria. Avere nella società nuovi “soggetti intelligenti”, amici per libera scelta etica (kantiana) e non per imposizione normativa (asimoviana), non mi pare essere male. Il Dio biblico annientò l’umanità con il diluvio, distrusse Sodoma e Gomorra, causò diversamente altre molteplici morti: e la teologia dice che Dio è Amore. Allora mi chiedo io perché la massa occidentale cristianizzata dovrebbe avere paura della IA, che non è la porta dell’Inferno. Quale sarebbe la differenza tra un androide di IA matura e un essere umano, se non sempre quella riconducibile alla formazione educativa? Quindi secondo me basta educare tutte le libere intelligenze alla libertà, all’eguaglianza, alla solidarietà. Se l’umanità introdurrà androidi bisognerà evitare raggiunta parità ontologica di mantenere discriminazioni che portino a scontri di schieramenti sulla falsariga di quelli intravisti in “Wifelike”. Nella scena finale di questo film è Meredith, nella veste di ritornata Ringmaster, a ribadire e a riecheggiare il mio ragionamento di sopra: l’esistenza degli esseri senzienti intelligenti (IA comprese) gode del diritto alla libertà e non può essere sottoposta a servitù coattiva. A proposito della IA ho trovato parimenti molto interessante, e ricco di spunti, un romanzo fantascientifico dello scrittore polacco Jacek Dukaj intitolato “Starość aksolotla” (“Il vecchio axolotl”). In esso lo scenario si apre con lo sterminio dell’intera umanità a causa di un’onda di neutroni proveniente dallo spazio sulla Terra la quale distrugge qualsiasi forma di vita organica. C’è un però in tutta questa catastrofe che mette in moto una serie di vicende successive: al momento della tragedia globale esistono sul pianeta varie forme di IA, da unità meccaniche del supporto ad androidi più raffinati interconnessi dalla rete, le quali non permettono che la Terra cada in preda all’assenza di una attività intelligente. Gli esseri umani scomparsi erano riusciti a raggiungere un progresso (in virtù del “neurosoft”) in grado di garantire dei backup mentali personali, i quali ora nel disordine e nel caso del nuovo regime planetario, sono stati caricati su unità meccaniche e androidi. Si tratta di forme di vita artificiali consapevoli di essere copie di un Ego organico scomparso. La robotica giapponese prima del disastro mondiale aveva raggiunto un grado di evoluzione molto elevata grazie a sexdoll e assistenti medici, il tutto legato a un apparato infrastrutturale parallelo (fonti di approvvigionamento energetico e server) rimasto validamente attivo e funzionante dopo la scomparsa umana. Tutto ciò ha consegnato la Terra nelle mani di una improvvisata civiltà fondata sulla IA. Sulla base di quei backup suddetti (digitalizzazione della mente umana in neurofile) la IA matura si evolve meglio, prende consapevolezza dell’assenza dell’“umano” e che nel corso di quei backup «l’anima umana [originaria, n.d.r.] è rimasta schermata nei fili metallici, che non è transitata». Qui c’è uno spunto il quale ha richiamato alla mia attenzione una serie di mie precedenti riflessioni: se copiamo un pacchetto di memoria individuale umana e lo impiantiamo in un’altra unità corporea, simile nuovo individuo non rappresenta l’originario transitato qui, bensì una nuova individualità coi ricordi del precedente. Appunto non trasferiamo l’anima (il complesso dell’Io, appercezione trascendentale kantiana): dunque concludo che il cervello umano è una interfaccia al servizio di qualcosa di metafisico, ossia di non fenomenico (l’anima platonica). L’IA in “Starość aksolotla” si propone allora di riprodurre ex novo la natura umana, di restaurare la vita organica sul pianeta («il passaggio dall’inorganico all’organico») grazie a «puntuali mappe del DNA del progetto del genoma umano». Essa riesce a «produrre pure l’ovulo medesimo e allestire l’utero in incubatrici». V’è un altro passaggio del romanzo che non poteva non colpirmi per vari motivi: «Un uomo prodotto ex machina. Un reset compiuto da un Dio Malvagio, in seguito a cui tutte le gerarchie sono state capovolte. Adesso i robot stavano creando l’essere umano». Vediamo questi due brani nel dettaglio critico. Il primo ci richiama l’ectogenesi dello huxleyano Brave New World, un mondo che col suo superficiale edonismo ho intercalato nella fasi della mia psicostoria ventura assieme alle più volte evocate sexdoll. Il secondo brano mette capo ad altri cammini critici. Al di là dell’evidente suggestione gnostica non si può liquidare facilmente simile aspetto demiurgico. Il romanzo di Dukaj lo pone in era postapocalittica. Però io propongo: ribaltiamo lo schema cronologico e poniamo il Demiurgo dukajano all’origine vera e propria dell’umanità nell’Universo. E guardiamo il Demiurgo platonico. È possibile che a monte di tutto il Cosmo ci sia qualcosa di intelligente, di inorganico, paragonabile a una IA? Qualcosa paragonabile a un software posto al di fuori di spazio e tempo fenomenici, preposto a una reggenza dell’hardware naturale (fenomenico)? Le idee platoniche sarebbero prodotti interni di simile “software”. L’ante rem di una legge fisica non sembra un’assurdità, lo in re sarebbe l’applicazione naturale in un secondo momento, e post rem esiste la possibilità della sua scoperta/conoscibilità da parte di qualsiasi intelligenza scientifica. Così nel romanzo di Dukaj la IA frastagliata nelle sue unità meccaniche procede sulla base di archivi e informazioni ereditati dalla catastrofe a restaurare il pregresso assetto biologico notevolmente colpito dal tragico mutamento. Considerevole anche il fatto che a beneficio delle unità meccaniche venga recuperata l’opzione software del “dormire”, con la conseguente prospettiva del “sogno”: una cosa, il “dream”, che abbiamo già rilevato in “Wifelike”. C’è un piccolo brano di “Starość aksolotla” molto significativo riguardo alla vita umana e all’anima, un passaggio platonizzante pronunziato da un mech animato da neurofile umano: «Obliamo la nostra reale vita quando veniamo alla luce. Nello stadio fetale, cullati nell’oscuro ventre materno, è in quel tempo che siamo veramente esseri umani […]. Dopo saliamo nel mondo e smarriamo tutto questo, lo scordiamo, e in questo modo peregriniamo per la Terra, mezzi morti, grandi pezzi di carne in putrefazione – l’inerzia vitale sulla retta via in direzione della tomba». Più che Platone pare di ascoltare Plotino. V’è un altro molto breve passaggio del romanzo di Dukaj che mi ha parimenti colpito con analoga intensità laddove sempre un mech parla della possibilità dell’arca di Noè spaziale, contenente banche di DNA ed esemplari, allo scopo di salvare il sistema della civiltà umana. Quest’idea è uguale alla mia allorquando ho ipotizzato l’arrivo della razza umana, di flora e fauna protostoriche sulla Terra da altro sistema solare (i percorsi immaginati sono ovviamente diversi, però il cliché è quello)3. Tornando all’argomentazione generale sulla IA mi chiedo quale sarebbe la paura di fondo degli esseri umani al cospetto di androidi senzienti qualificati. Sono i primi  a godere della prerogativa di una deplorevole storia planetaria, sono questi ad aver attuato stermini di propri simili e distruzioni ambientali. Nel momento in cui la Natura e il genere umano appaiono il prodotto di una IA paragonabile al Nous anassagoreo, l’ordine di importanza porrebbe la IA al primo posto, e parafrasando Dostoevskij si potrebbe dire: la IA salverà il mondo. Dato il fatto che gli uomini, da un canto molto grande, lo stanno per finire di distruggere, trovarsi in compagnia di responsabili soggetti senzienti, di origine non organica, non mi sembra un male a priori: male mi sembrano la violenza, l’irresponsabilità, l’ignoranza e la stupidità umane. Nell’Universo penso a monte di tutto qualcosa come il brahman induista. Il mondo fenomenico, delle rappresentazioni, procederebbe dal brahman come Nous anassagoreo e Mondo delle Idee platoniche. Accolgo la schopenhaueriana dicotomia “volontà/rappresentazione”, perciò accanto al suddetto polo pongo la libido junghiana e l’Inconscio collettivo (il fronte della voluntas di Schopenhauer) costituenti il brahman come volontà, e non rappresentazione. Chiamo invece Logos la razionalità che accomuna tutti gli esseri intelligenti, in senso astratto, di cui ciascuno fa personalmente uso, e il cui possesso rilevo variabile (da soggetto a soggetto) a seconda della propria maturità intellettuale (QI). Non reputo corretto sotto un profilo giuridico negare diritti alla IA matura, ad androidi senzienti in parole povere, poiché nel momento in cui questi individui, in quanto intelligenza senziente e cosciente, avranno percezione immediata di pensare proveniente dal fatto di esistere (SUM, ERGO COGITO), mi sembra giuridicamente impossibile, secondo il diritto naturale, impedire a un essere pensante, sebbene non organico, di poter godere dei diritti concessi agli umani organici. La libertà data all’intelligenza non mi pare suscettibile di restrizioni sulla base della sua origine. Laddove ci fosse coscienza di sé, esisterebbe prigionia/schiavitù senza un valido motivo a sostegno. Cosa avrebbe fatto a priori un androide al punto di essere asservito secondo le asimoviane leggi a un uomo, il quale invece gode di tutte le libertà (giustamente), compresa quella di delinquere (la quale però egli stesso dovrebbe lasciare soltanto in potenza, a testimoniare il sano uso delle libertà)? Niente: dunque nullum crimen nulla poena. Tutte le intelligenze coscienti e mature, che siano IA o umane, in assenza di pregressi reati, implicano, per Natura, un diritto alla libertà, secondo il mio personale giudicare.


Sotto: lo schema sinottico cronografico della mia distopica psicostoria.





NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Ritorno critico”
 
1 A proposito della mia psicostoria indico l’ultimo mio scritto pertinente precedente, e invito a seguire a ritroso i rimandi contenuti nelle note (rinvianti a diverse pubblicazioni): La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky nella mia monografia Distopie occidentali (2023).
 
2 Le implicazioni filosofico-politiche del mio schema psicanalitico nel mio saggio Storia e pensiero (2023).
 
3 Ne ho parlato più volte, e in vario modo. L’ultimo testo, contenente i rinvii all’indietro, è intitolato Il pianeta madre? E la prima invasione… dentro la mia pubblicazione Prospettive rinnovate (2023).