di
DANILO CARUSO
Lenina
Crowne è una protagonista di “Brave New World”, un romanzo di Aldous Huxley
(1894-1963) pubblicato nel ’32. In questo racconto distopico si fa un
particolare uso dell’aggettivo inglese “pneumatic”1. Esso viene
usato per definire costei: la sua valenza, nel contesto della narrazione di
quella società, che ha portato il capitalismo alla sua estrema irrazionale
manifestazione, tocca in relazione a Lenina una dimensione erotica la quale è
il riflesso del modus vivendi in cui ella si trova inserita. Il Mondo Nuovo di
Huxley vive infatti la sessualità in maniera molto libera, e l’applicazione di
“pneumatic” a tale protagonista la connota in senso lato sotto il profilo di
un’ottica che media estetica ed etica. L’aggettivo viene attribuito anche a
cose, e pertanto la sua sfera semantica ingloba tutto ciò che è considerato
“premio” della weberiana e capitalistica
predestinazione divina. Lo spunto huxleyano dell’uso di “pneumatic” pare
tratto, con un’intenzione di denuncia generale di una visione reazionaria e
illiberale della società, dall’opera di Thomas Stearns Eliot (1888-1965):
suddetto aggettivo compare nella poesia eliotiana “Whispers of immortality” del
1920. In questo testo “pneumatic” viene usato per un’attribuzione al sostantivo
«bliss (felicità, beatitudine)», a cui condurrebbe «l’amichevole seno (friendly
bust)» della «bella (nice)» (Russa) Grishkin «senza corsetto (uncorseted)». In “Brave New World” i «breasts (seni)» di
Lenina sono palpati da un altro protagonista del romanzo, Bernard Marx, nel
cap. VI. La radice religiosa e capitalistica del Mondo Nuovo, dove non esistono
più gestazioni materne naturali e tutti nascono da un utero artificiale
(ectogenesi: qualcosa qui di paragonabile all’azione dell’evangelico Spirito
Santo nella gravidanza della Vergine), mi offre spunto di un salto indietro
nella storia reale allo scopo di individuare una testimonianza nell’ambito
artistico di questo concetto huxleyano di “pneumatic”. Per la precisione mi
riferisco al caso de “La Madonna del latte in trono col Bambino”, componente
del “Dittico di Melun”, frutto dell’abilità di Jean Fouquet. “Madonna del
latte” è uno dei tanti titoli mariani. Una delle opere più famose dedicata a tale
tipologia è appunto la suddetta. Nella vicenda che ne vide la realizzazione
possiamo rintracciare elementi protocapitalistici, i quali ante litteram
prendono le distanze dal cattolicesimo ufficiale: la cosa è evidente peraltro
nella forma estetica adottata dall’artista discostantesi anche dal meno
conformista analogo elaborato dei suoi tempi. Jean Fouquet (chiamato dal
Vasari, nel suo famoso compendio, Giovanni Fochetta) nacque nella seconda metà
degli anni ’10 del ’400 a Tours, in Francia, e morì intorno al 1480. Pittore e
miniaturista molto apprezzato durante la sua epoca, fu al servizio dei monarchi
francesi e di loro collaboratori di governo. Non numerose le informazioni su di
lui e neanche precise: è credibile la sua presenza in Italia in occasione di un
soggiorno nella seconda metà degli anni ’40 (si dice che abbia dipinto uno
scomparso ritratto di Papa Eugenio IV). Da questo viaggio avrebbe portato con
sé varie suggestioni derivanti dai suoi contatti con artisti e con l’ambiente
(si pensa sia stato in più città della penisola). Il “Dittico di Melun”, il suo
elaborato più noto, fu realizzato, al rientro in patria, a metà ’400 dietro
incarico di Etienne Chevalier, responsabile delle casse dello Stato. Tale
coppia di dipinti era stata commissionata per un’ubicazione ecclesiastica in detta
città, forse alla memoria di una defunta amante del re Carlo VII (si ipotizza
che Maria abbia assunto nell’opera le sembianze di tale Agnès Sorel). Le due
pitture su tavola hanno ciascuna un’estensione quasi di un quadrato col lato di
1 m. Quella, di sinistra, in cui è raffigurato il committente, nell’atto di
essere introdotto alla presenza della Vergine dall’intermediario santo Stefano,
è di pochissimo un po’ più grande dell’altra (la quale è la principale). Le due
immagini in origine erano accompagnate da una terza molto piccola, un
autoritratto dell’autore. Questo è conservato adesso a Parigi, infatti l’unità
del complesso in passato è stata scissa: “La Madonna del latte in trono col
Bambino” è custodita ora ad Anversa, mentre “Etienne Chevalier presentato da
santo Stefano” lo è a Berlino. Nel riquadro saliente il parmenideo seno
sinistro di Maria («simile alla massa di ben rotonda sfera») si trova alla luce
in prossimità del figlioletto, seduto sulle di lei gambe: entrambi sono
collocati su un assetto figurativo a forma di piramide. Accostando le immagini
del dittico, le linee di fuga del sistema prospettico del dipinto secondario
intercettano un punto sulla parte bassa del volto mariano. Gli angioletti che
circondano la Vergine e Gesù Bambino sono dei serafini (quelli rossi) e dei
cherubini (quelli blu). Altre raffigurazioni pittoriche del genere presentano
la Madonna che spruzza altresì latte da un seno all’indirizzo di qualcuno (ad
esempio un santo), o con il liquido latteo fluente. Questo “latte mariano”
rintracciato dall’ingenuità popolare in manifestazioni naturali, poste poi
all’attenzione di pratiche cultuali, era, ad avviso del credente, uno strumento
di fortificazione (si pensi all’antico caso pagano di Ercole che succhia il
latte dell’inconsapevole Era) o di guarigione (il che ridà la classica
dimensione curatrice appartenente a oggetti sacri): sul piano di una analisi
alchemico-junghiana ciò corrisponde alla fase dell’“albedo”, al passaggio verso
un livello di positività da quello negativo della “nigredo” (depressione,
malattia, miseria, et cetera). Nel Medioevo la sirena Melusina, dai cui seni
ella offriva il latte, rappresentava la Grande madre generatrice e reggitrice
dell’universo. La tipologia figurativa in esame ha una lontana ascendenza
nell’antica religiosità egizia, dove in origine era Iside a prestarsi
nell’allattamento del figlio Horus: da questo contesto poi sopravvisse nell’arte
dell’affermatosi Cristianesimo. La venerazione della “Madonna del latte” si
radicò presso i ceti bassi dove l’allattamento di un neonato era prassi
obbligatoria. Un impulso uscì fuori dal Concilio efesino del 431, e scaturì dal
dogma della maternità di Maria nei confronti di Dio: la Madonna theotokos, madre di Dio. Contrariamente agli ambienti greci e romani, per
differenti motivi, allattare un bambino nella cultura giudaico-cristiana non
era disprezzato tant’è che di Gesù e della Vergine in Lc 11,27 si dice: «Beati…
i seni che tu poppasti». Inoltre nel Vecchio Testamento in Ct 7,8 si mostra un
fuggente quid di “pneumatic”. Maria poté così essere rappresentata in vesti
meno aderenti ai canoni narrativi aviti, forme perciò arricchite di spunti teologici
di più larga base: ella non era solo la mamma di Gesù, era soprattutto la madre
di un Dio (come Iside). Dall’area orientale bizantina detto modello giunse
nella zona centroccidentale del continente europeo. Qua si diffuse, in epoca
umanistica, nelle regioni nordiche e in Toscana, assumendo connotazioni meno
rigide e meno convenzionali rispetto alla tradizione d’importazione. La nascita
dell’umanesimo trovò sostegno in nuovi ceti imprenditoriali non provenuti dalla
tradizionale nobiltà feudale. I primi ambivano al potere politico, e negli
investimenti culturali cercavano una legittimazione delle loro mire e della
loro superiorità operativa. La successiva e ulteriore diffusione presso classi
popolari di questo culto mariano trovò infine un radicale ostacolo, causa della
sua decadenza, nelle considerazioni sessuofobiche della Controriforma
sull’inopportunità di simili immagini (veicolo di concupiscenza). In effetti
qualunque moderno osservatore de “La Madonna del latte in trono col Bambino”
avrebbe difficoltà a riconoscervi un’opera di arte sacra, e non stupirebbe il
fatto di trovarla sulla copertina di qualche famosa rivista. L’immagine del
dipinto sembra voler tradurre le impressioni che emergono all’inizio del cap.
VII di “Brave New World” allorché una scena di allattamento al seno di bambini
viene valutata un atto scandaloso da Lenina: infatti la Vergine del Fouquet si
rivela distaccata, per niente coinvolta in una simile prassi se non attraverso
il suggerimento della sua tipologia figurativa. Gesù Bambino appare isolato,
quasi a voler esprimere quelle parole di Bernard suscitanti irritazione in
Lenina: «Che relazione meravigliosamente intima… E che intensità di sentimento
deve produrre! Spesso penso che uno possa aver perso qualcosa non avendo avuto
una madre. E forse tu hai perso qualcosa non essendo una madre, Lenina.
Immaginati mentre siedi là con un piccolo bambino tutto tuo». La conclusione a
cui approda tutto il mio ragionamento esposto individua ne “La Madonna del
latte in trono col Bambino” un exemplum principe protocapitalistico dell’idea
di “pneumatic” di cui fa uso Huxley in “Brave New World”. L’aggettivo nella
pittura in questione si appalesa in varie vesti: da quella teologica, della
maternità divina (che coinvolge lo Spirito Santo, Pneuma), a quella estetica
analizzata sin qui (culminante nel concetto di “pneumatic” del Mondo Nuovo,
ultima tappa dell’irrazionale evoluzione capitalistica). Un non tanto razionale
Spirito Santo è dunque il fondamento su cui poggia questo singolare manifesto
artistico dell’ambizione borghese che risulta essere alla fine l’opera
esaminata del Fouquet. Il tema dell’irrazionalità traspare pure dal riferimento
alla teologia dogmatica della Chiesa cattolica.
Lo Spirito Santo procede
infatti dalla relazione di circuminsessione tra le prime due Persone della
Trinità. E dato che il Verbo-Logos è la seconda, alla terza rimane poco di
razionale nel suo ambito che si occupa di una relazione d’amore, ossia erotica.
È lo Spirito Santo, poi tramutatosi in scienza
genetica priva del lume della ragione in “Brave New World”, a ingravidare
Maria. E sempre esso sottostà, nel suo alogico sviluppo, al suo aggettivo
“pneumatic”. Il quale nel tradursi esteticamente lega quindi Lenina Crowne a
“La Madonna del latte in trono col Bambino”, la quale a sua volta si rivela
vicina ai canoni rappresentativi “pneumatici” di una società avanzata quale
quella borghese americana rintracciabili nel famoso disegnatore Bill
Ward (1919-1998).
NOTE
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Note di studio (2016)”
1 Ne ho parlato in un mio saggio che analizza il Mondo Nuovo huxleyano: “Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015)”, pag. 11.