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giovedì 25 giugno 2020

L’IRRAZIONALE MISOGINIA TOMISTA

di DANILO CARUSO


Quod sexus masculinus est nobilior
quam femineus, ideo humanam naturam
in masculino sexu assumpsit [filius Dei].

Tommaso d’Aquino, “Summa theologiae”


Tommaso d’Aquino (1221-1274) è l’autore di una delle opere teologiche più importanti della religione cattolica: la “Summa theologiae”. In vita fu noto come il Doctor angelicus, nel 1323 fu proclamato santo e nel 1567 dottore della Chiesa. Nato all’interno di una nobile famiglia, era stato avviato alla carriera religiosa da subito. L’intenzione familiare di destinarlo al più alto ruolo nell’abbazia benedettina di Montecassino venne frustrata quando lui scelse di entrare fra i Domenicani. La famiglia lo tenne pertanto un paio d’anni in una sorta di detenzione domiciliare in un proprio castello nel tentativo di fargli riprendere il progetto originario. Lui resistette e la ebbe vinta. Allo scopo di fargli cambiare idea gli avevano mandato pure una prostituta, che lui minacciò con un tizzone cacciandola. Tra parentesi: nel pensiero tomista le prostitute vengono paragonate all’impianto fognario di un palazzo e alla puzzolente sentina di mare. La mano con cui scrisse le sue opere viene custodita come reliquia nella chiesa di san Domenico a Salerno. Prima di morire sembra abbia avuto una visione, in seguito alla quale smise di scrivere, possibile sintomo di una forma psicopatologica derivata da nevrosi originaria. Nella Questione 92 della prima parte della “Summa theologiae” san Tommaso d’Aquino affronta il problema dell’origine naturale della donna e di quale sia lo statuto ontologico di ella nella cornice del pensiero religioso cattolico. A monte dell’analisi reputo indispensabile chiarire la sostanza concettuale dietro la quale il Doctor angelicus si allineò. Il problema della misoginia tomista non può essere banalizzato, perciò preferisco fornire gli strumenti di lettura prima della lettura medesima, poiché l’altra operazione si presta a un annacquamento generale volto ad alleggerire responsabilità storiche nell’assunzione di posizioni antifemministe. Innanzitutto non è corretto dire che l’Aquinate abbia riportato nella Quaestio VIIIC considerazioni aristoteliche condite con salsa teologica. Simile aspetto sotto il profilo speculativo costituisce la facciata della realtà. La verità sta nel fatto che la “Bibbia” si rivela misogina, e che dalla Patristica in poi si cercò in generale di costruire la teologia cristiana con mattoni filosofici greci. Il povero Aristotele, i cui deficit in relazione ad antifemminismo e legittimazione della schiavitù non sono però giustificabili in alcun modo, trovò i suoi difetti di pensiero amplificati per secoli dalla Chiesa. La quale di lui fece una zavorra del progresso scientifico per tantissimo tempo. Se ritroviamo lo Stagirita nella “Summa theologiae” è solo a ragione di mera compatibilità religiosa. Aristotele spiegherebbe in maniera (pseudo)scientifica quanto, e non solo, il biblico libro della “Genesi” illustra ai fedeli: l’inferiorità della donna rispetto all’uomo. Tommaso d’Aquino si colloca sul binario di Tertulliano e di sant’Agostino, un binario che nel tempo ha imbarcato lo Stagirita, e non il di questo maestro che di parità di genere fece professione. Perciò la scelta del Doctor angelicus appare convinta, non gli mancavano altre possibilità di valutazione più serie. Preferì seguire il filone canonico cristiano misogino. Questo, come detto, poggia le sue radici all’interno della Scrittura1, e in particolar modo in “Genesi”. Ho analizzato altrove brani interessati direttamente in ebraico2 e riguardo all’antropogonia veterotestamentaria qui mi limiterò a ricordare ciò che sia utile a questo esame (rinviando là per approfondire). Dalla lettura delle comuni bibbie di qualsiasi tempo si potrebbe notare come i Cristiani non abbiano capito affatto il discorso della scissione androginica dalla quale nasce la donna. La favola della “costola” scaturisce da pessima traduzione fuorviante. In questo discorso è rimasto impelagato anche l’Aquinate, quindi quando parla di “costola”, riferisce di una fantasia interpretativa non contenuta nel testo ebraico. Ciò, di per sé, rappresenta un enorme errore per un’opera monumentale la quale ha la pretesa di essere l’enciclopedia concettuale universale della fede cristiana: se viene già giù un muro a causa di motivazioni non collegate direttamente a motivi teologici, chissà quale potrà essere la tenuta generale del complesso per via di altre eventuali sue parti deboli. Ma accantoniamo tale considerazione e riprendiamo il tema conduttore della Questione 92. Nella “Genesi” la donna trae origine dalla divisione di un androgino originario (Adamo) e viene indicata quale ragione di un degrado ontologico della nuova umanità a causa di quella separazione (il racconto mal tradotto della “costola”). Successivamente col discorso del serpente e della tentazione alla donna le viene attribuita una seconda ragione, di natura antropologica, dell’ulteriore degradazione del genere umano. In parole povere nella “Bibbia” responsabile dell’ingresso del male nel mondo è la donna (quella che sarà poi definita “porta del Diavolo”). Il Doctor angelicus di tutta questa articolazione narrativa non possiede integrale comprensione, gli manca chiarezza nella parte iniziale. Tuttavia ciò non è servito, neanche prima di lui, ad azzoppare la misoginia. I Cristiani, a cominciare da san Paolo (il quale però da Giudeo aveva le idee chiare), ne hanno colto lo spirito genuino relegando il gentil sesso a una posizione ontologica di serie B. La serie A è solo maschile, e ingaggiare Aristotele costituì per loro un bell’acquisto. Tant’è che al principio della Quaestio VIIIC san Tommaso d’Aquino lo ricorda subito a voler sottolineare quanto pretenderebbe di mostrare quale una verità (pseudo)scientifica mediante la formale autorità del «maestro di color che sanno». L’autore della “Summa theologiae” è misogino. Al di là di quell’episodio legato alla sua giovanile biografia, la sua repulsione verso le donne che appare evidente è consapevole, al punto di pretendere di legittimarla scientificamente. Questa non emerge da una mentalità astratta dell’epoca, viene fuori dall’insegnamento cattolico medievale, il quale ha frenato l’emancipazione femminile creando fenomeni degenerati (quale quello della caccia alle streghe, o delle sante anoressiche per fare un altro esempio). San Tommaso d’Aquino celebra il genere maschile, e sostiene che il femminile sia inferiore sotto tutti i profili, non ultimo quello morale, egli ci spiega che la creazione del mondo, altro argomento sul quale non possiede idee chiare riguardo al testo biblico3, non poteva contenere niente di imperfetto. Dunque ad avviso di lui Dio creò la donna in un secondo tempo facente parte dell’orbita del “peccato originale”.

Videtur quod mulier non debuit produci in prima rerum productione. Dicit enim philosophus, in libro de Generat. Animal., quod femina est mas occasionatus. Sed nihil occasionatum et deficiens debuit esse in prima rerum institutione. Ergo in illa prima rerum institutione mulier producenda non fuit.
[…] Per respectum ad naturam particularem, femina est aliquid deficiens et occasionatum.

Il teologo, entrato nel contesto più propriamente consono alla sua esposizione, si appoggia ad altri discutibili ragionamenti. Fra cui quello strettamente biblico, e non aristotelico, della donna vista nella veste di sprone di errore nei confronti dell’uomo.

Praeterea, subiectio et minoratio ex peccato est subsecuta, nam, ad mulierem dictum est post peccatum, Gen. III, sub viri potestate eris; et Gregorius dicit quod, ubi non delinquimus, omnes pares sumus. Sed mulier naturaliter est minoris virtutis et dignitatis quam vir, semper enim honorabilius est agens patiente, ut dicit Augustinus XII super Gen. ad Litt. Ergo non debuit mulier produci in prima rerum productione ante peccatum.
Praeterea, occasiones peccatorum sunt amputandae. Sed Deus praescivit quod mulier esset futura viro in occasionem peccati. Ergo non debuit mulierem producere.

Nel momento in cui il Doctor angelicus spiega l’origine della donna con la necessità di dare un sostegno all’uomo entra in contraddizione teologica: l’universo creato senza donne non era poi così perfetto se c’è stato bisogno di aggiungerle, ma al posto di equipararle a un grado di positività con una riflessione platonica lui rimase aristotelico per scelta. Dopo aver contraddetto la “completezza” del mondo di soli uomini (l’Adamo originario del testo ebraico è in realtà un androgino, però l’Aquinate non l’ha capito), mantiene le donne nella serie B. Loro servono solo per la riproduzione del genere umano, per tutto il resto la migliore compagnia di un maschio è un altro maschio. Il teologo ribadisce che caratteristica delle donne è la “deficienza”, non soltanto morale, ma altresì fisiologica.

Dicitur Gen. II, non est bonum hominem esse solum; faciamus ei adiutorium simile sibi.
Respondeo dicendum quod necessarium fuit feminam fieri, sicut Scriptura dicit, in adiutorium viri, non quidem in adiutorium alicuius alterius operis, ut quidam dixerunt, cum ad quodlibet aliud opus convenientius iuvari possit vir per alium virum quam per mulierem; sed in adiutorium generationis. Quod manifestius videri potest, si in viventibus modus generationis consideretur.

Il maschile rappresenta il positivo e l’attivo, il femminile il negativo e il passivo.

Animalibus vero perfectis competit virtus activa generationis secundum sexum masculinum, virtus vero passiva secundum sexum femininum. Et quia est aliquod opus vitae nobilius in animalibus quam generatio, ad quod eorum vita principaliter ordinatur; ideo non omni tempore sexus masculinus feminino coniungitur in animalibus perfectis, sed solum tempore coitus; ut imaginemur per coitum sic fieri unum ex mare et femina, sicut in planta omni tempore coniunguntur vis masculina et feminina, etsi in quibusdam plus abundet una harum, in quibusdam plus altera. Homo autem adhuc ordinatur ad nobilius opus vitae, quod est intelligere. Et ideo adhuc in homine debuit esse maiori ratione distinctio utriusque virtutis, ut seorsum produceretur femina a mare, et tamen carnaliter coniungerentur in unum ad generationis opus. Et ideo statim post formationem mulieris, dicitur Gen. II, erunt duo in carne una.
[…] Virtus activa quae est in semine maris, intendit producere sibi simile perfectum, secundum masculinum sexum, sed quod femina generetur, hoc est propter virtutis activae debilitatem, vel propter aliquam materiae indispositionem, vel etiam propter aliquam transmutationem ab extrinseco, puta a ventis Australibus, qui sunt humidi, ut dicitur in libro de Generat. Animal.

Come riesca l’Aquinate ad attribuire a Dio una componente negativa in un progetto iniziale perfetto rimane oscuro e contraddittorio, a meno che non si debba concludere che la divinità biblica abbia vivissimi disprezzo e odio nei riguardi delle donne al punto di emarginarle volutamente.

Per comparationem ad naturam universalem, femina non est aliquid occasionatum, sed est de intentione naturae ad opus generationis ordinata. Intentio autem naturae universalis dependet ex Deo, qui est universalis auctor naturae. Et ideo instituendo naturam, non solum marem, sed etiam feminam produxit.

Ma l’effettiva cosmogonia di “Genesi” sottoposta a ermeneutica più obiettiva scandisce meglio i momenti. Il Dio biblico veterotestamentario rappresenta in verità un demiurgo platonico che diviene misogino a causa della scissione androginica e della disobbedienza della donna tentata dal serpente. La sua misoginia è giustificata a posteriori. San Tommaso d’Aquino cerca di farlo a priori mirando a incorniciare tutto nell’onniscienza divina: in seguito a ciò nascono le sue contraddizioni. Il Dio dell’Antico Testamento non tiene tutto in pienissimo potere, si mostra soltanto il più potente tra i vari Dei4. Nel suo amore per lo Stagirita il futuro dottore della Chiesa lo rievoca ancora alla fine della Quaestio VIIIC: è lecita una struttura gerarchica nell’umanità, legittimante la subalternità. “Signori/servi” in generale, però il Doctor angelicus torna a spiegarci una “naturale” subalternità delle donne di fronte ai maschi. Questi in assoluto sono portatori di un livello superiore di ragionevolezza, tuttavia pure al loro interno si dà ulteriore gerarchia: se le femmine sono di serie B, ci sono uomini di A1, A2… A quanto pare esistono, in virtù di simili considerazioni, “deficienti” (tutte le donne, una parte degli uomini) bisognosi di una guida maschile qualificata a tutela stessa dei primi. In aggiunta ad Aristotele in queste reazionarie riflessioni è da vedersi misoginia paolina accanto a quella generica canonica.

Duplex est subiectio. Una servilis, secundum quam praesidens utitur subiecto ad sui ipsius utilitatem et talis subiectio introducta est post peccatum. Est autem alia subiectio oeconomica vel civilis, secundum quam praesidens utitur subiectis ad eorum utilitatem et bonum. Et ista subiectio fuisset etiam ante peccatum, defuisset enim bonum ordinis in humana multitudine, si quidam per alios sapientiores gubernati non fuissent. Et sic ex tali subiectione naturaliter femina subiecta est viro, quia naturaliter in homine magis abundat discretio rationis. Nec inaequalitas hominum excluditur per innocentiae statum.

La conclusione della Questione 92 conferma la contraddizione tomista. Il teologo di Aquino attribuisce de facto a Dio l’incapacità di progettare un cosmo senza elementi negativi (le donne), e cerca di salvarlo dall’imbarazzo teologico asserendo che egli trae comunque del bene dal male.

Si omnia ex quibus homo sumpsit occasionem peccandi, Deus subtraxisset a mundo, remansisset universum imperfectum. Nec debuit bonum commune tolli, ut vitaretur particulare malum, praesertim cum Deus sit adeo potens, ut quodlibet malum possit ordinare in bonum.


Ma se Dio era onnipotente e onnisciente perché non ha evitato quanto questo venturo dottore della Chiesa reputa male (il genere femminile)? Allora, sulla base della Quaestio VIIIC, o Dio non è onnisciente e onnipotente, oppure le donne non rappresentano ontologicamente alcunché di negativo. E in entrambi i casi l’autore della “Summa theologiae” entra in contraddizione, costretto a rinunziare o all’onnipotenza divina o alla misoginia. Voglio rammentare che il manuale più famoso nella caccia alle streghe proviene dall’opera di due domenicani, Kramer e Sprenger, i quali ebbero come base pseudoconcettuale, oltre a specifiche nevrosi personali, tutta la gamma di pensiero misogino che lega Aristotele a Tommaso d’Aquino. Il “Malleus maleficarum” chiarisce che la stregoneria è caratteristica femminile più che maschile, e che essa costituisca una pratica di servizio demoniaco, nella cui repressione sono lecite torture e uccisioni. Oggigiorno, in una società più progredita di quella dei secoli scorsi, sembra difficile negare la sorgente psicopatologica di simile letteratura sprone a uno dei fenomeni più aberranti della Civiltà occidentale. La caccia alle streghe, per il modo in cui è stata condotta negli ambiti cristiani, rappresenta senza dubbio un crimine contro l’umanità, un gravissimo delitto contro la dignità del genere femminile, emarginato, violentato e ucciso nella storia sulla base di idee non scientifiche e assurde. Aver tenuto lontane le donne dallo studio e dalla politica si rivela altresì un secondo crimine il quale ha privato l’Occidente di un preziosissimo contributo di crescita di cui ancora oggi si pagano le conseguenze in termini di contributi. Quando si chiede perché la filosofia, la letteratura, la politica del passato erano solo al maschile, la risposta è: perché qualcuno ha fatto di tutto allo scopo di estromettere le donne. E di questo “tutto” parla oggi la storia a chi voglia conoscerla seriamente, togliendo la mortadella dagli occhi anche in relazione alla fenomenologia dei femminicidi contemporanei, risultato di una sedimentazione psicoarchetipica negativa nell’inconscio maschile durante i secoli. Se nel XXI secolo le donne a causa di mano maschile vengono ancora uccise, subiscono danni fisici e morali, per motivazioni pseudosentimentali, per non voler stare con un preciso uomo, è perché nel mondo occidentale è stato a lungo insegnato dalla religione dominante cristiana che i maschi comandano e le femmine ubbidiscono. Tale archetipo maschile dell’Ombra esiste ancora operante: le donne che non si adeguerebbero alle inique pretese maschili verrebbero punite nel contesto di un formale meccanismo nevrotico che prevedrebbe l’automatica subordinazione femminile (venuta meno). Le vittime sono tornate a essere “streghe”. Va rivolto un plauso ai Protestanti che hanno riconosciuto il sacerdozio femminile: questo è stato un concreto gesto mirante a voler de facto dimostrare la parità di genere. L’antifemminismo cristiano ha posseduto una fortissima connotazione sessuofobica. La mariologia ha costruito un modello di donna ideale di natura schiettamente misogina. La madre del Salvatore doveva essere scremata di tutte le ritenute negative qualità femminili, così è accaduto che in lei sia rimasto niente di autentica femminilità. Cristo viene al mondo per compenetrazione, lasciando l’imene mariano intatto, come quando ella rimase incinta per virtù dello Spirito Santo. Si tratta di un’inseminazione e di un parto cesareo metafisici, prodotti di una mentalità sessuofobica a cui si omologa il Doctor angelicus nella “Summa theologiae”: «Secundum Augustinum, in libro de nuptiis et concupiscentia, libido est quae peccatum originale transmittit in prolem». Per la teologia dell’Aquinate la Madonna venne purificata a due riprese dal peccato originale: quando fu destinataria della scelta di farle condurre la maternità divina nello stadio prenatale, in modo parziale; e al momento del concepimento di Gesù, in modo definitivo. Quest’ultimo evento segnerebbe lo spartiacque definitivo tra concupiscenza e santità in lei. Ella sarebbe passata indenne, in precedenza, al cospetto di quella. Il teologo non ammetteva il possesso mariano di una perfezione completa già in partenza prima della venuta (concepimento) di Gesù Cristo, possessore e concessore di quella qualità. Il Messia non poteva nascere normalmente, secondo natura, poiché la dinamica normale evoca il congresso carnale, e questo rientra nella materia morale inerente a concupiscenza e continenza. A Maria viene perciò tolta la libertà di nutrire un interesse sessuale e la facoltà di partorire naturalmente: che cosa le resta di femminile? Quasi niente, solo l’aspetto. L’iconografia è sempre stata quella di una giovane donna distaccata, irrigidita in uno schema celeste. L’unica eccezione è stata data dalle Madonne delle latte5, le quali non ebbero vita lunga. Era pericolosa una Mater Dei a seno nudo impegnata in una funzione femminile post partum: troppo carnale per sopravvivere dentro a un clima concettuale di disprezzo della corporeità e dei suoi aspetti fisiologici. Nel 1854 il Papa Pio IX proclamò un dogma contenente sempre un contenuto antifemminista in relazione alla nascita della Madonna, ventura Mater Dei, ma ribaltando l’impostazione di forma tomista. Da allora la teologia cattolica ha spiegato che l’immacolata concezione di Maria ha portato ella al di fuori della potestà del Demonio al 100% (tutte le rimanenti donne vi permangono in potenza comunque). Il dogma di Pio IX priva la Madonna alla radice del difetto della concupiscenza a tutti i livelli, compreso quello sessuale. Deduciamo che abbia sposato Giuseppe in seguito a un puro obbligo esterno alla determinazione della propria volontà giacché non avrebbe dovuto nutrire nessun interesse verso un uomo essendo costitutivamente rivolta a Dio. E ciò si riaggancia alla tomista “Summa theologica”: «Quod beata virgo mater Dei ex familiari instinctu spiritus sancti credenda est desponsari voluisse, confidens de divino auxilio quod nunquam ad carnalem copulam perveniret, hoc tamen divino commisit arbitrio. Unde nullum passa est virginitatis detrimentum». Il dogma dell’immacolata concezione porta a compimento una problematica affrontata dalla Scolastica: sanificare l’“incubatrice” del Verbum Dei da tutte le connotazioni negative riconosciute dal Cristianesimo al gentil sesso. Da un essere di serie B, dalla “porta del Diavolo” non poteva nascere il Redemptor mundi; la teologia non poteva tollerare una simile idea. Quindi già dalla Patristica si iniziò a creare una nicchia speculativa in cui infilare la madre di Gesù al fine di separarla dal novero delle comuni donne, le quali poi sono quelle normali. Il dibattito sulla preservazione di Maria dal peccato originale (i cui effetti: morte e concupiscenza) ha giocato solo a danno di lei. Nel momento in cui si è misurata la prossimità a lei del peccato originale e si è spostata la concessione integrale dell’immunità a dopo il concepimento le si è lasciata la natura femminile e la si è mantenuta sul più basso livello teologico di “incubatrice divina”. Ciò è avvenuto per non esaltare troppo il ruolo di quel soggetto di serie B. Il dogma dell’immacolata concezione sembra figlio della fine della caccia alle streghe, fine ottenuta dal progresso illuministico della società occidentale. La postulazione dogmatica di Pio IX a metà del XIX secolo nello stabilire l’estraneità della Madonna alla concupiscenza ha radicalmente rimosso una grande fetta della libertà al modello femminile dei cattolici. Quell’idea di perfezione morale si alimenta di una ferrea circoscrizione comportamentale, misogina e sessuofobica. A Maria non è mai stato chiesto preliminarmente né assenso né parere in tutto ciò che la riguardò nella sua vita terrena: ricevette l’imposizione divina senza facoltà di potersi rifiutare. Infatti si tratta del modello di donna subordinata sempre, con o senza dogma, al principio maschile. Nello schema mariologico deve essere cancellata la fisiologia specifica femminile, collocata su un piano ontologico inferiore negativo. Il dogma del 1854 colpisce le donne attraverso uno strumento sostitutivo della loro estinta persecuzione precedente: alla misoginia ecclesiastica rimase una forma di accanimento dottrinario, il quale peraltro continuò a promuovere la privazione dei diritti politici alle donne sino a inizio del ’900. San Tommaso d’Aquino nella “Summa theologiae” affermò che il Figlio di Dio si incarnò in un uomo giacché il sesso maschile è il più nobile; e il Cattolicesimo tutt’oggi rifiuta il sacerdozio femminile adducendo che la natura biologica di Cristo fosse quella del “vir” e che perciò la dignità sacerdotale spetti unicamente agli uomini.


NOTE

Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Teologia analitica”