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giovedì 9 giugno 2022

GESÙ STOICO E DIONISIACO

di DANILO CARUSO

Le mie ricerche e i miei approfondimenti sui testi biblici mi hanno consentito negli anni, attraverso analisi non alla portata di tutti, di conquistare personalmente quelle conoscenze sull'autentica natura di contenuti che ho via via esaminato. Ciò non vuol dire che altri non sapessero quanto ho fatto emergere, ma di spiegazioni simili alle mie non ne ho incontrate. Tant'è che diverse scoperte ai miei occhi sono risultate novità assolute. Cosicché, proseguendo pressoché da solo nel deserto degli approfondimenti, ho continuato nella mia “ermeneutica contestuale” a recuperare i mattoni concettuali di quelle costruzioni letterarie bibliche che mi sono parse bisognose di procedure analitiche non ideologizzate al fine di impiantare in quella desertificazione personale i moventi culturali e concettuali che sfuggono ai più poiché non interessati di storia della filosofia, delle religioni e delle mitologie coeve alla redazione dei libri della “Bibbia”. Quanto ho praticato nel corso dei miei articolati lavori d'analisi, spinto inoltre dal fatto di non aver trovato in precedenza filosofica soddisfazione concettuale, è stato armarmi di buona volontà scientifica e scavare allo scopo di portare alla luce il background di pensiero dell'epoca soggiacente. Quindi ho capito che l'Ebraismo e il Cristianesimo non sono altro che costruzioni religiose umane non avulse dalle meccaniche storiche dei tempi in cui si sono sviluppati. Recuperate quelle dimensioni mediante fatiche intellettuali personali ho dunque presentato i miei risultati. Nel complesso, di esami approfonditi sulla mia scia ermeneutica non ne ho trovati. È possibile che in Italia o all'estero abbiano pubblicato larghi lavori di ermeneutica contestuale applicata ai testi biblici, però non mi è giunta notizia né tanto meno la sostanza di ciò a cui possa pormi alla fine accanto. Parlando dei miei studi, sono pervenuto a conclusioni definitive sulla cosmogonia esposta in “Genesi”1.In seguito a questa ottima base ho rivisto il prologo del “Vangelo di Giovanni”, di cui avevo parlato nel mio saggio del 2013 “Ermeneutica religiosa weiliana”. Allora dissi cose interessanti alle quali ne aggiungo di nuove adesso, e alle integrazioni accompagno degli emendamenti alla traduzione. Addietro mi adeguai all'analisi logica comunemente proposta con la canonica voltura, pur sempre cogliendo la natura concettuale del Logos giovanneo. A quel tempo mi fermai al versante culturale egizio-alessandrino mediato dall'Ebraismo filoniano. In altro saggio ricordai – e ciò era risaputo – la clonazione di Osiride e Iside nelle figure di Gesù e della Madonna2. Nella presente analisi recupererò un versante neotestamentario al quale ancora non avevo messo mano: quello culturale greco. Al pari dell'altro mitologico egizio non costituisce una mia scoperta la presenza di analogie fra Gesù e Dioniso. Ho voluto approfondire con migliore ampiezza non trovata simile aspetto, e altresì giacché c'entrava il prologo di Giovanni, a mio modo di vedere, ho avuto l'occasione nella rivisitazione del suddetto brano, alla luce della chiara conoscenza della cosmogonia ebraica, di scoprire tutta una serie di puntuali presenze concettuali stoiche. Affronterò i temi prospettati in dettaglio e con ordine. Pertanto mi pare il caso di riportare le molle che hanno fatto scattare la nuova indagine. Leggendo sopra il teatro greco e Dioniso mi sono documentato meglio sul suo mito (si vedrà meglio avanti). Lui viene ucciso e mangiato da Titani, Zeus incenerisce gli assassini e dalle loro ceneri, contaminate dal consumo precedente delle carni di Dioniso, si svilupperà una fuliggine da cui trarrà origine l'umanità. Gli uomini quindi nascono a priori con un elemento dionisiaco positivo da quel che resta della negativa materia titanica. Dov'è nei vangeli riportato tale concetto? Nel prologo di Giovanni. Ma qui bisogna fare molta attenzione: Gv 1,9 di solito viene pure secondo me mal tradotto, come ebbi modo di rammentare grazie alla lezione weiliana. Il participio presente “veniente” (erkómenon) è da riferirsi ad ánthropon e non a fos. È all'accusativo, non al nominativo: “la luce che illumina ciascun uomo che nasce (veniente al mondo)”, non “la luce che illumina ogni uomo era veniente nel mondo”. Dirò del lato dionisio del personaggio di Gesù dopo aver ripercorso tutto il prologo giovanneo alla luce di tutti i miei nuovi elementi: la citata perfetta visione cosmogonica ebraica e la rilevazione di presenze concettuali stoiche. Sia dunque lampante la guisa in cui è stato edificato il Gesù letterario neotestamentario. Dentro a tale personaggio si trova mitologia egizia, mitologia greca, filosofia greca. Se vuoi costruire una religione universale (ossia cattolica) devi preparare la macedonia giusta. E simile macedonia concettuale, dalla precisa architettura dinamica, doveva sposarsi con lo stoicismo grecoromano (filosofia-manifesto dell'attivismo piuttosto laico dello Stato romano). Il caso volle che Ebraismo e stoicismo fossero fratelli, figli di una semitica nevrosi attivistica risalente ai Sumeri3. La cosmogonia e la cosmologia stoiche sono formalmente identiche alla cosmogonia e alla pertinente teologia ebraiche veterotestamentarie. Il Cristianesimo costituisce per mezzo del momento neotestamentario le nozze romane tra i due fratelli. E l'incesto partorì il mostro torturatore e uccisore di streghe, omosessuali, Giudei, eretici, non cattolici. Ma questa è un'altra storia rispetto alla materia qui presa in considerazione. Qua voglio, tra l'altro, farvi notare gli elementi stoici del prologo di Giovanni a fianco dell'infiltrazione dionisiaca di 1,9. Spiegherò altresì le menzionate analogie fra stoicismo e Giudaismo, le quali offriranno migliore comprensione di ciò che dico. È questo il momento di indicare la “molla stoica” che mi ha condotto a smontare il prologo del Vangelo non sinottico ancor meglio del passato. È stata la preposizione “pros” di 1,1. Pros+accusativo rende un complemento di moto a luogo, l'idea di “... in direzione di...”. Vale a dire che là c'è scritto che “il Logos stava in direzione del Dio”. Dalla constatazione di un movimento ho rivisto pure “en archè”. I traduttori lo volgono quale un complemento di tempo determinato, ma a me è risultato che “en” sia preposizione temporale per il “tempo continuato”, non per quello “determinato”: nel corso di, durante. Oltre a ciò ho pensato che l'archè nella cultura greca è il “principio” nel senso di “causa”. Non possiedo perciò validi motivi per affidarmi al complemento di tempo determinato. Traduco allora con un complemento di stato in luogo, e più precisamente di moto entro luogo circoscritto: “dentro l'elemento primordiale”. La coppia di dettagli evidenziati mi ha spalancato le porte di una nuova visione, e sinceramente più congeniale, più contestuale delle trinitarie posteriori elucubrazioni teologiche. Mi sono ricordato del mio profondo studio su Genesi 1,1 e ho riportato quei risultati al riguardo del prologo giovanneo. Siamo in un contesto culturale di impronta ancestrale semitica sia nell'Ebraismo che nello stoicismo del I-II sec. d.C. Dunque la cosmogonia e la cosmologia giovannee non possono e non devono entrare in contrasto inconciliabile. Chi mirava a creare la religione universale (=cattolica) partendo dal Giudaismo sapeva che la filosofia di Stato stoica era geneticamente compatibile in funzione di quello che si è rivelato un funesto matrimonio, la cui prima vittima è stata l'Impero romano, caduto da lì a breve a causa di un calo demografico cui diede una bella mano la sessuofobia cristiana. Ma torniamo all'assetto cosmologico dell'incipit del Vangelo non sinottico al fine di inquadrarlo nel dettaglio culturale semitico. L'elemento primordiale dentro cui si trovava il Logos (1,1) è l'acqua-disordine-tenebre di Gn 1,1 (né “bereshit” là svolge il ruolo di avverbio di tempo bensì di soggetto, né qui “archè” sta in un complemento di tempo ma di luogo). Come in apertura di “Genesi” vien fuori la divinità (elohiym), nel prologo di Giovanni si trova il theòs. Il Dio stoico è fuoco, quello ebraico è il Sole. Vale a dire lo stesso soggetto concettuale visto, interpretato e sviluppato in due diverse maniere, una filosofica e una religiosa. Il movimento del venir-fuori-dal-disordine-acqueo da parte dell'elemento igneo è suggerito dal movimento proprio del Logos “in direzione del Dio”. In origine “dentro l'archè” si passò dal disordine all'ordine. Il discorso di “Genesi” rispecchia tale cliché. Mentre qua causa efficiente e causa formale rimangono indistinte, Giovanni introduce la distinzione maturata nella riflessione stoica. La struttura della realtà ha avuto un esplicito progetto, il quale la regolamenta e la tiene in piedi: si chiama “Logos”. Il movimento di questa causa formale, di cui tuttavia esiste l'equivalente veterotestamentario nella figura della Sapienza divina tirata fuori dall'abisso a opera di Dio, può intendersi quale momento logico, concettuale, al modo hegeliano dell'Idea che si volta all'attuazione. Hegel possiede radici religiose e filosofiche non casuali, non dimentichiamo che il suo ispiratore generale, Spinoza, era Giudeo. L'immanentismo stoico ha caratteri protohegeliani, i quali tuttavia non si possono allargare al prologo giovanneo. Ho parlato di isolato movimento logico. Il Cristianesimo si svilupperà sulla base delle comunanze tra stoicismo e religione ebraica. E, a quanto la storia ha mostrato, sulla base dei peggiori contenuti (misoginia, omofobia, intolleranza) predisposti a sadica esaltazione nevrotica. Nel pensiero cristiano lo spirito filosofico greco è morto, dopo essere stato imprigionato e soppresso. Dicevo dell’incontro giovanneo fra Theos e Logos. Il Vangelo non sinottico rappresenta la chiave di volta della costruenda architettura teologica stoico-cristiana. Perché mettere qualcosa nel canone evangelico che non si tiene in linea con i primi tre, qualcosa appunto di “non sinottico”? Semplice, poiché gli altri vangeli non offrono una simile prospettiva filosofica. Il testo di Giovanni costituisce una sorta di anello nuziale fra Ebraismo alessandrino e stoicismo romano. Togliendo il “non sinottico” la teologia cristiana non può celebrare l’abbraccio col potere politico dominante di matrice stoica. Il prologo di Giovanni recupera gli elementi centrali della vecchia cosmogonia giudaica veterotestamentaria e l’arricchisce in immagini e concetti. In aggiunta a quanto detto in questa sede, oltre che a quello esposto nel mio saggio “Ermeneutica religiosa weiliana” (contenuti che non ripeterò ora), va rilevata la radicalizzazione luce/tenebra, ordine/disordine. Ciò che viene definito come “bene” è un porre sotto il dominio dell’ordine, della luce, scacciando le tenebre provenienti dall’acqueo disordine. Tale nevrotica impostazione svela corollari: il maschile-fuoco impersona il positivo, il femminile-acqueo il negativo. Da assurde dicotomie del genere è emersa la misoginia cristiana, e si tratta di roba strutturale di quella teologia, non di errori di un Cristianesimo mal interpretato e mal attuato4. Bruciare le streghe equivale a sanificare il mondo. Ho anticipato sopra l’infiltrazione dionisia ad hoc nel prologo. Il quale assieme al pensiero cosmologico stoico è allusivo, nella seconda metà del brano, di passione-morte-resurrezione di Dioniso. Più avanti delineerò i tratti dionisiaci evangelici del non sinottico, giacché tale Vangelo mirava a far presa nell’ambito di credenza, a suo tempo nutrita, orfico-dionisia. Adesso debbo puntualizzare il dettaglio di un’altra infiltrazione filosofica. Il prologo parla di “figlio-unico del Padre” allorché il Logos si è incarnato. Si tratta di derivazioni dal “Timeo” di Platone, il quale chiama “padre” una causa efficiente, “figlio” il prodotto, “madre” la causa materiale. La paternità divina su Gesù non prende le mosse dalla biologia normale. Il Theòs diventa Padre nel momento in cui delibera l’incarnazione del Logos, e nell’accezione platonica (la quale di conseguenza squalifica il “femminle”; che Gesù sia alquanto, per noi, maleducato nel rispondere alla madre Maria alle nozze di Cana, dove compie un dionisiaco miracolo, non è un caso: le ha proprio detto che essendo una donna non era in grado di esprimere un giudizio accettabile!). Le eresie trinitarie e cristologiche sono poi in seguito sorte poiché il prologo di Giovanni è soltanto allusivo delle dinamiche stoiche, non le disegna nitidamente. Infatti sono io il primo a non capire se qui Theòs e Logos fossero in origne sostanzialmente separati, o se fossero uniti e il movimento di cui sopra detto fosse figurato passaggio dal Logos-potenza al Theòs-atto produttivo. Allorché Giovanni afferma che “una divinità Figlio” ha reso visibile in qualche modo un Dio invisibile, si parla sempre in termini platonici non chiarificatori. Il fatto che asserisca che il Logos si trovi “nell’insenatura del Padre”, nel kólpos (cavità marina), mi suggerisce di aver letto bene “arché” di 1,1, però ciò non rende comprensibile la struttura gerarchica e la relazione tra i due con estrema chiarezza. Saranno appunto i teologi a dire tutto e il contrario di tutto, dove probabilmente la via di comprensione più sensata, e concettualmente accettabile, è quella derivante da una genuina lettura stoica. La quale andrebbe più verso l’immanentismo panteistico stoico, che hanno decisamente rifiutato di percorrere a vantaggio di invenzioni teologiche in lotta inter se (la guerra dell’aria fritta!). Per quanto concerne il sistema filosofico stoico possiamo dire quanto segue, rilevando le analogie del caso. Zenone di Cizio, il caposcuola, di origine e di mentalità semitiche, attribuisce la corporeità a Dio. Il che non è estraneo al “Tanak” dove la divinità giudaca passeggia e combatte in guerra (è evidente che gli attribuivano un corpo). E al pari degli Ebrei il Dio zenoniano è il “numero uno”5 cosmico, meglio definito quale ragione universale e attività originaria: il Dio che produce il cosmo ordinato e lo sostiene nella di esso esistenza (in virtù dell’ordine dato). Il “mio Signore e mio Dio” di Tommaso è espressione stoico-filoniana, richiamante l’ebraismo alessandrino (di ciò parlai nella mia monografia sopra rammentata), espressione la quale si riallaccia non a caso allo stoicismo. Gli intrecci giovannei mostrano le sfaccettature di un progetto teologico-religioso la cui sintesi doveva coprire tutti i principali lati culturali, ideologici, mitologici dell’Impero romano di quell’era. Potremmo altresì definirla un’operazione di “adescamento universale” in relazione al suo scopo emergente. Il nuovo contenitore cattolico proviene da un disegno di natura distopica e totalitaria e non per niente monoteistico (per la precisione, il giudaismo è enoteistico). Il Dio-Sole ebraico, di derivazione atonista6, ha il suo equivalente filosofico nel Dio-fuoco zenoniano di derivazione eraclitea. La congenialità semitica spinse Zenone di Cizio a simpatizzare per Eraclito. Il fuoco rappresenta il principio attivo, la causa determinante, la ragionevolezza ordinatrice (Logos). Il Dio veterotestamentario si manifesta attraverso la potenza solare, è de facto egli il Sole, è fattore che determina e ordina dopo essere uscito dall’acqua-oscurità-disordine la materia cosmica. A lui si contrappone la Natura, l’Universo. Gli stoici rispetto agli Ebrei svilupparono la dimensione panteistica, e proprio in virtù del Logos, al quid divino di progettuale che si riporta nelle cose (sarebbe la metessi platonica trasfusa nelle stoiche “ragioni seminali”). Lo stoicismo ha portato nel Cristianesimo l’idea di Logos, a sua volta poi diversamente sviluppata. Senza Zenone di Cizio non ci sarebbe stato nessun Verbo di Dio incarnato. Il Logos stoico è 1) fondamento veritativo-logico, 2) progetto e causa determinante della realtà, 3) traduttore di norme comportamentali. Detto con parole di Gesù: 3) la via, 1), la verità, 2) la vita. Ritengo opportuno dire a proposito del punto 3) che l’etica del dovere semitica (dell’ubbidienza al Dio di riferimento, al Logos) nei Giudei si codificò nella Torah, negli stoici in un’etica più laica, però pur sempre nevrotizzante, in quanto costruzione razionalistica estremistica. Il razionalismo stoico costituisce l’espressione di un maschilismo7, di cui la tradizione giudaicocristiana rappresenta la manifestazione socioreligiosa. L’attivismo degli stoici e quello degli Ebrei sono fratelli gemeli, poi cresciuti in case diverse. Il Logos di Zenone è un momento intermedio nella cosmogonia giudaica fra il Dio “numero uno”, principio determinante, e la materia disordinata alla volta di cui si dirige il soffio divino (ruach), il veicolo di determinazione attuante. Simile dimensione di intermediazione sarà introdotta nell’Ebraismo alessandrino da Filone, da cui il recupero del ponte concettuale cristiano-stoico. È una sorta di giro attorno alle stesse cose per poi saldarle nell’esaltazione messianica del Verbo incarnato, il Mediatore tra Dio e gli uomini. La nuova religione universale (cattolica) nasce da salse concettuali semitiche e si lega alla parallela (più moderata) misoginia grecoromana8, portando però odio e ostilità verso gli eccessi che la Storia plurisecolare ci ha mostrato. Tengo a far notare che l’imperativo comportamentale (nevrotico) che porta Abramo a ubbidire a Dio quando costui gli comanda di sacrificargli il figlio Isacco è lo stesso, nella forma (nevrotizzante), che agli stoici comandava il suicidio (o altro di esagerato): che in un caso sia dovere-religioso e nell’altro dovere-politico non fa differenza, sempre di dovere semitico si tratta (correlato a forme attivistiche: la provvidenziale elezione storica dei Romani, l’elezione divina d’Israele; il Cristianesimo puntò sui primi, a cui diede un abbraccio mortale accelerando la crisi sociale imperiale in direzione della catastrofe la quale spalancò le porte all’oscurantismo medievale). Quando Simone Weil afferma che la Chiesa cattolica è stata la madre di tutti i totalitarismi moderni, e quando io porto alla luce simile verità nel testo orwelliano di “1984”9, non siamo usciti fuori del seminato, bensì abbiamo ben rilevato il meccanismo mentale semitico “dovere-ubbidienza”, declinabile in vari modi. Il poliedro semitico del cristianesimo nelle sue facce stoiche ci mostra illuminanti contenuti i quali ci fanno ben comprendere che la religione di Gesù è una invenzione a tavolino, e che lo stesso evangelico Messia risulta un quasi totale personaggio letterario, il quale, contaminato di non poche ascendenze contemporanee, rimane distinto dal presunto Gesù storico (l’attivista politico-religioso radicale). Il suo essere Verbo divino incarnato, Figlio-Logos, originario medium produttivo cosmico, costituisce una serie di idee precedenti lui e consolidate a posteriori sopra di lui. La persona storica di Gesù fu accidentale. Più che altro la sua morte (storicamente vera o falsa) si prestò al di lui inserimento nella nuova teologia universale ebraico-stoico-romana. Questa andò a riprendere motivi filosofici, religiosi, mitologici omogenei al progetto di una religione unificatrice per tutto l’Impero romano. Cosicché ad esempio ritroviamo il Zenone che afferma il Logos presente nella nostra anima in Gv 1,9. Ritroviamo altresì la dicotomia ontologica stoica agire/patire nell’idea di Passione di Gesù Cristo (la quale, come meglio vedremo, riprende evidenti tratti dionisiaci). Per “patire” Dio doveva incarnarsi in un Figlio corporeo giacché la sola materia-corpo rappresenta la parte passiva della realtà. Dio sta all’opposto. Un’idea rilevante degli stoici, che ci ricollega alla cosmogonia ebraica, è quella per cui il principio supremo, visto nella veste di divinità-logica, si serva nell’atto determinante-reggente di uno pneuma, di un soffio-caldo: vale a dire, tradotto in termini veterotestamentari, della ruach (lo spirito, soffio animante). Il trinitario Spirito Santo “che è Signore e dà la vita” esce da suddette cose (gli gnostici pensavano lo Spirito santo al femminile). E dobbiamo inoltre dire che la Trinità cristiana ha il suo modello stoico nella triade dell’inno di Cleante: Zeus, Logos e Pneuma; cioè la prototrinità pagana già predisposta a beneficio del neopagano distopico Cristianesimo. Nel momento in cui parlo di distopia totalitaria non esagero, non costituisce ovviamente una mia scoperta (da studioso ho indagato per bene vari segmenti nei miei lavori), né tanto meno dico non per tutti delle novità. L’ideale di libertà autentica (esagerato d’altro canto nel nevrotico attivismo protestante liberista) dentro lo stoicismo e il Cristianesimo ha subito forti restrizioni: gli stoici insegnavano che l’uomo sapiente e coscienzioso si sarebbe dovuto adeguare “liberamente”, idest spontaneamente, al Fato, al destino (il prodotto della razionalità del Logos il quale ha già hegelianamente preordinato i corsi storici). Ebbene, non troverete nessuno più stoico di Giobbe, il precursore dei praticanti l’etica stoica. Giobbe si adegua spontaneamente, “stoicamente”, alla volontà divina, ossia alle deliberazioni del Dio-Logos. Alla fine verrà premiato in virtù della sua attivistica caparbietà di condotta, ma nel frattempo una vera libertà umana, un’autonomia morale kantiana, è stata cancellata alla radice. Nel Cristianesimo esiste una sola Verità di cui hanno nella storia pagato il prezzo non poche persone all’interno di un regime sociale illiberale durato secoli. La tradizione giudaicocristiana ha proposto di sacrificare la propria libertà a vantaggio di contenuti nevrotici (si vedano ad esempio Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro10). Arrivati a questo punto possiamo rivolgere lo sguardo al panorama religioso-mitologico greco, il quale avevo rammentato in apertura di disamina. Sarà possibile dunque vedere quanto di mitologia greca si è infiltrato nella tetrade evangelica, soprattutto nel non sinottico, inerente a temi orfico-dionisiaci. Diciamo che l’orfismo rappresenta il lievito del formantesi Cristianesimo. Dalla di quello esaltata inquietudine spuntano le radici popolari cristiane. Al di là di quell’ingenuo slancio, tuttavia non torbido nell’orfismo, non si sarebbe sviluppata una dimensione fideistica di massa. Il Cristianesimo è intervenuto su un terreno fertile: questa è stata la sua astuzia costruttiva, questa è stata la sua fortuna nell’allargarsi presso la credulità dei più. Ritroviamo idee orfiche basilari poi centrali nella visione cristiana. Una è l’idea di passione, del martirio, i quali purificano (si pensi al “battesimo di sangue”), facendo recuperare l’elemento divino dionisio (illustrato più sopra) in sé. L’orfismo assume una dicotomia corpo/spirito analoga a quella stoica: da simili contenuti le concezioni cristiane sessuofobiche e di disprezzo generale della corporeità (le cosiddete “sante anoressiche” costituiscono tristi exempla di tali principi, già nevrotici, elevati a più distruttiva nevrosi). Quel che conta è il divino nell’uomo, al punto tale che gli orfici sono i teorici della successiva dicotomia cristiana anima/corpo: sono loro a dire che esiste un’anima immortale. E l’orfismo è esistito quantomeno dal VI sec. a.C. L’esistenza umana nella mentalità orfica servirebbe a pagare le colpe all’interno di uno schema metempsicotico. I Cristiani sostituirono alla rincarnazione punitiva il temibilissimo inferno. La visione degli orfici raffigura concettualmente Zeus nei tre moment di causa originaria, causa strumentale e causa finale in relazione alla realtà, realtà la quale assorbe in maniera panica (una tangenza stoica, non sviluppata in direzione panteistica da parte del Cristianesimo, il quale si limitò a postulare soltanto l’ubiquità di Dio). La teogonia orfica culminava con le vicende dei Titani uccisori di Dioniso, una sequenza che distaccava dalla tradizione veicolata da Esiodo. E giunti a Dioniso dobbiamo allora approfondire i legami fra di lui e il Gesù evangelico. Nel momento in cui ho focalizzato meglio tali aspetti ho ottenuto una più nitida e più definita cornice sull’origine del Cristianesimo, al quale ho dedicato la mia attenzione da una vita essendo nato in una società cristianizzata da secoli. Cominciamo col dire che Dioniso nacque in una grotta e il suo destino era quello di succedere a Zeus nella signoria cosmica. Il piccolo, a detta del mito, venne al mondo con delle corna. Gesù Bambino non le ha, però ha il bue cornuto del presepio. Il toro è un animale correlato all’immaginario dionisio: il bue cornuto del presepio suggerisce l’evidente inconsapevole prosecuzione di un topos neopagano. E lo fa assieme all’asinello, a sua volta associato a Dioniso e all’uccisore di Osiride (Seth/Tifone). Allorché nacque il Cristianesimo, in ambito culturale pagano si diceva che i fedeli adorassero una divinità teriomorfa dalla testa di asino. Ho visto su un libro la foto di un’antica rappresentazione di ciò, e la mia ipotesi è che non si trattasse di una presa in giro volta al disprezzo da parte dei Romani, ma che invece i primi Cristiani tendessero a rendere più percepibile il sostrato della nuova religione, in particolar modo il sostrato orfico-dionisiaco. Cioè quello a livello popolare di maggior diffusione, il quale costituì la base del successo presso la massa ingenua disposta alla credulità nei confronti di un’abile costruzione propagandistica. Venne tenuta, non a lungo, in epoca medievale, ogni primo dell’anno una “festa degli stolti” nella quale veniva ricordato l’asino dell’entrata a Gerusalemme di cui Gesù si servì: in questo contesto festoso nel momento in cui si pregava la preghiera era chiusa da un raglio in luogo del consueto canonico “amen”. Sia Dioniso che Gesù appena venuti al mondo ricevono l’omaggio di altri intervenuti all’evento. Suddetto Dio grecopagano nella cultura cretese, la quale non era di radice aria, si manifesta come Dio bambino che è destinato alla morte (nel mito muore giovanissimo). I Cretesi avevano stabilito dove fosse stato il suo sepolcro isolano. Dioniso, figlio di una donna comune, viene elevato al rango divino tempo dopo la nascita. Nelle sue vicende non manca un’ascensione finale in cielo (ennesima tangenza con Gesù). Nell’orfismo Dioniso rappresenta colui che è nato tre volte: nel grembo materno, nella coscia di Zeus in funzione di incubatrice (dopo che la madre morì precocemente prima di partorirlo correttamente), nella resurrezione post mortem. Gesù mostra un percorso parallelo: alla coscia di Zeus sostituisce il battesimo con la discesa dello Spirito Santo. Non sempre la madre di Dioniso è stata identificata dal mito con una donna semplice: Persefone poteva comparire sua madre. Da ciò la familiarità di detto Dio con l’elemento infero. Ade marito di Persefone era pure chiamato Zeus sotteraneo, perciò tale appellativo si riflesse sul figlio Dioniso (Gesù scese agli inferi). Dioniso e Gesù hanno familiarità con l’elemento acqueo-marino: entrambi hanno a che fare con la navigazione e le imbarcazioni. Se Gesù seda una tempesta stando sopra una barca, Dioniso ha una sua epifania sempre su un’imbarcazione. La mitologia dionisiaca intravede in questo un Zeus-figlio complementare di un Zeus-padre, e lo fa in un’ottica unitaria padre-figlio. In particolare il padre si indirizza al pubblico maschile, il figlio a quello femminile (il Gesù evangelico ha avuto contatti con varie donne). Nella prima parte della mia analisi ho parlato del mito orfico riguardante l’uccisione di Dioniso ora possiamo riprenderlo allo scopo di ricollegarlo meglio a Gesù. I Titani fecero a pezzi il corpo del Dio greco al fine di mangiarlo, un corpo che la mitologia greca trasfigura nell’immagine di un agnello/capretto. I Titani ne consumarono e furono poi inceneriti da Zeus, con la conseguente antropogonia già rammentata sopra. Ritornati a Gv 1,9 siamo nelle condizioni di poter ulteriormente chiarire i passaggi evangelici riguardanti l’ultima cena e l’istituzione della liturgia eucaristica. Essa possiede un’origine dionisiaca. La scena di Gesù che comanda di prendere e mangiare del pane rappresentante il proprio corpo ricalca in guisa dinamica, non statica, il mito di Dioniso e la passione pagana dionisia trapiantatasi assieme al corredo dell’immagine del vino nel nuovo culto cristiano (il vino inerisce a uno dei due momenti del rito cristiano menzionato). Gesù e Dioniso sono Agnus Dei. Il consumo della carne, simbolico o meno, nella liturgia eucaristica e nel rito dionisiaco serve a garantire il contatto col divino. Dioniso è legato alla vite, ai tralci, all’uva. Tant’è che gli orfici lo chiamavano pure Eno (=vino). È consequenziale che nel consumo simbolico di carne divina del rito cristiano ci si accompagni altresì al consumo di vino. Si tratta delle due facce della medaglia dionisia. Che il Vangelo non sinottico si apra col miracolo di Cana non è casuale. Il vino e la coppa di vino dionisiaci indicano l’esigenza di uno stadio mentale esaltato, eccitato, una follia, una militanza obbediente e irrazionalistica, la quale ritorna nell’epistolario paolino: i folli per Cristo. La follia erasmiana costituisce una moderna teorizzazione di quell’ideale cristiano di fanatismo. L’antica festa ateniese delle Antesterie dedicata al culto dionisiaco è servita da modello per elaborare il Triduo pasquale cristiano. Si svolgevano a fine dell’inverno nel corso di Antesterione (mese lunare corrispondente a un periodo tra febbraio e marzo) e avevano la durata di tre giorni. I Greci pensavano che in quel terzo giorno i defunti potessero tornare pro tempore in mezzo ai viventi. Le analogie sono evidenti. Dioniso rappresenta un Dio che risorge al pari di Gesù. L’iconografia cristiana e quella dionisia rappresentano entrambi con la barba. Il tema della “maschera” fa parte del corredo immaginifico di Dioniso, e “maschere” saranno nella teologia cristiana di lingua greca le “personae” trinitarie. Ulteriormente dionisia si mostra di nuovo una particolare devozione, quella al Sacro Cuore di Gesù. Il cuore di Dioniso non fu né mangiato né incenerito bensì recuperato da Atena. Kerényi fa notare che la radice κραδ- è etimologicamente ambigua giacché indica sia il concetto di “cuore” che quello di “albero-di-fico”, e di tale legno era il fallo divino collocato all’interno di ceste, a loro volta poste sul capo durante le processioni dionisiache. Qua si chiude un altro cerchio. Gesù nei vangeli sinottici maledice un fico sterile: non è un episodio privo di profondo significato. Nel Vangelo di Giovanni sostiene di essere la vite e che altri fungano da tralci. Tutte queste immagini hanno provenienza dionisia. Costituiscono un portato orfico. Altresì, il tema del membrum virile si riallaccia alla sponda egizio-osiridea. Già in passato vidi collegati Osiride e Gesù in simile dettaglio che ritroviamo nel culto dionisio. Si rileva così alla fine accanto alla stratificazione egizia una stratificazione greca pertinente: il perizoma di Gesù crocifisso nasconde motivi osiridei e dionisiaci. Il membrum virile di Osiride ucciso ricompare nella stella cometa dei magi (i quali nient’altro sarebbero che maghi), riguardo a Dioniso si tratta di un simbolo adottato – come detto – nella celebrazione della divinità (il perizoma di Gesù parrebbe una sorta di evocativo “tabernacolo” ad hoc). Nella figura evangelica di Gesù compaiono diverse stratificazioni, le quali soltanto un buon analista, un ottimo medico legale dell’ermeneutica letteraria, può dissotterrare. A distanza di molti secoli pochissimi sono in grado di percepire il neopaganesimo del Cristianesimo, e di avere la sensazione di entrare in un tempio pagano mettendo piede in una chiesa (a me ormai capita così). Un’attenzione molto particolare e un pregresso studio molto approfondito (che io ho condotto anni fa11) merita il discorso neotestamentario di “Gesù come nuovo Adamo”. Se non si capisce che cosa era l’Adamo veterotestamentario, non si comprenderà mai quest’altra sottile analogia con Dioniso. L’Adamo originario è un androgino, poi diviso in due, da cui Adamo ed Eva sessualmente differenziati. Anche Dioniso era androgino o quantomeno effeminato. L’orfismo riguardo all’argomento del nuovo Adamo offriva l’aggancio con Fanete (=colui-che-brilla), mostruosa creatura primigenia ermafrodita, altresì denominata Dioniso. Comprendiamo benissimo, arrivati alla fine, che il Gesù costruito quasi due millenni fa non sia più genuinamente riproponibile a società dove orfismo e stoicismo non esistono più quali fenomeni socioculturali in atto. Sono rimasti però forme attivistiche cristiano-protestanti e il diffuso ingenuo desiderio della massa di affidarsi a qualcosa di rassicurante. Il Cristianesimo cattolico di oggi possiede un volto ufficiale diverso da quello della sua naturale sostanza storica, la quale è finita gradualmente nell’ombra al cospetto della gente in seguito all’emancipazione illuministica. Sicché misoginia, omofobia, intolleranza sono state sfumate per diventare pressoché non più visibili. È il Messia evangelico a definire “cani e porci” coloro che non si uniformano a lui. La parola κύων in greco antico costituisce un termine fortemente spregiativo se riferito a persone, e in particolar modo era destinato alle donne. Infatti, a mio avviso, il “τοῖς κυσίν” al Vangelo di Matteo 7,6 è al femminile e non al maschile. Risulta molto probabile per me che Gesù abbia usato un’espressione generale utilizzando i due generi distinti: “alle cagne e ai porci” copre meglio l’estensione semantica di riferimento con superiore qualità retorica. In verità anche “τῶν χοίρων” potrebbe essere tecnicamente al femminile, però tutta l’idea così suonerebbe ferocemente misogina, parlando di “cagne e troie”. Adotto la traduzione di mezzo: cagne e porci. Infine è di nuovo il Redentore a sostenere di non aver portato quiete e tranquillità bensì disordine e divisione di matrice religiosa (Mt 10, 34-39)12.


NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Partita a scacchi”
https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi
 
1 Si vedano i seguenti miei lavori: 1) Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 nel mio saggio Radici occidentali (2021); 2) nella mia opera Teologia analitica (2020) la parte intitolata L’acqua e il Dio biblico; 3) Radici sumere di Ebraismo e capitalismo all’interno della mia pubblicazione Note di critica (2017); 4) e anche per vari argomenti qui trattati la mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013).
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html
 
https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana

2 In Note di studio (2016): Iside e Osiride, Cristo e la Madonna. Nel suddetto saggio si trovano altre sezioni rilevanti in relazione all’argomento affrontato nell’analisi generale: L’origine del male; Novità contraddittorie del messaggio evangelico; Il centurione romano: uno stratagemma mediatico. Un altro mio scritto pertinente, a parte, è L’origine ideologica del Cristianesimo, dentro la mia opera Considerazioni critiche (2014).
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html

3 Per approfondimenti si veda il terzo lavoro indicato nella nota 1.

4 A tal riguardo suggerisco la lettura di alcuni miei saggi: quello indicato nel punto 2) di nota 1 e di altri due recanti i titoli L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017) e Parricidio dantesco (2021).
 
https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica
 
https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco
 
https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson

5 Su questo dettaglio un approfondimento a pag. 13 della monografia indicata al punto 4) della nota 1.

6 Allo scopo di approfondire suggerisco di leggere la sezione Radici egizie del mio saggio menzionato al punto 4) di nota 1, là già sottintesa.
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html

7 Al fine di un approfondimento indico il segmento intitolato La nascita della filosofia nella mia pubblicazione Percorsi critici (2020).
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/la-nascita-della-filosofia.html

8 A tal proposito consiglio di leggere il mio studio I protopatristici Aristofane e Giovenale contenuto nel saggio ricordato nella nota precedente.
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html

9 Si legga il mio saggio Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
 
https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell

10 In mie pubblicazioni: dentro la mia monografia Letture critiche (2019), Il machiavellico disegno della “follia” erasmiana; all’interno del saggio al punto 2) della nota 1, Cristianesimo razionale e nazional-socialismo in Thomas More.
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html
 
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html

11 Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi, nella mia opera Considerazioni letterarie (2014).
 

12 Si veda meglio nel mio studio intitolato Un inquietante brano neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo nudismo, contenuto all’interno del mio saggio indicato nel punto 1 di nota 1.
 
https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html