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sabato 9 dicembre 2017

MUSSOLINI, IL FASCISMO E LA BORGHESIA

di DANILO CARUSO

Nell’Italia fascista il capitale è agli
ordini dello Stato; bisogna emigrare
verso i Paesi beatificati dagli immortali
principi per constatare un fenomeno
nettamente opposto: lo Stato
prono agli ordini del capitale.

Benito Mussolini (28 ottobre 1937)


Parlando della dialettica storico-politica in Italia tra fascismo e borghesia, a scanso di equivoci, premetto che nella seguente argomentazione non si cela l’intenzione di condurre un’irragionevole e inammissibile apologia fascista: il fascismo sposò amicizie le quali causarono la sua suicida involuzione. Mi riferisco in particolar modo al nazionalsocialismo1 (ma considero altresì un gravissimo errore aver restituito alla Chiesa cattolica una dimensione politica statale). Non si possono accantonare gli effetti negativi prodotti dalla partecipazione all’ultima guerra mondiale e dall’alleanza con la Germania nazista. Tuttavia una sobria onestà analitica dovrebbe riconoscere che i due grandi conflitti novecenteschi sono nient’altro che una capitalistica guerra del Peloponneso. Nell’ambito dello scontro europeo anglotedesco si calò il capitalismo americano che lucrò non poco da quest’attrito di interessi. Nella prima fase l’Italia si ritrovò nel campo dei vincitori, nella seconda – a partire dalla II guerra etiopica – a causa di un’ostilità alla sua espansione politico-economica mutò il suo orientamento nella scelta di partner esteri. La conquista fascista dell’Abissinia nel 1935-36 soddisfece esigenze capitalistiche e velleità sabaude di magnificenza, analoghe a quelle dell’occupazione liberale della Libia nel 1911-12 (e, per dirla tutta, ancor prima, Francesco Crispi fu la versione beta di Mussolini). Una storiografia gnostica, di stampo angloamericano, impostata su una rigida dicotomia “buoni/cattivi”, stravolge la comprensione obiettiva di qualsiasi fatto. La storiografia può esprimere giudizi morali, i quali anzi sono necessari nelle circostanze negative: la barbarie della Shoah esige un pesantissimo ammonimento affinché tragedie simili non si ripetano mai più. Però, per fare qualche esempio, non molti ricordano ai buoni americani le discriminazioni razziali nei confronti dei neri e l’incivile trattamento riservato agli Indiani, ai comunisti lo sterminio ucraino, o ai liberali il fatto che negli anni ’30 l’impero coloniale inglese controllava 1/3 delle terre emerse. Ovviamente qualsiasi comparazione non giustifica la cattiva condotta di nessuno, e credo appunto che suddetta dicotomia gnostica sia da rivedersi nel senso di rintracciare le responsabilità di tutti. Dunque si scoprirà che di rado nella storia compaiono “i buoni”, e che in loro luogo ci sono più che altro “speculatori-mascherati-da-buoni”. L’episodio di Pearl Harbor nel ’41 fu conseguenza di una studiata induzione americana al fine di entrare in guerra contro il Patto tripartito; la stessa vicenda di Danzica nel ’39 non è di solito altrettanto ben riportata (i militari polacchi, patrocinati dagli Inglesi, accolsero la possibilità bellica con provocatoria spavalderia e slancio sin troppo ottimistico). Ciò, naturalmente, non legittimava né nazisti né fascisti a entrare in guerra, ma a posteriori chiarisce l’inesistenza di una pura ideale contrapposizione. Che cosa c’è di “buono” nello sgancio di due bombe atomiche sul Giappone nel ’45? Dinamiche capitalistiche hanno prodotto due conflitti mondiali, i quali in realtà rappresentano un solo grande fenomeno storico di affermazione di un polo internazionale dominante. Le vicende della borghesia italiana, in seguito al pericolo rosso del primo dopoguerra, non sono meno semplici. Definire il fascismo una dittatura è un’espressione invalsa presso gli storici che non rende la sostanza costituzionale su cui poggiava il regime (termine che trovo più adeguato) fascista: a norma dello Statuto albertino l’esecutivo rispondeva alla Corona, da cui traeva delega (anche se era seguita la prassi della fiducia parlamentare). Il re diede l’incarico a Mussolini nel ’22 e glielo revocò nell’estate del ’43, facendolo per giunta arrestare dopo. Se la Casa Savoia non avesse trovato utile il governo fascista per salvare la monarchia e l’apparato sociale borghese, se ne sarebbe sbarazzata prima. Non condivido il punto di vista che attribuisce in toto alla “dittatura” la restrizione delle libertà in Italia nel corso degli anni ’20. Un simile piano rientra nel progetto di tutela monarchico-borghese, che consentì sì ai fascisti di prendere il potere. Ma occorre ricordare che i liberali cercando di servirsi di questi in funzione antirivoluzionaria non fecero altro che portare a compimento una decadenza nazionale che già era maturata nel periodo umbertino (scandali bancari, Bava Beccaris, et similia). All’interno del fascismo confluirono poi quasi tutti (e non è da sottovalutare il fatto che Mussolini avesse invitato i socialisti a entrare nel suo primo governo, senza ottenere risposta positiva). Il clima creatosi nel primo dopoguerra, con la delusione per la “vittoria mutilata”, aggiuntasi ai precedenti fermenti sociali, creò in Italia un originale palcoscenico su cui Mussolini divenne il primo attore. Comunque anche qui non sono da trascurare alcuni dettagli. Il “mussolinismo” non coincideva con il fascismo, cui altri diedero apporti determinanti nella sua definizione (D’Annunzio, Gentile, i sindacalisti fascisti, et ceteri). Il clima di violenza che si instaurò tra i gruppi del fascismo contrapposti a marxisti e liberali è figlio di un panorama storico e ideologico internazionale, perciò non può essere caricato solo su una parte: i primi sovversivi antidemocratici erano stati di matrice marxista, tra cui si trovavano coloro i quali da cui l’Italia monarchica e liberal-borghese voleva liberarsi (durante la sparatoria dell’esercito sulla folla a Milano nel 1898 non c’era un governo fascista). La violenza, che è in ogni caso, in ogni luogo, in ogni tempo, da rifiutare, condannare, nella veste di strumento di risoluzione di qualsiasi controversia, colpì tutti: sono notissimi i casi di Gobetti e Matteotti, ma moltissimi ignorano l’uccisione del deputato fascista Casalini al fine di vendicare la morte del secondo. E mentre Gramsci stava in carcere, Croce stava in Senato (di nomina regia): tutto ciò a testimoniare che il telaio liberal-massonico, che aveva consentito al fascismo di assurgere alla guida del governo, era un meccanismo operante anche a difesa di liberali dissidenti. Individuare in Mussolini allora un capro espiatorio a posteriori di situazioni che avevano un più ampio margine di elaborazione sembra un’operazione storiografica che rievoca l’incendio della casa di Socrate e il suo reale processo a causa dell’essere stato maestro di Crizia e Alcibiade. Il duce da giovane fu un tipo impetuoso, un massimalista apprezzato da Lenin: riconoscendo tutti i suoi difetti e tutti i tragici errori del fascismo, non si può disconoscere che l’Italia degli anni ’20 e ’30 fosse un’insula felix se paragonata ad altri contesti socialmente più instabili, la cui sorte fu aggravata dalla grande crisi economica. Nel giovane Mussolini si può rintracciare un rivoluzionario marxista che imparò due lezioni: quella di una politica “machiavellica”, e quella che gli consentì di far evolvere la sua visione politica in senso spiritualista. Al rivoluzionario si accompagnò dunque l’idealista (da qui la porta aperta a Gentile). Il fascismo è una forma di socialismo spiritualista (nata dal marxismo), il comunismo è un socialismo materialista: fascisti e comunisti sono imparentati (Bombacci e la RSI docent). Credo che Plutarco avrebbe accoppiato Mussolini e Trotzkij: due idealisti sui generis che pagarono conti sproporzionati. Pertanto pongo il dubbio se sia da chiedersi: quanto Mussolini è stato un “utile idiota” della monarchia e della borghesia in Italia? L’elettorato del più grande partito comunista occidentale è stato in parte un lascito dello Stato sociale fascista di chiara impronta assistenzialistica. Non sono stati accidentali i rari episodi in cui durante la cosiddetta I Repubblica MSI e PCI si ritrovarono assieme ad amministrare: qual è quel partito di destra che ha un sindacato d’area? «Il Fascismo è contro il socialismo che irrigidisce il movimento storico nella lotta di classe e ignora l’unità statale che le classi fonde in una realtà economica morale; e analogamente è contro il sindacalismo classista» (“Enciclopedia Treccani”). La singolarità dell’esperienza italiana del fascismo era fondata su un irripetibile equilibrio tra monarchia, borghesia, Chiesa cattolica e fascisti (questi ultimi fra di loro di assortito orientamento ideologico): non è neanche facile delineare l’autentica ideologia fascista al di là dell’opportunismo giacché era un cantiere aperto. È giusto nonostante ciò imputarle i suoi peggiori difetti (sorti in momenti diversi): l’antisemitismo e il razzismo, l’imperialismo, la restrizione liberticida del pluralismo partitico, la reintroduzione della pena di morte. Tuttavia pare lecito sostenere che il fascismo fosse nato e sia morto stando a sinistra, in una gestazione agitata e in un suicidio ideale costituenti un rapporto di odi et amo nei riguardi del patriarca Marx. Oggigiorno appioppare l’etichetta “fascista” a tutto ciò che è antidemocratico riproduce un’iperbole gnostica: non esistono i fascismi, esistono – al di là di esso – totalitarismi (sovietico, nazista, capitalista, cristiano). Nessun antisemita verrebbe definito “inquisitore”; eppure la più grande organizzazione di discriminazione in tal senso è stata la Chiesa cattolica. I nazisti sono stati degli epigoni criptoluterani, e i quemadores dell’Inquisizione spagnola riservati ai perseguitati non differiscono dai forni crematori tedeschi (con la differenza che i nazisti bruciavano cadaveri, i cattolici persone vive). Chi rileva un’aria sacerdotale in un totalitarista è George Orwell in O’Brien (“1984”)2. La Chiesa di Roma, dall’Editto di Teodosio all’Illuminismo, ha compiuto quello che si rimprovera al fascismo in misure molto più ampie: istigazione alla guerra, limitazioni varie alle libertà, persecuzione e uccisioni dei dissidenti, mantenimento di un sistema totalitario e antidemocratico (dire ciò acqua passata non rende giustizia alle vittime di qualsiasi sistema soppressivo: l’ignoranza non comporta un’assoluzione). Ipazia di Alessandria fu ammazzata da fanatici cristiani, i quali in maniera anacronistica e distorta non pochi definirebbero “squadristi”. Ecco perché la storia non è una stanza dove poter collocare un armadio storiografico gnostico con dentro uno scheletro fascista: l’obiettività prima di tutto, cadesse il Paradiso. Il fascismo ebbe due anime: una socialista proletaria, l’altra nazionalista monarchica borghese. Le quali urtavano di continuo inter se dietro la facciata del regime. E i frutti della prima anima non furono avvelenati al pari di quelli dell’altra (nel PNF erano confluiti ufficialmente tutti i nazionalisti, i quali non erano di sinistra, ma di autentica destra). Il fascismo non è un male integrale, male assoluto sono i suoi errori pratici e le idee connesse (in comune con il nazismo). E poi com’è che a questo male assoluto sono sopravvissute diverse sue creazioni (alcune in origine buone, altre no); per fare degli esempi: l’IMI, l’IRI, il progetto di riforma agraria (mirante a dare la terra ai contadini espropriando i latifondi), il Codice Rocco (tradizionalista e filocattolico), i Patti lateranensi; la stessa forma istituzionale repubblicana ebbe un consenso referendario maggiore nei territori della ex RSI (Togliatti non era poi così ostile alla sopravvivenza della monarchia). Il fascismo, inoltre, aveva cominciato a concedere la cittadinanza italiana a gruppi di Libici, una cosa antitetica al razzismo (paragonabile, se così si può dire, in qualche misura allo ius soli). Tutto ciò non serve naturalmente a bonificare il fascismo; fascista è ogni suo sbaglio, figlio di un machiavellico opportunismo. Quest’analisi dà lo spunto di capire che, in fin dei conti, i neofascisti di oggi sono seguaci del peggio di quell’esperienza (ossia dell’anima nazionalista). Se non è un bene in sede di esame storico fare di tutta l’erba un fascio, è un bene in ambito sociale proibire le manifestazioni apologetiche fasciste (e naziste): non tutti colgono la verità; gli ignoranti, i fanatici e i violenti non distinguono oltre l’ottusità. Gli atti di fanatismo manifestano una patologica irrazionalità di fondo, la quale non ha niente a che spartire con un dibattito scientifico scaturente dal quieto confronto. Il fascismo è finito nel 1945, una sua rinascita pura è impossibile: possibili restano i fenomeni di deteriore richiamo, da condannare senza ombra di dubbio (anche avvalendosi delle misure cautelari previste dalla legge); possibili rimangono i richiami agli aspetti positivi di quella politica sociale, i quali non sono condannabili perché fascisti. Distinguere rappresenta il compito di un bravo storico: di un frutto marcio si può mangiare la parte sana; chi getta una pera marcita solo su un fianco ha compiuto uno spreco, mostrando scarsa intelligenza. L’analisi e la comprensione storiche non debbono ammettere in nessun caso costruzioni critiche gestaltiche pro o contro se queste non sono sostanzialmente ammissibili. Le ricostruzioni della storia e la valutazione delle dinamiche devono prescindere in ogni caso da forme di relativismo contingente. Generalizzare il fascismo come un fenomeno in toto negativo non giova alla sua conoscenza. Abbiamo visto, con sorte opposta, il destino della Chiesa e del Cristianesimo, strano Regno di Dio in terra, responsabile di crimini contro l’umanità. Una storiografia seria non teme di guardare le cose in faccia e di rispecchiare le obiettive impressioni. Viceversa si trova inganno, propaganda di parte – a scapito o a beneficio – lontana da un’impostazione scientifica. Che fine ha fatto l’anticomunista apprezzamento del provvidenziale fascismo salvatore delle italiche e cattoliche sorti? La conclusione finale cui approdiamo è la seguente. Il fronte conservatore italiano, impaurito dall’eventualità di un rivolgimento sociale sulla falsariga della Russia, colse la possibilità, a proprio vantaggio, di dividere il fronte socialista nazionale e contrapporre i fascisti scissionisti ai marxisti. La borghesia liberale pensò di servirsi del fascismo e di Mussolini; quest’ultimo (la cui interventista testata “Il Popolo d’Italia” era stata sostenuta pure dagli Inglesi) credette di sfruttare quelle paure allo scopo di raggiungere il governo. Chi si servì di chi? Un sottile e instabile gioco di equilibri durò dal 1922 al ’43. La storia dice che Mussolini, alla fine, pago il prezzo dell’ambizione in politica estera dopo aver voltato le spalle al capitalistico schieramento angloamericano, il quale non gradiva le contrastanti ascese economiche dell’Italia fascista, della Germania nazista e del Giappone (tre Paesi legati da un’alleanza militare). L’URSS allora costituiva soltanto un timore ideologico-sociale; la guerra la trasformerà in antagonista sostanziale degli USA. Se guardiamo gli eventi e le cause spogli di spiriti di convenienza davvero la historia può esserci magistra e insegnarci che non esistono differenze razziali umane, diversi popoli, bensì una unica popolazione mondiale attraversata da diverse lingue, differenti costumi, varie religioni, così come ciò accade all’interno di quasi ogni attuale singolo Stato della Terra, dove esistono dialetti e tradizioni differenti. Le contrapposizioni violente, l’ideale di una ricchezza indefinita turbano qualsiasi scenario; contribuisce al progresso umano la pacifica distribuzione su scala planetaria di tutte le forme di benessere. Lasciare concentrare la ricchezza nazionale nelle mani di una ridotta percentuale a danno di tutti gli altri non porta mai “buoni” frutti. Il contraddittorio fascismo, alla ricerca di una sorta di aristotelica politeia, autore della sostituzione della – non sempre condivisibile – “lotta di classe” con un’insana e inaccettabile “lotta dei popoli”, dopo l’Unificazione, è stato il solo a provare una soluzione al problema della sperequazione: il che offre un motivo per analizzarlo con migliore attenzione laddove esso offra spunti in relazione a ciò.






Mussolini parla contro i nazisti (1934)


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note di critica (2017)”

1 Per approfondire i temi qui affrontati invito alla lettura di tre unità del mio saggio intitolato “La morte delle ideologie (2011)”: “La fabbrica del male”, “La democrazia corporativa”, “L’utopia della RSI”.




2 Una mia monografia analizza la distopia orwelliana: “Il Medioevo futuro di George Orwell (2015)”.