di DANILO CARUSO
Le coeur a ses raisons que la
raison ne connaît point.
Blaise Pascal, “Pensées”
Blaise
Pascal (1623-1662) è stato scienziato e pensatore di notoria fama (fu inventore
della calcolatrice). Una sua opera postuma, progettata nei suoi appunti al fine
di un’esaltazione fideistica del Cristianesimo, ne ha consacrata la fama presso
un ampio pubblico. I suoi “Pensieri” (iniziati a scrivere nel ’53), ordinati in
vario modo a seconda dei curatori del testo (e dell’impostazione che costoro
hanno creduto migliore dare), rappresentano in ogni caso, a prescindere dal
montaggio editoriale, un riflesso della personalità pascaliana prima della sua
prematura scomparsa. In essi è possibile rintracciare testimonianza di una
svolta nettamente nevrotica nella mente del Pascal scienziato. Nell’esame
seguente farò riferimento a concetti della psicologia analitica junghiana, e
chiarirò come, a mio avviso, la psiche pascaliana sia stata teatro di qualcosa
paragonabile a un terremoto, dalle cui macerie il filosofo francese non ha
trovato la capacità di risollevarsi in maniera non deviata verso una forma
ossessiva. Pascal ebbe, ed esordì sullo scenario esistenziale con, una mentalità
logico-matematica interessata alla scienza (grazie all’influenza educativa
proveniente dal padre): dunque, usando gli schemi di Jung riguardanti le
tipologie caratteriali, è possibile dire che lo scienziato avesse avuto dapprincipio
una preponderante personalità logico-percettiva. Tuttavia a un certo momento
della sua vita, dopo aver subito il condizionamento proveniente dal pensiero
giansenista a partire dal ’46, un evento esteriore creò quella detonazione
all’interno della sua psiche che consentì a un complesso (nevrotico) di trovare
breccia per assalire il suo Io. Per me, in linea di massima, il Cristianesimo
si fonda sopra una nevrosi maschilista1: accade cioè un
arroccamento, nell'asse delle funzioni personali razionali, della razionalità
(logos, maschile) a scapito del sentimento (eros, femminile), causando così una
rottura sostanziale della struttura nella sua meccanica di contatto funzionale.
Il Verbo (ragione) viene ritenuto erroneamente l’unico tratto razionale, il suo
opposto pertanto irrazionale: dunque se la ratio è “bene”, la libido diventa
“male” (Satana e la donna di lui porta). La religione cristiana (non solo
medievale) si è espressa su questa base: misoginia, omofobia, antisemitismo,
l’intolleranza teologica, hanno in essa tale sostrato nevrotico, maschilista e pseudorazionalistico.
Nel Pascal dei “Pensieri”, giansenista, fautore di una riforma della Chiesa
cattolica in senso radicale (vicino all’irrazionalismo luterano), prende campo
simile schema nevrotico, il quale in lui covava dentro l’eccesso di dominio
della sua personalità logico-percettiva: si può dire che già fosse nevrotico,
di una mania ordinatrice, e in misura più lieve. Nella psiche pascaliana, in
una prima fase il “verbo scientifico” e il “Verbo religioso” si trovano a
coabitare nel medesimo angolo: però succede che i due aspetti siano
inconciliabili, e che la spinta sempre più pressante della schietta funzione
logica, la funzione caratteriale dominante in Pascal, provochi per saturazione
un rovesciamento polare alla volta del segmento razionale emarginato, quello
del sentimento (funzione inferiore): da questa dinamica traggono origine le
“ragioni del cuore” sostenute dal filosofo. Nel momento in cui egli si rende
conto dell’insostenibilità logica del Cristianesimo, ne produce apertamente la
legittimazione entro un ambito nevrotico che niente ha a che vedere con sane
funzioni dell’asse caratteriale razionale. Non è facile dire quanto in simile
fondazione sia nevrotico pseudorazionale camuffato (le “ragioni del cuore”
quali ripieghi formali tecno-nevrotici) e quanto possa essere sintomo di una
personalità scissa tra logico-percettivo e sentimentale-intuitivo. In questo
secondo caso Pascal potrebbe essere stato alle porte della schizofrenia. Il
fatto che sia morto giovane, in circostanze non molto chiare di malattia,
lascerebbe dubbi. Il pensatore francese viene ritenuto un precursore
dell’esistenzialismo, e queste sfaccettature personali ne indicano tracce
speculative. La “canna pensante” dei “Pensieri” è in primis lui stesso, una
sorta di Leopardi del Cattolicesimo. Se si contestualizzano i contenuti degli
appunti pascaliani in previsione dell’apologia organica, emergono, tra l’altro,
i segnali di una gravissima crisi esistenziale accompagnata da nevrosi. Accanto
a temi teologici ed esistenziali leciti (quali la ricerca di Dio e la
bocciatura del vuoto “divertissement”) si possono notare sfumature di
integralismo, antisemitismo e misoginia. Non si può estrarre un qualunque
simpatico “pensiero” di Pascal isolandolo dall’insieme, come uscisse fuori dai
cioccolatini. Si deve sempre ricordare che il filosofo d’Oltralpe promuove nei
“Pensieri” una dimensione fideistica nevrotica2, dove una
totalitaristica ideologia religiosa cristiana non lascia spazio alla libertà di
posizioni differenti, tanto meno alla liceità della ricerca filosofica di cui
egli disconosce il potere di indagare con efficacia. Fu il padre di Pascal
(morto nel ’51) a condizionare in fatto di giansenismo i figli, soprattutto
Blaise e Jacqueline (la quale si farà suora nel ’52, per poi morire dopo
un’esperienza di rigore). A sua volta il fratello influì sulla sorella,
sostenendo quelle tesi religiose, e contribuendo così alla di lei entrata in
monastero. Quindi fu il turno di Jacqueline nel condizionare Blaise. In quegli
anni il filosofo soffrì di forti mal di testa (al pari di Simone Weil3),
il che mostra un significativo sintomo somatico del suo stato di disagio
interiore. Il famoso memoriale trovatogli addosso nell’abito quando morì, un
testo datato 23 novembre 1654, è indice eclatante ulteriore della sua situazione
psicologica di deriva nevrotica. Pascal, proseguendo la parabola involutiva,
aveva scelto di concentrarsi sopra una prospettiva speculativa
intimistico-esistenziale, cosa che gli precluse la possibilità di una ripresa
mentale. Le lettere “Provinciali” composte dopo a sostegno del giansenismo,
nelle quali il concetto di “peccato originale” rappresenta il perno della sua
critica contro una visione esistenziale meno negativa, sono ennesima riprova di
quanto detto. Nonostante tutto Pascal rimane un notevole pensatore: il suo
ragionamento sulla scommessa a proposito dell’esistenza di Dio costituisce una
raffinata riflessione filosofica, nella quale purtroppo per lui, il filosofo
sottovaluta la possibilità che Dio possa non essere cristiano o anche in
generale non prediligere una religione in particolare. Se la sua dicotomia
“esprit géometrique / esprit de finesse” non fosse stata tematizzata in un
contesto psichico quasi schizoide, Pascal avrebbe colto il valore archetipico
presente nelle “ragioni del cuore”, le cui intuizioni lo avrebbero condotto
allo junghiano inconscio collettivo. Però egli non coglieva immagini di
archetipi da miti religiosi sani (contenenti esempi catartici); egli maneggiava
attraverso il Cristianesimo immagini da nevrosi (spesso, da parte di sadici e
masochisti, motivo nella storia di torture e uccisioni di innumerevoli persone
allo scopo di produrre una pseudocatarsi nella società): queste ultime gli
provenivano da un malsano complesso (Gesù Cristo, il Logos) che stringeva il
suo Ego in modo saldo dopo il suo crollo psichico. Perciò da un punto di vista
sostanziale il filosofo francese rimase lontano dal cogliere l’inconscio
impersonale, i di esso input e le di esso immagini archetipiche: egli si
mantenne nell’ultimo periodo della sua vita nell’area della cosiddetta “ombra”
junghiana, dalla quale traggono sostegno i complessi causa di nevrosi. Aveva
altresì conosciuto la depressione nell’infanzia, persa la madre nel ’26, e più
in là la sorella Jacqueline (responsabile a Port-Royal delle novizie)
nell’ottobre del ’61: lui morì ad agosto dell’anno successivo; parrebbe che
quest’ultimo evento possa considerarsi un colpo di grazia sul suo essere. Condivido
il giudizio di Voltaire a carico di Pascal, accusato di atteggiamento
misantropico ed eccessivamente pessimistico: in effetti l’illuminista non ha
torto a sottolineare il tratto di aberrazione del suo connazionale nell’opera
postuma ricordata. Il “coeur” isolato e privo della guida della “raison” non
conduce a niente di buono; è come se i cavalli della biga platonica corressero
in direzione di un baratro: il cuore ha le sue negative ragioni (nevrosi) cui
la ragione non può sottostare. Si potrebbe concludere che Pascal sia un
“Cartesio impazzito”, rimasto vittima dell’ingannatore “genio malefico” del
“metodico dubbio cartesiano”.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Letture
critiche (2019)”
1 Allo scopo di
approfondire suggerisco questa lettura:
Lo
strano caso di Mabel Brand e di Monsignor Benson
2 Un caso
parallelo si ritrova in Erasmo da Rotterdam e nella sua “follia”; vedi:
Il
machiavellico disegno della “follia” erasmiana
3 Per un
confronto con Simone Weil si veda:
Simone
Weil / Filantropia e fede di una filosofa