di DANILO CARUSO
Ritengo che come il genere umano si sia
distribuito sul globo terrestre partendo da un epicentro nell’area del Vicino
Oriente asiatico e dintorni africano ed europeo, così esso sia potuto provenire
sulla Terra dallo spazio in maniera simile alle iniziative di espansione di
conoscenza territoriale degli Europei. A mio avviso, in parole povere, gli
alieni siamo noi. Non do credito all’idea secondo cui intelligenze
extraterrestri abbiano condotto un’opera di perfezionamento genetico sugli
ominidi trovati qui; anzi non credo proprio che ci fosse qualcuno di
paragonabile all’essere umano su questo pianeta prima dell’arrivo di uomini da
altri mondi. A primo impatto, il tema che mi prefiggo di spiegare potrà
apparire a una mentalità ordinaria e comune “fantascientifico”. Ma da studioso
mi ripropongo l’obiettivo di illustrare un’“ipotesi” in maniera scientifica,
senza poter tuttavia dire di avere prove valide al 100%, però avente la sua
cittadinanza nell’ambito di un ragionamento serio e non fantasioso. Debbo
perciò puntualizzare a monte di non dar fiducia alla teoria evolutiva
darwiniana. Esiste una cesura troppo forte tra il sistema preistorico e quello
attuale: si parla di un evento catastrofico che fece scomparire i dinosauri e
l’ambiente che li circondava. Non so se gli esseri umani fossero già arrivati
sul nostro pianeta in epoca preistorica, se ci fosse un avamposto coloniale, se
la catastrofe producente l’era glaciale abbia avuto una causa accidentale
(l’impatto di un asteroide?) o una causa umana (militare?). Sono del parere che
nelle testimonianze umane più antiche si possa trovare memoria della traccia di
questo fenomeno di colonizzazione aliena della Terra: nello stesso modo in cui
Platone dice nel “Cratilo” che il linguaggio più vecchio mantiene un segno
dell’essere, giudico possibile individuare prove di quei presunti fatti
nell’opera intellettuale umana arcaica. Cosicché, ad esempio, nella mitologia,
nei poemi, nella letteratura in generale (e non solo), è data facoltà di vedere
a un’analisi attenta la memoria di qualcosa meno circoscrivibile all’ambito
della fantasia.
Ho riflettuto sul famoso
mito di Atlantide, ricordato da Platone: se supponiamo si tratti di storia di
un altro mondo, forse siamo in grado di cogliere l’aspetto extraterrestre di
questa civiltà. La florida Atlantide la quale va prima in rovina e poi alla
ricerca di nuovi spazi vitali. Qui posso aggiungere che un mito come quello
dell’arca di Noè sembra celare, in una cultura su larga scala ripartita da zero
sulla Terra, l’arrivo degli esseri umani, i quali portarono esemplari per
ricreare il loro habitat. La mia impressione è che queste astronavi spaziali
abbiano lasciato un gruppo composito di colonizzatori: fra di loro reputo la
maggioranza fosse gente semplice, quella che ha poi causato il rallentamento
del progresso di questo nucleo di abitanti, il quale ha smarrito la conoscenza
della sua storia d’origine, catapultato in seguito a cause di forza maggiore in
un contesto nuovo e diverso che non garantiva lo standard e il comfort
precedenti. La risalita dell’umanità verso la civiltà e il benessere superiori
è stata difficile per uomini pressoché abbandonati al proprio destino (non per
cattiveria, ma perché a quanto pare la Terra non è bastata ad accogliere tutti
i profughi alieni). I pochi uomini di studio e di scienza sono stati
sopraffatti dai più, questi ultimi impauriti dalla perdita del benessere: la
depressione produsse nuove religioni, non tutte nevrotiche vie di salvezza. La
parte intellettualmente migliore di quel gruppo si concentrò nell’antichità tra
Egizi e Greci: la scienza umana sul nostro pianeta ha una radice greco-egizia.
Allorché si notano particolari anacronistici nella storia antica, come la
rappresentazione di oggetti moderni, si avrebbe la riprova che la tecnologia
avanzata era già a portata dei colonizzatori, e che una maggioranza non tanto
istruita e intelligente contribuì a far uscire dalla circolazione a causa di
una vocazione all’imbarbarimento civile e intellettuale. Possiamo pensare
questo passaggio in maniera rousseauiana, ripercorrendo il transito da un
ottimo stato di natura a una nuova società immaginato dal celebre filosofo
ginevrino. Per inciso, voglio ricordare un romanzo dello scrittore sovietico Aleksandr
Bogdanov, “La stella rossa”, in cui i Marziani, dopo aver costruito un mondo
socialista, alimentano un confronto fra di loro, quasi fossero Ateniesi
antichi, sull’opportunità e sul modo di portare la loro conquista sociale qua.
Volgendo lo sguardo alla Terra si può ipotizzare più nitidamente lo scopo della
monumentalità di certe opere antiche. Pensiamo ai disegni di Nazca: per quale
motivo far vedere a un osservatore aereo figure animali? Allo scopo di fornire
il segnale della presenza umana (una richiesta d’aiuto?) mediante la
raffigurazione di alcune specie animali provenute dalla civiltà di provenienza.
La tipologia architettonica dell’enorme piramide accomuna tutta l’umanità
terrestre, e poi si tratta di costruzioni visibili pure dallo spazio. Pare abbastanza
evidente il messaggio:
«siamo qui». Non credo
alla vulgata cinematografica di extraterrestri brutti e ostili: da persona di
studio valuto soggetti disponenti di altissime tecnologia e scienza non
peggiori degli uomini sulla terra, bensì dotati di un più alto senso
dell’ordine e della giustizia. Forse, prima del nostro pianeta (o in parziale
contemporaneità) è stato abitato altresì Marte. La domanda sul “pianeta rosso”,
a mio avviso, non è se ci sia in atto forma di vita, ma se ci sono resti
visibili, recuperabili, di un eventuale insediamento umano naturalmente in un
contesto simile a quello terrestre. Se così fosse stato, qualcosa su Marte non
è andato per il verso giusto, dato che adesso non c’è nemmeno atmosfera. È
scontato anche che la Terra non durerà in eterno: se non sarà la fine del Sole,
il danneggiamento dell’ecosistema distruggerà le possibilità di vita del genere
umano, il quale sarà costretto a emigrare di
nuovo. Penso, in senso lato, a quel monito del Vangelo di non accumulare tesori sulla Terra,
potrebbero fare la fine di Atlantide. Il futuro dell’umanità è quello di
lasciare questo sistema solare: cosa ci impedisce di pensare che una cosa del
genere sia già accaduta? Alla maggioranza delle persone il turbamento radicale
che rovescerebbe le plausibili fiabesche personali credenze sulla presenza
umana in questo pianeta. Non sarebbe facile dire a un senso comune, abituato da
secoli a vivere a guisa di un neonato in una culla (secondo un’azzeccata
immagine kantiana), ipotesi (o verità?) più scientifiche: crollerebbe davvero
il vecchio mondo conosciuto. Se in pieno giorno un’astronave spaziale aliena
sostasse o viaggiasse nei cieli, la gente sarebbe presa sicuramente da paura.
Pochissimi sarebbero quelli inclini a prestarsi in direzione di una riflessione
obiettiva. La quale potrebbe ulteriormente prolungarsi, e ipotizzare la ragione
dei diversi tipi somatici umani nella provenienza da differenti pianeti: i
biondi di pelle chiara da qualcuno meno caldo, i neri da qualche altro meno
freddo. Poi sul globo terrestre si sarebbero distribuiti per attrazione ambientale. Il fatto di
parlare, tra l’altro, di sistemi solari abitati da persone ha comportato la
condanna capitale di Giordano Bruno (Roma, Campo dei fiori, 17 febbraio 1600)
da parte dell’Inquisizione cattolica. Ricordo di aver sentito in televisione,
anni fa, un sacerdote di Santa Romana Chiesa dichiarare la validità della
Rivelazione pure nei riguardi di eventuali
alieni: non penso si sarebbe espresso in questi toni a proposito dei Puffi; può
darsi la materia discussa sia più seria di quanto si lasci a intendere di
solito. Dmitrij Medvedev (stretto collaboratore del Presidente russo Vladimir
Putin, Primo ministro ed ex Presidente della Federazione russa), sempre tempo
addietro, confermò l’esistenza di extraterrestri. Voglio concludere quest’enunciazione
del tema, non di uno svolgimento (il quale potrà avere luogo presso altri spazi
o altri autori), con quelle belle, e famose, parole di Immanuel Kant tratte
dalla “Critica della ragion pratica”: «Due cose riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me».
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Critica
dell’irrazionalismo occidentale”