DALLA VENUTA AL RAMO DI
CAMMARATA
di DANILO CARUSO
Alla fine del Medioevo la Famiglia Caruso era tra le importanti del
Regno di Napoli, capostipite (in assoluto anche dei Caruso di Sicilia) ne fu
Pier Fortugno. Costui era un cavaliere (forse piacentino), al servizio dell’Impero
germanico, di grande forza d’animo e di corpo, e di multiforme ingegno.
Infatti durante l’assedio di Nocera Campana intorno al 1026 per
liberarla dagli Islamici, escogitò di travestirsi da musulmano rasandosi completamente
i capelli (secondo una loro vecchia usanza), il che gli permise di entrare
inosservato nel centro abitato e di far sì che gli assedianti potessero
prendere la città, ma dopo questa sua ulteriore azione d’astuzia sui soldati
che si difendevano venne ucciso. Dal verbo greco κουράζω (kourazo: tagliare corti i
capelli) fu chiamato Caruso. Il figlio Lancillotto per i meriti del padre
ricevette i castelli di Conza della Campania e Apice, entrambi in provincia di
Avellino (il secondo, sito vicino a Melito Irpino, denominato “Castello Caruso”)
e adottò l’arme di famiglia (scudo, stemma): il campo (area dello scudo) in
smalto azzurro (colore sfondo; azzurro: tra i principali) con la pezza araldica
(motivo decorativo) del capriolo (di prim’ordine; una V capovolta: segno di
propensione ad alte imprese) unita a tre stelle (altro segno augurante un
radioso avvenire) nella parte bassa separata dalla superiore da una linea al di
sopra della quale compare dorata una testa rasata.
Riguardo al castello di Conza della Campania è stato possibile reperire
questa descrizione del 1494 conservata presso i “Relevi”
dell’Archivio di Stato di Napoli.
«Et primo lo palaczo
consistente in li membri infrascritti: lo cortiglio una sala grande con uno
restrecto picculo da la banda verso lo jardino unaltra cammara grande con
unaltra verso ponente et una logia con una cammareta verso ponente e altre
cammare luna intro laltra verso levante con una scala da fore che scende a lo
cortiglio uno gajso cum la scala donde se saglie al dicto gaiso grande […] duj
mezanini dove se chiama la cammara perta cum una cammarella tene lo jardineri
duj mezaninetti sotto le cammare […] lo cortiglio cum multi et diversi altri
membri dabascio terragni con stalle cellarj cocina con furno […] uno jardino
cum arbori comuni et vignia […] in lo quale jardino ej una chiesuola nomata a
la nuntiata». (vol. 322, f.
59)
Sino agli anni ’50 di quello ch’era stato il castello rimaneva la parte
denominata “Torretta”, la quale è stata rimossa per fare spazio a un campo
sportivo.
La zona in cui si trovavano i ruderi è stata poi posta sotto vincolo
negli anni ’80 dalla Sovrintendenza di Salerno e Avellino.
Dell’altro castello di Apice invece è stato possibile solamente
rinvenire indicazione sulle carte geografiche.
Da Lancillotto Caruso discesero Pierluigi e Giovanni: Pierluigi si
stabilì a Napoli, il figlio Antonello/Antonio al tempo del re Alfonso (1416-58)
si trasferì in Sicilia, come Giovanni aveva fatto prima alla fine del Trecento.
Giovanni Fortugno/Fortunio [de] Carioso di Paternò e Antonello/Antonio de
Carusio furono in origine cavalieri napoletani.
§ 1. Il primo era venuto in Sicilia con Gualterio Falcone, entrambi
entrarono al servizio del re di Sicilia Federico IV che per le loro capacità li
elevò al rango di consiglieri e segretari (nella secrezia confluivano le
imposte).
Il re concesse a Giovanni la facoltà di esercitare la professione di
notaio che allora non era conferita facilmente data la delicatezza e la
responsabilità dell’ufficio, il privilegio era emanato direttamente dal re e
non da suoi funzionari. Inoltre un notaio poteva esercitare la funzione di
giudice e Giovanni fu giudice della Magna Regia Curia (in particolare tra il
settembre 1398 e il novembre 1400 risulta che ricoprì l’incarico di “serviens
curie preture Panormi”, un compito paragonabile a quello di ufficiale
giudiziario): per questi motivi il rango di notaio era elevatissimo e
richiedeva nel suo esercizio l’impegno di persone di indubbia dirittura. I
notai erano anche collaboratori amministrativi per via della loro perizia nella
scienza del diritto.
Federico IV “il semplice” era divenuto nel 1355 a quattordici anni re
di Sicilia in un momento in cui l’Isola versava negli scontri feudali di cui
approfittarono i Napoletani per inserirsi in quel contesto: costoro occuparono
Messina, ma quando presero di mira Catania i feudatari si riunirono sotto il
nuovo monarca resistendo con successo per ritornare subito dopo allo status
quo. Quando Federico IV morì nel 1377 salì al trono la figlia quindicenne Maria
assistita da quattro vicari generali scelti tra le nobili famiglie più potenti:
il loro leader, Artale Alagona, al fine di rafforzare la monarchia siciliana
pensò di far sposare la regina col futuro Duca di Milano Gian Galeazzo Visconti.
Però, in quelle fasi, un pretendente al vicariato escluso, Guglielmo
Raimondo Moncada, la rapì da Catania e in un secondo momento la trasferì in
Spagna, dove ella nel 1390 sposò Martino I d’Aragona. Gli Aragonesi entrarono
militarmente in Sicilia nel 1392. Tra la nobiltà solo i Chiaramonte e gli
Alagona si opposero al nuovo re. La regina Maria morì nel 1402 senza dare alla
luce degli eredi e Martino il Giovane si risposò con Bianca di Navarra.
In questo scenario nel 1397 il notaio Giovanni Fortugno/Fortunio [de]
Carioso di Paternò ebbe concesso dietro sua richiesta in premio alla sua
fedeltà al re il feudo di Comitini che era stato confiscato ai fratelli ribelli
Guglielmo Raimondo e Antonio Moncada. Giovanni infatti amministrava Paternò
(dal 1360 nella camera reginale) quando, morta la regina Costanza, durante il
moto di opposizione al sovrano, Manfredi Alagona occupò la città costringendolo
alla fuga e privandolo dei suoi beni (i figli e la moglie furono imprigionati).
La città, che ritornò demaniale nel 1398, fu ripresa dopo un assedio per cui
lui si impegnò appieno. Oltre al feudo di Comitini Martino I di Sicilia, in
segno di riconoscenza, gli donò due lotti di terreno confiscati (per
complessive sei salme) ubicati nelle vicinanze di Paternò e denominati Clarenza
che erano appartenuti a Muzio Fazio Moncada figlio del suddetto Guglielmo
Raimondo.
Con atto del 10 gennaio 1399 Giovanni sostituì con il collega notaio e
sostituto segretario di Agrigento Giacomo de Aricio il feudo di Comitini con l’altro
di Giarretta (Jarretta) posto sul fiume Simeto. In precedenza il re Martino
aveva attributo a Giovanni con atto del 6 marzo 1393 i feudi Taruso, Canneto
(presso Adrano) e la terra della Revocata, poi nel 1399 gli concederà il feudo
del Granato (Lu Granaro).
Il figlio di Giovanni, Andrea da Catania, notaio della Magna Regia
Curia, gli succedette nei possedimenti con atto del 21 novembre 1453.
§ 2. Antonello/Antonio de Carusio, che fu maestro razionale del regno
(funzionario contabile) e tesoriere regio, ottenne con atto del 4 gennaio 1453
la baronia di Spaccaforno (Ispica), Giovanni Bernardo Cabrera gli vendette il
feudo al costo di 1.200 onze; ebbe inoltre il feudo di Pulci (Pulchi, Pulichi)
alias Muntisano presso Noto (era stato della figlia Francesca; sposatasi di
nuovo dopo la morte del primo marito, con il secondo cedette il feudo al
castellano di Noto che si ribellò alla monarchia; il nuovo assegnatario, il
procuratore generale del re, lo cedette ad Antonello/Antonio nel 1444 per 1.000
Fiorini), Lungarino, Burgillusi, nel 1457: San Lorenzo e Bucchio (questi due
per 200 onze), Ragalmaida (Rachalmedica), (Li) Lansi, Falconara (presso Noto).
Ad Antonello/Antonio succedette Nicolò (Carioso) che, per mezzo della
moglie Isabella Asmundo, ottenne il feudo Callura (presso Lentini); a lui il
figlio Vincenzo (senza prole) e nel 1478/9 l’altro figlio Antonio. La
titolarità della baronia di Spaccaforno si estinse nel 1520 in seguito al
matrimonio di Isabella Caruso, figlia dell’ultimo barone, con Francesco
Statella, ai cui figli fu tuttavia però imposto dietro accordo il cognome
Caruso.
§ 3. A Catania nella lista dei giurati amministratori della seconda metà
del ‘400 risulta una presenza di Caruso, da aggiungersi alle altre presenze
nelle funzioni di patrizio (1), riformatore dello studio (2), di “magister
operae” (1; consisteva in un ruolo di sorveglianza dell’attività universitaria)
e di “magister munditiae” (1; riguardava la sovrintendenza del servizio di
pulizia cittadina).
I Caruso si diffusero a poco a poco in tutta l’Isola distinguendosi in
più posti per gli uffici ricoperti (sino all’estremo territorio occidentale: si
registrano a Trapani nel 1459-60 e nel 1500-3 due giurati, e poi a Mazara del
Vallo nel 1543-44, nel 1575, e nel 1640-1, un giurato e due capitani) e in altri
tre casi per i titoli nobiliari (nel ‘600: il feudo Galasi, la baronia di Sanzà
a Lentini; e l’altro caso appresso menzionato).
I Caruso della Sicilia occidentale ebbero come capostipite Giovanni
Fortugno/Fortunio [de] Carioso, quelli della Sicilia orientale
Antonello/Antonio de Carusio.
Il ramo occidentale ha come primordiale principale epicentro geografico
Cammarata dove nel ’400 è registrata la presenza dei Caruso.
Si ricordano infatti il giudice Fabio e i notai Giacomo e Girolamo; di
quest’ultimo si conoscono tre figli: Narbonese e i notai Francesco e Antonino
(dal ramo di quest’ultimo, estintosi, nacque il servo di Dio Padre Girolamo
Caruso). Anche il ramo (estintosi pure, e che a inizio del ’600 aveva comprato
la baronia di Scireni) dello storico Giovambattista Caruso (Polizzi Generosa,
1673 - 1724) ebbe origine da Cammarata (il fratello Giuseppe Antonio nel 1689
aveva comprato il titolo di principe di Santa Domenica).
Di questo ceppo occidentale, per la vicinanza a Cammarata sono pure da
ricordare particolarmente Gabriele Caruso più volte nell’amministrazione di
Bivona tra il 1549 e il 1562, le tre generazioni di notai di Burgio (Luca /
Filippo / Paolo e Luca, operanti tra ’700 e ’800) e Carlo Caruso da Agrigento
(m. 1690) che fu scrittore, avvocato, giudice, sindacatore nella sua città, e
operò altresì da magistrato a Messina.
L’ulteriore passaggio dei Caruso a Castronovo di Sicilia (da cui
proviene il mio ramo di Lercara Friddi) ha la sua base a Cammarata: il primo a
mettere piede a Castronovo con una certa stabilità fu Padre Girolamo
(1549-1627) nel 1579.
Il passaggio più sostanziale lo credo individuabile solo dopo l’epidemia
di peste che scoppiò in Sicilia nel 1624, la quale uccidendo molti abitanti
castronovesi ridusse della metà quella popolazione.
Penso che quel ramo emigrato, che dovrebbe essere stato a esclusiva
vocazione imprenditoriale, si sia trasferito, in particolare dopo il 1640, in
cerca di successo in un ambiente del genere con dei vuoti, che aveva bisogno di
essere rivitalizzato, e che presentava delle facili possibilità di inserimento
e di arricchimento per coloro che avessero un capitale da investire.
Che questa prospettiva fosse stata affrontata con esito positivo lo
testimoniano: che non ci fossero dei Caruso a Lercara alla metà del ’600, dove
un quarto della popolazione del neonato Comune, meta di coloro che cercavano
condizioni di vita migliori, era di origine castronovese; che Arcangela Caruso
(Castronovo di S., 1851-1920; di Giovambattista) avesse sposato uno di famiglia
nobile, Francesco Rosso (1853-1914), e in ultimo che il mio trisnonno Giuseppe
(Castronovo di S., 1824 - ca 1890) fosse un agiato cittadino risposatosi (senza
prole) in seguito alla morte della prima moglie con Concetta Passavanti (1846 -
post 1907; studiò, sempre a Castronovo, in collegio presso le suore benedettine
della Chiesa di santa Caterina d’Alessandria), figlia di un possidente locale
(bisnonno materno di Joseph Picone) che aveva un fratello sacerdote. Tutti i
quattro maschi nati da questo secondo matrimonio del mio trisnonno, dopo le
nozze della loro unica sorella Rosalia (1864-1955; che era la maggiore), con il
Lercarese Rosario Lucania (1859-1940) nel 1884, e dopo la morte del padre,
trasferitisi a Lercara Friddi con la madre (come la menzionata sorella aveva
fatto qualche anno prima), acquisiranno qui un discreto numero di proprietà
immobiliari e daranno vita a considerevoli attività imprenditoriali,
soprattutto nel settore calzaturiero, pure a New York (1906-21): già Francesco
(1882-1964) con atto del 31 agosto 1903 prese in locazione la Miniera Palagonia
(di proprietà della Fidecommissaria Palagonia) dai Rose Gardner che l’avevano
tenuta dal 1879 (egli poi la cedette con atto del 17 settembre 1912 ad Antonino
Polizzotto).
Tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi del Novecento si
registrano a Lercara 17 casi circa di nuclei di Caruso: 10 sono derivati da
Palermo e Bagheria (versante settentrionale); 5 casi sono di derivazione
incerta, ma dovrebbero essere riconducibili a questo canale di provenienza
settentrionale; 2 sono quelli di Castronovo (versante meridionale).
Di questi ultimi due uno è quello mio familiare che si svilupperà sino
a oggi, l’altro è un piccolo ramo estintosi – così come si sono estinti da
tempo entro la prima metà del ’900 gli altri gruppi, tutti più o meno per
successivi spostamenti – cui diede vita un fratello della suddetta Arcangela,
Giovanni (nato a Castronovo di S.), che si era sposato a Lercara nel 1880 con
Rosaria Montagnino (un suo figlio Giovanni Battista, morto nel 1913, sposò,
sempre a Lercara, nel 1905 Rosalia Ajosa).
Il primo contatto in assoluto tra un Caruso e un Castronovese risale
alla fine del ’400 a Palermo quando Giovanni Fortugno/Fortunio [de] Carioso si
trovò coinvolto in una irrilevante vicenda giudiziaria: Matteo da Castronovo,
arciere, padre di Bartoluccio aveva rivendicato un ritardato salario di tarì
sei e un grano ancora non corrisposti al figlio (questo stesso Bartoluccio dal
canto suo era in precedenza stato più seriamente condannato con i suoi compagni
al pagamento di una multa di onze due perché questi avevano messo in vendita
dei meloni in maniera illegale).
§ 4. Nella lapide commemorativa dei garibaldini lercaresi, guidati da
Agostino Rotolo, apposta sul prospetto del Plesso Sartorio nel 1903 si trovano
in calce, al di fuori dell’ordine alfabetico, i nomi di Luigi Gattuso e di
Vincenzo Caruso: questo Vincenzo era di Palermo (come l’ingegner Giuseppe
Caruso, combattente nella prima guerra mondiale e dirigente fascista a
Lercara).
Secondo un documento viceregio (1690) i Caruso di Palermo sono
provenuti da Noto. Dopo Giovanni, capostipite del ramo occidentale, che qui non
diede origine a dei rami, il primo Caruso (discendente da Antonio/Antonello)
ricordato dalle cronache palermitane è Raimondo (al secolo Michele; m. 1623)
sacerdote nella cattedrale e autore di un libello religioso pubblicato nel
1611: la sorella di costui (Agata), che aveva ereditato il feudo Galasi da un
Alfonso Caruso, sposando Antonio Napoli Ferreri lo trasmise a questa famiglia. Un
omonimo Raimondo fu giudice pretoriano a Palermo nel 1615-16.
Non tutti i Caruso residenti palermitani, dopo questo primo inserimento
stabile, furono tuttavia originari di Noto. Risiedettero infatti a Palermo: lo
storico Giovambattista e i congiunti (il padre Placido fu senatore a Palermo
nel 1650-51); Giuseppe Caruso (m. 1706 a Palermo), figlio e prosecutore del
citato Carlo.
È ricordato inoltre un poeta Giuseppe, attivo nella metà del ’600, che
nel 1651 pubblicò “La Nisa di Oreto, ovvero l’odio placato, egloga”, il cui
ramo per via del nome sembrerebbe quello cammaratese.
§ 5. In Sicilia orientale le cronache quattrocentesche ricordano un
Pietro Caruso coinvolto in primo piano nella tragica vicenda di Aldonza
Santapau (figlia del barone di Licodia e moglie del barone di Militello), una
storia che rammenta molto quella di Paolo e Francesca, in cui i protagonisti
rimasero similmente uccisi. Un omonimo Pietro Caruso ebbe nel 1592 il feudo di
Nicchiara (vicino a Grammichele).
Tra i Caruso di Castronovo di Sicilia vi furono due caduti nella Grande
Guerra: Bernardo di Calogero e Giuseppe fu Giovanni.