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martedì 4 giugno 2024

LA RADICE BENSONIANA DI “1984” DI ORWELL

di DANILO CARUSO
 
In passato ho dedicato una mia monografia al romanzo di Robert Hugh Benson (1871-1914) intitolato “Lord of the world” (1907), un’opera che valuto molto apprezzabile: ebbi, nel mio lavoro critico1, modo di spiegare il mio approccio considerante utopia ciò che per il comunque distinto scrittore ecclesiastico cattolico inglese rappresentava una prospettiva distopica. Qui analizzerò un altro romanzo bensoniano il quale a quello citato è legato lungo il canale creativo dell’autore inglese. Si tratta di “The dawn of all” (1911), un successivo testo stavolta costruito nella forma utopica, secondo l’intenzione creatrice e l’ottica di pensiero appartenenti a Monsignor Benson. Mi è d’uopo premettere che l’insieme concettuale bensoniano al mio sguardo assume segno opposto: vale a dire che se quel mondo auspicato da lui, al suo cospetto, possiede cornice utopica, al mio rappresenta una distopia. L’autore inglese valuta la religione un aspetto dell’esistenza umana il quale non può essere giudicato uno tra, accanto a, gli altri, bensì l’aspetto di fondo sopra cui ciascun altro si proietta. La religione, per lui, possiede una qualità regolante generale: qualsiasi cosa deve essere misurata con quella, dal momento che essa sarebbe la cosa più importante nella vita. Benson non concepisce nessun altro sistema educativo se non quello cattolico inglobante tutto. Egli fa la sua scelta generale: «O la Chiesa cattolica o nulla». Ciò lo spinge in una rigida (nevrotica) posizione di chiusura. La Rivelazione divina costituisce il fulcro del mondo, la scienza rappresenta una sua ancella, la quale deve adeguarsi e limitarsi di fronte alla prima. Il sogno bensoniano – confessato da lui medesimo – è un ritorno al Medioevo europeo cattolico allargato all’intero pianeta. L’aspirazione a tale reazionaria formula teocratica mi concede l’occasione di rievocare ad hoc un’altra mia monografia dedicata all’orwelliano capolavoro “1984”, pubblicazione la mia dove ho spiegato la totalitaria Oceania sulla base dell’acuta valutazione di Simone Weil per cui la Chiesa cattolica è stata la madre e il modello storico di totalitarismi a essa posteriori2. In “The dawn of all” possiamo contemplare il Medioevo venturo bensoniano, il quale riecheggia i contenuti del Cattolicesimo medievale e rinascimentale totalitario evidenziato nella testé menzionata mia opera di studio. La Chiesa bensoniana del 1973 deve fare i conti con marxisti e laburisti. La storia postilluministica ha obbligato a misurarsi con movimenti e cambiamenti culturali nuovi nati proprio in una maggiore libertà dalla pervasività condizionatrice e inglobante nel suo seno cristiana. Nell’“utopia” dell’autore inglese il socialismo viene sconfitto, al pari di tutti gli altri terribili avversari. Tuttavia gli si riconoscono dei meriti ideali, mal messi in pratica (nel futuro narrativo), quali l’attenzione all’insieme sociale e l’anticapitalismo. Lo Stato socialista immaginato da Benson possiede la pecca di trascurare l’individuo in quanto tale e le minoranze a vantaggio della maggioranza. Valorizza per lo scrittore inglese in modo appropriato il sentimento dell’obbedienza, e nutre un astratto ideale di amore universale uguale a quello del Cristianesimo. Benson rifiuta comunque i metodi di attuazione del socialismo e i suoi divergenti postulati teorici. Nel mio saggio sopra ricordato su “1984” ho accostato in merito a quell’analisi francescani e marxisti. Voglio rammentare simile cosa per via dell’analogia formale con i ragionamenti dell’autore inglese. Monsignor Benson in “The dawn of all” ha, a mio avviso, davvero immaginato l’anticamera prossima di Oceania nella guisa in cui l’ho inquadrata io nella mia monografia orwelliana. Lo scrittore inglese nella sua “utopia” pensa ancora di poter condannare eretici tramite l’Inquisizione, affidando la somministrazione della pena, secondo il vecchio stile, all’esecutore pubblico. Il suo Cattolicesimo dovrebbe persino correggere le inclinazioni giudicate degenerate dell’arte moderna realistica in direzione di un valutato migliore ideale simbolismo cattolico di radice medievale. Un siffatto discorso, mi fa pensare ai ragionamenti nazisti durante il Terzo Reich a proposito dell’arte non gradita. L’esperienza storica di regime statale, negli anni successivi alla pubblicazione di “The dawn of all”, che mi sembra più vicina all’“utopia” bensoniana mi appare quella franchista, la quale definì se stessa una “democrazia organica e cattolica”. Benson si rivela un estimatore delle rappresentanze organiche all’interno dell’istituzione parlamentare. La cattolicissima Spagna del generale Franco ebbe le Cortes, si dice mutuate dal corporativismo fascista (in Italia durante il regime mussoliniano ci fu la Camera dei fasci e delle corporazioni). Ma a me sembra che il franchismo fosse di formazione mentale più bensoniana e cattolico-medievale che altro. Lo scrittore inglese si mostra avversario della rappresentanza popolare indifferenziata, il corporativismo a suo giudizio garantirebbe equità rappresentativa. La scuola e la famiglia formano i cittadini. Ciò è chiaro anche a Benson. Egli vorrebbe infatti tutto il sistema educativo in mano cattolica. Le sue descrizioni di questo “utopico” 1973, in cui l’intellighenzia risulta composta di religiosi cattolici, sanno, obiettivamente, di Brave New World cattolico3. V’è appunto una categoria α dove si trova «il sacerdote di Dio quale Suo rappresentante e agente sulla terra», e quindi a scendere gli altri (monarchi e familiari, nobili, etc.). Se leggiamo con la dovuta attenzione le riflessioni politiche bensoniane ci rendiamo conto di quale sia la natura del Cattolicesimo ancora a inizio del Novecento: un progetto politico-religioso (elaborato nell’Antichità) e non una dottrina religiosa morale. Il fine del Cristianesimo cattolico – e l’autore inglese ce lo indica senza girarci attorno – si rivela quello di invadere e assorbire lo spazio pubblico della politica, allo scopo di creare un sinolo purtroppo illiberale e inaccettabile. L’“utopia” di “The dawn of all” costituisce de facto una terribile e preoccupante distopia, quella che io ho altrove esaminato e descritto nel mio saggio intitolato “Il Medioevo futuro di George Orwell”. La pericolosità del sogno (o dell’incubo) reazionario bensoniano si può cogliere nelle sue definizioni dei termini-concetti 1) Chiesa, 2) Papa, 3) sacerdote.
1) «Il Regno di Cristo […] una Società Sovranazionale cui le nazioni della terra guardavano in funzione di guida».
2) «Il Signore di tutti [i potenti]», «il Padre di Principi e Re».
3) «Il sacerdote di Dio quale Suo rappresentante e agente sulla terra» (inoltre: «è il prete che manda avanti ogni cosa»).
Monsignor Benson celebra siffatto suo inquietante 1973 così: «Un’autorevole Chiesa sovranazionale, con sanzioni soprannaturali, pareva assunta come assioma di pensiero, non soltanto da questi cattolici, ma da tutto il mondo, del pari cristiano e non cristiano». L’Oceania cattolica è confezionata. A detta dello scrittore inglese una cosa del genere sarebbe un «regno delle fate [fairyland]» dove Roma diviene «the City of God». Abbiamo davanti un mondo preoccupato dello «spettro [phantom] del pensiero indipendente»4 e condannato a vivere nell’inquietudine dacché «sino al momento in cui c'è Peccato nel mondo, così lungamente deve esserci Penitenza». Monsignor Benson reputa lecita e ammissibile «una stretta delle misure repressive contro gli infedeli [the infidels] ovunque ». Il suo “utopico” 1973 consente la possibilità di pena capitale a danno degli eretici. Interessante nel testo l’espressione del contrasto dialettico interno fra fides et ratio. L’autore inglese si rende conto che una mentalità ordinaria (e aggiungerei io, più sana) si troverebbe a disagio di fronte a una teocrazia globalista (che fa del Papa un arbitro internazionale) la cui prassi persegue modalità non così schiettamente amorevoli. In un primo tempo ci dice che ciò apparirebbe in conflitto con l’insegnamento cristiano evangelico, e ciò dunque esige una soluzione di conciliazione tra fides et ratio nel momento in cui l’ultima pone tale dilemmi. La sua risposta alla quaestio si mostra sconcertante, giacché lega suddetti due poli alla luce di una nevrosi religiosa (la quale era la sua). Prende atto nella sua argomentazione che «per qualche abominevole artificio, sembrava ciò, questi individui erano forzati non soltanto nelle questioni esteriori a conformarsi alla Società la quale avevano contribuito a costituire, ma anche interiormente; effettivamente erano stati tiranneggiati nelle loro coscienze e nei loro giudizi, e amavano le loro catene. […] Gli uomini non vivevano più le lo proprie vite libere e indipendenti». Perché allora questo mondo illiberale? Perché è conforme alle esigenze di una fides la quale lo scrittore inglese giudica superiore alla ratio, a qualsiasi ragionamento, a qualsiasi diversa sensibilità. La nevrosi bensoniana, che avevo già indicato nel mio pregresso saggio, opera la saldatura di fede e ragione, subordinando questa al condizionamento, alla tirannia patologica della prima. In virtù di un tal motivo, il quale sottomette la ragionevolezza, rende in maniera categorica legittime azioni illecite: «I socialisti dovevano essere “repressi” [were to be “repressed”». E chi aveva nutrito dubbi della ratio doveva senza eccezione tacere poiché «l’eretico doveva essere processato [tried] nell’interesse della sua vita [for his life]». Non si può contestare «questa Chiesa che […] aveva alla fine posato le sue mani sopra lo scettro […]; questa Chiesa che, dopo duemila anni di sofferenza, aveva in ultimo messo i suoi nemici sotto i propri piedi, “represso” l'infedele e ucciso l'eretico [had at last put her enemies under her feet – “repressed” the infidel and killed the heretic». Il calcolo nevrotico bensoniano ci pone nel romanzo davanti ad assurdità che non possono essere accolte a cuor leggero. V’è un religioso condannato a morte, qui, dall’Inquisizione per questioni eminentemente di aria fritta ecclesiastica e teologica, il quale è più deviato dell’apparato che gli ha inflitto la pena. Costui, reputandosi più cattolico osservante in omnibus di chi non ha scrupoli a mandarlo a morte, accoglie la pena con serenità giacché questa sarebbe essenziale al sistema (il ritenuto errore va sempre e comunque rimosso e punito, a suo dire). Come fosse Diotima con Socrate, munito di spirito masochista, spiega a Monsignor Masterman, protagonista del romanzo, che è il suo interlocutore a farsi condizionare dall’emotività e che la pena capitale va accolta (con spirito di follia cristiana, parente in questa circostanza della vocazione al suicidio stoico). Benson mette a tacere la flebile voce del buonsenso che sussurra, e ci dice che il Cristianesimo cattolico non subisce un obbligo morale di intervenire in questa richiesta di morte, perché, tutto sommato, va bene così, in quanto la pena capitale non risulta in conflitto con gli insegnamenti cristiani (è stato infatti Papa Francesco soltanto nel 2018 a rimuovere l’affermazione di liceità della pena di morte dal Catechismo ufficiale della Chiesa). Si rende evidente a tutti che il nodo del problema è, sia nella realtà storica che nella finzione letteraria bensoniana, derivante dalle sentenze ecclesiastiche e non dagli atti pubblici. Per qual motivo Benson non propone di abolire l’Inquisizione? Al posto di dare la colpa al potere pubblico subordinato alla religione… Le lamentele di Monsignor Masterman sono sacrosante, sembra che stia parlando Winston Smith: «Cosa ne è della scienza e della scoperta sotto un sistema come questo? Cosa ne è della libertà – del diritto di pensare con la propria testa». Purtroppo non c’è niente da fare in questo Brave New World cattolico andato al di là della sana Ragione. La nevrosi domina senza scampo questo 1973 privo di moderazione effettiva e adeguata: «Appena un Paese è con convinzione cattolico – appena, vale a dire, la sua civiltà si appoggia sopra il Cattolicesimo e null'altro, quel Paese ha un perfetto diritto di proteggersi usando la pena di morte contro quelli minaccianti la sua stessa esistenza quale comunità civilizzata [As soon as a country is convincedly Catholic – as soon, that is to say, as her civilization rests upon Catholicism and nothing else, that country has a perfect right to protect herself by the death penalty against those who menace her very existence as a civilized community]». Lo Stato teocratico bensoniano appare un sadico Regno della Morte, con Tribunali di Morte, con una religione tanatolatrica; dove, per giunta, compare un esaltato masochista suicida. Un cerchio dell’orrore si chiude. Nel finale del mio saggio su “1984” ho illustrato la guisa in cui nel vecchio Cristianesimo sia valso un principio orwelliano per cui L’AMORE È ODIO. L’autore inglese conferma appieno: odio verso gli altri diversi e verso sé stessi, al punto di uccidere e uccidersi, in un delirio religioso irrazionale, il quale connota le istanze ultime della posizione bensoniana. Il romanzo esaminato tocca una punta di grottesco allorché giunge a compimento la sentenza capitale. Questa è stata emessa da un ente religioso che l’ha trasmessa al Vaticano per la ratifica che avviene, l’esecutore pubblico ne prende atto contestualmente a una successiva richiesta papale di annullamento, questa viene rifiutata e l’imputato va a morte. Un iter tragico degenerato nel grottesco: cattolica la condanna, cattolica la ratifica, cattolica la richiesta posteriore di deroga. Come si può scaricare la responsabilità di un’esecuzione capitale nella maniera in cui pretende Benson sulla sfera pubblica, assolvendo quella religiosa, si mostra sul serio un mistero della fede. Tutto parte dalla Chiesa mandante di omicidio, la quale si attorciglia in un assurdo contrasto di azioni, e poi la colpa appartiene a qualcun altro… Basterebbe sopprimere il tribunale per gli eretici, o, quanto meno, non emettere più condanne a morte… Tuttavia simile elementare e semplice riflessione non può mettere radici con facilità nella teocrazia bensoniana, la quale, da quanto osservato, non può separarsi dall’Inquisizione. In siffatto “utopico” 1973 Cristo rappresenta allo sguardo dell’autore inglese «uno ai cui piedi tutto il mondo strisciava [crept] in silenzio, il quale parlava ordinariamente e normalmente attraverso il Suo Vicario sulla terra […]; al cui modello tutto dev’essere conformato». Compaiono non pochi elementi in “The dawn of all” i quali offrono spunti di tangenza orwelliana in direzione di “1984”: non ultimo un simile Gesù in veste e funzione di Big Brother. Quanto aggiungerò di seguito in questa lista di analogie fra Oceania e la teocrazia bensoniana mi ha convinto alla fine a formulare l’aperta ipotesi che George Orwell nell’ideazione del suo celeberrimo citato romanzo abbia preso le mosse e l’ispirazione proprio dal testo di Monsignor Benson che sto qui analizzando. Nell’“utopico” mondo bensoniano l’Irlanda si è tramutata in un principato monastico, sede di strutture ospedaliere destinate al trattamento di giudicati malati psichici. Secondo il mio punto di vista, la “cella” del sanatorio religioso dove Monsignor Masterman viene ospitato costituisce il modello della orwelliana “camera 101” e il religioso che si prende cura di lui rappresenta il modello di O’Brien, allorché quest’ultimo interroga e tortura Winston, in relazione a cui ho già sottolineato le somiglianze col personaggio bensoniano di Masterman riguardo ai dubbi sul sistema di potere dominante. Tali due protagonisti possiedono la medesima impronta mentale, entrambi sono da correggere e ricollocare sul binario (distopico) stabilito dall’organismo controllore e dirigente. Un amletico dilemma logora Monsignor Masterman, indeciso se scegliere la spinta liberale della sua anima oppure se «accettare questa tremenda rivendicazione di autorità di controllare pure i pensieri del cuore», «sottomettersi a questo Cristo coronato e fornito di scettro» giacché «ciò voleva dire sollievo e sanità di mente». Il protagonista bensoniano «iniziò a essere dubbioso di quale fosse la cosa più alta, pure di quale fosse la direzione tollerabile – affondare la sua individualità, alzare le mani e affogare, o sostenere quell'individualità in forma aperta e provocante, e subirne le conseguenze». Sia Winston che lui vivono un conflitto interiore e uno col sistema al governo della società nei quali i parallelismi non mi sembrano accidentali. Il doublethink orwelliano compare nella mente di Monsignor Masterman, il quale aveva «l’impressione che non c'era più alcuna scappatoia dal Cristianesimo, il quale aveva dominato il mondo e che era odioso e tirannico nella sua intima essenza. Egli ammise che la logica era contro di lui, che una società per intero cristiana doveva proteggere se stessa, che non vedeva nessuna maniera di evitare le conseguenze che aveva visto; e tuttora che tutto il suo intero senso morale si rivoltava contro gli argomenti della sua intelligenza. […] Risultava mancante, diceva, esattamente quanto era più caratteristico del Cristianesimo, precisamente ciò che lo faceva diventare divino – una pazienza celeste e la buona disposizione a soffrire. La croce era stata lasciata cadere dalla Chiesa, diceva, e portata sulle spalle dal mondo [The sense that there was no longer any escape from Christianity, that it had dominated the world, and that it was hateful and tyrannical in its very essence. He confessed that logic was against him, that a wholly Christian society must protect itself, that he saw no way of evading the consequences that he had witnessed; and yet that his entire moral sense revolted against the arguments of his head. (…) There was wanting, he said, exactly that which was most characteristic of Christianity, exactly that which made it divine – a heavenly patience and readiness to suffer. The cross had been dropped by the Church, he said, and shouldered by the world]». In questo brano possiamo rilevare il modo in cui una ratio nevrotizzante spinge alla volta dell’accettazione di tesi in conflitto con antitesi valide: ciò che non è bene e ciò che non è vero possono in guisa irrazionale essere validati e divenire pertanto verità e bontà. Basta solo formulare nevrotici ragionamenti, assurdi, poggianti su patologici postulati. Mi pare di ascoltare O’Brien (che Orwell definisce «inquisitore» contornato da un’“aura sacerdotale” mentre infieriva su Winston5) quando il curatore religioso ribadisce a Monsignor Masterman che farsi prendere dalle emozioni non è roba da “uomini”. Il processo di riallineamento ha sortito i suoi effetti su quest’ultimo: «il suo soggiorno a Thurles, acquietando il suo sistema nervoso, rese possibile per lui la scelta di seguire la sua ragione [reason] anziché i suoi sentimenti [feelings]», consentendogli (in modo orwelliano) di compiere «il dovere alla cui direzione la sua ragione indicava». Il sogno teocratico cattolico mi sembra solidamente faccia approdare Benson al doublethink orwelliano. L’ultima parte del romanzo fuga le mie residuali esitazioni di rito in un simile giudizio. A mio avviso “The dawn of all” presta molto del suo mondo totalitario alla creazione di Oceania. A sostegno di questa mia tesi invito a leggere la mia citata monografia “Il Medioevo futuro di George Orwell” al fine di recuperare tutti i ponti tra la sponda bensoniana e quella orwelliana. L’autore inglese più remoto dei due rammenta con forza che «è compito della Chiesa guidare il mondo [it is the function of the Church to guide the world]», tuttavia nel contesto di una pervasività orwelliana Monsignor Benson proclama che la Chiesa lascia liberi: il che costituisce un argomento in perfetto stile oceaniano, dove un tema può convivere assieme all’affermazione del suo contrario a dispetto del principio di non contraddizione. Ecco rilevato il doublethink orwelliano in più tratti del romanzo bensoniano, e non momentanee accidentalità dell’incartarsi logico normale. Benson opera dunque un salto al di là del pensiero razionale filosofico, entra in un universo di elaborazione dogmatico, in modo strutturale illogico e contraddittorio, masochista e kafkiano. Qua 2+2 può fare 3, 4 o 5 a seconda delle esigenze. Quindi, nonostante la Chiesa qui entri pure nel midollo di ciascuno a condizionarne l’esistenza, la Chiesa lascia la libertà all’umanità: la sfera spirituale religiosa assorbe quella mondana laica e la plasma, ma la società rimane autonoma nel suo cammino terreno. Sentenze ecclesiastiche causano morte, però la responsabilità viene attribuita all’esecutore pubblico. Tutti questi ragionamenti, contorti davanti a una mente equilibrata, rappresentano esempi di puro doublethink. Il segmento finale del romanzo ricapitola i punti ideologici bensoniani cattolici disseminati nell’arco dell’intera narrazione. La “favola” si chiude col trionfo del Cattolicesimo, un trionfo però avvolto da un’atmosfera orwelliana, la quale avvolge tutto il testo. Simile cornice distopica, la quale adesso approfondirò ulteriormente, reputo possa essere stata una fonte di ispirazione non solo nei confronti di “1984”. In “The dawn of all” compare il concetto di una terra d’esilio, di qualcosa che è molto simile nella forma alla “riserva” huxleyana di “Brave New World”. Non mi stupirei che da una tale giudecca socialista in Massachusetts Aldous Huxley possa a sua volta aver tratto suggestione creativa: tanto ampio si rivela il mare distopico bensoniano dell’opera in esame. L’alto tenore orwelliano della conclusione di “The dawn of all” torna con accresciuto vigore allorché è il Papa in persona a recarsi dai rivoltosi anticlericali, ottenendo il rientro della situazione all’ordine (cattolico). Il Papa è andato a offrire la possibilità ai socialisti di accettare il primato del globalismo cattolico in forma incruenta. Se costoro non accetteranno la proposta sarà adoperato un sistema armato a loro danno. Le parole di Sua Santità disorientano davanti all’accettazione dell’uso della forza6. Quelle altre sue le quali vengono poco dopo a me ricordano O’Brien torturatore di Winston. Il Papa spiega che potrebbero tranquillamente uccidere lui e qualche monarca di turno, ma che ciò risulterebbe inefficace dacché «la religione cristiana sta ormai governando questo mondo». Non importano le persone, sostituibili, quel che conta è la salda tenuta dell’organismo dominante: e qua c’è O’Brien7. La teocrazia bensoniana inoltre sottintende i ministeri della verità e dell’amore di “1984”: formazione mentale del singolo e mantenimento (altresì violento) dell’ordine costituiscono temi, come abbiamo ben visto, molto cari a Monsignor Benson, uno disvelatosi teorico del doublethink. Di essi, nella chiusa del testo bensoniano analizzato (contemplante questo Papa Deus ex machina conciliante Big Brother) possiamo apprezzare la ciliegina sulla torta. In precedenza abbiamo potuto vedere le considerazioni di Benson a proposito di pena di morte, di giustizia secolare pubblica di casi religiosi sanzionati dall’Inquisizione cattolica, e delle teoriche difficoltà della Chiesa nell’intromettersi nella gestione statale. Alla fine del romanzo si afferma che il Santo Padre rappresenta uno in relazione a cui «nessuna nazione d’Europa poteva varare una legge a riguardo della quale egli non detenesse un diritto di veto; nessun monarca rivendicava di tenere la sua corona all’infuori delle mani di quest’uomo. E l'Oriente – persino l'Oriente pagano – aveva in ultimo imparato che il Vicario di Cristo era l’Amico della Pace e del Progresso». Quindi in quell’oceano cattolico avrebbe potuto abolire la punizione capitale; e non l’ha fatto prima, ma adesso. Sconfitti i socialisti si presenta in conclusione come uno che «aveva abolito la pena di morte per le idee sovversive della società o della fede, sostituendo al suo posto la deportazione verso le nuove colonie americane». Allora si poteva abrogare il sistema della pena di morte, in qualsiasi momento; ma, d’altro canto, e Benson ce lo ha illustrato con sottigliezza concettuale, non si poteva abolire. L’incoerenza mostra la presenza del doublethink, infatti monsignor Masterman al termine recupera la sua “sanità (cattolica)” giacché possessore di una «intelligenza che si era allontanata dalla logica meramente ragionata [brain which shrank from merely argued logic]». Ogni lacerante dubbio del protagonista finisce cestinato, tutti i grilli parlanti della Ragione sono stati schiacciati a vantaggio di un patologico orizzonte pascaliano. V’è nel romanzo un piccolissimo brano il quale raffigura una parafrasi di Pascal: «[Monsignor Masterman] aveva constatato che l’intelligenza e l’immaginazione non costituiscono tutto; che l’uomo ha pure un cuore; e che questo ha le sue esigenze non meno inesorabili di quelle dell’intelletto [he had found that the head and the imagination are not all; that man has a heart as well; and that this has its demands no less inexorable that those of intellect]». Monsignor Benson ha recuperato le pascaliane “ragioni del cuore”, ossia una grave forma psicopatologica8. Curioso notare, agli occhi di chi non pratica il doublethink, come, nel criticare i socialisti, Monsignor Benson reclami «un uomo con sentimenti, emozioni e una sua propria individualità [a man with feelings and emotions and an individuality of his own]», cioè con attributi che altrove erano stati visti di mal occhio (autonomia morale e comportarsi da donna). Ma egli ha caricato ormai questi termini (sentimento, emozione, individualità) di una valenza religiosa pascaliana rielaborante pure il campo semantico delle parole nella logica del doublethink (siamo al cospetto di un embrionale velato incipiente abbozzo di newspeak orwelliano).
 
 
NOTE
 
Questo testo è un estratto del mio saggio intitolato “Da Robert Hugh Benson a George Orwell”
 
1 L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017).
 
2 Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
 
3 Ho scritto un saggio sul noto romanzo huxleyano: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
4 «Ein Gespenst geht um in Europa – das Gespenst des Kommunismus», Manifest der Kommunistischen Partei (Karl Marx – Friedrich Engels).
 
5 Vedasi a pag. 17 della mia monografia orwelliana, al terzo capoverso.
 
6 Per approfondire l’argomento indico un mio studio: Un inquietante brano neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo nudismo nella mia pubblicazione Radici occidentali (2021).
 
7 Si veda nel mio saggio orwelliano menzionato a pag.19.
 
8 Al fine di un approfondimento di tale mio personale giudizio critico invito a leggere un mio lavoro: Pascal e le ragioni del cuore contenuto nella mia opera Letture critiche (2019).