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giovedì 30 novembre 2017

RADICI SUMERE DI EBRAISMO E CAPITALISMO

di DANILO CARUSO

Dal mio punto di vista e di studio, il capitalismo non è un fenomeno col DNA moderno. Degli studi mi portano alla conclusione che ciò che dice Weber a proposito dell’etica protestante abbia già una radice nell’antica mentalità sumera, la quale a sua volta ha influito tramite l’attivismo ebraico transitato grazie a Lutero nel Protestantesimo. È un discorso complesso, in parte affrontato nel mio saggio “Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016)”1. Mi resta da analizzare ed esporre l’ascendente sumero sull’Ebraismo, e spiegare meglio la nascita religiosa dell’attivismo e il suo sviluppo nevrotico (quale Weber tratta in relazione all’etica protestante). Due settori dei miei studi hanno riguardato da un lato la tradizione religiosa giudaicocristiana e dall’altro la fenomenologia e le cause del capitalismo. Senza pretesa alcuna di originalità, in diversi saggi via via pubblicati, ho esposto risultati di analisi e riflessioni. Qui vorrei unificare in una base comune lo sviluppo di quelle mie ricerche, affinché quei rami possano avere un solo tronco, il quale mi consenta di restituire un modello unificato di interpretazione storica e sociologica della Civiltà occidentale nelle sue grandi linee. Il tutto è servito se non altro a me allo scopo di comprendere come naviga la barca della storia occidentale in cui mi trovo. A proposito dell’Oriente, mi riservo l’opportunità di approfondire ulteriormente in futuro le differenze e la dialettica con l’Occidente. Adesso, parlando dei Sumeri, e dunque dell’incipit storico che a me interessa, tengo a puntualizzare alcune cose. Ho già detto di pensare a un’origine aliena dell’umanità, ma in un modo che non ha niente a che vedere con le idee di Zecharia Sitchin2. Io ipotizzo un’emigrazione interplanetaria. Sul pianeta Terra sarebbe stato lasciato un nucleo di esseri umani alla ricerca di luoghi adatti alla vita. Da qui sarebbe sorta la civiltà umana terrestre, con i suoi difetti, bene o male in cammino progressivo nell’ascesa tecnologica durante i secoli (tutto sommato una platonica reminiscenza scientifica, non poco ostacolata da nevrotici nemici). In questa colonia sulla Terra, a un certo punto, sarebbe prevalso un senso dell’abbandono il quale avrebbe avuto come risposta psicologica e sociologica la nascita delle religioni. Mi ha colpito molto rinvenire presso i Sumeri la sensazione di essere in balia di qualcosa di superiore e di oscuro. Perciò, a ritroso, ho circoscritto uno stato di abbandono. Se esso ha generato varie religioni (anche con intelaiature concettuali comuni), la “meraviglia” (più libera da paura e nevrosi) ha prodotto la filosofia e la ricerca scientifica. Ora chiarirò come la mentalità sumerica contenga elementi capitalistici poi sviluppatisi in Occidente mediante il transito nell’Ebraismo della vocazione attivistica3. Del fatto che il Giudaismo sia sorto dalla fusione di un portato egizio-atonista e di un altro asiatico ho già discusso4. Qua approfondirò questa seconda componente nel suo essere sprone dell’attivismo e nei suoi elementi di comunanza con la cosmologia ebraica. Non dimentichiamo la biforcata matrice di sintesi nella religione giudaica la quale ha due padri: uno spirituale (Mosé, simbolo del pensiero egizio-atonista) e uno biologico (Abramo di Ur, simbolo del pensiero mesopotamico). Iniziando la spiegazione, ricordo che la fase preistorica precedente la civiltà sumerica nota (3500-2004 circa a.C.) abbia potuto contemplare un regime sociale ispirato a principi di democrazia (socialismo primitivo, stato di Natura rousseauiano, fase comunista marxiana?). Le città sumere storiche si rivelano, nella concezione che le ha prodotte, una puntualizzazione di una più ampia sostanza universale sottomessa alla potestà divina nella quale risiede il vero potere politico. Pertanto la città appare una sorta di azienda di sussistenza umana inquadrata in un sistema di effettiva teocrazia, dove gli Dei sono – o meno – i fornitori del benessere e gli interlocutori nei cui confronti gli uomini riconoscevano un obbligo di produzione e di servizio: gli Dei sono dei soggetti che consumano dai beni attraverso le liturgie sacrificali, sono loro a concedere ambite condizioni di migliore e lunga vita. In una simile visione si intravedono i germi dei venturi concetti liberal-capitalistici di “mano invisibile” e di weberiana predestinazione. Il sistema religioso sumero ruotava attorno al tema della produttività della Natura e al diffuso modello di divinità che muore e risorge. Al di là della classica coppia ctonio-uranica, era prevista una specifica figura divina (Enlil) la quale presiedeva al futuro di tutto e di tutti in maniera inderogabile, cosicché non è difficile pensare alla nevrotica predestinazione luterana (e poi capitalistica): accanto a queste linee generali il sistema oscilla tra predestinazione e giudizio divino attuale. Un meccanismo di nevrosi basato sullo schema “peccato/punizione” spinge all’attivismo volto alla ricerca del successo al fine di testimoniare il riscatto e la predilezione divina. La persona del regnante mostra quale sua legittimazione del ruolo assunto, con connotazioni religiose di sacerdote difensore del “sacro”, il fatto di essere beneficiario di un’elezione divina. Nel complesso architettonico sacrale la dimensione religiosa di culto e quella produttiva e di conservazione dei beni si uniscono in una strana accoppiata preweberiana: il tempio appare una specie di banca ante litteram, un ente di deposito e di concentrazione della ricchezza materiale (protoaccumulazione capitalistica). Nella realtà sociale sumerica però non tutto era assorbito nella proprietà religiosa: la presenza della proprietà privata diede spazio a una classe di proprietari i quali seppero emergere in virtù della loro abilità. Una parte del settore produttivo, soprattutto per ciò che ineriva all’agricoltura, era in mano privata laddove si erano concentrati gruppi di Semiti con vocazione al nomadismo. Nella Mesopotamia sumera esistevano latifondi privati accanto a piccoli proprietari e alla proprietà religiosa. I latifondisti si avvalevano per la lavorazione dei campi di soggetti asserviti (in seguito a motivi bellici o giudiziari). Questi ultimi godevano di tutele sufficienti a garantire la loro qualità produttiva, quasi fossero moderni lavoratori ed esistesse in nuce il principio di una prassi di sfruttamento della manodopera umana. Non è d’altro canto da trascurare la significativa esistenza dell’opera di tessitura, i cui manufatti traevano la materia prima dagli animali allevati: la prima Rivoluzione industriale inglese fu fondata sulla manifattura. Quella sumerica stupisce a causa della sua varietà e della gamma di lavorazione del suo artigianato (dal legno all’oro). I frutti del lavoro entravano poi in un circuito commerciale esterno: Ur, la città di Abramo, esportava verso l’India. Passando a temi più strettamente religiosi è bene rammentare che la divinità collegata al Sole a lungo andare in Mesopotamia si fuse con l’altra preposta alla produttività naturale: il che offre un primo ponte di marca teologica in direzione dell’Ebraismo (Utu, Dio del Sole, era il garante dell’ordine morale e si spostava sopra un carro). Nell’ultimo periodo della civiltà sumera Ur emerse sulle altre città, e la teologia intraprese il percorso di quel sincretismo che ho già rilevato, più spinto, nell’elaborazione teologica giudaica. La coppia divina a monte “maschile/femminile”, l’androginia sono argomenti non estranei alla vita religiosa ebraica, la quale nella sua veste ufficiale si proietterà verso un nevrotico assetto maschilista5. Un’importante secondo ponte di collegamento fra la cultura sumerica e quella influenzata ebraica viene offerto dall’esame delle rispettive cosmologie. L’analisi che ho svolto altrove circa l’ascendenza della mitologia egizia sul Giudaismo6 trova sul versante asiatico-mesopotamico una specularità nell’architettura dinamica concettuale, a conferma di quella mediazione socioreligiosa tra le due originarie componenti del popolo giudeo. La cosmogonia dei Sumeri infatti prevedeva la genesi del mondo dall’acqua, da un oceano ingenerato (la Dea Nammu), cui sarebbe seguita l’accoppiata cielo e terra (Anu e Ki). Il figlio della coppia uranio-ctonia, il Dio Enlil (lil = vento), separò il padre e la madre per mezzo di un’azione determinante (lo strumento è soffio, aria, spirito). Al di sotto di una calotta semisferica (il cielo), poi la terra si trova separata dalle acque del mare. I vari seguenti Dei sono un prodotto di questo meccanismo di messa in ordine (nascerebbero dall’unione di Enlil, principio determinante maschile, con Ki): gli Dei non sono immortali. Esiste altresì uno spazio sotterraneo (Inferi), residenza finale dei defunti, concepita in forma tenebrosa; perciò il bello della vita si consumerebbe nel corso dell’esistenza mondana. Un aspetto molto rilevante, al fine del mio discorso generale, è l’istituzione da parte dei Sumeri della scrittura. Questa sorge con l’obiettivo di soddisfare esigenze pratiche legate alla vita sociale ed economica. La mia impressione è che, in origine, siamo di fronte alla creazione di un ristretto/restrittivo orwelliano newspeak, il quale si evolverà, sfuggito di mano, non più controllabile grazie a un ampliamento di vocabolario in direzione di concetti sempre più raffinati e alla volta della nascita della filosofia: le pratiche scritture consonantiche del Vicino Oriente Antico osserveranno il salto di qualità del greco antico allorché questo nella Ionia, zona natia della filosofia, introdurrà le vocali per servirsi di una scrittura precisa, non ambigua (una chiara esigenza di maturità intellettuale). La produzione sumerica dei testi offre l’opportunità di rilevare in quella cultura la presenza di alcuni temi transitati nel Giudaismo: 1) la produzione dell’essere umano usando la terra (Adamo); 2) la dicotomia (protoscontro capitalista) “economia agricola / intraprendenza dell’economia pastorale (manifattura)” (Caino e Abele); 3) il disagio ingiustificato (Giobbe e la predestinazione capitalistica). Una cosa che si nota nelle tre mitologie da me poste in comparazione è la presenza “mistica” dei quattro elementi empedoclei e degli archai ionici: acqua, aria (soffio, vento, spirito), fuoco (luce, Sole), terra. La filosofia quando è (ri)nata sulla Terra ha iniziato a far chiarezza, nell’ambito del pensiero, su quanto fosse oscuro e impulsivo. In dette mitologie fisiologiche, non metafisiche, l’uomo appare un composto biochimico risultato della composizione di terra e acqua, animato da un’azione attualizzante attraverso l’aria da parte di un ente supremo. La conoscenza e la fede sono incompatibili poiché la seconda si fonda su ignoranza e compulsione. Quelle società che non curano l’istruzione e la scienza producono climi da Medioevo. Il caso del mondo sumerico riflette una forte ambiguità rousseauiana: ho notato un’impostazione sociale tesa tra social-assistenzialismo e protoliberismo, il che la dice lunga accanto alla loro introduzione del “concetto di proprietà privata”. Mi domando quale fosse la “storia prima della storia. Ad avviso di Marx il capitalismo, in quanto fenomeno sociale, ha una natura espansiva mirante all’ampliamento del mercato. Ciò avviene senza dubbio in maniera indefinita e totalizzante tuttavia solo in una prima fase di un meccanismo il quale si propone di essere ciclico (un eterno ritorno). È un dato di fatto che il mercato mondiale non è infinito, e ciò urta contro lo slancio capitalistico di produrre e vendere illimitatamente. I muri su cui sbattono i capitalisti aprono una seconda fase dialettica, giacché un circuito del tutto globalizzato su questo nostro pianeta si mostra un ostacolo insuperabile (se non mediante una prospettiva interplanetaria). L’accumulo di denaro comporta nella coscienza dei grandi imprenditori una pulsione all’investimento continuo, la quale un mercato globale non agevolerebbe a causa di una contesa capitalistica che si è saturata nella diffusione dei beni. Ciò rappresenta il grande problema dei capitalisti più forti e più ricchi. Il rimedio, teorico e pratico a loro prospettantesi supera due pietre d’inciampo: la questione su accennata dell’imbottigliamento, e l’impostazione ideologica marxista la quale indicherebbe in un sistema economico globalizzato il momento del non plus ultra per la presa di coscienza proletaria (anticamera inderogabile del crollo del capitalismo). Dunque un regresso capitalistico, un suo moto retrogrado, praticato in modo metodico rimedia quella dimensione di infinito mancante al “momento totale” dell’espansione. Il sacrificio rituale di porzioni di mercato mondiale crea ex novo dalla loro distruzione spazi da colonizzare. Naturalmente si tratta di interventi provocati in aree della Terra adatte a ciò, impedendo effetti collaterali deleteri di ritorno. Ad esempio, una guerra civile in uno Stato non povero e a economia liberista non deve creare contagi dannosi alla parte politica capitalista dominante. Tale fase negativa se è tale nei riguardi di chi la subisce, non lo è invece in relazione a chi la genera. Alimentare conflitti bellici è una cosa che fa la fortuna dell’industria di guerra: la vendita di armamenti dal punto di vista del profitto non rappresenta una differenza rispetto al commercio di beni per una ricostruzione. Il binomio distruzione/riedificazione viene spostato sulla scacchiera internazionale di continuo in base alla migliore occasione: il circolo guerra/ricostruzione pare girare sul pianeta a guisa di un tornado capitalistico. Di sicuro le dinamiche connesse non sono sempre sotto un controllo matematico né tutti gli eventi simili hanno necessariamente una siffatta origine. Permane comunque la possibilità di sovvertimenti, in interiore o fra Stati, cagionati da altri motivi estranei all’accumulamento di capitale. Il capitalismo ha già causato la distruzione di altri pianeti nel corso delle sue dinamiche espansive? Venere ha una situazione ambientale compatibile con uno stadio avanzatissimo prodotto da inquinamento industriale; la fascia degli asteroidi nel nostro sistema solare, in virtù della legge di Titius-Bode, dovrebbe essere un pianeta (chi l’ha distrutto?); se Marte era simile alla Terra, l’eventuale distruzione del suddetto pianeta X avrebbe provocato la scomparsa della vita su di esso (Venere possiede un’atmosfera; Marte, più lontano dal Sole, è il “pianeta rosso”: altra stranezza, assieme agli asteroidi). Esistevano pianeti socialisti (non necessariamente marxisti)? Ritengo che l’ermeneutica delle tavolette sumere proposta da Sitchin sia troppo condizionata da ipotesi fantasiose: dall’eugenetica creativa al fantomatico pianeta Nibiru, passando da una lettura che non va al di là dei simboli. Da junghiano vedo nei miti delle verità, le quali però non coincidono con la superficie. Ogni ermeneutica testuale deve essere contestuale e non proiettare indebite categorie posteriori sulla facciata, più o meno, fantastica; l’interpretazione di concetti celati deve invece avvalersi dei migliori strumenti di comprensione di qualsiasi epoca. La lettura psicosociologica può far emergere informazione non apertamente storiche, tuttavia da maneggiare con estrema cautela. In fin dei conti, gli Anunnaki di Sitchin, bramosi di oro al fine di migliorare la loro esistenza, il loro benessere, sino al punto di produrre una categoria sociale di nuovi servi, non mi sembrano incompatibili con le mie considerazioni espresse ne “Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi”7 (una sezione del mio saggio “Critica dell’irrazionalismo occidentale”): uomini ingannevoli, sedicenti Dei/mediatori-di-Dei, ne asserviscono altri, ignoranti e indifesi. Io leggerei quelle tavolette sumeriche con il metro che ho applicato al “Brave New World” di Huxley (si legga la mia monografia intitolata “Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015)”8). Anche Huxley parla di eugenetica e di asservimento, ma si tratta di una distopia letteraria. Forse nei testi sumeri esaminati da Sitchin persiste l’idea dell’esistenza di due razze di esseri intelligenti: i padroni e i servi. E alcune religioni legittimano questa impostazione socioumana. Niente di strano che i popoli del Vicino Oriente Antico abbiano attinto, in modi diversi, a questo comune bacino ideologico (architettura dinamica) generando differenti, più o meno simili, simboli (architettura statica). Nei grovigli concettuali di opere sacre e mitologiche, impastati di propaganda (anche ingannevole) e di riflessioni sull’universo, occorre saper distinguere i vari livelli comunicativi. Se c’è un’informazione storica, essa non sempre è pulita, scevra d’incrostazioni, e non sempre è visibile e riconoscibile. Il profondo può nascondere notizie interessanti. Ad esempio nel “De brevitate vitae” lo stoico Seneca coglie la dicotomia marxiana “valore d’uso / valore di scambio”9. L’etica attivistica e razionalista del dovere promossa dallo Stoicismo contiene inoltre una radice semitica (Zenone di Cizio), la quale, dopo il matrimonio tra la Stoà e l’Ebraismo (generante il Cristianesimo), si evolverà – impazzita – nel volontarismo e nella predestinazione luterani (alla base del capitalismo moderno, come ben visto da Max Weber)10. Dopo Platone e Aristotele l’unità analitica della filosofia si è spezzata in epoca ellenistica. Lo Stoicismo e l’Epicureismo rappresentano una scissione (psichica) fra ragione (logos) e libido. Per questo motivo un logos nevrotico (a vocazione irrazionalistica) esploderà nel Cristianesimo e nella storia occidentale. La ratio maschilista arroccata, scollegata dalla libido, costituisce il movente al centro di vari gravi squilibri (personali e sociali) i quali l’Occidente ha vissuto nei secoli al suo interno.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note di critica (2017)”


2 Riguardo a tale tema suggerisco la lettura nella mia opera “Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016)” della parte intitolata “Teoria sull’origine aliena dell’umanità”:

3 Per approfondimenti si vedano nel saggio menzionato nella nota precedente le sezioni “Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi” e “Il parricidio marxiano di Locke figlio d’Abramo”:

4 In merito a ciò si veda in particolare nella mia monografia intitolata “Ermeneutica religiosa weiliana (2013)” la parte recante il titolo “Il Dio del Tanak non è solo”:
5 Per approfondire si veda il mio studio “Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi” dentro la mia pubblicazione “Considerazioni letterarie (2014)”:

6 Nell’opera menzionata nella nota 3, la sezione dal titolo “Radici egizie”:

7 Vedi nota 2.


9 Ne ho parlato nel mio studio “Il severo monito di Seneca” nel mio saggio “Critica letteraria (2017)”:

10 Per approfondimenti invito a leggere altro in aggiunta ai testi citati nella nota 3: