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venerdì 19 luglio 2024

UN INQUIETANTE SILENZIO DI MONSIGNOR BENSON

di DANILO CARUSO
 
“The dawn of all”, romanzo utopico nella visione del suo autore, il cattolico inglese Monsignor Robert Hugh Benson (1871-1914), distopico al mio sguardo critico, descrive un mondo immaginario il quale non giudico auspicabile per la Civiltà umana1. Mi sembra allarmante l’ambizione di un totalitarismo religioso e cattolico. Il romanzo, pubblicato nel 1911, non ha fatto cenno alcuno della delicata problematica razzista antigiudaica (avita cristiana e moderna laicizzata): un deprecabile fenomeno sempre da disapprovare e respingere sia nella sua forma pseudospiritualista che in quella pseudobiologica. Gli Ebrei non esistono più nel 1973 narrativo di questo romanzo bensoniano? È stato forse ammesso, mediante un’indicibile liceità (distopica), il cancellarli dalla faccia della Terra? Non lo sappiamo con certezza, tuttavia la loro assenza fornisce un inquietante indizio. Il non menzionarli esprime tacito antisemitismo in relazione al misterioso vuoto esistente nel ’73? Monsignor Benson ha sognato un mondo senza Giudei? Qualcuno potrebbe dire: non ci sono più perché si sono tutti convertiti al Cattolicesimo. Qualcun altro potrebbe invece ipotizzare: non ci sono più poiché sono stati sterminati i refrattari alle conversioni, valutati pericolosissimi destabilizzatori dell’ordine costituito cattolico; e, ormai scomparsi, non vale la pena nemmeno parlare di quegli per l’autore inglese forse innominabili deicidi… A difesa della possibilità di questa seconda ipotesi voglio rammentare l’atteggiamento di Pio XII nel corso della Shoah, un atteggiamento che fu appunto di silenzio. Nella realtà stava per consumarsi la “soluzione finale” con la Chiesa muta al riguardo. Era al corrente dello svolgimento dell’Olocausto o no? Agì così per convenienza o per mancanza d’informazioni? Interessante, sull’argomento, ritengo una puntata di “Atlantide”, programma de La7, condotto da Andrea Purgatori (1953-2023), intitolata “Hitler, il Papa e il segreto inconfessabile”. Quanto possiamo notare, in ogni caso, è una linea di silenzio che va da Monsignor Benson a Papa Pacelli. E, siccome, nel caso storico di Pio XII, sappiamo che c’è stato in concreto uno sterminio ebraico, ipotizzo di riflesso, davanti al silenzio bensoniano, una analoga possibilità letteraria. Nelle mie ricerche ho rintracciato un articolo de “La Civiltà Cattolica”, uscito sul quaderno 1736 del 21 ottobre 1922, il quale mi è sembrato significativo e utile a quanto sto ragionando ora. Si intitola: “La rivoluzione mondiale e gli ebrei” (pagg. 111-121, vol. 4 – 1922). Premetto prima di riportarne un estratto la motivazione di ciò. Questo testo si pone a metà strada cronologica fra Monsignor Benson e Papa Pacelli, e costituisce pertanto due cose: un elemento di raccordo tematico ideologico, e un indice di quale fosse il grado di antisemitismo praticato nella prima metà del ’900. Nei miei scritti ho parlato dell’antigiudaismo più volte, con particolare riferimento al Cristianesimo2. Adesso l’occasione è propizia per condurre un nuovo approfondimento. Il mio obiettivo non è dimostrare che in “The dawn of all” si sia consumata una Shoah, dacché non si mostra possibile per via dell’assenza di prove concrete. Dunque, in ossequio al principio giuridico stabilente la presunzione di non colpevolezza all’inizio di un giudizio, concludo che non essendo visibile con nitidezza nullum crimen, non si dà nulla poena. Tuttavia il quesito iniziale rimane: che fine hanno fatto gli Ebrei nel romanzo bensoniano? La loro scomparsa rappresenta un dato di fatto. Accolgo, pro bono pacis, valida l’ipotesi della conversione spontanea di massa, producente la loro incruenta cancellazione. Ho già notato l’idea di “”rimozione” sin da Tertulliano. La ragione risulta facile a capirsi: il Giudaismo costituisce la prova di falsità teologica del Cristianesimo, nel senso proprio logico della contrarietà, dove vero e falso si escludono a vicenda. Quindi l’uno falsifica l’altro, e quello a trovarsi in maggior disagio e imbarazzo è proprio il nuovo credo cristiano. Non stupisce allora che Benson elimini gli Ebrei. La pietra d’inciampo proviene dalla modalità ignota. L’articolo sopra citato, di cui a breve l’estratto, ci dà un indizio di come la (assurda) problematica antisemita non poteva essere estranea alla testa dello scrittore inglese. Le preoccupazioni antisocialiste e antigiudaiche nella Chiesa esistono all’epoca bensoniana, e “La Civiltà Cattolica” ne fornisce testimonianza. Reputo suddetto articolo interessante, oltre che come elemento di collegamento nella maniera spiegata, anche per i suoi contenuti in relazione a “The dawn of all”: da un lato la preoccupazione marxista, dall’altro le accuse di totalitarismo rivolte all’URSS. Accuse che però, io rilevo, sono parallelamente indirizzabili alla teocrazia di Monsignor Benson. Notiamo, ancora una volta, come gli schemi vengano orientati in funzione di tornaconto. Un articolo, insomma, ricco di spunti, di cui segue l’estratto.
 
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Il mondo è malato. Non siamo noi a dirlo: oggi lo ripetono anche i moralisti da strapazzo […]. […] La Turba […] pare divertirsi in una ridda tragica di tumulti e di scioperi, aspettando di proclamar domani la repubblica comu­nista […]. […] Chi guida questo movimento di rivoluzione universale che capovolge la società umana da un confine all’altro del mondo? Voci sinistre si levano da più parti ad accusare da sinagoga. Il lupo è, sempre lupo: le colpe antiche accreditano i sospetti nuovi e rinciprigniscono una piaga rammarginata ma non mai guarita. Una mano profana ha tratto pure alla luce dei segreti che portano la marca del ghetto. Documenti o falsificazioni? Sarà difficile, come sempre, poter diradare le tenebre in cui si avvolge gelosamente Israele. Il velo del tempio, che Jahve aveva squarciato, i figli di Giuda l’hanno ricucito a fil doppio; ma quello che esso vuol ricoprire non è, più l’arca santa del Signore: è la cassa forte delle sue usure e del suo egoismo. In ogni modo alla sua tenacità nel nascondere noi opponiamo il diritto di frugare e trarre alla luce del sole quello che ci riguarda, quello che tocca il bene pubblico del popolo cristiano, a cui far danno per i talmudisti è precetto di legge e merito di religione. […] La Russia è oggi il campo di battaglia sul quale si disputa l’impero del mondo di domani. […] Si salvino gli infelici, ma si mettano in ferri, si traggano al tribunale, inesorabile, della giustizia i mestatori, i capibanda che per attuare le loro pazze utopie, desertano il paese e assassinano la nazione. […] Il maggior numero, a quello che si dice, dei compo­nenti il corpo dirigente la repubblica comunista in Russia non è di indigeni russi, ma di intrusi «ebrei », i quali però si dànno premura di occultare quasi sempre il nome di origine sotto la maschera di uno pseudonimo di colore slavo. […] La popolazione totale della repubblica russa non conta certa­mente meno di novanta milioni di nazionali di fronte a forse quattro milioni di ebrei che fino a ieri brulicavano nel pattume del ghetto, fatti segno al disprezzo comune. Eppure questa infima minoranza oggi ha invaso tutte le vie del potere e impone la sua dittatura alla nazione. E quale dittatura! […] Secondo la Costituzione della Repubblica «sovietista-socialista-federativa russa» del 19 luglio 1918 […] «la Repubblica, guidata dal solo interesse delle classi operaie, può privare dei loro diritti gli indi­vidui o i gruppi di persone che ne usassero a danno della stessa repubblica socialista[»]. È la legge del sospetto comune a tutti i governi violenti per far man bassa dei loro avversari. […] Insomma dal complesso di questi ragguagli risulta chiaro e manifesto un fatto: questa genìa che fino a ieri giaceva nei vicoli ciechi, nei più bassi fondi della vita russa, di botto si è scossa e si è impossessata del trono: ieri non era nulla; oggi è tutto ed è dappertutto, e secondo l’istinto delle razze decadute si affretta a sfogare la rabbia del suo trionfo nella paura che duri poco. Come spiegare questo strano rovesciamento di cose, questa irruzione calcolata, sapiente che s’impadronisce a colpo sicuro di tutti gli organi della macchina sociale, così da potersi dire che in Russia – esempio unico – alla nazione slava è imposto il giogo di un’altra nazione, l’ebrea? […] La repubblica ebrea comunista è l’attuazione di una dottrina: sono i dogmi del vangelo di Marx e di Engels posti a fondamento di un programma sociale: è la teoria comunista messa in esperimento, e noi intendiamo facilmente come nessuno poteva essere più adatto interprete del pensiero di quei pretesi legislatori d’Israele o più esperti esecutori dei loro insegnamenti che gli uomini della stessa razza e delle stesse tendenze. Solo il pervertimento di una fantasia semita era capace di capovolgere tutte le tradizioni dell’umanità e creare una società il cui statuto fondamentale è «l’abolizione di ogni proprietà: la ricchezza non deve appartenere agli individui o a una classe di cittadini, ma alla comunità». Il buon senso della stirpe ariana non avrebbe mai inventato un codice in cui al principio di un’autorità sociale sottentrasse un ufficio centrale di statistica […]. Dei grandi principii di libertà di stampa, di associazione o di parola, neppur parlarne: sono diritti che si rivendicano sotto il regime borghese per poter preparare la rivoluzione; ma a rivoluzione fatta, in governo comunista, che si può pretender di meglio? I malcontenti sono nemici dello Stato e vanno repressi severamente. Perciò la repubblica si è circondata di armi e di armati, ha imposto la coscrizione, e non parendole troppo salda e sicura la fede delle schiere paesane, non esitò un momento a rinnegare tutto il vecchio antimilitarismo venduto ai gonzi e assoldare un esercito di cinesi, lettoni, ungheresi, vecchi prigionieri, profughi, vagabondi d’ogni colore, ai quali prendere servizio era il più sicuro mezzo di trovar da mangiare dove si moriva di fame. Tale non era davvero il caso dei seguaci della sinagoga, e non li vediamo infatti far mostra di sè nel campo mil­itare. L’ebreo non ama la milizia poichè non ha una patria: e quando dovette essere soldato, la rivoluzione lo fece traditore e assassino. […]
 
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Tengo a sottolineare che quando uscì l’articolo (il quale ho estratto dal “vol. 4” senza togliere gli stampati errori di ortografia) non esisteva ancora il governo Mussolini né quello Hitler, e che le legislazioni razziali tedesche e italiane furono varate negli anni ’30. Quantunque il 1973 bensoniano del romanzo analizzato non dia segni di provvedimenti del genere, quel mondo immaginato esprime un’ideologia de facto suprematista bianca europea, dal momento che chi ha all’occhio la carta geopolitica planetaria di alba del ’900, apportate le variazioni narrative bensoniane, si renderà conto che quasi tutto l’Orbe cade in mano a Inglesi, Francesi e Spagnoli. Monsignor Benson non considera il colonialismo un problema da rimuovere, ha anzi rimesso gli Italiani sotto un dominio altrui. È stato una personalità complessa, talentuosa, benché reazionaria e nevrotica (secondo il mio metro d’esame critico). La sua altezza intellettuale gli merita la mia formale stima, e al contempo un sostanziale disaccordo ideologico. Spero che lui non abbia mai pensato a un genocidio ebraico, circostanza nella quale la mia ammirazione verso il romanziere creatore di Mabel Brand crollerebbe irrimediabilmente.



NOTE
 
Questo testo è un estratto del mio saggio intitolato “Da Robert Hugh Benson a George Orwell”
 
1 Questo scritto, come indicato in calce, costituisce un estratto del mio secondo saggio dedicato a Monsignor Benson. La prima mia monografia è: L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017).
 
2 Allo scopo di un approfondimento suggerisco un mio studio (indicante ulteriori vie) Le radici cristiane dell’antisemitismo nella mia pubblicazione Studi illuministi (2024).