di DANILO CARUSO
In passato ho dedicato una mia
monografia al romanzo di Robert Hugh Benson (1871-1914) intitolato “Lord of the
world” (1907), un’opera che valuto molto apprezzabile: ebbi, nel mio lavoro
critico1, modo di spiegare il mio approccio considerante utopia ciò
che per il comunque distinto scrittore ecclesiastico cattolico inglese
rappresentava una prospettiva distopica. Qui analizzerò un altro romanzo
bensoniano il quale a quello citato è legato lungo il canale creativo
dell’autore inglese. Si tratta di “The dawn of all” (1911), un successivo testo
stavolta costruito nella forma utopica, secondo l’intenzione creatrice e
l’ottica di pensiero appartenenti a Monsignor Benson. Mi è d’uopo premettere
che l’insieme concettuale bensoniano al mio sguardo assume segno opposto: vale
a dire che se quel mondo auspicato da lui, al suo cospetto, possiede cornice
utopica, al mio rappresenta una distopia. L’autore inglese valuta la religione
un aspetto dell’esistenza umana il quale non può essere giudicato uno tra,
accanto a, gli altri, bensì l’aspetto di fondo sopra cui ciascun altro si
proietta. La religione, per lui, possiede una qualità regolante generale:
qualsiasi cosa deve essere misurata con quella, dal momento che essa sarebbe la
cosa più importante nella vita. Benson non concepisce nessun altro sistema
educativo se non quello cattolico inglobante tutto. Egli fa la sua scelta
generale: «O la Chiesa cattolica o nulla». Ciò lo spinge in una rigida
(nevrotica) posizione di chiusura. La Rivelazione divina costituisce il fulcro
del mondo, la scienza rappresenta una sua ancella, la quale deve adeguarsi e
limitarsi di fronte alla prima. Il sogno bensoniano – confessato da lui
medesimo – è un ritorno al Medioevo europeo cattolico allargato all’intero
pianeta. L’aspirazione a tale reazionaria formula teocratica mi concede
l’occasione di rievocare ad hoc un’altra mia monografia dedicata all’orwelliano
capolavoro “1984”, pubblicazione la mia dove ho spiegato la totalitaria Oceania
sulla base dell’acuta valutazione di Simone Weil per cui la Chiesa cattolica è
stata la madre e il modello storico di totalitarismi a essa posteriori2.
In “The dawn of all” possiamo contemplare il Medioevo venturo bensoniano, il
quale riecheggia i contenuti del Cattolicesimo medievale e rinascimentale
totalitario evidenziato nella testé menzionata mia opera di studio. La Chiesa
bensoniana del 1973 deve fare i conti con marxisti e laburisti. La storia
postilluministica ha obbligato a misurarsi con movimenti e cambiamenti
culturali nuovi nati proprio in una maggiore libertà dalla pervasività
condizionatrice e inglobante nel suo seno cristiana. Nell’“utopia” dell’autore
inglese il socialismo viene sconfitto, al pari di tutti gli altri terribili avversari.
Tuttavia gli si riconoscono dei meriti ideali, mal messi in pratica (nel futuro
narrativo), quali l’attenzione all’insieme sociale e l’anticapitalismo. Lo
Stato socialista immaginato da Benson possiede la pecca di trascurare
l’individuo in quanto tale e le minoranze a vantaggio della maggioranza.
Valorizza per lo scrittore inglese in modo appropriato il sentimento
dell’obbedienza, e nutre un astratto ideale di amore universale uguale a quello
del Cristianesimo. Benson rifiuta comunque i metodi di attuazione del
socialismo e i suoi divergenti postulati teorici. Nel mio saggio sopra
ricordato su “1984” ho accostato in merito a quell’analisi francescani e
marxisti. Voglio rammentare simile cosa per via dell’analogia formale con i
ragionamenti dell’autore inglese. Monsignor Benson in “The dawn of all” ha, a
mio avviso, davvero immaginato l’anticamera prossima di Oceania nella guisa in
cui l’ho inquadrata io nella mia monografia orwelliana. Lo scrittore inglese
nella sua “utopia” pensa ancora di poter condannare eretici tramite
l’Inquisizione, affidando la somministrazione della pena, secondo il vecchio
stile, all’esecutore pubblico. Il suo Cattolicesimo dovrebbe persino correggere
le inclinazioni giudicate degenerate dell’arte moderna realistica in direzione
di un valutato migliore ideale simbolismo cattolico di radice medievale. Un
siffatto discorso, mi fa pensare ai ragionamenti nazisti durante il Terzo Reich
a proposito dell’arte non gradita. L’esperienza storica di regime statale,
negli anni successivi alla pubblicazione di “The dawn of all”, che mi sembra
più vicina all’“utopia” bensoniana mi appare quella franchista, la quale definì
se stessa una “democrazia organica e cattolica”. Benson si rivela un estimatore
delle rappresentanze organiche all’interno dell’istituzione parlamentare. La
cattolicissima Spagna del generale Franco ebbe le Cortes, si dice mutuate dal
corporativismo fascista (in Italia durante il regime mussoliniano ci fu la Camera
dei fasci e delle corporazioni). Ma a me sembra che il franchismo fosse di
formazione mentale più bensoniana e cattolico-medievale che altro. Lo scrittore
inglese si mostra avversario della rappresentanza popolare indifferenziata, il
corporativismo a suo giudizio garantirebbe equità rappresentativa. La scuola e
la famiglia formano i cittadini. Ciò è chiaro anche a Benson. Egli vorrebbe
infatti tutto il sistema educativo in mano cattolica. Le sue descrizioni di
questo “utopico” 1973, in cui l’intellighenzia risulta composta di religiosi
cattolici, sanno, obiettivamente, di Brave New World cattolico3. V’è
appunto una categoria α dove si trova «il sacerdote di Dio quale Suo
rappresentante e agente sulla terra», e quindi a scendere gli altri (monarchi e
familiari, nobili, etc.). Se leggiamo con la dovuta attenzione le riflessioni
politiche bensoniane ci rendiamo conto di quale sia la natura del Cattolicesimo
ancora a inizio del Novecento: un progetto politico-religioso (elaborato
nell’Antichità) e non una dottrina religiosa morale. Il fine del Cristianesimo
cattolico – e l’autore inglese ce lo indica senza girarci attorno – si rivela quello
di invadere e assorbire lo spazio pubblico della politica, allo scopo di creare
un sinolo purtroppo illiberale e inaccettabile. L’“utopia” di “The dawn of all”
costituisce de facto una terribile e preoccupante distopia, quella che io ho
altrove esaminato e descritto nel mio saggio intitolato “Il Medioevo futuro di
George Orwell”. La pericolosità del sogno (o dell’incubo) reazionario
bensoniano si può cogliere nelle sue definizioni dei termini-concetti 1)
Chiesa, 2) Papa, 3) sacerdote.
1) «Il Regno di Cristo […] una Società
Sovranazionale cui le nazioni della terra guardavano in funzione di guida».
2) «Il Signore di tutti [i potenti]», «il
Padre di Principi e Re».
3) «Il sacerdote di Dio quale Suo
rappresentante e agente sulla terra» (inoltre: «è il prete che manda avanti
ogni cosa»).
Monsignor Benson celebra siffatto suo
inquietante 1973 così: «Un’autorevole Chiesa sovranazionale, con sanzioni
soprannaturali, pareva assunta come assioma di pensiero, non soltanto da questi
cattolici, ma da tutto il mondo, del pari cristiano e non cristiano». L’Oceania
cattolica è confezionata. A detta dello scrittore inglese una cosa del genere
sarebbe un «regno delle fate [fairyland]» dove Roma diviene «the City of God».
Abbiamo davanti un mondo preoccupato dello «spettro [phantom] del pensiero
indipendente»4 e condannato a vivere nell’inquietudine dacché «sino
al momento in cui c'è Peccato nel mondo, così lungamente deve esserci Penitenza».
Monsignor Benson reputa lecita e ammissibile «una stretta delle misure
repressive contro gli infedeli [the infidels] ovunque ». Il suo “utopico” 1973
consente la possibilità di pena capitale a danno degli eretici. Interessante
nel testo l’espressione del contrasto dialettico interno fra fides et ratio. L’autore
inglese si rende conto che una mentalità ordinaria (e aggiungerei io, più sana)
si troverebbe a disagio di fronte a una teocrazia globalista (che fa del Papa
un arbitro internazionale) la cui prassi persegue modalità non così
schiettamente amorevoli. In un primo tempo ci dice che ciò apparirebbe in
conflitto con l’insegnamento cristiano evangelico, e ciò dunque esige una
soluzione di conciliazione tra fides et ratio nel momento in cui l’ultima pone
tale dilemmi. La sua risposta alla quaestio si mostra sconcertante, giacché
lega suddetti due poli alla luce di una nevrosi religiosa (la quale era la
sua). Prende atto nella sua argomentazione che «per qualche abominevole
artificio, sembrava ciò, questi individui erano forzati non soltanto nelle
questioni esteriori a conformarsi alla Società la quale avevano contribuito a
costituire, ma anche interiormente; effettivamente erano stati tiranneggiati
nelle loro coscienze e nei loro giudizi, e amavano le loro catene. […] Gli
uomini non vivevano più le lo proprie vite libere e indipendenti». Perché
allora questo mondo illiberale? Perché è conforme alle esigenze di una fides la
quale lo scrittore inglese giudica superiore alla ratio, a qualsiasi
ragionamento, a qualsiasi diversa sensibilità. La nevrosi bensoniana, che avevo
già indicato nel mio pregresso saggio, opera la saldatura di fede e ragione,
subordinando questa al condizionamento, alla tirannia patologica della prima.
In virtù di un tal motivo, il quale sottomette la ragionevolezza, rende in
maniera categorica legittime azioni illecite: «I socialisti dovevano essere
“repressi” [were to be “repressed”». E chi aveva nutrito dubbi della ratio
doveva senza eccezione tacere poiché «l’eretico doveva essere processato
[tried] nell’interesse della sua vita [for his life]». Non si può contestare «questa
Chiesa che […] aveva alla fine posato le sue mani sopra lo scettro […]; questa
Chiesa che, dopo duemila anni di sofferenza, aveva in ultimo messo i suoi
nemici sotto i propri piedi, “represso” l'infedele e ucciso l'eretico [had at
last put her enemies under her feet – “repressed” the infidel and killed the
heretic». Il calcolo nevrotico bensoniano ci pone nel romanzo davanti ad
assurdità che non possono essere accolte a cuor leggero. V’è un religioso
condannato a morte, qui, dall’Inquisizione per questioni eminentemente di aria
fritta ecclesiastica e teologica, il quale è più deviato dell’apparato che gli
ha inflitto la pena. Costui, reputandosi più cattolico osservante in omnibus di
chi non ha scrupoli a mandarlo a morte, accoglie la pena con serenità giacché
questa sarebbe essenziale al sistema (il ritenuto errore va sempre e comunque
rimosso e punito, a suo dire). Come fosse Diotima con Socrate, munito di
spirito masochista, spiega a Monsignor Masterman, protagonista del romanzo, che
è il suo interlocutore a farsi condizionare dall’emotività e che la pena
capitale va accolta (con spirito di follia cristiana, parente in questa
circostanza della vocazione al suicidio stoico). Benson mette a tacere la
flebile voce del buonsenso che sussurra, e ci dice che il Cristianesimo
cattolico non subisce un obbligo morale di intervenire in questa richiesta di
morte, perché, tutto sommato, va bene così, in quanto la pena capitale non risulta
in conflitto con gli insegnamenti cristiani (è stato infatti Papa Francesco
soltanto nel 2018 a rimuovere l’affermazione di liceità della pena di morte dal
Catechismo ufficiale della Chiesa). Si rende evidente a tutti che il nodo del
problema è, sia nella realtà storica che nella finzione letteraria bensoniana,
derivante dalle sentenze ecclesiastiche e non dagli atti pubblici. Per qual
motivo Benson non propone di abolire l’Inquisizione? Al posto di dare la colpa
al potere pubblico subordinato alla religione… Le lamentele di Monsignor
Masterman sono sacrosante, sembra che stia parlando Winston Smith: «Cosa ne è
della scienza e della scoperta sotto un sistema come questo? Cosa ne è della
libertà – del diritto di pensare con la propria testa». Purtroppo non c’è
niente da fare in questo Brave New World cattolico andato al di là della sana
Ragione. La nevrosi domina senza scampo questo 1973 privo di moderazione
effettiva e adeguata: «Appena un Paese è con convinzione cattolico – appena,
vale a dire, la sua civiltà si appoggia sopra il Cattolicesimo e null'altro, quel Paese ha un perfetto
diritto di proteggersi usando la pena di morte contro quelli minaccianti la sua
stessa esistenza quale comunità civilizzata [As soon as a country is
convincedly Catholic – as soon, that is to say, as her civilization rests upon
Catholicism and nothing else, that
country has a perfect right to protect herself by the death penalty against
those who menace her very existence as a civilized community]». Lo Stato
teocratico bensoniano appare un sadico Regno della Morte, con Tribunali di
Morte, con una religione tanatolatrica; dove, per giunta, compare un esaltato
masochista suicida. Un cerchio dell’orrore si chiude. Nel finale del mio saggio
su “1984” ho illustrato la guisa in cui nel vecchio Cristianesimo sia valso un
principio orwelliano per cui L’AMORE È ODIO. L’autore inglese conferma appieno:
odio verso gli altri diversi e verso sé stessi, al punto di uccidere e
uccidersi, in un delirio religioso irrazionale, il quale connota le istanze
ultime della posizione bensoniana. Il romanzo esaminato tocca una punta di
grottesco allorché giunge a compimento la sentenza capitale. Questa è stata
emessa da un ente religioso che l’ha trasmessa al Vaticano per la ratifica che
avviene, l’esecutore pubblico ne prende atto contestualmente a una successiva
richiesta papale di annullamento, questa viene rifiutata e l’imputato va a
morte. Un iter tragico degenerato nel grottesco: cattolica la condanna,
cattolica la ratifica, cattolica la richiesta posteriore di deroga. Come si può
scaricare la responsabilità di un’esecuzione capitale nella maniera in cui
pretende Benson sulla sfera pubblica, assolvendo quella religiosa, si mostra
sul serio un mistero della fede. Tutto parte dalla Chiesa mandante di omicidio,
la quale si attorciglia in un assurdo contrasto di azioni, e poi la colpa
appartiene a qualcun altro… Basterebbe sopprimere il tribunale per gli eretici,
o, quanto meno, non emettere più condanne a morte… Tuttavia simile elementare e
semplice riflessione non può mettere radici con facilità nella teocrazia
bensoniana, la quale, da quanto osservato, non può separarsi dall’Inquisizione.
In siffatto “utopico” 1973 Cristo rappresenta allo sguardo dell’autore inglese
«uno ai cui piedi tutto il mondo strisciava [crept] in silenzio, il quale
parlava ordinariamente e normalmente attraverso il Suo Vicario sulla terra […];
al cui modello tutto dev’essere conformato». Compaiono non pochi elementi in
“The dawn of all” i quali offrono spunti di tangenza orwelliana in direzione di
“1984”: non ultimo un simile Gesù in veste e funzione di Big Brother. Quanto
aggiungerò di seguito in questa lista di analogie fra Oceania e la teocrazia
bensoniana mi ha convinto alla fine a formulare l’aperta ipotesi che George
Orwell nell’ideazione del suo celeberrimo citato romanzo abbia preso le mosse e
l’ispirazione proprio dal testo di Monsignor Benson che sto qui analizzando.
Nell’“utopico” mondo bensoniano l’Irlanda si è tramutata in un principato
monastico, sede di strutture ospedaliere destinate al trattamento di giudicati
malati psichici. Secondo il mio punto di vista, la “cella” del sanatorio
religioso dove Monsignor Masterman viene ospitato costituisce il modello della
orwelliana “camera 101” e il religioso che si prende cura di lui rappresenta il
modello di O’Brien, allorché quest’ultimo interroga e tortura Winston, in
relazione a cui ho già sottolineato le somiglianze col personaggio bensoniano
di Masterman riguardo ai dubbi sul sistema di potere dominante. Tali due
protagonisti possiedono la medesima impronta mentale, entrambi sono da
correggere e ricollocare sul binario (distopico) stabilito dall’organismo
controllore e dirigente. Un amletico dilemma logora Monsignor Masterman,
indeciso se scegliere la spinta liberale della sua anima oppure se «accettare
questa tremenda rivendicazione di autorità di controllare pure i pensieri del
cuore», «sottomettersi a questo Cristo coronato e fornito di scettro» giacché «ciò
voleva dire sollievo e sanità di mente». Il protagonista bensoniano «iniziò a
essere dubbioso di quale fosse la cosa più alta, pure di quale fosse la
direzione tollerabile – affondare la sua individualità, alzare le mani e
affogare, o sostenere quell'individualità in forma aperta e provocante, e subirne
le conseguenze». Sia Winston che lui vivono un conflitto interiore e uno col
sistema al governo della società nei quali i parallelismi non mi sembrano
accidentali. Il doublethink orwelliano compare nella mente di Monsignor
Masterman, il quale aveva «l’impressione che non c'era più alcuna scappatoia
dal Cristianesimo, il quale aveva dominato il mondo e che era odioso e
tirannico nella sua intima essenza. Egli ammise che la logica era contro di
lui, che una società per intero cristiana doveva proteggere se stessa, che non
vedeva nessuna maniera di evitare le conseguenze che aveva visto; e tuttora che
tutto il suo intero senso morale si rivoltava contro gli argomenti della sua
intelligenza. […] Risultava mancante, diceva, esattamente quanto era più
caratteristico del Cristianesimo, precisamente ciò che lo faceva diventare divino
– una pazienza celeste e la buona disposizione a soffrire. La croce era stata
lasciata cadere dalla Chiesa, diceva, e portata sulle spalle dal mondo [The
sense that there was no longer any escape from Christianity, that it had
dominated the world, and that it was hateful and tyrannical in its very
essence. He confessed that logic was against him, that a wholly Christian
society must protect itself, that he saw no way of evading the consequences
that he had witnessed; and yet that his entire moral sense revolted against the
arguments of his head. (…) There was wanting, he said, exactly that which was
most characteristic of Christianity, exactly that which made it divine – a
heavenly patience and readiness to suffer. The cross had been dropped by the
Church, he said, and shouldered by the world]». In questo brano possiamo
rilevare il modo in cui una ratio nevrotizzante spinge alla volta
dell’accettazione di tesi in conflitto con antitesi valide: ciò che non è bene
e ciò che non è vero possono in guisa irrazionale essere validati e divenire
pertanto verità e bontà. Basta solo formulare nevrotici ragionamenti, assurdi,
poggianti su patologici postulati. Mi pare di ascoltare O’Brien (che Orwell
definisce «inquisitore» contornato da un’“aura sacerdotale” mentre infieriva su
Winston5) quando il curatore religioso ribadisce a Monsignor
Masterman che farsi prendere dalle emozioni non è roba da “uomini”. Il processo
di riallineamento ha sortito i suoi effetti su quest’ultimo: «il suo soggiorno
a Thurles, acquietando il suo sistema nervoso, rese possibile per lui la scelta
di seguire la sua ragione [reason] anziché i suoi sentimenti [feelings]»,
consentendogli (in modo orwelliano) di compiere «il dovere alla cui direzione
la sua ragione indicava». Il sogno teocratico cattolico mi sembra solidamente
faccia approdare Benson al doublethink orwelliano. L’ultima parte del romanzo
fuga le mie residuali esitazioni di rito in un simile giudizio. A mio avviso
“The dawn of all” presta molto del suo mondo totalitario alla creazione di
Oceania. A sostegno di questa mia tesi invito a leggere la mia citata
monografia “Il Medioevo futuro di George Orwell” al fine di recuperare tutti i ponti
tra la sponda bensoniana e quella orwelliana. L’autore inglese più remoto dei
due rammenta con forza che «è compito della Chiesa guidare il mondo [it is the
function of the Church to guide the world]», tuttavia nel contesto di una
pervasività orwelliana Monsignor Benson proclama che la Chiesa lascia liberi:
il che costituisce un argomento in perfetto stile oceaniano, dove un tema può
convivere assieme all’affermazione del suo contrario a dispetto del principio
di non contraddizione. Ecco rilevato il doublethink orwelliano in più tratti
del romanzo bensoniano, e non momentanee accidentalità dell’incartarsi logico
normale. Benson opera dunque un salto al di là del pensiero razionale
filosofico, entra in un universo di elaborazione dogmatico, in modo strutturale
illogico e contraddittorio, masochista e kafkiano. Qua 2+2 può fare 3, 4 o 5 a
seconda delle esigenze. Quindi, nonostante la Chiesa qui entri pure nel midollo
di ciascuno a condizionarne l’esistenza, la Chiesa lascia la libertà
all’umanità: la sfera spirituale religiosa assorbe quella mondana laica e la
plasma, ma la società rimane autonoma nel suo cammino terreno. Sentenze
ecclesiastiche causano morte, però la responsabilità viene attribuita
all’esecutore pubblico. Tutti questi ragionamenti, contorti davanti a una mente
equilibrata, rappresentano esempi di puro doublethink. Il segmento finale del
romanzo ricapitola i punti ideologici bensoniani cattolici disseminati
nell’arco dell’intera narrazione. La “favola” si chiude col trionfo del Cattolicesimo,
un trionfo però avvolto da un’atmosfera orwelliana, la quale avvolge tutto il
testo. Simile cornice distopica, la quale adesso approfondirò ulteriormente,
reputo possa essere stata una fonte di ispirazione non solo nei confronti di
“1984”. In “The dawn of all” compare il concetto di una terra d’esilio, di
qualcosa che è molto simile nella forma alla “riserva” huxleyana di “Brave New
World”. Non mi stupirei che da una tale giudecca socialista in Massachusetts
Aldous Huxley possa a sua volta aver tratto suggestione creativa: tanto ampio
si rivela il mare distopico bensoniano dell’opera in esame. L’alto tenore
orwelliano della conclusione di “The dawn of all” torna con accresciuto vigore
allorché è il Papa in persona a recarsi dai rivoltosi anticlericali, ottenendo
il rientro della situazione all’ordine (cattolico). Il Papa è andato a offrire
la possibilità ai socialisti di accettare il primato del globalismo cattolico
in forma incruenta. Se costoro non accetteranno la proposta sarà adoperato un
sistema armato a loro danno. Le parole di Sua Santità disorientano davanti
all’accettazione dell’uso della forza6. Quelle altre sue le quali
vengono poco dopo a me ricordano O’Brien torturatore di Winston. Il Papa spiega
che potrebbero tranquillamente uccidere lui e qualche monarca di turno, ma che
ciò risulterebbe inefficace dacché «la religione cristiana sta ormai governando
questo mondo». Non importano le persone, sostituibili, quel che conta è la
salda tenuta dell’organismo dominante: e qua c’è O’Brien7. La teocrazia
bensoniana inoltre sottintende i ministeri della verità e dell’amore di “1984”:
formazione mentale del singolo e mantenimento (altresì violento) dell’ordine
costituiscono temi, come abbiamo ben visto, molto cari a Monsignor Benson, uno
disvelatosi teorico del doublethink. Di essi, nella chiusa del testo bensoniano
analizzato (contemplante questo Papa Deus ex machina conciliante Big Brother)
possiamo apprezzare la ciliegina sulla torta. In precedenza abbiamo potuto
vedere le considerazioni di Benson a proposito di pena di morte, di giustizia
secolare pubblica di casi religiosi sanzionati dall’Inquisizione cattolica, e
delle teoriche difficoltà della Chiesa nell’intromettersi nella gestione
statale. Alla fine del romanzo si afferma che il Santo Padre rappresenta uno in
relazione a cui «nessuna nazione d’Europa poteva varare una legge a riguardo
della quale egli non detenesse un diritto di veto; nessun monarca rivendicava
di tenere la sua corona all’infuori delle mani di quest’uomo. E l'Oriente –
persino l'Oriente pagano – aveva in ultimo imparato che il Vicario di Cristo
era l’Amico della Pace e del Progresso». Quindi in quell’oceano cattolico
avrebbe potuto abolire la punizione capitale; e non l’ha fatto prima, ma
adesso. Sconfitti i socialisti si presenta in conclusione come uno che «aveva abolito la pena di morte per le idee sovversive
della società o della fede, sostituendo al suo posto la deportazione verso le
nuove colonie americane».
Allora si poteva abrogare il sistema della pena di morte, in qualsiasi momento;
ma, d’altro canto, e Benson ce lo ha illustrato con sottigliezza concettuale,
non si poteva abolire. L’incoerenza mostra la presenza del doublethink, infatti
monsignor Masterman al termine recupera la sua “sanità (cattolica)” giacché
possessore di una «intelligenza che si era allontanata dalla logica meramente
ragionata [brain which shrank from merely argued logic]». Ogni lacerante dubbio
del protagonista finisce cestinato, tutti i grilli parlanti della Ragione sono
stati schiacciati a vantaggio di un patologico orizzonte pascaliano. V’è nel
romanzo un piccolissimo brano il quale raffigura una parafrasi di Pascal:
«[Monsignor Masterman] aveva constatato che l’intelligenza e l’immaginazione
non costituiscono tutto; che l’uomo ha pure un cuore; e che questo ha le sue
esigenze non meno inesorabili di quelle dell’intelletto [he had found that the
head and the imagination are not all; that man has a heart as well; and that
this has its demands no less inexorable that those of intellect]». Monsignor
Benson ha recuperato le pascaliane “ragioni del cuore”, ossia una grave forma
psicopatologica8. Curioso notare, agli occhi di chi non pratica il
doublethink, come, nel criticare i socialisti, Monsignor Benson reclami «un
uomo con sentimenti, emozioni e una sua propria individualità [a man with
feelings and emotions and an individuality of his own]», cioè con attributi che
altrove erano stati visti di mal occhio (autonomia morale e comportarsi da
donna). Ma egli ha caricato ormai questi termini (sentimento, emozione,
individualità) di una valenza religiosa pascaliana rielaborante pure il campo
semantico delle parole nella logica del doublethink (siamo al cospetto di un
embrionale velato incipiente abbozzo di newspeak orwelliano).
NOTE
Questo testo è un estratto del mio
saggio intitolato “Da Robert Hugh Benson a George Orwell”
1 L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017).
2 Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
3 Ho scritto un saggio sul noto
romanzo huxleyano: Il capitalismo
impazzito di Aldous Huxley (2015).
4 «Ein Gespenst geht um in Europa
– das Gespenst des Kommunismus», Manifest der Kommunistischen Partei (Karl Marx
– Friedrich Engels).
5 Vedasi a pag. 17 della mia
monografia orwelliana, al terzo capoverso.
6 Per approfondire l’argomento
indico un mio studio: Un inquietante brano neotestamentario:
evangelismo armato e ambiguo nudismo nella mia pubblicazione Radici
occidentali (2021).
7 Si veda nel mio saggio
orwelliano menzionato a pag.19.
8 Al fine di un approfondimento di
tale mio personale giudizio critico invito a leggere un mio lavoro: Pascal
e le ragioni del cuore
contenuto nella mia opera Letture
critiche (2019).