di
DANILO CARUSO
Dal
mio punto di vista e di studio, il capitalismo non è un fenomeno col DNA moderno.
Degli studi mi portano alla conclusione che ciò che dice Weber a proposito
dell’etica protestante abbia già una radice nell’antica mentalità sumera, la
quale a sua volta ha influito tramite l’attivismo ebraico transitato grazie a
Lutero nel Protestantesimo. È un discorso complesso, in parte affrontato nel
mio saggio “Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016)”1. Mi resta da analizzare ed esporre
l’ascendente sumero sull’Ebraismo, e spiegare meglio la nascita religiosa
dell’attivismo e il suo sviluppo nevrotico (quale Weber tratta in relazione
all’etica protestante). Due settori dei miei studi hanno riguardato da un lato
la tradizione religiosa giudaicocristiana e dall’altro la fenomenologia e le
cause del capitalismo. Senza pretesa alcuna di originalità, in diversi saggi
via via pubblicati, ho esposto risultati di analisi e riflessioni. Qui vorrei
unificare in una base comune lo sviluppo di quelle mie ricerche, affinché quei
rami possano avere un solo tronco, il quale mi consenta di restituire un
modello unificato di interpretazione storica e sociologica della Civiltà
occidentale nelle sue grandi linee. Il tutto è servito se non altro a me allo
scopo di comprendere come naviga la barca della storia occidentale in cui mi
trovo. A proposito dell’Oriente, mi riservo l’opportunità di approfondire
ulteriormente in futuro le differenze e la dialettica con l’Occidente. Adesso,
parlando dei Sumeri, e dunque dell’incipit storico che a me interessa, tengo a
puntualizzare alcune cose. Ho già detto di pensare a un’origine aliena
dell’umanità, ma in un modo che non ha niente a che vedere con le idee di
Zecharia Sitchin2. Io ipotizzo un’emigrazione interplanetaria. Sul
pianeta Terra sarebbe stato lasciato un nucleo di esseri umani alla ricerca di
luoghi adatti alla vita. Da qui sarebbe sorta la civiltà umana terrestre, con i
suoi difetti, bene o male in cammino progressivo nell’ascesa tecnologica
durante i secoli (tutto sommato una platonica reminiscenza scientifica, non
poco ostacolata da nevrotici nemici). In questa colonia sulla Terra, a un certo
punto, sarebbe prevalso un senso
dell’abbandono il quale avrebbe avuto come risposta psicologica e
sociologica la nascita delle religioni.
Mi ha colpito molto rinvenire presso i Sumeri la sensazione di essere in balia
di qualcosa di superiore e di oscuro. Perciò, a ritroso, ho circoscritto uno stato di abbandono. Se esso ha generato varie
religioni (anche con intelaiature concettuali comuni), la “meraviglia” (più
libera da paura e nevrosi) ha prodotto la filosofia e la ricerca scientifica.
Ora chiarirò come la mentalità sumerica contenga elementi capitalistici poi
sviluppatisi in Occidente mediante il transito nell’Ebraismo della vocazione
attivistica3. Del fatto che il Giudaismo sia sorto dalla fusione di
un portato egizio-atonista e di un altro asiatico ho già discusso4.
Qua approfondirò questa seconda componente nel suo essere sprone dell’attivismo
e nei suoi elementi di comunanza con la cosmologia ebraica. Non dimentichiamo
la biforcata matrice di sintesi nella religione giudaica la quale ha due padri:
uno spirituale (Mosé, simbolo del pensiero egizio-atonista) e uno biologico
(Abramo di Ur, simbolo del pensiero mesopotamico). Iniziando la spiegazione,
ricordo che la fase preistorica precedente la civiltà sumerica nota (3500-2004
circa a.C.) abbia potuto contemplare un regime sociale ispirato a principi di
democrazia (socialismo primitivo, stato di Natura rousseauiano, fase comunista
marxiana?). Le città sumere storiche si rivelano, nella concezione che le ha
prodotte, una puntualizzazione di una più ampia sostanza universale sottomessa
alla potestà divina nella quale risiede il vero potere politico. Pertanto la
città appare una sorta di azienda di sussistenza umana inquadrata in un sistema
di effettiva teocrazia, dove gli Dei sono – o meno – i fornitori del benessere
e gli interlocutori nei cui confronti gli uomini riconoscevano un obbligo di
produzione e di servizio: gli Dei sono dei soggetti che consumano dai beni attraverso le liturgie sacrificali, sono loro a
concedere ambite condizioni di migliore e lunga vita. In una simile visione si
intravedono i germi dei venturi concetti liberal-capitalistici di “mano
invisibile” e di weberiana predestinazione. Il sistema religioso sumero ruotava
attorno al tema della produttività della Natura e al diffuso modello di
divinità che muore e risorge. Al di là della classica coppia ctonio-uranica,
era prevista una specifica figura divina (Enlil) la quale presiedeva al futuro
di tutto e di tutti in maniera inderogabile, cosicché non è difficile pensare
alla nevrotica predestinazione luterana (e poi capitalistica): accanto a queste
linee generali il sistema oscilla tra predestinazione e giudizio divino
attuale. Un meccanismo di nevrosi basato sullo schema “peccato/punizione”
spinge all’attivismo volto alla ricerca del successo al fine di testimoniare il
riscatto e la predilezione divina. La persona del regnante mostra quale sua
legittimazione del ruolo assunto, con connotazioni religiose di sacerdote
difensore del “sacro”, il fatto di essere beneficiario di un’elezione divina.
Nel complesso architettonico sacrale la dimensione religiosa di culto e quella
produttiva e di conservazione dei beni si uniscono in una strana accoppiata
preweberiana: il tempio appare una specie di banca ante litteram, un ente di
deposito e di concentrazione della ricchezza materiale (protoaccumulazione
capitalistica). Nella realtà sociale sumerica però non tutto era assorbito
nella proprietà religiosa: la presenza della proprietà privata diede spazio a una classe di proprietari i quali
seppero emergere in virtù della loro abilità. Una parte del settore produttivo,
soprattutto per ciò che ineriva all’agricoltura, era in mano privata laddove si
erano concentrati gruppi di Semiti con vocazione al nomadismo. Nella Mesopotamia
sumera esistevano latifondi privati
accanto a piccoli proprietari e alla proprietà religiosa. I latifondisti si
avvalevano per la lavorazione dei campi di soggetti asserviti (in seguito a
motivi bellici o giudiziari). Questi ultimi godevano di tutele sufficienti a
garantire la loro qualità produttiva, quasi fossero moderni lavoratori ed
esistesse in nuce il principio di una prassi
di sfruttamento della manodopera umana. Non è d’altro canto da trascurare
la significativa esistenza dell’opera di tessitura, i cui manufatti traevano la
materia prima dagli animali allevati: la prima Rivoluzione industriale inglese
fu fondata sulla manifattura. Quella sumerica stupisce a causa della sua
varietà e della gamma di lavorazione del suo artigianato (dal legno all’oro). I
frutti del lavoro entravano poi in un circuito commerciale esterno: Ur, la
città di Abramo, esportava verso l’India. Passando a temi più strettamente
religiosi è bene rammentare che la divinità collegata al Sole a lungo andare in
Mesopotamia si fuse con l’altra preposta alla produttività naturale: il che
offre un primo ponte di marca teologica in direzione dell’Ebraismo (Utu, Dio
del Sole, era il garante dell’ordine morale e si spostava sopra un carro).
Nell’ultimo periodo della civiltà sumera Ur emerse sulle altre città, e la
teologia intraprese il percorso di quel sincretismo che ho già rilevato, più
spinto, nell’elaborazione teologica giudaica. La coppia divina a monte
“maschile/femminile”, l’androginia sono argomenti non estranei alla vita
religiosa ebraica, la quale nella sua veste ufficiale si proietterà verso un
nevrotico assetto maschilista5. Un’importante secondo ponte di
collegamento fra la cultura sumerica e quella influenzata ebraica viene offerto
dall’esame delle rispettive cosmologie. L’analisi che ho svolto altrove circa
l’ascendenza della mitologia egizia sul Giudaismo6 trova sul
versante asiatico-mesopotamico una specularità nell’architettura dinamica
concettuale, a conferma di quella mediazione socioreligiosa tra le due
originarie componenti del popolo giudeo. La cosmogonia dei Sumeri infatti
prevedeva la genesi del mondo dall’acqua, da un oceano ingenerato (la Dea
Nammu), cui sarebbe seguita l’accoppiata cielo
e terra (Anu e Ki). Il figlio della coppia uranio-ctonia, il Dio Enlil (lil
= vento), separò il padre e la madre per mezzo di un’azione determinante (lo
strumento è soffio, aria, spirito). Al di sotto di una calotta semisferica (il
cielo), poi la terra si trova separata dalle acque del mare. I vari seguenti Dei sono un prodotto di questo
meccanismo di messa in ordine
(nascerebbero dall’unione di Enlil, principio determinante maschile, con Ki):
gli Dei non sono immortali. Esiste altresì uno spazio sotterraneo (Inferi),
residenza finale dei defunti, concepita in forma tenebrosa; perciò il bello
della vita si consumerebbe nel corso dell’esistenza mondana. Un aspetto molto
rilevante, al fine del mio discorso generale, è l’istituzione da parte dei
Sumeri della scrittura. Questa sorge con l’obiettivo di soddisfare esigenze
pratiche legate alla vita sociale ed economica. La mia impressione è che, in
origine, siamo di fronte alla creazione di un ristretto/restrittivo orwelliano
newspeak, il quale si evolverà, sfuggito di mano, non più controllabile grazie
a un ampliamento di vocabolario in direzione di concetti sempre più raffinati e
alla volta della nascita della filosofia: le pratiche scritture consonantiche
del Vicino Oriente Antico osserveranno il salto di qualità del greco antico
allorché questo nella Ionia, zona natia della filosofia, introdurrà le vocali
per servirsi di una scrittura precisa, non ambigua (una chiara esigenza di
maturità intellettuale). La produzione sumerica dei testi offre l’opportunità
di rilevare in quella cultura la presenza di alcuni temi transitati nel
Giudaismo: 1) la produzione dell’essere umano usando la terra (Adamo); 2) la
dicotomia (protoscontro capitalista) “economia agricola / intraprendenza
dell’economia pastorale (manifattura)” (Caino e Abele); 3) il disagio
ingiustificato (Giobbe e la predestinazione capitalistica). Una cosa che si
nota nelle tre mitologie da me poste in comparazione è la presenza “mistica” dei
quattro elementi empedoclei e degli archai ionici: acqua, aria (soffio, vento,
spirito), fuoco (luce, Sole), terra. La filosofia quando è (ri)nata sulla Terra
ha iniziato a far chiarezza, nell’ambito del pensiero, su quanto fosse oscuro e
impulsivo. In dette mitologie fisiologiche,
non metafisiche, l’uomo appare un composto biochimico risultato della
composizione di terra e acqua, animato da un’azione attualizzante attraverso
l’aria da parte di un ente supremo. La conoscenza e la fede sono incompatibili
poiché la seconda si fonda su ignoranza e compulsione. Quelle società che non
curano l’istruzione e la scienza producono climi da Medioevo. Il caso del mondo
sumerico riflette una forte ambiguità rousseauiana: ho notato un’impostazione
sociale tesa tra social-assistenzialismo e protoliberismo, il che la dice lunga
accanto alla loro introduzione del “concetto di proprietà privata”. Mi domando
quale fosse la “storia prima della storia”. Ad avviso di Marx il capitalismo, in
quanto fenomeno sociale, ha una natura espansiva mirante all’ampliamento del
mercato. Ciò avviene senza dubbio in maniera indefinita e totalizzante tuttavia
solo in una prima fase di un meccanismo il quale si propone di essere ciclico
(un eterno ritorno). È un dato di
fatto che il mercato mondiale non è infinito, e ciò urta contro lo slancio
capitalistico di produrre e vendere illimitatamente.
I muri su cui sbattono i capitalisti aprono una seconda fase dialettica,
giacché un circuito del tutto globalizzato su questo nostro pianeta si mostra
un ostacolo insuperabile (se non mediante una prospettiva interplanetaria).
L’accumulo di denaro comporta nella coscienza dei grandi imprenditori una
pulsione all’investimento continuo, la quale un mercato globale non
agevolerebbe a causa di una contesa capitalistica che si è saturata nella
diffusione dei beni. Ciò rappresenta il grande problema dei capitalisti più
forti e più ricchi. Il rimedio, teorico e pratico a loro prospettantesi supera
due pietre d’inciampo: la questione su accennata dell’imbottigliamento, e l’impostazione
ideologica marxista la quale indicherebbe in un sistema economico globalizzato
il momento del non plus ultra per la presa di coscienza proletaria (anticamera
inderogabile del crollo del capitalismo). Dunque un regresso capitalistico, un
suo moto retrogrado, praticato in
modo metodico rimedia quella dimensione di infinito mancante al “momento
totale” dell’espansione. Il sacrificio
rituale di porzioni di mercato mondiale crea ex novo dalla loro distruzione
spazi da colonizzare. Naturalmente si tratta di interventi provocati in aree
della Terra adatte a ciò, impedendo effetti collaterali deleteri di ritorno. Ad
esempio, una guerra civile in uno Stato non povero e a economia liberista non
deve creare contagi dannosi alla parte politica capitalista dominante. Tale fase negativa se è tale nei riguardi di
chi la subisce, non lo è invece in relazione a chi la genera. Alimentare
conflitti bellici è una cosa che fa la fortuna dell’industria di guerra: la
vendita di armamenti dal punto di vista del profitto non rappresenta una
differenza rispetto al commercio di beni per una ricostruzione. Il binomio
distruzione/riedificazione viene spostato sulla scacchiera internazionale di
continuo in base alla migliore occasione: il circolo guerra/ricostruzione pare
girare sul pianeta a guisa di un tornado capitalistico. Di sicuro le dinamiche
connesse non sono sempre sotto un controllo matematico né tutti gli eventi
simili hanno necessariamente una siffatta origine. Permane comunque la
possibilità di sovvertimenti, in interiore o fra Stati, cagionati da altri
motivi estranei all’accumulamento di capitale. Il capitalismo ha già causato la
distruzione di altri pianeti nel corso delle sue dinamiche espansive? Venere ha
una situazione ambientale compatibile con uno stadio avanzatissimo prodotto da
inquinamento industriale; la fascia degli asteroidi nel nostro sistema solare,
in virtù della legge di Titius-Bode,
dovrebbe essere un pianeta (chi l’ha distrutto?); se Marte era simile alla
Terra, l’eventuale distruzione del suddetto pianeta X avrebbe provocato la
scomparsa della vita su di esso (Venere possiede un’atmosfera; Marte, più
lontano dal Sole, è il “pianeta rosso”: altra stranezza, assieme agli
asteroidi). Esistevano pianeti socialisti (non necessariamente marxisti)?
Ritengo che l’ermeneutica delle tavolette sumere proposta da Sitchin sia troppo
condizionata da ipotesi fantasiose: dall’eugenetica creativa al fantomatico
pianeta Nibiru, passando da una lettura che non va al di là dei simboli. Da
junghiano vedo nei miti delle verità, le quali però non coincidono con la
superficie. Ogni ermeneutica testuale deve essere contestuale e non proiettare
indebite categorie posteriori sulla facciata, più o meno, fantastica;
l’interpretazione di concetti celati deve invece avvalersi dei migliori
strumenti di comprensione di qualsiasi epoca. La lettura psicosociologica può
far emergere informazione non apertamente storiche, tuttavia da maneggiare con
estrema cautela. In fin dei conti, gli Anunnaki di Sitchin, bramosi di oro al
fine di migliorare la loro esistenza, il loro benessere, sino al punto di
produrre una categoria sociale di nuovi servi, non mi sembrano incompatibili
con le mie considerazioni espresse ne “Il gioco capitalista degli Elohiym falsi
e bugiardi”7 (una sezione del mio saggio “Critica
dell’irrazionalismo occidentale”): uomini ingannevoli, sedicenti
Dei/mediatori-di-Dei, ne asserviscono altri, ignoranti e indifesi. Io leggerei
quelle tavolette sumeriche con il metro che ho applicato al “Brave New World”
di Huxley (si legga la mia monografia intitolata “Il capitalismo impazzito di
Aldous Huxley (2015)”8). Anche Huxley parla di eugenetica e di
asservimento, ma si tratta di una distopia letteraria. Forse nei testi sumeri
esaminati da Sitchin persiste l’idea dell’esistenza di due razze di esseri
intelligenti: i padroni e i servi. E alcune religioni legittimano questa
impostazione socioumana. Niente di strano che i popoli del Vicino Oriente
Antico abbiano attinto, in modi diversi, a questo comune bacino ideologico
(architettura dinamica) generando differenti, più o meno simili, simboli
(architettura statica). Nei grovigli concettuali di opere sacre e mitologiche,
impastati di propaganda (anche ingannevole) e di riflessioni sull’universo,
occorre saper distinguere i vari livelli comunicativi. Se c’è un’informazione
storica, essa non sempre è pulita, scevra d’incrostazioni, e non sempre è
visibile e riconoscibile. Il profondo
può nascondere notizie interessanti. Ad esempio nel “De brevitate vitae” lo
stoico Seneca coglie la dicotomia marxiana “valore d’uso / valore di scambio”9.
L’etica attivistica e razionalista del dovere promossa dallo Stoicismo contiene
inoltre una radice semitica (Zenone di Cizio), la quale, dopo il matrimonio tra
la Stoà e l’Ebraismo (generante il Cristianesimo), si evolverà – impazzita –
nel volontarismo e nella predestinazione luterani (alla base del capitalismo
moderno, come ben visto da Max Weber)10. Dopo Platone e Aristotele l’unità
analitica della filosofia si è spezzata in epoca ellenistica. Lo Stoicismo e
l’Epicureismo rappresentano una scissione (psichica) fra ragione (logos) e
libido. Per questo motivo un logos nevrotico (a vocazione irrazionalistica)
esploderà nel Cristianesimo e nella storia occidentale. La ratio maschilista
arroccata, scollegata dalla libido, costituisce il movente al centro di vari
gravi squilibri (personali e sociali) i quali l’Occidente ha vissuto nei secoli
al suo interno.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio
saggio “Note di critica (2017)”
2 Riguardo a tale
tema suggerisco la lettura nella mia opera “Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016)” della parte intitolata
“Teoria sull’origine aliena dell’umanità”:
3 Per
approfondimenti si vedano nel saggio menzionato nella nota precedente le
sezioni “Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi” e “Il parricidio
marxiano di Locke figlio d’Abramo”:
4 In merito a ciò
si veda in particolare nella mia monografia intitolata “Ermeneutica religiosa
weiliana (2013)” la parte recante il titolo “Il Dio del Tanak non è solo”:
5 Per approfondire
si veda il mio studio “Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi”
dentro la mia pubblicazione “Considerazioni letterarie (2014)”:
6 Nell’opera menzionata
nella nota 3, la sezione dal titolo “Radici egizie”:
7 Vedi nota 2.
9 Ne ho parlato
nel mio studio “Il severo monito di Seneca” nel mio saggio “Critica letteraria
(2017)”:
10 Per
approfondimenti invito a leggere altro in aggiunta ai testi citati nella nota
3: