di
DANILO CARUSO
Il
cosiddetto Umanesimo italiano, periodo della civiltà culturale post-medievale,
ha avuto inizio con la coniazione del Fiorino, moneta creata in Firenze nel
1252. Tutta la cultura umanistica mirò a fornire una giustificazione
all’attività umana legata al denaro e agli affari. Non c’entra nessun interesse
culturale genuino. Se si celebrò allora l’attivismo, assieme alle sue cause e
ai suoi effetti, ciò accadde principalmente nello spirito capitalistico
introdotto dal Fiorino. Il quale seguito a breve dal Ducato veneziano, altra
moneta pregiata, costituì con questo la valuta più accreditata per molto tempo.
L’Umanesimo seguendo il copione della hegeliana nottola di Minerva, intervenne
a fornire la copertura ideologica nei confronti di una dinamica già sorta. La
nascita del sistema bancario alla fine del Medioevo non era compatibile con
l’illiberale totalitarismo cattolico. L’istituto rappresentato dalla banca non
può svilupparsi entro margini ristretti, dove gli incentivi ai consumi mondani
siano condannati. La condanna dell’edonismo, a tutti i livelli, sostenuta dal
Cattolicesimo cozzava contro gli interessi di banchieri e imprenditori. Il
mettere al centro dell’attenzione l’essere umano nelle sue sfaccettature, in
primis nella volontà attivistica (una ante litteram e sui generis teorizzazione
del wille zur macht nietzschiano1), mirava a legittimare gli spazi
guadagnati dalla borghesia a scapito della Chiesa (tale dialettica culminerà
nella scissione luterana). Gli intellettuali umanisti italiani costituiscono
effetti, epigoni, rispetto a una causa precedente in ogni senso. Per dirla in
termini marxiani: l’Umanesimo italiano è fenomeno “sovrastrutturale”. La città
di Firenze a partire dalla fine del Medioevo è centrale in tutta la faccenda:
da un lato sostanziale a causa del Fiorino, dall’altro formale grazie alla
nuova proposta socioculturale messa su carta da autori legati in vario modo al Comune
fiorentino. A suo tempo Dante aveva visto il movimento emancipatore
capitalistico e lo aveva osteggiato2. Lo Stilnovismo in Italia,
assieme alla Scuola siciliana, rappresentò lo spartiacque fra ideologia
cattolica restrittiva e smarcamento dal controllo3. Guido Guinizelli
si presenta come un umanista, nel senso nobile del termine, nel momento in cui
restituisce dignità alla figura femminile e alle dinamiche libidiche. Questo
non opera Dante, per cadere nell’integralismo cattolico della “Commedia”4.
Successore dantesco appare Francesco Petrarca. Costui ama la lingua degli angeli
più del volgare: il primato va dato alla Cristianità quale sistema
sociopolitico europeo, e non alle realtà inferiori con lingua propria. La sua
riscoperta dell’antichità possiede una mira reazionaria: riportare alla
mentalità patristica. Egli scimmiotta Agostino d’Ippona5, respinge
una mentalità scientifica moderna, arriva a dire che la letteratura sia
superiore alla medicina (il che costituisce assurdità inaccettabile, assurdità
che era omogenea al sistema culturale della Chiesa medievale, dove le Sacre
Scritture prevalevano sopra e impedivano il progresso scientifico). Simile
dialettica fra Rinascimento scientifico-filosofico e chiuso spirito di
conservazione integralistica avrà i suoi due casi eclatanti esemplari nelle
vicende di Giordano Bruno e di Galileo Galilei. Il Petrarca rifiuta una moderna
metodologia di indagine razionalistica, in contrasto con la filosofia in genere,
non solo con i razionalisti medievali. Non accetta l’interesse scientifico
verso la Natura da parte di chi alla sua epoca si mostrava più avanti (si veda
la scienza araba) legandosi a un pensiero di matrice più religiosa che
umanistica (qualunque sia il significato che vogliamo dare all’aggettivo).
Francesco Petrarca raffigura un medievale integrale, la sua ricerca degli
antichi scrittori possiede sfondo reazionario (una cosa che si nota altresì in
Leopardi6); il suo porre l’accento sull’individualità personale e la
propria simpatia nei confronti di sant’Agostino lo avvicinano al nevrotico
Kierkegaard7, non allo status di “umanista” con cui viene celebrato.
La Laura del primo rappresenta alla fin fine un’agostiniana bambola in funzione
di esempio misogino: la donna costituisce più causa di turbamento agli occhi di
un uomo che di benessere. Siamo agli antipodi di Guinizelli e su una posizione
kierkegaardiana: il teologo di Copenaghen era pure filopatristico, e non
rappresenta fantascienza critica voler condurre un confronto fra gli effetti
(disorientanti) prodotti nei rispettivi casi da Regina Olsen e Laura.
Quest’ultima viene definita in apertura del canzoniere petrarchesco un errore
di gioventù: «mio primo giovenile errore». Tutto ciò che si poteva nutrire a
carico di tale Laura in termini di trasporto erotico da parte del Petrarca
viene seccamente condannato: «del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, / e ’l
pentersi, e ’l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno».
Nei “Rerum vulgarium fragmenta” l’autore parla di uno scampato pericolo analogo
a quello dantesco al cospetto di Paolo e Francesca nell’inferno8. Il
Petrarca, al pari di Dante, trasforma lo Stil Novo in distopia mediante una
dialettica “Laura stilnovistica guinizelliana / Cattolicesimo patristico
agostiniano”. La morte di lei, sulla falsariga di quella di Beatrice, evoca
auspici inconsci, soddisfazioni raggiunte nell’ottenimento di una liberazione
dalla ianua Diaboli, in relazione a un femminicidio: queste donne sono
irraggiungibili, ergo devono morire. Poi diventano bambole letterarie. In
travagli nevrotici del genere si scopre una legittimazione della caccia alle
streghe. Sembra che la Laura petrarchiana (conosciuta dal poeta sposata avente
16/17 anni) sia stata un’antenata di Donatien Alphonse François de Sade9
in quanto moglie del marchese Ugo de Sade, morta a 37/38 anni a causa della
peste. Un filone della critica letteraria vorrebbe che ella sia nel canzoniere
petrarchesco un simbolo raffigurante la Poesia. Se Beatrice era diventata la
Teologia, niente di strano che questa divenga imago dell’ambizione artistica
mondana del Petrarca contrapposta a un ideale più ristretto di religiosa
impronta classico-ascetica. Comunque le letterature che egli condanna rimangono
sempre quelle occitana e stilnovistica, vale a dire quelle della “donna
angelicata” e della libido positiva. La Firenze del Fiorino mi rievoca per certi
versi la Ionia presocratica con la sua voglia di liberarsi dal mito e di
approcciarsi alla physis in guisa non religiosa. Ovviamente i due contesti
storici sono molto diversi giacché distanti nello spazio e nel tempo, ma nel
loro fondo giace una volontà di superare i limiti precedenti che non
garantivano solidità all’espansione socioeconomica. Il messaggio umanistico nel
contrapporsi alla tradizione scolastico-aristotelica si configurò all’inizio
quale antirazionalistico, sulle posizioni petrarchiane. Cosicché nell’intellettuale
fiorentino Coluccio Salutati troviamo un personaggio dai due volti: esaltatore
dell’attivismo umano su un fronte, disprezzatore del progresso scientifico
dall’altro. La cosa tuttavia non appaia strana poiché l’irrazionalismo è
proprio del fenomeno capitalistico10, e il suo comportamento non
segue una logica di buon senso ma guarda soprattutto alla logica del profitto.
La scientificità avrà la sua rivincita funzionale nel tempo, notandone
l’utilità ai fini del capitalismo: un mondo sconosciuto, mantenuto insicuro
campo di attività non giova; è preferibile mantenersi dentro un perimetro di
gioco dove la scienza mantenga un arbitraggio sicuro a favore, magari fornendo
tecnologie a risvolto commerciale (pensiamo ad esempio all’introduzione della
stampa tipografica). La Chiesa non ebbe simpatia nei riguardi del progresso
scientifico perché questo metteva in crisi a beneficio della libertà il dominio
culturale e politico della prima: un modello negativo nella sua configurazione
formalmente analogo a quello non così tragico della Ionia presocratica (là lo
sviluppo filosofico in direzione da subito fisiologica non comportò
persecuzioni di matrice religiosa, fu un’attività molto più agevole). Il
pericolo rappresentato dall’interesse scientifico coltivato nel Rinascimento
agli occhi dei cattolici integralisti provocherà l’estrema reazione
ecclesiastica: le ricordate vicende di Bruno e Galilei segnano un punto critico
nella storia in seguito al quale l’Europa ha avuto l’obiettivo di mettere
all’angolo il pesante avito condizionamento religioso. La marcia di liberazione
capitalistica era incominciata con l’Umanesimo fiorentino. Notiamo che il fine
è quello di ammorbidire e ribaltare l’antiedonismo cattolico, di dare dignità
all’attività speculativa economica. In tal senso una triade di umanisti legati
allo spirito fiorentino si mostra molto rilevante nella comprensione della
fenomenologia esaminata: 1) Leonardo Bruni, 2) Poggio Bracciolini, 3) Leon
Battista Alberti.
1)
Il primo possiede idee benthamiane. Rivaluta la dimensione del piacere
nell’agire umano, rilegge in chiave attivistica l’etica aristotelica dove
l’obiettivo contemplativo della migliore vita umana diventa attività di
pensiero che si afferma nella realtà a produrre, e producendo fa conseguire
virtù e felicità. Tale argomento del conseguimento di una condizione felice mi
rammenta la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti nella quale si
menziona un “diritto alla felicità” quale lecita possibilità sottintesa della
proprietà privata. Intesa alla maniera di Max Weber nei contesti capitalistici,
essa viene presa in considerazione teorica, anche se non in quanto tale, nella
cultura umanistica attraverso il tema della Fortuna (già presente in Dante con
connotazione agostiniano-protestante). È l’antenata della “mano invisibile” di
Adam Smith, la quale Fortuna sviluppandosi sulle basi dell’antipelagianesimo di
Agostino d’Ippona giungerà in campo protestante strutturandosi come
“predestinazione” alla felicità terrena e celeste, nel primo caso col premio
della ricchezza. Leon Battista Alberti affermò il primato dell’azione umana,
nella modalità “virtuosa”, sulla Fortuna: il Caso può essere battuto grazie
all’impegno qualificato (la sostanza da conseguire è la medesima messa in luce
nell’analisi weberiana del Calvinismo: il successo dell’impresa, il contorno
ideologico laico o religioso alla fine si mostra un dettaglio di facciata).
2)
Il secondo autore ricordato sopra, Poggio Bracciolini, ha sottolineato il
valore positivo (nell’ottica capitalistica) assunto dai soldi e dalla ricchezza
all’interno del sistema sociale, i quali danno luogo all’estetica artistica
nelle varie forme in cui si rende concreta.
3)
Il terzo umanista della superiore triade, Leon Battista Alberti, prosegue la
scia teorica capitalistica fiorentina. Nacque nel 1404 (forse a Genova). La sua
famiglia esiliata da Firenze nel 1337 era impegnata in attività imprenditoriali
nel commercio. Egli continuò a celebrare l’attivismo umano considerandolo nella
forma collettiva, perciò tematizzò l’importanza dell’architettura urbana.
Nell’assetto urbanistico, a suo avviso, deve riflettersi l’ordine naturale, il
quale è anche ideale di virtù. La trattazione di questo umanista rivela due
segmenti di analisi che meritano di essere ben evidenziati. a) L’Alberti
possiede un quid di massonico nel momento in cui fa dell’uomo un imitatore del
Grande Architetto dell’Universo che nella Natura pone il proprio edificio di
ordine. La “città albertina” è ante litteram massonica (pensiamo al progetto
della capitale americana Washington). b) L’edilizia, sul piano più materiale, è
sempre stata un’attività saliente nelle società a vocazione espansiva
capitalistica. L’Alberti coglie alla perfezione il suo ruolo nella prospettiva
di arricchimento e di circolo della moneta (rammentiamo il New Deal
rooseveltiano).
Il
letterato che può considerarsi sul serio primo umanista è il Giovanni Boccaccio
del “Decameron”, il Boccaccio bancario (quello dell’età più matura si
involvette sul sistema cattolico poiché perse la sua posizione lavorativa
moderna, e pertanto si adeguò giocoforza sulle posizioni reazionarie e misogine
del “Corbaccio”). Il capitalismo fiorentino trovò un’ottima spalla nel romano
Lorenzo Valla, che studiò da ragazzo forse pure a Firenze. Il noto autore del
“De falso credita et ementita Constantini donatione” si riaggancia infatti alle
posizioni filoedonistiche del Bruni, comunque su base epicurea rimanendo nel
confine cattolico, almeno in apparenza. Il salto da un Valla paolino esaltatore
di una forma attivistica nei canali delle virtù teologali (fede, speranza,
carità) a scapito del razionalismo verso lo huxleyano Brave New World non è molto
distante: il binario è quello accennato11. Del Valla, che si
guadagnò l’attenzione dell’Inquisizione, è da ricordare anche l’idea di una
Chiesa che abbandonasse l’agone politico: il che è stato l’ideale
liberal-massonico di sempre. La tendenza a sbarazzarsi dell’invadenza
ecclesiastica condusse gli umanisti di natura capitalistica a contrapporre
Platone all’Aristotele cattolico-tomistico12. Una Accademia
neoplatonica fiorentina venne fondata nel 1462 grazie a Cosimo de’ Medici
dietro la suggestione del pensiero di Giorgio Gemisto (Pletone) fautore di un radicale
ritorno a Platone e di una religione platonizzata depurata dal Cristianesimo.
Dell’Accademia di Firenze tra gli altri fecero parte Leon Battista Alberti,
Marsilio Ficino e Lorenzo il Magnifico. Quest’ultimo fu avversato dal
Savonarola, estremista religioso che diede luogo a un fiorentino regno della
follia, parente ideologico tutto sommato dell’integralismo cattolico. Una cosa
importante che mi preme ricordare a proposito del Ficino è il fatto che James Hillman
lo abbia indicato quale precursore dei contenuti della psicologia neojunghiana
archetipica. Tengo a questo dettaglio per via del collegamento che altrove ho
fatto fra il Guinizelli e il “processo di individuazione” di Jung. In quella
mia analisi legai lo stilnovista bolognese a Platone, e far notare come Hillman
veda spunti contenutistici di natura psicologica archetipica in Ficino, altro
autore più apertamente legato al platonismo, serve a rafforzare l’impostazione
che ho dato a quest’altro mio esame. In particolare Hillman dal canto suo
rileva in Ficino un precursore psicanalitico per via della centralità assunta
in questo dalla concretezza psichica dell’anima, la quale diventa l’immediato
punto di partenza nell’interagire e nel conoscere il Mondo: tutto il resto
(memoria, facoltà razionali) è in essa contenuto e posteriore; i livelli
simbolici della psiche sono di pertinenza dell’anima (dalla loro origine
giungono poi alla Ragione). A conclusione della presente analisi, in funzione
di prosecuzione e approfondimento voglio segnalare un mio precedente studio
dedicato alla “Madonna del latte” di Jean Fouquet13.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Radici occidentali”
https://www.academia.edu/60804523/Radici_occidentali
https://www.academia.edu/60804523/Radici_occidentali
1 Chi desiderasse
ampliare può leggere un mio studio:
2 Per
approfondire indico un mio saggio:
3 Chiarisco
meglio qui:
4 Si veda nota 2.
5 Un
approfondimento sul pensiero agostiniano qua:
6 Vedasi nota 1.
7 Leggendo questo
testo si comprenderà meglio:
8 Si veda nota 2.
9 Chi avesse
voglia di una analisi sadiana troverà qui un mio lavoro:
10 Ho affrontato
l’argomento in un mia monografia:
11 Il senso del
ragionamento apparirà più nitido mediante questa lettura:
12 Riguardo a
questo dettaglio indico un mio studio: