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martedì 8 settembre 2015

CRONOTOPONOMASTICON LERCARESE

di DANILO CARUSO

Un mio studio condotto anni addietro, terminato nel 2006 e allora pubblicato in un saggio (infatti le informazioni sono aggiornate sino a quell’anno) mi ha consentito di ricostruire una storia delle intestazioni delle vie di Lercara Friddi e delle loro variazioni dall’Unità d’Italia fino a oggi.
Quattro sono i periodi di riferimento in relazione ai predomini amministrativi locali:
1) la Lercara dei Nicolosi (vista intorno al 1870);
2) quella dei Sartorio Scarlata (vista all’inizio del Novecento);
3) il periodo fascista (i cui non numerosi atti noti d’intitolazione sono riportati nella colonna OGGI);
4) e la Lercara contemporanea.
Non ho avuto l’opportunità di fornire un elaborato completo al cento per cento: di quelle vie di cui ero al corrente della data precisa d’intitolazione ho riportato tale dato, al di là dell’inquadramento cronologico testé esposto; di alcune è stato possibile individuare dei momenti a quo e/o ad quem sull’atto d’istituirle (presumibilmente prossimi alla realtà), o ante quem sulla loro esistenza.
È verosimile pensare che le vie parallele Camerina, Zanclea, Agrigento, Ortigia, Enna, Segesta, Selinunte, Imera, Gela, siano state intestate (più o meno) contemporaneamente; e non escludo che per il loro richiamo fortemente regionalistico possano risalire al periodo borbonico.

lunedì 7 settembre 2015

FRANCESCO CALÌ

di DANILO CARUSO

La nuova Caserma dei Carabinieri di Lercara Friddi– dal 1908 al 1955 ebbe sede nella villa inglese del paese (Villa Lisetta) – fu intitolata a un giovane carabiniere lercarese, Francesco Calì, scomparso tragicamente nell’esercizio del suo dovere all’età di ventitré anni.
Era nato il 7 gennaio 1915 a Lercara Friddi. Mortogli il padre da bambino in una sciagura mineraria si era arruolato nell’Arma dei Carabinieri e prestava servizio in Puglia.
La sera del 4 maggio 1938 si trovava con il compagno Antonio Lorusso (un Pugliese nato ad Andria l’uno gennaio 1906) ad attendere sulla spiaggia in località Pizzone che dei ladri tentassero di recuperare una bobina metallica, ivi nascosta, illecitamente sottratta dal vicino Arsenale militare marittimo di Taranto (in cui entrambi svolgevano attività di sorveglianza da un paio d’anni).
Tre criminali giunsero con una barca dal mare intorno alle 20:00, ma vistisi scoperti si diedero tutti alla fuga senza refurtiva dopo che appena uno di loro era sceso a riva.
Presili di mira infruttuosamente con le proprie armi Calì e Lorusso si gettarono in mare con sprezzo del pericolo alla volta della loro imbarcazione per catturarli.
Calì, essendosi aggrappato con una mano alla prua, perso il suo punto d’aggancio morì come Lorusso che stando in acqua, afferrato alla poppa, era riuscito a uccidere uno dei tre inseguiti.
I cadaveri furono recuperati (gli altri due delinquenti superstiti furono arrestati e condannati).
Il loro gesto gli valse la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria conferitagli con regio decreto il 19 maggio 1939.
Lercara ha ricordato Francesco Calì prima inserendo il suo nome, con quelli presenti, nella parte frontale del Monumento ai Caduti nel ’15-’18, e poi, quando su iniziativa dell’on. G. Germanà, la caserma si trasferì in un edificio che era stato sede del magazzino del Consorzio generale della Sicilia (ristrutturato nel 1949-54), intitolandogliela con cerimonia ufficiale il 21 novembre 1955.
Il complesso fu realizzato in due lotti di lavori dall’impresa Manto (nov. ’49-mag. ’53 per L 12.427.000) e dall’impresa Loriano (feb. ’52-mar. ’54 per L 15.350.000 relative alla sopraelevazione).
Il Comune vi fece apporre all’ingresso nel ’56 una lapide commemorativa della medaglia d’oro, temporaneamente rimossa all’inizio degli anni Ottanta.
Una via dell’abitato è pure dedicata a lui.
Anche Palermo ricorda Francesco Calì: l’Istituto del nastro azzurro fece erigere una stele in sua memoria nel Giardino inglese.


Francesco Calì

[da ALBO D’ORO DEI CARABINIERI, ENTE EDITORIALE PER L’ARMA DEI CARABINIERI (1979)]

«Con altro carabiniere, sorpresi in flagrante tentativo di furto tre pericolosi pregiudicati, che con una barca avevano raggiunto la riva di un Regio arsenale militare marittimo e che, al fermo da essi intimato, cercavano di riguadagnare il mare, non esitava a slanciarsi in acqua completamente vestito allo scopo di assicurarli alla giustizia. Riuscito ad afferrare un bordo della barca, tentava, sino all'estremo delle sue forze, di imporre ai malviventi il rispetto della legge; ma sopraffatto da essi, trovava in mare morte gloriosa. Nobile esempio del dovere e di alto spirito di sacrificio.»


Antonio Lorusso

[da ALBO D’ORO DEI CARABINIERI, ENTE EDITORIALE PER L’ARMA DEI CARABINIERI (1979)]

«Di notte, in un Regio arsenale militare marittimo, per assicurare alla giustizia tre pericolosi malfattori che, sorpresi in flagrante tentativo di furto, cercavano scampo a bordo di un battello, pure essendo inesperto del nuoto e conscio del grave pericolo, cui andava incontro, si slanciava in mare, riuscendo ad aggrapparsi all'imbarcazione. Stando immerso sosteneva disperata lotta contro i malfattori, abbattendone uno con gli ultimi colpi della sua pistola, sino a che, sopraffatto dal numero e dal furore degli avversari, trovava morte gloriosa nel mare. Fulgida espressione di virtù militare, educata al culto di una tradizione secolare.»

LA CARESTIA A LERCARA VISTA DALL’ARCIPRETE PETTA

di DANILO CARUSO

Ho analizzato una vecchia memoria, scritta nel 1793 dall’Arciprete Stefano Lorenzo Petta, custodita nell’Archivio parrocchiale (registro dei battezzati 1789/96), e di questa rivisitazione ho fatto una sintesi (che non è né copiato né stralcio).
L’Arciprete Petta ha voluto che non si perdesse il ricordo di ciò che aveva visto, descritto qui sotto da me in una forma riassuntiva in qualche punto integrata con spunti storici esterni.
Una versione “soft” di questo capitolo di storia lercarese è in “G. Canale / LERCARA FRIDDI / Palermo 1965, pag. 97” dove è riportato un brano dal manoscritto di Marcello Furitano (1828-92).
L’Arciprete Petta che invece ha vissuto in prima persona quegli eventi ce ne parla più profondamente.
Nel 1789 in Sicilia iniziò la carestia.
Ben presto il fenomeno si fece sentire anche a Lercara: qui i raccolti infatti nel 1790 e nel ’91 furono modesti.
Ma il peggio per i Lercaresi doveva ancora arrivare: nel maggio 1792 la carestia si manifestò interamente nel suo potere distruttivo.
Le moribonde coltivazioni cominciarono a non generare più i prodotti della terra, e quello che si poteva raccogliere era gravemente insufficiente a soddisfare i bisogni alimentari della popolazione locale.
I primi due mesi furono terribili, e i meno abbienti per sfamarsi furono costretti  a vendere le non molte cose di cui disponevano.
Intervenne il governo borbonico per trovare una soluzione al problema più generale che attanagliava il regno, e venne introdotto un calmiere per i prodotti agricoli.
Per il 1793 il re Ferdinando III dispose un rilevamento di tutta la produzione nel settore dell’agricoltura, e a marzo mandò in Sicilia due commissari con poteri di espropriazione (naturalmente remunerata ai produttori), poteri finalizzati all’approvvigionamento alimentare delle aree maggiormente disagiate: ogni centro abitato ebbe una commissione ad acta.
Purtroppo queste misure fecero lievitare di molto il costo del frumento (la coltivazione più diffusa in paese), peggiorando la situazione.
Durante il periodo di carestia chi poté conseguire facili guadagni o condurre fruttuose speculazioni non ebbe riguardo per nessuno.
Per Lercara usare espressioni ardite non sarebbe stato un eufemismo retorico: i poveri arrivarono a mangiare qualsiasi cosa, pure la vegetazione spontanea che si trovava per le vie; crusca e farina d’orzo vennero considerate inestimabili; nei casi più disgraziati c’era chi stramazzava al suolo morendo abbandonato a causa dell’inedia.
La visione dei bambini denutriti giunse a creare lo sconforto delle lacrime nell’animo dell’Arciprete Petta.
Lo stato delle cose cambiò solamente dopo il giugno 1793: per il raccolto di quell’anno mancò l’acqua nelle zone d’altura; Lercara ebbe analoga sorte.
Tuttavia nel momento in cui nella regione di Messina ci fu una ripresa della produzione la devastante tendenza negativa mutò.
La difficile situazione nel complesso perdurò sino a inizio ’800.

Don Stefano Lorenzo Petta (1736–1820), fu: professore di teologia, procommissario della santa inquisizione; arciprete a Lercara Friddi nel 1788/1820.
Il quadro, da cui è tratta l’immagine, è custodito nel Duomo di Lercara.

LUDOVICO GERMANÀ

di DANILO CARUSO

Ludovico Germanà
[Donazione Germanà,
Biblioteca comunale
di Lercara Friddi]
Ludovico Germanà nacque a Lercara Friddi il 16 dicembre 1872 (alle ore 8,00), da Gioacchino (n. 1838, un ex garibaldino) e da Isabella Amonelli: venne battezzato il giorno successivo in casa dall’arciprete Giacomo Paci (padrini Onofrio e Carmela Amonelli Sarpa).
Studiò giurisprudenza e divenne avvocato.
Unitosi in matrimonio con Rosina Nicolosi ebbe nove figli (quattro femmine e cinque maschi, tra cui il ben noto Gioacchino).
Fu un esponente politico liberale dell’ala sinistra.
A Lercara ricoprì la carica di consigliere comunale e di assessore.
Entrò in consiglio nel 1895 come rappresentante della minoranza avversa ai Sartorio Scarlata, e infatti il 28 luglio espresse un parere negativo sull’elezione del sindaco Giuseppe Scarlata, esponente di un gruppo – a suo dire – che non voleva rimuovere le partigianerie e a cui imputava come conseguenza della propria condotta i tragici eventi del 24/25 dicembre 1893.
Rimase all’opposizione sino alle elezioni comunali del 15 ottobre 1911, quando un’alleanza tra le diverse anime liberali (allora divise) sconfisse lo schieramento cattolico.
Il 21 ottobre il consiglio comunale elesse il sindaco (Giulio Sartorio) e la giunta (tra gli assessori Ludovico Germanà).
Nel 1913, poiché si era trasferito a Palermo, rassegnò le dimissioni da assessore con questa lettera al sindaco.
«Per ragioni speciali che sono da qualche tempo sorte a ostacolare l’esplicazione della mia personale attività politica, rassegno le mie dimissioni da assessore e decisamente fermo nella presa determinazione prego la S. V. Ill.ma a che voglia degnarsi di farmene prendere atto senz’altro come di competenza.»
Le quali dimissioni però furono respinte dal consiglio, ma ribadite con un telegramma.
«Apprendo sospensione adottata riguardo mie dimissioni, ringrazio delicato pensiero e dichiaro insistervi.»
Alla fine furono accolte dal consiglio comunale che nella stessa seduta del 27 aprile 1913 lo rimpiazzò con il consigliere Rosolino Scianna.
Il 22 agosto 1913 per mezzo di una missiva si dimise anche da consigliere comunale, dimissione che il consiglio discusse il 31 respingendole, ma l’otto novembre in seguito ad altra lettera le accolse.
«Ill.mo Signor Sindaco del Comune di Lercara. Ho preso nota dell’atto deferente e cortese compiuto a mio riguardo dall’on. Consiglio comunale nella tornata del 31 agosto u. s. e per tale atto prego la S. V. Ill.ma perché voglia degnarsi di rendersi interprete presso il Consiglio medesimo dei sensi di mia doverosa riconoscenza. Però debbo nel tempo istesso e mio malgrado comunicarle che date le ragioni cui sono dovute le mie dimissioni, da Assessore prima e da Consigliere dopo, non posso, né intendo recedere dalla presa determinazione.»
Il 21 giugno 1914 Ludovico Germanà fu candidato al consiglio provinciale di Palermo, assieme all’altro lercarese Calcedonio Mavaro.
Finita la prima guerra mondiale aderì allo schieramento di Vittorio Emanuele Orlando (Unione Nazionale), dopo aver lasciato quello di Eugenio Rossi (Partito democratico del lavoro): e ritornò a fare il consigliere comunale a Lercara dopo le elezioni del 12 settembre 1920.
Nella seduta consiliare del 29 settembre, dall’opposizione, mostrò la disponibilità a sostenere l’attività amministrativa del sindaco avv. Rosolino Scianna, sollecitando una maggiore attenzione al settore dell’annona e a quello del pubblico servizio locale che, a causa dell’indisciplina, non soddisfaceva i cittadini.
Nella seconda metà del 1921 aderì al fascismo (la sezione fascista lercarese era nata l’anno prima).
Il 5 agosto 1923 il consiglio comunale, presieduto dal sindaco fascista avv. Francesco Salerno, dopo essersi riunito si recò a casa del consigliere Germanà, di cui si era appreso uno stato di malattia, per esprimergli i migliori auguri di rimettersi in salute quanto prima.
Tempo dopo si ebbe notizia della gravità del male, e il consiglio comunale rinnovò anche a nome del paese gli auguri.
Ludovico Germanà morì il 13 maggio 1925.
Il 24 giugno 1925 il commissario prefettizio al comune di Lercara, Francesco Matranga, dietro richiesta di molti, data la ventennale partecipazione del Germanà nel novero dei consiglieri comunali, determinò di intestargli l’allora via Friddi (attuale via Ludovico Germanà).

ANDREA FINOCCHIARO APRILE

di DANILO CARUSO

Lercara Friddi è stata anche il paese di Andrea Finocchiaro Aprile: il padre Camillo, più volte ministro del regno (tra il 1892 e il 1914), aveva infatti sposato Giovanna Sartorio, sorella di Giulio Sartorio. Andrea era nato a Palermo nel 1878. Laureatosi in giurisprudenza, come il padre, interagirà con la vita politica lercarese determinandone l’indirizzo. Dopo la morte di questi (1916) Andrea Finocchiaro ne prese il posto nella leadership della corrente dei nittiani in Sicilia. Negli anni ’10 e ’20, anni in cui venne eletto tre volte consecutive alla Camera dei deputati nel collegio di Corleone (1913-1924), fu con Vittorio Emanuele Orlando uno dei maggiori esponenti liberali nell’isola, collocati rispettivamente nel partito alla sinistra e alla destra interna. Fu sottosegretario alla guerra e al tesoro (governo Nitti, 1919) e professore di storia del diritto all’università di Ferrara e di diritto ecclesiastico a Pisa.
Durante le competizioni elettorali ricercò il sostegno che potevano fornire enti di ambienti non propriamente liberali, cattolici e socialisti, casse rurali e cooperative, alle quali prestava il suo interesse politico. All’avvento del fascismo i liberali siciliani si divisero: la destra di Orlando (in una prima fase) con Mussolini, i radicali guidati da Finocchiaro all’opposizione. Andrea Finocchiaro terrà questo atteggiamento, ma in tono ridotto, date le circostanze, durante tutto il ventennio, connotandolo con rivendicazioni di giustizialismo storico per la Sicilia di fronte al resto dell’Italia unitaria, atteggiamento che assumerà il suo clamore separatista negli anni ’40 dopo la caduta del fascismo. I fautori di queste idee si raccolsero attorno alla Società degli agricoltori siciliani, un raggruppamento dei latifondisti il cui principale rappresentante era il barone Lucio Tasca di Bordonaro.
A Lercara il fascismo si era costituito in forma organizzata a partire dal 1920, il 28 agosto 1921 il consiglio elesse un sindaco fascista. Nel paese all’opposizione rimase la Lega democratica di Finocchiaro: alle politiche del ’21 fecero il pieno i liberali di Orlando (1357 voti su 1894 votanti), la Lega democratica di Andrea Finocchiaro, sostenuta dai Sartorio Scarlata, si dovette accontentare di 436 voti, ma egli fu eletto; alle successive del ’24 il partito di Finocchiaro si rifece, risultò primo con 728 voti (53%) contro i 694 (43%) della Lista nazionale (l’alleanza degli orlandiani e dei fascisti, sostenuta anche da Gioacchino Germanà), ma stavolta non fu rieletto alla Camera. Il raggruppamento di Finocchiaro a Lercara dette filo da torcere ai fascisti, i quali però alle amministrative del 6 dicembre 1925 risultarono vincitori ed elessero sindaco Simone Teresi.
Sotto il fascismo Andrea Finocchiaro esercitò la professione forense nel suo studio romano. Dopo la vittoria nella guerra d’Africa del 1935-36 incoraggiò la traslazione della salma del padre, avvenuta il 5 aprile 1938, da Roma alla chiesa di san Domenico a Palermo (dove riposano i Siciliani illustri), poiché questo, dopo l’eccidio di Dogali (1887) e la sconfitta di Adua (1896) aveva mostrato una reazione fieramente nazionale. Questo gesto servì al Finocchiaro per attenuare i sospetti che il fascismo nutriva su di lui e la sua attività politica. Nel periodo 1939-41 iniziò a trattare con il governo inglese una secessione dell’isola. Le prime avvisaglie di separatismo si ebbero nel 1942 col barone Lucio Tasca (che, nel settembre 1943, sarà scelto dagli Alleati come sindaco pro tempore di Palermo).
Finocchiaro Aprile aveva lasciato Roma per Palermo, prima che gli Americani vi giungessero, costituendo il nucleo del movimento indipendentista. Dopo lo sbarco degli Alleati, quando questi giunsero a Palermo (23 luglio ’43), fece loro pervenire le richieste di indipendenza dell’isola. Questi intanto istituirono per amministrare la Sicilia (agosto ’43-febbraio ’44) l’AMGOT (allied military government occupied territories), con sede a Palermo e a capo Lord Rennel e il colonnello Charles Poletti. Finocchiaro era amico d’entrambi, tant’è che dei 76 sindaci che questi nominarono in provincia di Palermo, 67 erano indipendentisti. Il 10 gennaio 1944 gli Alleati revocarono l’ordine di divieto alle manifestazioni politiche, e Finocchiaro Aprile il 16 tenne a Palermo il suo primo comizio separatista, primo di una lunga serie.
L’undici febbraio fu anche revocato lo stato di occupazione militare in Sicilia e l’isola fu di pertinenza amministrativa del governo del regno del sud. Il 1944 fu per il MIS l’anno del boom: 480.000 iscritti contro i 110.000 degli altri partiti. Dal canto loro le forze politiche di levatura nazionale si ricostituirono apertamente: nel giorno del natale di Roma e della festa dei lavoratori del ’45, manifestanti rispettivamente di destra e di sinistra distruggeranno le sedi del MIS di Palermo e Catania. Il 27 maggio 1944 a Regalbuto, durante un comizio, Finocchiaro scampò a un attentato. In quest’anno nel giorno della vigilia dell’anniversario della caduta del fascismo rinnovò le istanze d’indipendenza attraverso le Nazioni Unite.
Il MIS terrà nella sua breve ma intensa vita tre congressi: a Taormina nell’ottobre del ’44, a Palermo il 14-16 aprile 1945, nuovamente a Taormina il 31 gennaio 1947.
All’inizio del ’45 si cominciò a parlare di autonomia regionale e l’alto commissario per la regione Sicilia, figura impiantata nel marzo del ’44, istituì una commissione per l’elaborazione dello statuto: la cosa non piacque agli indipendentisti che rinnovarono agli Alleati le loro richieste di secessione e di repubblica, o in alternativa il ritorno dello stato di occupazione militare. Nel dibattito politico di allora si fantasticavano diverse ipotesi di risoluzione del problema Sicilia: due corone unite nella persona del monarca sabaudo, una Sicilia indipendente federata al resto della penisola o agli USA. Il disinteresse degli Alleati stimolò la formazione dell’EVIS (esercito volontario per l’indipendenza siciliana, fondato dal professore catanese Antonio Canepa ucciso in uno scontro con i carabinieri il 17 giugno 1945, che aveva il comando generale a Palermo e che operò tra la fine del ’44 e il ’45) i cui componenti, considerati dei fuorilegge - già le sedi del MIS erano state chiuse per disposizione dell’alto commissario Aldisio, notoriamente antiseparatista - furono braccati dalle forze di polizia, con cui ci saranno diversi conflitti a fuoco provocando purtroppo diverse vittime. Andrea Finocchiaro fu arrestato a Palermo il 2 ottobre, tradotto all’isola di Ponza, e liberato cinque mesi dopo a marzo.
Dopo le dimissioni di Aldisio, che aveva sostituito Francesco Musotto, all’inizio del ’46 da alto commissario, i leaders del separatismo incontrarono a Roma alla fine di marzo il ministro per gli affari interni Romita a cui Finocchiaro Aprile, recentemente scarcerato, ribadì le canoniche richieste.  Ritornato a Palermo fu accolto trionfalmente: tenne due comizi, davanti a una marea di gente, a Boccadifalco e a piazza Castelnuovo (Politeama), e in serata si rivolse ai Siciliani alla radio. Per le elezioni alla costituente gli indipendentisti, che appoggeranno la monarchia, dopo aver abbandonato le posizioni repubblicane nella speranza di trovare un interlocutore ben disposto, poterono tornare alla luce. Lo statuto autonomistico fu concesso alla Sicilia prima del voto istituzionale (referendum e costituente). A quest’ultima risultarono eletti 4 indipendentisti: nella Sicilia occidentale Andrea Finocchiaro Aprile (34.068 voti), Antonino Varvaro (18.520); in quella orientale Concetto Gallo (14.749), Attilio Castrogiovanni (10.514: subentrato ad Andrea Finocchiaro Aprile, 12.867). Gallo e Castrogiovanni erano in stato di reclusione al momento dell’elezione in seguito alla quale furono scarcerati. Dopo la vittoria della repubblica nel referendum la dirigenza del MIS diramò un comunicato stampa: «[…] Il Referendum del 2 giugno 1946, decidendo, in difformità dalla maggioranza del popolo siciliano, la eliminazione di quella dinastia che, pel Plebiscito del 1860, costituì il vincolo di unione della Sicilia, col Regno di Savoja, ha sciolto di diritto il vincolo medesimo. Conseguenza di ciò è che il popolo siciliano, con la caduta della Monarchia di Savoja, ha riacquistato la propria sovranità […]. E pertanto spetta al popolo siciliano il diritto a un Plebiscito affinché, liberamente e sovranamente, si pronunzi su i termini e sulla forma di una nuova unione con i popoli italiani.». Il quartetto alla costituente subì la defezione di Varvaro, fino a quel momento segretario del movimento, condizionato dalle pressioni della sinistra, avversa alla concessione delle larghe autonomie contenute nello statuto, nella discussione sul coordinamento con la nuova costituzione repubblicana. Finocchiaro Aprile denunciò a Montecitorio lo stato di segregazione e di emarginazione e l’ostilità con cui erano stati trattati gli indipendentisti; numerosi i suoi interventi durante i quali attaccò anche la DC per il suo monopolio del potere, rischiando di essere assalito dai democristiani durante il dibattito. Quando Varvaro abbandonò l’ufficio di segretario del MIS gli subentrò temporaneamente Antonino Di Matteo, il quale per riordinare il partito diede due mandati: al triumvirato Gioacchino Germanà - De Simone - Zalapì per Sicilia occidentale, e all’on. Castrogiovanni per la Sicilia orientale. Il triumvirato dal capoluogo il 3 novembre dichiarò decadute, a eccezione di quella di Finocchiaro Aprile, tutte le cariche nel MIS, e programmò un congresso per il 17-18 novembre a Palermo, che saltò per via delle imminenti elezioni amministrative. I tre avevano proclamato: «Reputiamo traditore della nostra santa causa chi, in seno al M.I.S., agita questioni istituzionali o sociali o politiche che, essendo per noi siciliani indipendentisti assolutamente premature, mirano soltanto a indebolire le nostre forze».
I nuovi incarichi furono conferiti a fine mese dal comitato nazionale del partito: Andrea Finocchiaro Aprile, presidente; Attilio Castrogiovanni, segretario; Gioacchino Germanà, vicesegretario. Le precedenti elezioni amministrative a Lercara, materna roccaforte di Finocchiaro, avevano visto al consiglio comunale la candidatura di Gioacchino Germanà, che divenne poi sindaco.
All’inizio del ’47 Varvaro fu espulso dal MIS che avrebbe voluto trasformare in MISDR (movimento per l’indipendenza della Sicilia democratico repubblicano), di indirizzo appunto repubblicano e appoggiato alla sinistra, mentre il MIS finocchiariano flirtava con i monarchici. Alle elezioni regionali del 20 maggio 1947 la lista del MIS per il collegio unico regionale, che attribuiva una parte dei seggi all’ARS utilizzando i resti di ogni lista nelle circoscrizioni, era composta da nove elementi, uno in rappresentanza di ogni provincia: Palermo, Gioacchino Germanà; Trapani, Michele Bono; Agrigento, Salvatore Fallea; Caltanissetta, Michele Sanfilippo; Ragusa, Gabriello Cannata; Siracusa, Michele Bonanno; Enna, Giuseppe Salemi; Catania, Concetto Gallo; Messina, Gaetano Drago. Il MIS ottenne 171.470 voti e otto deputati: Andrea Finocchiaro Aprile, Gioacchino Germanà, Concetto Gallo, Attilio Castrogiovanni, Giuseppe Caltabiano, Rosario Cacopardo, Gaetano Drago, Pietro Landolina. Varvaro col MISDR nessun deputato e appena 19.542 voti. Alla fine del 1947 la Costituente stabilì che i deputati che avessero alla spalle quantomeno tre legislature fossero nominati automaticamente membri del senato repubblicano: Andrea Finocchiaro fieramente rifiutò, poiché preferiva la competizione aperta e democratica. Ma alle politiche del 18 aprile del ’48 il MIS non ottenne nessun seggio e Andrea Finocchiaro lasciò la presidenza del partito. Già si era dimesso dall’ARS il 2 marzo (gli era subentrato Vincenzo Bongiorno). Nel 1951 all’ARS non fu eletto nessun indipendentista (fu adottata nell’imminenza del voto una legge che aboliva il collegio unico regionale e lasciava solamente le nove circoscrizioni provinciali). Andrea Finocchiaro fu nell’ultimo tratto della sua carriera politica anche membro effettivo dell’Alta Corte per la Regione siciliana (artt. 24-30 dello Statuto). Morì a Palermo nel 1964, dove fu anche docente di diritto.


I dati elettorali dell’indipendentismo a Lercara e in provincia
http://www.scribd.com/doc/130184148/Gioacchino-Germana#page=23”



sabato 15 agosto 2015

QUANDO A LERCARA L’ARTE VIENE DA LONTANO

di DANILO CARUSO

Esistono due modi di copiare (i quali poi, in effetti, si riducono a uno vero e proprio): quello di coloro che non hanno idee in testa, e sforzandosi di apparire capaci e talentuosi, rubano alle intelligenze superiori, facendosi sempre scoprire (poiché costoro non sanno neanche copiare), però ingannando i meno istruiti rispetto a loro; e quello di chi fa omaggio a un suo simile nell’aristocrazia intellettuale usando forme concettuali già elaborate. Essere originali è difficile: siamo in ogni tempo debitori del passato, in cui è possibile a volte riscoprire la veste di ciò che potremmo cogliere come novità. La suddetta seconda impropria via del copiato, come anticipato, è confronto, dialogo, maturazione, nel mondo delle idee; in talune circostanze ci accorgiamo a posteriori di eventuali nobili tangenze: quindi omaggio e comunanza non equivalgono a copiare per un pensatore originale e autonomo. Platone rifiutava la prassi del copiare, la quale produce soltanto surrogati, lontani dall’autenticità. 
Cosicché, allorquando mi sono soffermato sui murales realizzati sopra il prospetto della scuola elementare (in occasione delle manifestazioni artistiche di luglio 2015), la mia compiaciuta attenzione è stata attirata da quello in cui ho notato un recupero di Klimt (“Il bacio”): un recupero attuato in modo raffinato e intelligente, che non potevo non ascrivere alla categoria del talento, soprattutto per il fatto che si trattava di giovani autori (Salvatore Dolcemascolo, Desirée Giambelluca, Raffaele Gennarelli, Paolo Felice), i quali davano dimostrazione di avere conoscenze e un progetto che non fosse solo l’emergere sul piano dei notabili. Ignoro se gli artefici di tale murale abbiano rivelato al pubblico le loro fonti d’ispirazione, vada comunque a tutti gli artisti dei tre murales il mio apprezzamento per essersi segnalati grazie a opere antitetiche ai frutti dell’inferiorità affliggente chi copia alla maniera criticata da Platone. 
Anni addietro mi ero accorto di un’altra ascendenza plausibile riguardante lo pseudofrontone del Duomo lercarese: ricalca schema del frontone del California State Capitol di Sacramento (risalente al terzo quarto dell’Ottocento). Un’altra suggestione estetica e concettuale veicolata a inizio Novecento nel clima di attrito tra massoneria e Chiesa di cui ho trattato in una mia analisi1
Sinora non ne avevo fatto cenno (non so se altri se n’erano accorti: per quanto mi riguarda io non ne ho sentito né letto altrove). 
Accanto al ragionamento su un tale paragone stilistico colgo l’opportunità di un ulteriore intervento. Lo spazio architettonico antistante al Plesso scolastico “Paolo Borsellino”, di forma approssimativamente semicircolare (creato allo scopo di ospitare un pubblico seduto che assiste a una manifestazione), nella lingua italiana, non si chiama né anfiteatro, né arena, né parco: sono alcuni anni che leggo sempre una denominazione non corretta. Anche qui non escludo che qualcuno parlandone o scrivendone al di là del mio campo d’esperienza si sia espresso in modo preciso. 
Esso si chiama teatro (era diffuso nell’antichità grecoromana): anfiteatri sono il Colosseo, l’Arena di Verona, aventi pianta ellittica. Aspettavo e speravo che altri si decidessero a far presente l’errore semantico. Sovvertire l’ortodossia semiotica non è un bene nei confronti di chi si fida: l’italiano è una lingua attenta, nel vocabolario e nella grammatica. 
Se si appella una cosa con il nome di un’altra, si rischia di confondere le idee. Pure in materia di linguaggio Platone raccomanda fedeltà alla verità.


mercoledì 12 agosto 2015

COLLE MADORE: HAUTA MINOS

Colle Madore on arkeologista aluetta SICAN, joka sijaitsee noin 1,5 km päässä kylästä Lercara FRIDDI maakunnassa Palermo.

Mäki hyödynnettiin aiemmin louhinta rikki. Siellä oli myös louhos kipsin vastakkaisella puolella, että kysymys nykypäivän arkeologisia kaivauksia.

Kaivaukset

Vuonna 1992 löydettiin vahingossa Antonino Caruso joitakin havaintoja, jotka luovutettiin kunnalle. Myöhemmin vuosina 1995, 1998 ja 2004 tehtiin kaivauksia, jonka Intendentti on kulttuurinen ja ympäristön Palermon, jotka ovat paljastui antiikin pyhä alue reunustaa huonetta omistettu metalliteollisuus. Löytöjä kaivauksista ovat esillä paikallisessa Civic Museum.

Settlement ja palautukset

Kaivaukset ovat paljastui jäännökset ratkaisun sicano arkaainen, dating kahdeksas-seitsemäs vuosisadalla eKr. Noin puolivälissä-luvulla eKr, kiitos sen sijainti kaduilla laaksojen jokien Torto ja Platanin koki syvällinen Hellenization. Arkeologiset materiaalit todistaa yhteydet Kreikan siirtokuntia Imera ja Agrigento ja nykyaikainen alkuperäiskansojen keskuksia. Tässä vaiheessa menee takaisin pyhäkkö, joka palasi helpotusta kuvaa ihmishahmo istuu reunalla kylpyamme: aluksi tulkita Heracles suihkulähde kuvaa Minos, joka kuoli kylpyamme. Vuonna tutkimus tutkija Danilo Caruso suoritetaan testejä kuten kappeli on tunnistettava temppeli Afroditen, joilta se oli väärennös hauta Minos, kuoli legenda mainitsi Diodorus Sisilian historiallisessa kirjastossa kuningas Kokalos: myytti muokattiin Theron, tyranni Agrigento alussa viidennellä vuosisadalla eKr osana politiikkaa aluelaajennuksena kustannuksella Himeran. Asiakirja, muun muassa useita arkeologisia löytöjä ja strateginen sijainti Colle Madore. Liturginen altaan on myös kytkettävä Keski veden, pyhä elementti tässä pyhäkössä. Lisäksi nykyinen nimi "Madore", joka tulee kreikan madarόs kytketään liittimiin teema. Kun valloitus Theron noin 483 eKr omistukseen pyhäkkö voitaisiin ohi Aphrodite-Astarte Demeter. Tänä aikana, sivuston koki ensimmäisen osittaisen tuhoutumisen. Ratkaisun jatkui supistetussa muodossa lopullisesti luovuttiin noin lopulla viidennen luvun jälkeen valloitus Karthagon ja tuhoaminen Himera ja Selinunte vuonna 409-405 eaa.

COLLE MADORE: LE TOMBEAU DE MINOS

Colle Madore est un site archéologique Sicán, situé à environ 1,5 km du village de Lercara Friddi, dans la province de Palerme.

La colline a été exploitée dans le passé pour l'extraction du soufre. Il y avait aussi une carrière de gypse dans le côté opposé à cette question par les fouilles archéologiques d'aujourd'hui.

Les fouilles

En 1992 ont été trouvés accidentellement par Antonino Caruso quelques résultats, qui ont été remis à la municipalité. Plus tard dans les années 1995, 1998 et 2004 ont été menées les fouilles, par la Surintendance du patrimoine environnemental, culturel et de Palerme, qui ont mis au jour une ancienne zone sacrée flanquée de salles dédiées à l'industrie métallurgique. Les trouvailles des fouilles sont exposés au Musée civique locale.

Règlement et recouvrements

Les fouilles ont mis au jour les vestiges d'un village Sicano archaïque, datant du VIIIe siècle av VII. Vers le milieu du sixième siècle avant JC, grâce à son emplacement sur les rues des vallées des rivières Torto et Platani, subi une profonde hellénisation. Les matériaux archéologiques témoignent des contacts avec les colonies grecques Imera et Agrigente et les centres autochtones contemporains. A ce stade remonte un sanctuaire, qui a retourné un relief représentant une figure humaine assise sur le bord d'une baignoire: d'abord interprété comme Héraclès la fontaine représente Minos, qui est mort dans une baignoire. Dans un érudit de recherche Danilo Caruso est réalisée avec des tests tels que la chapelle est identifiable avec le temple d'Aphrodite de qui ce était le faux tombeau de Minos, tué dans la légende communiquée par Diodore de Sicile dans la bibliothèque historique par le roi Kokalos: le mythe a été retravaillé par Theron, tyran d'Agrigente au début du Ve siècle avant JC dans le cadre de sa politique d'expansion territoriale au détriment de Himera. Le document, entre autres choses, un certain nombre de découvertes archéologiques et emplacement stratégique de Colle Madore. Un bassin liturgique est également être relié à l'eau central, élément sacré dans ce sanctuaire. En outre, le nom actuel "Madore," qui vient de les madarόs grecques, est connecté à travers le thème. Après la conquête de Theron autour de 483 BC la propriété du sanctuaire pourrait être adoptée par Aphrodite Astarté à Déméter. Pendant cette période, le site a subi une première destruction partielle. Le règlement continue sous forme réduite qui seront finalement abandonné vers la fin du Ve siècle, après la conquête de Carthage et la destruction de Himera et Selinunte en 409-405 BC.

COLLE MADORE: DEN GRAV MINOS

Colle Madore er et arkæologisk område Sican, ligger omkring 1,5 km fra landsbyen LERCARA FRIDDI, i provinsen Palermo.

Bakken blev udnyttet i fortiden til udvinding af svovl. Der var også et stenbrud af gips i den modsatte side af dette spørgsmål ved nutidens arkæologiske udgravninger.
Udgravninger

I 1992 blev der fundet et uheld ved Antonino Caruso nogle resultater, som blev overdraget til kommunen. Senere i årene 1995, 1998 og 2004 blev gennemført udgravninger ved Tilsyn af kulturelle og miljømæssige arv i Palermo, som har afdækket et gammelt helligt område flankeret af værelser dedikeret til metalindustrien. Fundene fra udgravningerne er udstillet på det lokale Civic Museum.

Afregning og inddrivelser

Udgravninger har afdækket resterne af en løsning sicano arkaisk, dating til den ottende-syvende århundrede f.Kr.. Omkring midten af ​​det sjette århundrede f.Kr., takket være sin beliggenhed på gaderne i dalene floderne Torto og Platani, gennemgik en dyb Hellenization. De arkæologiske materialer vidner kontakter med de græske kolonier Imera og Agrigento og nutidige indfødte centre. På dette stadium går en helligdom, som returnerede en lettelse forestiller en menneskelig figur sidder på kanten af ​​et badekar: først tolkes som Heracles springvand skildrer Minos, der døde i et badekar. I en forskningsstipendiat Danilo Caruso udføres med tests som kapellet kan identificeres med tempel Aphrodite fra hvem det var den falske grav Minos, dræbt i legenden nævnt af Diodorus Sicilien i det historiske bibliotek af kong Kokalos: myten blev omarbejdet af Theron, tyran af Agrigento i det tidlige femte århundrede f.Kr. som led i sin politik for territorial ekspansion på bekostning af Himera. Dokumentet, blandt andet en række arkæologiske fund og strategiske placering af Colle Madore. Liturgisk bassin også skal forbindes til den centrale vand, hellige element i denne helligdommen. Desuden nuværende navn "Madore", som stammer fra det græske madarόs, er forbundet over temaet. Efter erobringen af ​​Theron omkring 483 f.Kr. ejerskabet af helligdommen kunne vedtages med Afrodite-Astarte til Demeter. I denne periode, stedet undergik en første delvis ødelæggelse. Forliget fortsatte i reduceret form, som til sidst opgivet omkring slutningen af ​​det femte århundrede, efter erobringen af ​​Carthage og ødelæggelsen af ​​Himera og Selinunte i 409-405 f.Kr.

COLLE MADORE: DE GRAF VAN MINOS

Colle Madore is een archeologische site Sican, gelegen op ongeveer 1,5 km van het dorp Lercara Friddi, in de provincie Palermo.

De heuvel is in het verleden voor de extractie van zwavel benut. Er was ook een steengroeve van gips in de zijde tegenover die vraag door de huidige archeologische opgravingen.

Opgravingen

In 1992 werden per ongeluk vond door Antonino Caruso sommige bevindingen, die werden overgedragen aan de gemeente. Later in de jaren 1995, 1998 en 2004 werden uitgevoerd opgravingen, door de Leiding van cultureel en natuurlijk erfgoed van Palermo, die een oude heilige gebied geflankeerd door zalen gewijd aan de metaalindustrie hebben opgegraven. De vondsten uit de opgravingen worden tentoongesteld in de lokale Civic Museum.

Settlement en terugvorderingen

Opgravingen hebben opgegraven resten van een nederzetting sicano archaïsche, dateren uit de achtste zevende eeuw voor Christus. Rond het midden van de zesde eeuw voor Christus, dankzij de ligging in de straten van de valleien van de rivieren Torto en Platani, onderging een grondige hellenisering. De archeologische materialen getuigen contacten met de Griekse kolonies Imera en Agrigento en de hedendaagse inheemse centra. In dit stadium gaat terug een heiligdom, wat een opluchting teruggezonden afbeelding van een menselijke figuur zittend op de rand van een badkuip: aanvankelijk geïnterpreteerd als Heracles de fontein beeldt Minos, die in een badkuip overleden. In een onderzoek geleerde Danilo Caruso wordt uitgevoerd met tests zoals de kapel is herkenbaar aan de tempel van Aphrodite van wie het was de nep graf van Minos, gedood in de door Diodorus van Sicilië genoemd in de historische bibliotheek van koning Kokalos legende: de mythe werd herwerkt door Theron, tiran van Agrigento in het begin van de vijfde eeuw voor Christus als onderdeel van haar beleid van territoriale expansie ten koste van Himera. Het document, onder andere, een aantal archeologische vondsten en de strategische ligging van Colle Madore. Een liturgische bekken is ook te worden aangesloten op de centrale water, heilige element in dit heiligdom. Naast de huidige naam "Madore," die afkomstig is van het Griekse madarόs, is verbonden aan de overkant van het thema. Na de verovering van Theron rond 483 voor Christus de eigendom van het heiligdom zou kunnen worden doorgegeven door Aphrodite-Astarte aan Demeter. Tijdens deze periode, de site onderging een eerste gedeeltelijke vernietiging. De nederzetting bleef in gereduceerde vorm uiteindelijk worden verlaten rond het einde van de vijfde eeuw, na de verovering van Carthago en de vernietiging van Himera en Selinunte in 409-405 vC.

COLLE MADORE: GRAV MINOS

Colle Madore är ett arkeologiskt område SICAN, ligger ca 1,5 km från byn Lercara Friddi, i provinsen Palermo.

Kullen utnyttjades tidigare för utvinning av svavel. Det fanns också ett stenbrott av gips i den motsatta sidan på den frågan av dagens arkeologiska utgrävningar.

Utgrävningar

År 1992 hittades av misstag av Antonino Caruso några iakttagelser, som överlämnades till kommunen. Senare under åren 1995, 1998 och 2004 genomfördes utgrävningar, genom arbetsledning av kulturella och miljömässiga arvet i Palermo, som har grävt fram en gammal helig område flankerad av rum tillägnade den metallurgiska industrin. Fynden från utgrävning ställs ut på lokal Civic Museum.

Avveckling och återvinningar

Utgrävningar har grävt resterna av en uppgörelse sicano arkaisk, daterad till åttonde-sjunde århundradet före Kristus. Kring mitten av det sjätte århundradet f.Kr., tack vare sitt läge på gatorna i dalarna av floderna Torto och Platani, genomgick en djup hellenisering. De arkeologiska materialen vittnar kontakter med de grekiska kolonierna Imera och Agrigento och den samtida inhemska centra. Vid går detta skede tillbaka en helgedom, som return Lättnad som visar en mänsklig figur som sitter på kanten av ett badkar: initialt tolkas som Herakles fontänen visar Minos, som dog i ett badkar. I ett forskningsprojekt lärd Danilo Caruso utförs med tester som kapellet är identifierbar med tempel Afrodite från vem det var falska grav Minos, dödades i legenden nämns av Diodorus Sicilien i den historiska biblioteket av kung Kokalos: myten omarbetades av Theron, tyrann av Agrigento i början femte århundradet f.Kr. som ett led i sin politik för territoriell expansion på bekostnad av Himera. Dokumentet, bland annat ett antal arkeologiska fynd och strategiska läge i Colle Madore. En liturgiska bassängen är också att anslutas till det centrala vatten, sakral element i denna helgedom. Dessutom det nuvarande namnet "Madore", som kommer från de grekiska madarόs är ansluten över temat. Efter erövringen av Theron omkring 483 f.Kr. ägandet av helgedomen kan passeras av Afrodite-Astarte till Demeter. Under denna period, platsen genomgick en första partiell förstörelse. Uppgörelsen fortsatte i reducerad form som slutligen övergavs i slutet av det femte århundradet, efter erövringen av Kartago och förstörelsen av Himera och Selinunte i 409-405 f.Kr.

venerdì 24 luglio 2015

L’ENIGMA DEI NUMERI INNAMORATI DI GIACOMO BALLA

di DANILO CARUSO

“Numeri innamorati” è un dipinto futurista della prima metà degli anni ’20 (l’anno preciso non è accertato). Giacomo Balla vi ha rappresentato dei numeri in un contesto che appare particolare poiché a una serie estratta dalla sequenza di Fibonacci (3, 5, 8) si aggiunge un 4 il quale pare un intruso, in quanto estraneo a questo criterio di preferenza.
L’impressione, in effetti, non è sbagliata: tale 4 non fa parte della serie di Fibonacci, e la sua collocazione in alto a destra lo conferma, soprattutto se notiamo che 3, 5 e 8 sono posti in linea sulla sinistra.
Il 4 si distacca da essi anche sotto il profilo del colore (più di nero in questo che negli altri).
La chiave di interpretazione che ipotizzo scaturisce dalla lettura e dallo studio che ho fatto del romanzo “Noi” di Evgenij Zamjatin1.
In tale opera distopica, nella sua sezione denominata annotazione 12a, viene riportata una quartina di sonetto del poeta R-13, il quale, nell’ottica del mio saggio, ho definito un filofichtiano.
La traduzione in italiano di quei versi è la seguente.


Per sempre innamorati 2x2
per sempre uniti nell’appassionato 4
i più ardenti amanti nel mondo
gli indivisibili 2x2


Mi ha colpito quel 4 che ho rivisto nella tela di Balla, un poco in veste di pecora nera.
La serie di coincidenze con i risultati della mia analisi letteraria prosegue mettendo in evidenza i possibili significati di quegli altri numeri di Fibonacci.
Oltre a suggerire di leggere il mio citato lavoro critico sul testo zamjatiniano (al pari naturalmente del romanzo), qui debbo ricordare di aver qualificato il protagonista maschile di “Noi”, D-503, un filohegeliano.
Ciò è molto importante perché come è noto la sequenza di Fibonacci graficamente dà origine a una spirale, e a una spirale è altrettanto noto il fatto che sia paragonata la logica hegeliana.
La progressione di Fibonacci è molto hegeliana: il primo numero della serie, l’uno, pone se stesso come l’Assoluto.
Da qui comincia la sequenza di somma-sintesi: niente più uno, 1+1= 2, 1+2=3, 2+3=5, etc., in cui gli addendi rappresentano tesi e antitesi.
R-13 e D-503 nel romanzo hanno un confronto il cui tema ho spiegato essere il cattivo infinito, respinto dall’idealismo hegeliano e presente in quello di Fichte.
La scena di Balla sembra riproporre detto momento narrativo e i suoi contenuti filosofici.
Non dobbiamo inoltre trascurare che i cittadini dello “Stato Unico” zamjatiniano, in cui vivono R-13 e D-503, vengono chiamati “numeri”: il termine ritorna nel titolo di Balla, allo stesso modo dell’innamoramento (si veda non solo la quartina di R-13).
Il 4 di Balla rappresenterebbe la poesia di R-13 (2x2=4) e il suo autore (1+3=4), nonché la sua posizione di distacco dalla dialettica hegeliana dell’Assoluto, a sua volta potenzialmente visibile nei numeri di Fibonacci 3, 5 e 8.
In più 3 e 5 paiono evocare la coppia dei protagonisti zamjatiniani: I-330 e D-503, la cui relazione è per sempre unita nell’appassionato 8 (di Fibonacci) antitetico all’asimmetrico 4.
3 e 5 sembrano nomignoli.
Nel quadro, ancora ci sono il verde, che sa di “Muro Verde” (la cinta separante la città dalla natura), e un dorato, che nel romanzo ritorna varie volte, come colori caratteristici dello “Stato Unico”.
Se i significati che ipotizzo hanno avuto un canale di affluenza, questo è molto probabile che sia stato costituito dai costruttivisti russi negli anni di realizzazione dell’opera pittorica in esame (il testo originale di “Noi” girava fuori del mondo sovietico negli ambienti russofoni).
Un contatto che, per quanto ci interessa, raggiunse l’apice con l’esposizione parigina d’arte del 1925.
I collegamenti fra Balla e la cultura russa sono abbastanza remoti: alla fine del primo decennio del ’900 espose delle sue tele in Russia.
E non è il caso di trascurare le più ampie relazioni tra il Futurismo italiano e gli artisti russi simpatizzanti: dalla pittura alla letteratura questi ultimi ebbero con il primo un intenso rapporto non sempre di condivisione delle vedute.
Poi Balla fu pure scenografo nel 1916-17 dell’opera di Stravinskij “Fuochi d’artificio” (Roma, 12 aprile 1917). 
Il mio ragionamento così costruito mi ha spinto a prendere in considerazione un secondo dipinto di Balla: “LTi” (riconducibile al medesimo periodo dei “Numeri innamorati”).
Pure lì compare il 4 di R-13 accompagnato da un 2.
Nelle lettere l’impressione suscitatami è che il suddetto confronto fra R-13 e D-503, il quale nella 8a nota dell’opera di Zamjatin coinvolge O-90, abbia, con tutto quest’altro contesto di “LTi”, una diversa riproposizione (l’azzurro rievoca quello degli occhi di O-90).
R-13 fruisce dell’opportunità di essere partner sessuale di O-90, e nelle lettere e nei segni di interiezione del quadro (L, T, i, ?, !)  parrebbe di sentire una sensazione di perplessità interiore proveniente da D-503 il quale fa presente a R-13 tale triangolo (v. la citata annotazione 8a): «Lei, tu e io?!».
Non è da escludere che “Noi”, opera critica verso il comunismo sovietico, grazie all’eco avuta negli ambienti culturali europei attenti alle novità artistiche e ai cambiamenti storici, abbia avuto una possibile attenzione del fascista Balla.
È ovvio che tutto l’insieme delle mie ipotesi rimanga, in tal guisa, fermo nel campo delle probabilità da verificare, se ce ne fosse modo, meglio: se tutta la riflessione elaborata non partisse da elementi intenzionali messi da Balla, che tuttavia (intenzionali o meno) più d’uno si offrono, la mia interpretazione rimarrebbe pregiudiziale, e il rilevamento di quelli si ridurrebbe a conseguenza di un grazioso scherzo della casualità.
Ciò nonostante credo pertinente sottolineare alcuni aspetti generali a sostegno delle mie ipotesi, le quali non vogliono sembrare fantasiose.
Nella pittura di Balla è caratteristico un movimento dinamico, nella rappresentazione, il quale si protende all’infinito; movimento che assorbe e disintegra l’oggetto, e diviene soggetto dell’immagine: questo, in ambito estetico futurista, rammenta la dialettica fichtiana (e il cattivo infinito), dove anche là un movimento pratico dell’Io verso il non-Io ambiva a sottomettere l’oggetto a un dinamico soggetto.
Sia in Fichte che nel Futurismo gioca un ruolo importante l’idea di progresso.


NOTE

Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Note di studio (2016)”
https://www.academia.edu/27249051/Note_di_studio

1 Si veda la monografia: “Danilo Caruso, L’antipanlogismo di Evgenij Zamjatin (2015)”.