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mercoledì 15 luglio 2020

NEVROSI E IRRAZIONALISMO IN AGOSTINO D’IPPONA

di DANILO CARUSO

Agostino d’Ippona (354-430) rappresenta uno dei pilastri teologici fondamentali del Cattolicesimo, che lo considerò molto presto un santo. Noto anche come il Doctor Gratiae, il celebre teologo patristico fu in vita vescovo d’Ippona, e poi proclamato nel 1298 Dottore della Chiesa. Sopra questa personalità intellettuale della storia passata, il quale ha proiettato il suo pensiero nel futuro sino a permanere vivo nella dottrina cristiana contemporanea, condurrò una analisi non soltanto di taglio letterario. Accanto alla problematica della permanenza nell’insegnamento ecclesiastico di elementi teologici agostiniani, prenderò in esame la personalità del Doctor Gratiae sotto un profilo clinico psicanalitico. Agostino, nella prima fase della sua vita, quella che Jung definisce “fase naturale”, condusse un’esistenza alquanto disordinata senza riuscire a trovare nella sua psiche un punto di equilibrio. Il predominio delle funzioni caratteriali junghiane percettiva e sentimentale si rovesciò bruscamente nel momento in cui egli entrò nella “fase culturale” di ispirazione cristiana (e nevrotica, giacché scattò un meccanismo di radicale ribaltamento compensativo alla volta della “funzione razionale” usata da lui in uno speculare squilibrio). Mi prefiggo di motivare in maniera scientifica le mie considerazioni introduttive prendendo in esame delle opere letterarie agostiniane. Anticipo che rimango molto disorientato nel verificare la proverbiale “bontà” del Messaggio cristiano, appena consolidatosi all’epoca di questo teologo patristico. Il pensiero di Agostino è antisemita, sessuofobico, misogino, omofobico. Se questo è il Cristianesimo neonato, e se questa è rimasta per ampi tratti e per secoli la proposta di esso, se tutt’oggi aspetti di simili cose continuano a essere riproposti, ritengo ci sia un equivoco di fondo su cosa considerare obiettivamente “buono e giusto”. Riguardo al santo esaminato, nelle sue “Confessiones”, esiste un passaggio in cui lui parla del salto dalla sua inclinazione estroversa sentimentale-percettiva a quella, sempre patologica, razionale. Egli afferma di aver cercato Dio fuori di sé, nelle cose del mondo e di averlo poi trovato dentro di sé: ecco questo è un complesso presente nella psiche agostiniana, la causa della sua “nevrosi cristiana” (paradossalmente afferma che quel complesso è il “medico” e lui il “malato”). Il Doctor Gratiae dice: «Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi! Et ecce intus eras et ego foris et ibi te quaerebam et in ista formosa, quae fecisti, deformis inruebam. Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe a te, quae si in te non essent, non essent. Vocasti et clamasti et rupisti surdidatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam, flagrasti, et duxi spiritum et anhelo tibi, gustavi et esurio et sitio, tetigisti me, et exarsi in pacem tuam. Cum inhaesero tibi ex omni me, nusquam erit mihi dolor et labor, et viva erit vita mea tota plena te. Nunc autem quoniam quem tu imples, sublevas eum, quoniam tui plenus non sum, oneri mihi sum. Contendunt laetitae meae flendae cum laetandis maeroribus, et ex qua parte stet victoria nescio. Contendunt maerores mei mali cum gaudiis bonis, et ex qua parte stet victoria nescio. Ei mihi! Domine, miserere mei! Ei mihi! Ecce vulnera mea non abscondo: medicus es, aeger sum». Una junghiana “fase culturale” estrema sotto l’egida di una “funzione razionale” arroccata rappresenta una forma di irrazionalismo dato che respinge la componente libidico-sentimentale in modo totale. Questi punti saranno chiariti nell’analisi. Partirò nell’esame della questione dall’antisemitismo ecclesiastico adottando come riferimento l’agostiniano “Tractatus adversus Iudaeos” (di cui si ignora il periodo di redazione). L’esistenza del moderno Stato d’Israele è la concreta dimostrazione che il Cristianesimo è una favola (nera)? Per secoli la Chiesa di Gesù Cristo disprezzò ed emarginò il popolo deicida, assieme alle altre persecuzioni di streghe, eretici e omosessuali. I primi a non riconoscere il Messia sarebbero stati proprio quelli a suo diretto contatto. Quindi: o il Dio cristiano non avrebbe dovuto concedere ai “deicidi” di ricostituirsi come comunità nazionale in Palestina (in linea con uno status derivato da punizione divina) o la religione cristiana e il Nuovo Testamento sono delle invenzioni, il prodotto culturale di precisi contesti umani. È difficile conciliare sul piano teologico cristiano la nuova fede e la riemersione vittoriosa dell’Ebraismo. Tutt’al più ci si aspetterebbe, in conformità dell’antisemitismo pregresso, e a tutela dell’impianto teologico cattolico (ma ciò anche negli ambiti protestanti di passato antisemita), che il ricostituito Stato d’Israele sia indicato ai fedeli quale creatura demoniaca. Però ciò non avviene (il che non costituisce affatto male pratico), e rappresenta una contraddizione teologica: da “deicidi” a “fratelli maggiori nella fede”. Sul piano dottrinario è stata applicata una correzione traumatica che notano solo i più attenti. Sino agli anni ’60 il Venerdì santo la liturgia cattolica diceva: «Oremus pro perfidis Iudaeis». Cioè: lo Stato d’Israele, sulla base di quell’affermazione, potrebbe definirsi “perfida costruzione”. Dunque sino a un certo punto la teologia cattolica è stata coerente. Ma poi ha fatto inversione a U negli anni postconciliari costretta dal sempre migliore progresso sociale? Vediamo cosa ha insegnato il famoso vescovo d’Ippona in materia nel suo scritto sopra citato. Sant’Agostino nell’apertura del suo discorso tende a puntualizzare che Dio è ben disposto ad accogliere convertiti pagani, ma che è rigido nei confronti degli Ebrei rimasti fedeli al Giudaismo veterotestamentario. Fa ciò riallacciandosi a un passo della paolina epistola ai Romani. Di Paolo di Tarso egli tende altresì subito a sottolineare l’eccellenza nel suo essere testimone della Verità (di fede) in una pratica di propaganda voluta da Dio. Il tema si presenta già con una connotazione pregiudiziale nevrotica mirante a colpevolizzare e discriminare i Giudei ancora uniti all’ortodossia tradizionale e non transitati nella nuova religione cristiana. Dopo molti secoli il ragionamento agostiniano appare inaccettabile. Da quando il Cristianesimo mise radici politiche sociali ben salde in non molto tempo grazie a un qualificato attivismo propagandistico si cercò di collocare gli Ebrei e il Giudaismo in un cono d’ombra negativo. Ma negativa, illiberale, totalitaria si rivela l’azione discriminatoria del Doctor Gratiae, il quale non fa altro che creare una delle basi antisemite della cultura occidentale, i cui tragici frutti riempiono i libri di storia. Il più autorevole esponente della Patristica chiarisce che chi non si converte rimarrà vittima di una condizione infernale (la quale è una classica prospettiva di deterrenza verso soggetti ignoranti e mentalmente deboli; tale tipo di cupa suggestione può trovare spazio in epoche di crisi sociale e spirituale, presso chi non ha idee chiare sulla realtà dei fatti, dagli insipienti della massa ai nevrotici indottrinati e imbevuti di studi distorti e distorcenti, parziali e inadeguati). Il vescovo di Ippona veste paraocchi fideistici radicali, i quali non gli impediscono di apparire quale soggetto privato di un sano equilibrio mentale. Accanirsi con veemenza, peraltro non scientifica, nella difesa di un’idea religiosa circoscritta discriminando la parte rimanente dell’umanità non cristiana indica soltanto il prodotto di una nevrosi. Nel caso dell’Agostino divenuto cristiano ritroviamo sessuofobia, misoginia, astio a danno di chi viene ritenuto eretico e odio riversato sui Giudei, come si può evincere dal testo esaminato. Vive in lui una forma mentis manichea(-gnostica): ciò che è buono sta da una parte, il resto rappresenta l’opposto ed è male, non esistono isole di verità, pluralismo nella conoscenza, per lui esiste una e incontestabile Città di Dio (si può stare solo al di qua o al di là delle mura perimetrali: simile tipologia di pensiero inclina alla patologia psichica giacché si adopera per togliere agli altri leciti e autonomi spazi di libertà). Per il Dottore della Chiesa gli Ebrei non riescono a comprendere le profezie del Vecchio testamento, li accusa di non voler accettare il Messaggio evangelico, e li qualifica come ottusi e interdetti: «Si intelligerent de quo praedixerit propheta, quem legunt: Dedi te in lucem Gentium, ita ut sis salus mea usque in fines terrae; non sic caeci essent, non sic aegroti, ut in Domino Christo nec lucem agnoscerent, nec salutem». La realtà è che invece il teologo patristico non ha compreso che il Cristianesimo costituisce una religione inventata, e che i Giudei non possono credere a racconti di fantasia recente come pretenderebbe lui. Il prodigioso Gesù Cristo sarebbe stato sotto il loro naso e quelli che gli prestano fede sono coloro a stare più lontano da una possibilità di verifica (nello spazio e nel tempo). Si tratta di un sovvertimento della ragionevolezza che va a scapito dell’Ebraismo, i cui fedeli tradizionali vengono accusati di deicidio. Ciò costituisce un’assurdità alla radice dell’antisemitismo, tra l’altro perché era stato Dio stesso a prevedere il sacrificio del suo Figlio e i Romani a essere gli esecutori. La vicenda evangelica su Gesù e Barabba non possiede credibilità storica, anzi pare che sdoppi un singolo personaggio reale di rivoluzionario integralista ebraico mirando a creare un letterario personaggio evangelico depurato da connotazioni eversive politiche. I Giudei non facilmente potevano dar credito a un’invenzione narrativa e alla sua prosecuzione paolina e neotestamentaria. Il Doctor Gratiae li sta condannando a causa della loro mancanza di ingenuità e per il fatto di mantenersi coerenti sotto tutti i profili. Tale atteggiamento agostiniano non è né obiettivo nell’approccio alle cose né sano riguardo al profilo psicanalitico (in maniera nevrotica si costruisce una fantasiosa colpa e la si attribuisce ripetutamente ad altri: ciò costituisce un disturbo ossessivo compulsivo, e prende di mira tutta la galassia dei non conformi, dagli eretici ai Pagani). Sant’Agostino nel “Tractatus adversus Iudaeos” evoca brani veterotestamentari nei quali indica prefigurazioni di Gesù Cristo. La sua ermeneutica biblica si mostra più confessionale che confacente a una metodologia corretta. Non ha colto che gli aspetti profetici veterotestamentari costituiscono spunto per la produzione letteraria evangelica, non una conferma. Tra parentesi: il noto vescovo d’Ippona ha altresì mal inteso anche la cosmogonia biblica. All’inizio della biblica genesi non compare l’idea di una divina creazione dal nulla dell’universo: “Genesi” parlando della “produzione” del cosmo non fa altro che ricalcare topoi comuni dell’area del Mediterraneo orientale. Cambia la facciata, ma le strutture di pensiero retrostanti sono sempre quelle. Vale a dire che il Dio biblico è un demiurgo platonico, il quale si trova davanti una “materia” da “ordinare” venuta fuori dal Caos assieme a Lui. La posteriore teologia ha caricato sopra la biblica narrazione un’idea di “creatio ex nihilo” che essa non contiene affatto. Anzi una cosa che traspare da quel testo ebraico, e da altri brani a parte, è che gli Dei biblici, tutti, sono inseriti nell’ordine della temporalità e possono morire (a conferma dell’idea precedente di una divinità che muore e risorge: Osiride). All’esordio del testo veterotestamentario di “Genesi” di solito si traduce così: in principio Dio creò i cieli e la terra. Nel testo ebraico però “Dio” sta tra il verbo e i complementi oggetti: che anche Lui sia un complemento oggetto? In effetti sta scritto così: in principio [chi?] creò/produsse Dio/gli Dei, il cielo e la terra. Prima del verbo mancherebbe un soggetto maschile singolare. Pensiamo a sant’Agostino e al suo quesito: che cosa faceva Dio “prima” di creare/produrre l’universo? Per quel teologo la domanda era considerata improponibile perché il tempo è venuto fuori assieme col mondo, e Dio era anteriore (visto a posteriori). Risposta sulla base della cosmogonia ebraica: anche Dio/gli Dei sono venuti fuori dal Caos dentro l’orizzonte temporale; “prima” Dio non c’era. Prima di Dio/gli Dei c’è qualcosa: il Caos nella primordiale fase determinante, il quale pare essere quel soggetto sottinteso/scomparso. Questo caso esemplare la dice lunga sulle capacità agostiniane di valutazione obiettiva di quanto pretende dire. Nel “Tractatus adversus Iudaeos” rimprovera agli Ebrei cose giustificandole mediante un preteso superamento cristiano, ma in realtà quelli non hanno torto a replicare ai Cristiani di non vedere costoro omologati all’ortodossia giudaica: il Cristianesimo è stato una costruzione religiosa che ha prescisso dalla concretezza storica, gli Ebrei non hanno mai visto il Gesù Cristo dei Vangeli poiché inesistente. Di che cosa il Dottore della Chiesa accusa il popolo giudaico? Da tutto questo ostile schema è sorto l’antisemitismo in Occidente. Dall’elaborazione dell’irrazionale categoria dei “deicidi”, ossia da un parto psicopatologico svincolato dall’obiettività storica. Additare all’odio gente in virtù di colpe che non ha commesso, e per giunta molto fantasiose, costituisce un crimine, rappresenta deviazione da un più normale equilibrio mentale. La nascita del sentimento antisemita è completamente gratuita, non paga prezzi di verità da nessuna parte, costituisce accanimento nevrotico immotivato (il che non ha niente a che spartire con la repressione politica romana del nazionalismo ebraico fondato sull’integralismo religioso, un’altra cosa legata alla concretezza storica; nei ragionamenti agostiniani si naviga entro i confini della teologia). Nella concezione del Doctor Gratiae la Chiesa cattolica realizza il perimetro della salvezza dell’anima: chi è dentro con la religione cristiano-paolina e i suoi sacramenti potrà avere in premio il paradiso e la vita eterna, chi è fuori è automaticamente perso, a cominciare dai radicati e radicali negatori giudaici del Figlio di Dio. Il vescovo di Ippona appoggiandosi a una pregiudiziale interpretazione di vari passi del Vecchio Testamento cerca di dimostrare l’errore della prosecuzione storica del culto giudaico tradizionale, e offende ancora una volta gli Ebrei (i quali per lui sarebbero dei deficienti quando non capiscono la loro stessa religione e il fenomeno cristiano): «Non ergo vos alto et gravi somno dormientes, ad spiritualia quae non capitis excitamus; neque nunc quomodo spiritualiter accipienda sint ista vocabula, vobis in auditu et visu spirituali surdis et caecis persuadere conamur». In parole povere il punto di vista giudaico che vedeva eretici/apostati dell’Ebraismo nei Cristiani è quello sociologicamente corretto. Il Dottore della Chiesa ha ribaltato i piani con un’operazione teologica discutibile, forte soltanto di una fortunata campagna di proselitismo fra masse ignoranti e intellettuali disorientati in un’epoca di crisi sociospirituale che portò al crollo dell’Impero romano. È lui che sta dalla parte del torto storico, è scorretto che dica cose del genere: «Postremo si haec verba prophetica secundum cor vestrum in alium sensum detorquere conamini, o Iudaei, contra salutem vestram resistentes Filio Dei». Il Cristianesimo si è costruito via via a posteriori tenendo sì conto dell’universo veterotestamentario, tuttavia questo è originario e autonomo, quanto viene dopo non lo è, e cerca di scalzare il “problema giudaico” attraverso uno stratagemma aprioristico retorico. Ma l’aggressione concettuale antisemita agostiniana è pura sofistica strategica, figlia di un ordine mentale dato alla materia inadeguato in relazione a un’autentica procedura di dimostrazione scientifica. A questo Dottore della Chiesa interessa scippare agli Ebrei il primato teologico, darlo al Cattolicesimo, e concludere che i primi sono stati rifiutati da Dio. L’accusa di deicidio a carico dei Giudei è esplicita da parte del teologo patristico (che non manca di evocare altresì l’antisemitismo contenuto nella “Lettera ai Romani” di Paolo di Tarso, il quale era pure un cittadino romano): «Occidistis Christum in parentibus vestris. Tamdiu non credidistis, et contradixistis». Nel “Tractatus adversus Iudaeos” sant’Agostino invita a non offendere l’interlocutore, però non ha capito di aver condotto l’altro che discriminazione a scapito del popolo giudaico, rivolgendo osservazioni infondate sul piano storiografico. L’acredine fideistica, aspetto visibile del suo abito nevrotico, lo ha portato a formulare tutta una serie di osservazioni di esclusiva natura teologica. Né lui né gli Ebrei avevano un’esperienza storica del letterario Gesù dei Vangeli. L’errore di questo Dottore della Chiesa consiste nel credere vere cose per fede pur avendo una dimostrazione concreta della loro infondatezza. La continuazione della religione giudaica dimostra che il Cristianesimo è (come tutte le religioni) un’invenzione senza riscontro reale. Gli Ebrei non hanno tenuto in nessun conto il Gesù evangelico a causa del semplice fatto che questo è un personaggio letterario. Non potevano credere ai miracoli e alla resurrezione perché non hanno visto questi prodigiosi eventi (viceversa in un modo o nell’altro ne avrebbero dato testimonianza). La sopravvivenza del Giudaismo falsifica, volendo usare una terminologia popperiana, la validità teologica e storica del Cristianesimo. Perciò i teologi cristiani sin dal principio hanno proclamato antisemitismo. Un mondo senza “perfidi Iudaei”, o quantomeno emarginati è più conforme alla prospettiva sociale del primato esclusivo della salvezza. Se questi che avrebbero avuto Gesù Cristo davanti agli occhi non gli hanno creduto, o erano falsi come i Cristiani hanno proclamato per secoli; oppure non l’hanno visto proprio poiché irreale, e allora meglio sbarazzarsi di questi scomodi testimoni calunniandolo, emarginandoli, perseguitandoli, torturandoli, uccidendoli. Non esiste amore del prossimo nell’ostinata e liberticida volontà di voler imporre a tutti i costi il proprio fanatico credo ad altri. Il popolo giudaico legato all’ortodossia tradizionale, un cui serio giudizio valutativo è ben altra cosa da ciò che viene affermato nello scritto agostiniano, sarebbe stato abbandonato da Dio a beneficio della Chiesa cattolica. E costoro non avrebbero compreso la cosa. Il primato sacerdotale, a detta del vescovo d’Ippona, è passato dai sacerdoti ebrei mediante Gesù Cristo agli ordinati nel seno del Cattolicesimo: quindi presso di questo sta la luce, tutti gli altri stanno nelle tenebre. La dicotomia gnostica del “Vangelo di Giovanni” pervade il pensiero agostiniano imbevuto di manicheismo. Il Doctor Gratiae dopo una prima parte della sua vita vissuta in maniera edonistica rovesciò il suo modo di vedere il mondo convertendosi al Cristianesimo. Questo avvenimento testimonia la svolta nevrotica agostiniana: da un eccesso libertario-edonistico la sua psiche, in seguito a un meccanismo di compensazione, si gettò nell’opposto. Nella personalità agostiniana cristiana non esiste un pacifico equilibrio mentale: la passione religiosa vorrebbe emendare quella precedente edonistica vissuta come una colpa, uno sbaglio davanti al Dio neotestamentario che lui giudica l’elemento di confronto corretto, mentre in realtà sta rendendosi nuovamente protagonista di altri eccessi (di carattere concettuale): accusare tutti gli altri al di fuori dei Cristiani di essere sbagliati, oltre a essere indice di una personalità illiberale, è anche indizio di una forte nevrosi compensativa della sua prima fase esistenziale. Prendersela con Ebrei, donne, eretici, Pagani rappresenta la facciata di una problematica psichica interiore. Questa può essere osservata in altri testi agostiniani, specialmente laddove si parla di sessualità. In quest’analisi prendo come riferimento principale, fra i vari scritti possibili, un’opera teologica dedicata al sacramento matrimoniale: “De bono coniugali” (risalente al 401 circa). In essa sant’Agostino riflette la ristretta visuale sessuofobica maschilistica paolina (espressa, non soltanto, nella prima epistola ai Corinzi) appesantendola ulteriormente. La sessuofobia di Paolo di Tarso, fautore della castità assoluta, contraddice l’idea veterotestamentaria ebraica del congresso carnale quale strumento di recupero dell’unità androginica dell’Adam (i due convenuti di sesso opposto diverrebbero la “carne primigenia”). Il Vecchio Testamento è misogino (come il Nuovo), però non avversa la dinamica sessuale catalogandola quale peccaminosa in sé (l’incesto delle figlie di Lot ad esempio non viene condannato). Il matrimonio nell’ottica giudaica è un pratico obbligo di matrice religiosa assieme alla sua consumazione (si pensi altresì al comando divino di unirsi e moltiplicarsi); in quella cristiana la connotazione positiva viene rimossa, arbitrariamente rispetto a un intrinseco veterotestamentario punto di vista teologico, a vantaggio dell’astinenza sessuale (su cui ricade la positività). È evidente che agli occhi del genuino precedente Ebraismo un ribaltamento del genere risulti ingiustificato. Va però detto che nelle parole paoline ai Corinzi la questione della riunificazione androginica è chiara, lui l’ha sminuita nel suo valore ideale. I Cristiani dopo di lui dell’argomento dell’Adam androgino non avranno più nessuna consapevolezza a causa di non ottimali traduzioni in latino (ne è venuta fuori l’invenzione della favola della “costola” di Adamo). Pure il teologo patristico rimase coinvolto in quest’errore (lui era di lingua latina, conosceva male il greco, e per niente l’ebraico). Il sacramento matrimoniale nel Cattolicesimo è l’unico in cui a ricoprire ruolo ministeriale non sia il sacerdote ordinato bensì siano gli sposi: ciò da un lato si spiega col distanziamento massimo teologico sessuofobico; però d’altro canto notiamo che la vecchia idea giudaica di “Genesi” e della riunificazione androginica (la quale può essere compiuta solo dagli effettivi protagonisti) si è conservata nella teologia cattolica in modo inconsapevole e oscuro (per chi non sappia ben valutare). Il vescovo d’Ippona accanto alla sua posizione sessuofobica, a cui la tradizione cristiana attinse, espresse una visione misogina a carico della donna. Antifemminismo di ispirazione vetero e neotestamentaria emerge dal suo pensiero. Assieme all’inferiorità della donna sant’Agostino legittima la schiavitù (conseguenza del peccato), in “Quaestionum in Heptateuchum” è esplicito. Il maschio prodotto a somiglianza di Dio (diversamente dalla donna provenuta in un secondo momento) e in possesso della maggiore razionalità infusagli domina sui soggetti deficitari (altri uomini più deficienti per cattivo accidente, le donne deficienti per natura, gli animali privi di ragione): «Commendatur in Patriarchis, quod pecorum nutritores erant a pueritia sua et a parentibus suis. Et merito, nam haec est sine ulla dubitatione iusta servitus et iusta dominatio, cum pecora homini serviunt, et homo pecoribus dominatur. Sic enim dictum est, cum crearetur: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram, et habeat potestatem piscium maris et volatilium caeli, et omnium pecorum quae sunt super terram. Ubi insinuatur rationem debere dominari irrationabili vitae. Servum autem hominem homini, vel iniquitas vel adversitas fecit; iniquitas quidem, sicut dictum est: Maledictus Chanaan, erit servus fratribus suis; adversitas vero, sicut accidit ipsi Ioseph, ut venditus a fratribus servus alienigenae fieret. Itaque primos servos, quibus hoc nomen in latina lingua inditum est, bella fecerunt. Qui enim homo ab homine superatus iure belli posset occidi, quia servatus est, servus est appellatus; inde et mancipia, quia manu capta sunt. Est etiam ordo naturalis in hominibus, ut serviant feminae viris, et filii parentibus, quia et illic haec iustitia est ut infirmior ratio serviat fortiori. Haec igitur in dominationibus et servitutibus clara iustitia est, ut qui excellunt ratione, excellant dominatione; quod cum in hoc saeculo per iniquitatem hominum perturbatur, vel per naturarum carnalium diversitatem, ferunt iusti temporalem perversitatem, in fine habituri ordinatissimam et sempiternam felicitatem». Nel “De Trinitate” il Doctor Gratiae, nonostante non sappia che l’Adam (androgino) sia stato prodotto per-mezzo-di-un’immagine(-divina), complemento di mezzo, e non a-sua-immagine (complemento di qualità inesistente nel testo ebraico: be-tselem), ragiona sulla questione della somiglianza con Dio dell’umanità nell’essere maschile-e-femminile. Non intuisce affatto la presenza di un originario soggetto androgino platonico, ma riesce a cogliere lo spirito della successiva subordinazione femminile. Infatti dice che uomo e donna in coppia costituiscono la specularità rispetto a Dio, ma in verità “Genesi” prospetta e auspica una momentanea riunificazione androginica attraverso il congresso carnale, cosa di cui il teologo patristico non si rende conto. L’uomo in sé nella concezione cristiana agostiniana, in quanto possessore della razionalità divina in maniera molto più elevata rispetto alla donna, potrebbe riflettere l’immagine di Dio in modo autonomo: questa ragione può controllare e bloccare l’incontinenza (soprattutto sessuale) e non farsi sopraffare dal corpo, dalla libido (frutto del peccato originale cattolico) giacché ogni anima in sé è asessuata (e tale va in paradiso se lo merita). Freud direbbe che si sta parlando di un forma di SUPER EGO di fronte a una pulsione costitutiva dell’essere umano, e che questo sia stato elevato in seguito a nevrosi profonda nella figura del Dio Padre sessuofobico del Cristianesimo celebrato da Agostino e da quelli come lui per idee. La donna dal canto suo (erede della “debolezza mentale” di Eva ingannata dal serpente) non possiede, ad avviso del vescovo di Ippona, questa pienezza razionale e non è in grado di far fronte da sé all’inclinazione a peccare: ha bisogno della sua guida naturale riconosciuta dalla “Bibbia”. Possiamo chiaramente leggere: «Videndum est quomodo non sit contrarium quod dicit Apostolus non mulierem, sed virum esse imaginem Dei, huic quod scriptum est in Genesi: Fecit Deus hominem, ad imaginem Dei, fecit eum masculum et feminam; fecit eos et benedixit eos. Ad imaginem quippe Dei naturam ipsam humanam factam dicit, quae sexu utroque completur, nec ab intellegenda imagine Dei separat feminam. Dicto enim quod fecit Deus hominem ad imaginem Dei; fecit eum, inquit, masculum et feminam; vel certe alia distinctione, masculum et feminam fecit eos. Quomodo ergo per Apostolum audivimus virum esse imaginem Dei, unde caput velare prohibetur, mulierem autem non, et ideo ipsa hoc facere iubetur nisi, credo, illud esse quod iam dixi, cum de natura humanae mentis agerem, mulierem cum viro suo esse imaginem Dei, ut una imago sit tota illa substantia; cum autem ad adiutorium distribuitur, quod ad eam ipsam solam attinet, non est imago Dei; quod autem ad virum solum attinet, imago Dei est, tam plena atque integra, quam in unum coniuncta muliere. Sicut de natura humanae mentis diximus, quia et si tota contempletur veritatem, imago Dei est; et cum ex ea distribuitur aliquid, et quadam intentione derivatur ad actionem rerum temporalium, nihilominus ex qua parte conspectam consulit veritatem, imago Dei est; ex qua vero intenditur in agenda inferiora, non est imago Dei. Et quoniam quantumcumque se extenderit in id quod aeternum est, tanto magis inde formatur ad imaginem Dei et propterea non est cohibenda, ut se inde contineat ac temperet; ideo vir non debet velare caput. Quia vero illi rationali actioni quae in rebus corporalibus temporalibusque versatur, periculosa est nimia in inferiora progressio; debet habere potestatem super caput, quod indicat velamentum quo significatur esse cohibenda. Grata est enim sanctis Angelis sacrata et pia significatio. Nam Deus non ad tempus videt, nec aliquid novi fit in eius visione atque scientia, cum aliquid temporaliter ac transitorie geritur, sicut inde afficiuntur sensus vel carnales animalium et hominum, vel etiam caelestes Angelorum». La problematica teologica ereditata dalla Chiesa in merito è la seguente. Nella Santissima Trinità adorata dai Cristiani le persone del Padre e del Figlio hanno un’evidente connotazione maschile: lo Spirito Santo possiede un’essenza “femminile”? Se così non fosse nella donna non risiederebbe niente di somiglianza col suo creatore, ed ella sarebbe, come afferma san Tommaso d’Aquino nella “Summa theologiae”, un surrogato di uomo (questo il pieno riflesso divino), qualcosa di secondo grado umano a livello ontologico (si parla esplicitamente di soggetto “deficitario”). Pertanto delle due necessariamente una: o lo Spirito Santo reca in sé un quid di femminile e le donne hanno il diritto di accedere al sacerdozio in virtù di un principio di “parità trinitaria”, o queste ultime sono esseri umani di serie B non avendo niente di direttamente derivato da Dio (al pari degli uomini). La Chiesa giustifica il sacerdozio esclusivamente maschile col fatto che la natura terrena del Cristo fosse di “vir”, però la teologia nei secoli ha spiegato la sconvenienza ontologica di un’incarnazione del Verbo in un soggetto femminile adducendo come motivazione che la donna è meno perfetta rispetto all’uomo e che Dio non avrebbe potuto incarnarsi in un’entità di serie B avendo a disposizione la natura maschile. Pensiamo anche alla “sanificazione” della sua “incubatrice”: la Madonna “concepita senza peccato” e privata di tutte le connotazioni di una comune (e normale) “femminilità” (giacché tale complesso rappresentava l’armamentario del Diavolo). Il corpo della donna è il tempio della lussuria, la porta del Diavolo (Tertulliano). Se la femmina non dismette le sue connotazioni psicosessuali rimarrà sempre una tentazione per la santificazione dell’uomo, la realtà più angelica tra i due generi. Al buon cristiano spetta dunque desessualizzare in primis le donne e quindi se stesso. Da ragionamenti del genere è nata quella nevrosi diffusa che nella storia viene registrata come “caccia alle streghe”. Nella trattazione teologica del “De bono coniugali” all’inizio si puntualizza che al maschio spetta l’essere “regens” e alla femmina il rimanere “obsequens”. Nella concezione del vescovo d’Ippona i fari del regime coniugale, esclusivamente monogamico, sono: proles (l’obiettivo di fare figli), fides (l’essere fedeli inter se degli sposi), sacramentum (la permanenza del vincolo matrimoniale a vita sino alla morte di uno dei contraenti, anche in caso di separazione). Prima della sua svolta interiore religiosa in senso cristiano in gioventù era stato incline al divertimento e al sesso. Nel suo periodo da manicheo edonista aveva sfruttato, in assenza di sistemi contraccettivi migliori, l’idea dei suoi correligionari di allora di astenersi da acta copulandi nei periodi di fertilità della donna. Da cristiano il Dottore della Chiesa poi condannò tale prassi. Infatti convertitosi esternò un’esplicita posizione teologica sessuofobica. Nella sua abitazione di Ippona non faceva entrare nessuna donna da sola se non ci fosse qualcun altro presente. Per lui il piacere sessuale costituisce un peccato universalmente pervasivo anche in regime di matrimonio. Anche due coniugi sarebbero affetti da lussuriosi trasporti parzialmente accoglibili solo nella loro funzione procreativa. Prima del peccato originale l’esercizio della sessualità sarebbe stato disconnesso dal piacere e dall’eccitazione: una pura operazione meccanica, come alzare un braccio, sotto l’egida completa della ragione (si legga meglio nel posteriore agostiniano “De nuptiis et concupiscentia” dove si definisce la pulsione sessuale un «motum […] indecentem, quia inoboedientem», che pone gli esseri umani sotto la tirannia del corpo, ribelle all’uomo come Adamo ed Eva a Dio). Ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere” Milan Kundera rammenta la sessuofobia patristica. Ma già a quei tempi replicava il più moderato Pelagio, contemporaneo e avversario teologico di Agostino, che la sessualità rappresenta qualcosa di normale, l’importante è non degenerare. Il primo escludeva l’esistenza di una adamitica macchia spirituale ereditaria (Adamo fu personalmente responsabile della sua condotta). Il secondo considerava l’atto sessuale procreativo l’unico ammissibile e solo all’interno del legame matrimoniale, il tutto inquadrato in un cupo recinto sessuofobico. Gli incontri eterosessuali consentiti debbono seguire esclusivamente la modalità del coito vaginale, il resto è ulteriore e più grave peccato: «Cum ille naturalis usus, quando prolabitur ultra pacta nuptialia, id est ultra propagandi necessitatem, venialis sit in uxore, in meretrice damnabilis; iste, qui est contra naturam, exsecrabiliter fit in meretrice, sed exsecrabilius in uxore. Tantum valet ordinatio Creatoris et ordo creaturae, ut in rebus ad utendum concessis, etiam cum modus exce/ditur, longe sit tolerabilius quam in eao, quae concessa non sunt, vel unus vel rarus excessus. Et ideo in re concessa immoderatio coniugis, ne in rem non concessam libido prorumpat, toleranda est. Hinc est etiam, quod longe minus peccat quamlibet assiduus ad uxorem quam vel rarissimus ad fornicationem. Cum vero vir membro mulieris non ad hoc concesso uti voluerit turpior est uxor, si in se, quam si in alia fieri permiserit. Decus ergo coniugale est castitas procreandi et reddendi carnalis debiti fides: hoc est opus nuptiarum, hoc ab omni crimine defendit Apostolus dicendo: Et si acceperis uxorem, non peccasti; et si nupserit virgo, non peccat; et: Quod vult faciat; non peccat, si nubat. Exigendi autem debiti ab alterutro sexu immoderatior progressio propter illa, quae supra dixit, coniugibus secundum veniam conceditur». La sessualità in funzione procreativa sarebbe pratica razionale, negli altri casi diverrebbe passionale, ossia peccato compiuto di lussuria. Il Doctor Gratiae condanna l’eccitazione sessuale dei convenuti a congresso carnale e promuove la frigidità: uomini e donne dovrebbero comportarsi da Vulcaniani di Star Trek. Un uomo dovrebbe approcciarsi alla compagna con distacco e concentrandosi altresì sul nascituro, giacché quello celebrato include un momento peccaminoso di lussuria, la cui responsabilità risale alla colpa originaria di Adamo. Anche la moglie dovrebbe pensare al figlio e non al partner. Alla “venialità” di simile atto si contrappone la “mortalità spirituale” dell’esercizio della sessualità disgiunto dallo scopo di procreare (paternità e maternità). Senza di esso un congresso carnale, ad avviso di lui, rappresenta un atto di prostituzione (pure fra sposi). Il teologo patristico ammette però i rapporti sessuali durante una gestazione, dato che è l’uomo che comanda (secondo la prospettiva paolina), e anche al fine di evitare di farlo andare a peccare fuori del matrimonio. Se la moglie fosse sterile il vescovo di Ippona consente nuovamente la possibilità di tenere congressi carnali con l’obiettivo di non spingerla a essere fedifraga: il marito si dovrebbe sacrificare pur nell’impossibilità procreativa. Viene altresì sconsigliato ai soggetti in là negli anni di non indulgere nel sesso, a maggior ragione non essendo più potenzialmente utili alla riproduzione. La prossimità al Dio cristiano è maggiore mantenendosi vergine che non altrimenti, una condizione la prima che manterrebbe esenti dall’esperienza del peccato: «Hoc tempore solos eos qui se non continent coniugari oportet». L’incontaminatezza sessuale anticiperebbe la futura possibile eterna condizione paradisiaca senza libido: queste idee corroborarono la norma del celibato sacerdotale legato al voto di castità. I personaggi dell’Antico Testamento circondati da mogli e concubine sarebbero stati il risultato della vocazione divina a opportuna prolificità, all’incremento del gruppo, non più necessari. Se la poligamia passata è stata ammissibile a scopo strumentale, la poliandria per il dottore della Chiesa rappresenta un assurdo concettuale assoluto. Ammissibile che un uomo possa aver fatto figli con più donne, però che una donna possa fare lo stesso con più uomini non rispetta l’ordine presunto naturale (ella diverrebbe prostituta); la gerarchia contempla la signoria del maschio sulla donna: «Occulta enim lege naturae amant singularitatem, quae principantur; subiecta vero non solum singula singulis, sed, si ratio naturalis vel socialis admittit, etiam plura uni non sine decore subduntur. Neque enim sic habet unus servus plures dominos, quomodo plures servi unum dominum. Ita duobus seu pluribus maritis vivis nullam legimus servisse sanctarum; plures autem feminas uni viro legimus, cum gentis illius societas sinebat et temporis ratio suadebat: neque enim contra naturam nuptiarum est. Plures enim feminae ab uno viro fetari possunt, una vero a pluribus non potest (haec est principiorum vis) ac: sicut multae animae uni Deo recte subduntur». Si veda pure lo stesso ragionamento misogino ribadito nel “De nuptiis et concupiscentia”: «Principatus magis naturaliter unius in multos quam in unum potest esse multorum. Nec dubitari potest naturali ordine viros potius feminis quam viris feminas principari. Quod servans Apostolus ait: Caput mulieris vir; et: Mulieres, subditae estote viris vestris; et apostolus Petrus: Quomodo Sara, inquit, obsequebatur Abrahae, dominum illum vocans. Quod licet ita sese habeat, ut natura principiorum amet singularitatem, facilius autem pluralitatem videamus in subditis, tamen plures feminae uni viro numquam licite iungerentur, nisi ex hoc plures filii nascerentur. Unde si una concumbat cum pluribus, quia non est ei hinc multiplicatio prolis, sed frequentatio libidinis, coniux non potest esse, sed meretrix». La teologia cristiana agostiniana (nel “De nuptiis et concupiscentia”) respinge l’uso di sistemi contraccettivi e l’aborto in linea di principio, non tanto perché allora non perfette pratiche sanitarie; condanna altresì l’abbandono di neonati indesiderati (qui non possiamo biasimarlo, ma occorreva un quadro di educazione sessuale e morale migliore di quello offerto dal Cristianesimo). Siamo lontanissimi dalla moderna giurisprudenza italiana che riconosce il diritto d’aborto e quello di divorzio, qua compare tutto l’opposto sostenuto ancor oggi dalla Chiesa. Le femmine a suo avviso dovrebbero spezzare la catena libidica: con eco paolina dice che è «ampliorem sanctitatem innuptarum quam nuptarum». Se alle donne viene concessa la facoltà di sposarsi è solo allo scopo di soddisfare e arginare la libido maschile: «Femina fidelis, servans pudicitiam coniugalem, non cogitat, quomodo placeat Domino, sed utique minus, quia cogitat etiam quae sunt mundi, quomodo placeat viro. Hoc enim de illis dicere voluit, quod possunt habere quodam modo de necessitate connubii, ut cogitent quae sunt mundi, quomodo placeant viris suis». Agostino tiene più alle sposate obbedienti e sottomesse che non alle caste ma sregolate giacché la subordinazione femminile al quadro rigoristico morale cristiano è nevralgica: «Multas sacras virgines novimus verbosas, curiosas, ebriosas, litigiosas, avaras, superbas: quae omnia contra praecepta sunt et sicut ipsam Evam inoboedientiae crimine occidunt. Quapropter non solum oboediens inoboedienti, sed oboedientior coniugata minus oboedienti virgini praeponenda est». Ha chiara la preoccupazione di irreggimentare il gentil sesso in maniera stabile in serie B ecclesiastica. Gesù stesso nel Vangelo ha chiarito che avere fantasie sessuali sopra a una donna equivale a peccare, e al pari peccaminoso sarebbe sposare colei che è stata ripudiata dal marito. Stando alle affermazioni del Messia soffermarsi sulle forme femminili con sguardi interessati costituisce sprone all’incontinenza (lo ricordava pure il Catechismo di san Pio X, un testo sostituito negli anni ’90 da san Giovanni Paolo II): da considerazioni del genere deriva alla lunga l’aberrante soluzione che è meglio mettere le donne sotto un lenzuolo. Inoltre pare che Gesù abbia un misogino disprezzo verso le donne di secondo letto in quanto non più vergini e quindi indegne di un nuovo matrimonio. L’idea di un Redentore femminista appare alquanto forzata. Fra i Dodici non scelse neanche una donna; nel “Vangelo di Giovanni” rispose maleducatamente alla madre; e nel momento in cui, sempre da questo vangelo, si rammentasse che salvò dalla lapidazione un’adultera sorgono problemi analitici. Il brano di Gv 8,1-8 sembra apocrifo in quanto assente nella maggioranza delle più antiche versioni del vangelo non sinottico. Gesù poi non afferma qui che l’atto e l’intenzione di uccidere in sé siano sbagliati, ma sottintende che scribi e farisei prima debbano esserne degni grazie all’osservazione perfetta dei precetti religiosi (uno senza peccato poteva in teoria scagliare pietre; ciò vorrebbe dire che se fossero divenuti fanatici integralisti potevano ammazzarla: e così è accaduto da Ipazia d’Alessandria alla caccia alle streghe). I Vangeli presentano le donne vicino al Redentore e ai suoi seguaci in una destinazione subalterna e strumentale (perlopiù utili perché portavano soldi alla cassa). La scena di Maria, sorella di Lazzaro, la quale lava e asciuga coi propri capelli i piedi del Messia nel “Vangelo di Giovanni”, rivela allo sguardo psicanalitico un gioco erotico sadomasochistico che prevede la mortificazione della femminilità. Un’altra Maria, di Magdala (Maddalena), esorcizzata, si era liberata da sette demoni. Esistono delle ipotesi storiche per cui la Maddalena possa essere stata la moglie del Gesù reale: quindi lui più che essere lo sposo mistico della Chiesa cattolica rischia di essere stato il marito di una che viene definita, con spirito misogino, come un inferno ambulante (il 7 indica pienezza). L’evento narrativo evangelico che contempla il Risorto visto dapprima da donne ricalca semplicemente l’architettura dinamica nel mito solare di Osiride del ritrovamento del cadavere di costui (prossimo a resuscitare) da parte della moglie Iside. La croce cristiana pare derivare da quella egizia, e del corpo di Osiride fatto a pezzi la compagna non riuscì a recuperare il membrum virile: il Gesù crocifisso è vestito solo di un perizoma. Simile serie di elementi, dove la Maddalena prenderebbe il posto simbolico di Iside, è allusiva a sostanziali analogie da offrire alle masse nella promozione del proselitismo. L’ideale matrimoniale sommo agostiniano rimane comunque quello offerto dalla Madonna e dal suo consorte: sessualità totalmente al bando (se si vuole entrare nella Civitas Dei), sessualità intravista nei casi in cui viene praticata come una frattura della continenza. La posizione ideologica in materia di sesso della Chiesa odierna è rimasta essenzialmente agostiniana. Il vescovo d’Ippona in ossequio alla tradizione biblica omofoba e in conseguenza della sua riflessione negativa sulla sessualità, si esprime anche contro i gay. Sottolinea non solo che gli omosessuali siano “contro Natura”, e che la contaminino mediante il loro venir meno all’ordine dato da Dio alle cose umane, ma anche chiede che questi e tutti i praticanti di pratiche, sempre ad avviso del teologo patristico, «contra naturam» siano additati al disprezzo e siano altresì sottoposti a punizione. Nell’Impero romano una norma risalente al 342 sotto Costanzo II introdusse la pena di morte a scapito degli omosessuali passivi, e al tempo di Teodosio I, un anno prima dell’editto che rese il Cristianesimo la religione unica e ufficiale dello Stato (391), una nuova norma penale ne previde il rogo (queste leggi rappresentarono degli aberranti effetti del progetto di cristianizzazione della società romana e la base giuridica della persecuzione cristiana a venire). Il Concilio di Elvira, di inizio del IV sec., aveva tolto la possibilità di accedere al sacramento eucaristico ai gay (persino nella forma del “viatico”). Nelle “Confessiones” leggiamo: «Flagitia, quae sunt contra naturam, ubique ac semper detestanda atque punienda sunt, qualia Sodomitarum fuerunt. Quae si omnes gentes facerent, eodem criminis reatu divina lege tenerentur, quae non sic fecit homines, ut se illo uterentur modo. Violatur quippe ipsa societas, quae cum Deo nobis esse debet, cum eadem natura, cuius ille auctor est, libidinis perversitate polluitur». Il nuovo manuale catechetico della Chiesa, edito negli anni ’90 al tempo del pontificato di san Giovanni Paolo II, affronta in maniera esplicita quello che per il Cattolicesimo rappresenta il problema degli omosessuali. Dal mio esclusivo punto di vista etero andarsi a preoccupare di cosa fanno nel loro privato due persone maggiorenni e consenzienti, rispettose della sanità fisica e mentale del partner, costituisce un’ingerenza indebita, illiberale. Sulla base di motivazioni che non possiedono niente di scientificamente fondato (né nell’ambito biologico né tanto meno in quello giuridico), i gay sono stati perseguitati per secoli nella società cristiana, torturati e uccisi soltanto in nome della religione. Tutt’oggi possiamo notare come vengano considerati nella dottrina cattolica: essere omosex equivale a non essere normale, ma in preda a qualcosa di pesantemente peccaminoso; l’omosessualità costituisce qualcosa da correggere, a cui non dar seguito. Nel passato una questione attinente alla “sfera privata”, quale il personale orientamento sessuale, è stata elevata al rango di “reato penale”. Mi pare assurdo oggigiorno continuare a discriminare, anche se in modo più inefficace grazie al progresso giuridico, i gay. A me sembra un accanimento privo di fondamenta razionali. Personalmente sono sfavorevole alle adozioni di minori o alle maternità surrogate a beneficio degli omosessuali in virtù di una riflessione filosofica (legata ad aspetti biologici e giuridici), però mai proporrei di considerarli “anormali”. I gay sono persone, a mio avviso, normalissime, non protagoniste di alcuno scomposto peccato. E se poi, un giorno, anche in Italia le coppie omosex avessero riconosciuto il diritto di adozione o di maternità surrogata non mi strapperò di certo le vesti. Ma che si continui a dire di loro le cose contenute nell’estratto riportato, mi lascia perplesso: a me, in tutta sincerità, pare ci sia una radice nevrotica omofobica e sessuofobica portata avanti per inerzia formale, dato che l’omofobia veterotestamentaria ha una ragione legata all’incremento demografico di Israele, una ragione de facto insussistente per i Cattolici. Continuare a riallacciarsi a norme dell’Antico Testamento riecheggiate nel Nuovo non lo valuto come lecito in nessuna prospettiva (morale, biologica, giuridica). In fatto di etica sono kantiano, per inciso. Segue brano dal nuovo libro di catechismo cattolico.

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Castità e omosessualità

2357 L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, [Cf Gen 19,1-29; Rm 1,24-27; 2357 1Cor 6,10; 1Tm 1,10 ] la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich. Persona humana, 8]. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.

2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.

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Rimanendo al più recente passato già il catechismo cattolico precedente lasciava spunti di perplessità. Spirito di intolleranza, antisemitismo, un qualche sprone all’anoressia (si pensi alle vicende delle sante anoressiche), sessuofobia si ritrovano nell’orwelliano Catechismo di san Pio X (risalente al 1905 e accantonato soltanto negli anni ’90 da san Giovanni Paolo II). Seguono brani estratti.

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115. La Chiesa docente può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?
La Chiesa docente non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio: essa è infallibile, perché, come promise Gesù Cristo, “lo Spirito di verità” * l’assiste continuamente.
* Giov., XV, 26
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116. Il Papa, da solo, può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?
Il Papa, da solo, non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio, ossia è infallibile come la Chiesa, quando da Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce dottrine circa la fede e i costumi.
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117. Può altra Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, essere la Chiesa di Gesù Cristo, o almeno parte di essa?
Nessuna Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, può essere la Chiesa di Gesù Cristo o parte di essa, perché non può averne insieme con quella le singolari distintive qualità, una, santa, cattolica e apostolica; come difatti non le ha nessuna delle altre Chiese che si dicono cristiane.
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124. Chi è fuori della comunione dei santi?
È fuori della comunione dei santi chi è fuori della Chiesa, ossia i dannati, gl’infedeli, gli ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.
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195. La Chiesa ha stabilito pene contro il suicida?
La Chiesa ha stabilito la privazione della sepoltura ecclesiastica contro il suicida responsabile dell’atto compiuto.
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201 Che ci proibisce il sesto comandamento «non commettere atti impuri» ?
Il sesto comandamento Non commettere atti impuri ci proibisce ogni impurità: perciò le azioni, le parole, gli sguardi, i libri, le immagini, gli spettacoli immorali.
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335. Quante cose sono necessarie per fare una buona comunione?
Per fare una buona comunione sono necessarie tre cose: 1° essere in grazia di Dio; 2° sapere e pensare chi si va a ricevere; 3° essere digiuno dalla mezzanotte.
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339. Qual digiuno si richiede prima della comunione?
Prima della comunione si richiede il digiuno naturale ossia totale, che si rompe con qualunque cosa presa a modo di cibo o di bevanda.
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340. È permessa mai la comunione a chi non è digiuno?
La comunione a chi non è digiuno, è permessa in pericolo di morte, e durante le lunghe malattie, nelle condizioni determinate dalla Chiesa.
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405. Quali doveri hanno i fedeli verso i chiamati agli Ordini?
I fedeli hanno il dovere di lasciare ai figli e dipendenti piena libertà di seguir la vocazione; inoltre di chiedere a Dio buoni pastori e ministri, e di digiunare a tal fine nelle quattro Tempora; finalmente di venerare gli ordinati come persone sacre a Dio.
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411. Gli sposi cattolici possono anche compiere il Matrimonio civile?
Gli sposi cattolici non possono compiere il Matrimonio civile né prima né dopo il Matrimonio religioso: che se lo osassero anche con l’intenzione di celebrare in appresso il Matrimonio religioso sono dalla Chiesa considerati pubblici peccatori.
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Appendice II

II. - ANNO ECCLESIASTICO

C) GIORNI DI ASTINENZA E DI DIGIUNO.
I - Di sola astinenza dalle carni.
Tutti i venerdì (tranne quelli nei quali cade una festa di precetto).
II - Di astinenza e di digiuno.
I. Il mercoledì delle Ceneri.

II. Ogni venerdì e sabato di Quaresima.
III. Il mercoledì, venerdì e sabato delle Quattro Tempora o stagioni, cioè:
1. della primavera nella 1° settimana di Quaresima;
2. dell’estate nella settimana di Pentecoste;
3. dell’autunno nella 3° settimana di settembre;
4. dell’inverno nella 3° settimana dell’Avvento.
IV. Le vigilie:
1. di Natale (24 dicembre);
2. di Pentecoste;
3. dell’Assunzione di Maria Vergine (14. agosto);
4. di Ognissanti (31 ottobre).
III. - Di solo digiuno.
Tutti gli altri giorni feriali di Quaresima.
NB. - 1. La domenica è sempre esente dalla legge dell’astinenza e del digiuno. Le altre feste di precetto sono pure esenti, tranne quelle che cadono in Quaresima.
2. L’astinenza e il digiuno delle vigilie, quando queste cadono in giorni festivi di precetto, non si anticipano.
3. Il Sabato Santo l’obbligo dell’astinenza e del digiuno cessa a mezzogiorno.
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Appendice III Avvertenze ai genitori e agli educatori cristiani

3. I genitori cristiani come sono i primi e principali educatori dei loro figli, così debbono esserne i primi e principali catechisti: i primi perché debbono loro istillare quasi col latte la dottrina ricevuta dalla Chiesa; i principali, perché spetta ad essi far imparare a memoria in famiglia le cose principali della Fede, cominciando dalle Prime preghiere, e farle ripetere ogni giorno in modo che a poco a poco penetrino profondamente nell’animo dei figliuoli. Che se essi, come più volte avviene, sono costretti a farsi supplire da altri nell’educazione, ricordino l’obbligo sacrosanto di scegliere tali istituti e tali persone che sappiano e vogliano coscienziosamente compiere per loro un così grave dovere. L’indifferenza in questa materia è stata la perdita irreparabile di tanti figli. Qual conto se ne dovrà rendere a Dio!
4. Per insegnar con frutto bisogna ben sapere la dottrina cristiana, bisogna esporla e spiegarla in maniera adatta alla capacità degli alunni e soprattutto, trattandosi di dottrina pratica, bisogna viverla.
5. Ben sapere la dottrina cristiana; perché come si può istruire non essendo istruiti? Onde il dovere dei genitori e degli educatori di ripassare il catechismo e di penetrarne a fondo le verità, frequentando le spiegazioni più ampie dei parrochi agli adulti, interrogando persone competenti e leggendo, se possono, libri opportuni.

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È il caso altresì di ricordare che l’“Indice dei libri proibiti” è stato soppresso nel 1966. La ricerca storica sull’origine e sullo sviluppo sociale del Cristianesimo chiarisce che esso è stato alla fin fine una forma di distopico neopaganesimo illiberale? La stessa Inquisizione non è stata soppressa, ma ha semplicemente cambiato nome, rimanendo a vigilare sull’ortodossia cattolica. Come dire che qualcosa di paragonabile a un plurisecolare medievale e rinascimentale partito protonazista a un certo punto cambia orientamento e denominazione, però mantenendo la continuità storica. In Italia il Partito fascista che concluse i Patti lateranensi e promosse le Leggi razziali è fuorilegge; Città del Vaticano e il suo dipartimento inquisitorio, oggi ristretto al controllo della “dottrina della fede”, no. Che cosa garantisce che un nefasto ricorso storico prenda corpo nei Paesi di radicata tradizione cattolica e faccia tornare attuali le persecuzioni del passato? La mitologia cristiana viene inculcata in genere a tutti i soggetti raggiungibili dai di essa sostenitori sin da tenera età, senza lasciare spazio di autonomia critica al futuro adulto. Quasi tutti i cristiani sono credenti perché figli di un’educazione infantile condizionata. Se poi aggiungiamo l’insegnamento dottrinario nelle scuole pubbliche e lo spazio mediatico concesso gratuitamente nelle emittenti televisive pubbliche che Stati possono accordare ci rendiamo conto come “pregare per i cattivi Ebrei” possa apparire a suo tempo cosa normale giacché figlia del condizionamento. La Francia in materia di religione è molto più equilibrata e protegge dall’invasione fideistica l’ambito pubblico. Se lo Stato d’Israele fosse risorto secoli fa, molto probabilmente, la Chiesa avrebbe promosso una Crociata distruttiva. Che cosa impedisce di pensare possibile un ritorno nel futuro di quell’“orare pro perfidis Iudaeis”? Non poche fedi si alimentano a livello popolare di ignoranza, la quale è la strada su cui veicolare contenuti nevrotici e distruttivi, come già accaduto. Aldous Huxley ha detto che il più grande insegnamento della storia è che la storia non insegna in verità niente a nessuno (poiché i più se ne fregano della conoscenza e della sua effettiva sostanza). Se non si metterà l’umanità nelle condizioni di un’autonomia intellettuale scaturente non da formazione dogmatica (a qualsiasi età), bensì da studio autentico, l’Ombra junghiana potrà sempre uscire dall’angolo e far tornare attuali le persecuzioni misogine, omofobe e antisemite, peraltro non del tutto sradicate nell’Occidente cristiano (dove per abrogare ad esempio la schiavitù si dovette aspettare il progresso politico, dato che la religione la considerò normale a lungo). Hannah Arendt direbbe che la “banalità del male” è in agguato da qualunque parte.


NOTE

Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Teologia analitica”

1 Riguardo a ciò ho notato a livello letterario un brano paragonabile a questo nel romanzo “Lord of the World” di Monsignor Robert Hugh Benson. Si veda per approfondimento nel mio saggio “L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson”
(2017) a pag. 25 .








7 Invito alla lettura della mia opera “Il Medioevo futuro di George Orwell (2015)”.