di
DANILO CARUSO
Agostino
d’Ippona (354-430) rappresenta uno dei pilastri teologici fondamentali del
Cattolicesimo, che lo considerò molto presto un santo. Noto anche come il
Doctor Gratiae, il celebre teologo patristico fu in vita vescovo d’Ippona, e
poi proclamato nel 1298 Dottore della Chiesa. Sopra questa personalità
intellettuale della storia passata, il quale ha proiettato il suo pensiero nel
futuro sino a permanere vivo nella dottrina cristiana contemporanea, condurrò
una analisi non soltanto di taglio letterario. Accanto alla problematica della
permanenza nell’insegnamento ecclesiastico di elementi teologici agostiniani,
prenderò in esame la personalità del Doctor Gratiae sotto un profilo clinico psicanalitico.
Agostino, nella prima fase della sua vita, quella che Jung definisce “fase
naturale”, condusse un’esistenza alquanto disordinata senza riuscire a trovare
nella sua psiche un punto di equilibrio. Il predominio delle funzioni
caratteriali junghiane percettiva e sentimentale si rovesciò bruscamente nel
momento in cui egli entrò nella “fase culturale” di ispirazione cristiana (e
nevrotica, giacché scattò un meccanismo di radicale ribaltamento compensativo
alla volta della “funzione razionale” usata da lui in uno speculare squilibrio).
Mi prefiggo di motivare in maniera scientifica le mie considerazioni
introduttive prendendo in esame delle opere letterarie agostiniane. Anticipo
che rimango molto disorientato nel verificare la proverbiale “bontà” del
Messaggio cristiano, appena consolidatosi all’epoca di questo teologo
patristico. Il pensiero di Agostino è antisemita, sessuofobico, misogino,
omofobico. Se questo è il Cristianesimo neonato, e se questa è rimasta per ampi
tratti e per secoli la proposta di esso, se tutt’oggi aspetti di simili cose
continuano a essere riproposti, ritengo ci sia un equivoco di fondo su cosa
considerare obiettivamente “buono e giusto”. Riguardo al santo esaminato, nelle
sue “Confessiones”, esiste un passaggio in cui lui parla del salto dalla sua
inclinazione estroversa sentimentale-percettiva a quella, sempre patologica,
razionale. Egli afferma di aver cercato Dio fuori di sé, nelle cose del mondo e
di averlo poi trovato dentro di sé: ecco questo è un complesso presente nella
psiche agostiniana, la causa della sua “nevrosi cristiana” (paradossalmente
afferma che quel complesso è il “medico” e lui il “malato”). Il Doctor Gratiae
dice: «Sero te amavi, pulchritudo tam antiqua et tam nova, sero te amavi! Et
ecce intus eras et ego foris et ibi te quaerebam et in ista formosa, quae
fecisti, deformis inruebam. Mecum eras, et tecum non eram. Ea me tenebant longe
a te, quae si in te non essent, non essent. Vocasti et clamasti et rupisti
surdidatem meam, coruscasti, splenduisti et fugasti caecitatem meam, flagrasti,
et duxi spiritum et anhelo tibi, gustavi et esurio et sitio, tetigisti me, et
exarsi in pacem tuam. Cum inhaesero tibi ex omni me, nusquam erit mihi dolor et
labor, et viva erit vita mea tota plena te. Nunc autem quoniam quem tu imples,
sublevas eum, quoniam tui plenus non sum, oneri mihi sum. Contendunt laetitae
meae flendae cum laetandis maeroribus, et ex qua parte stet victoria nescio.
Contendunt maerores mei mali cum gaudiis bonis, et ex qua parte stet victoria
nescio. Ei mihi! Domine, miserere mei! Ei mihi! Ecce vulnera mea non abscondo:
medicus es, aeger sum». Una junghiana “fase culturale” estrema sotto l’egida di
una “funzione razionale” arroccata rappresenta una forma di irrazionalismo dato
che respinge la componente libidico-sentimentale in modo totale. Questi punti
saranno chiariti nell’analisi. Partirò nell’esame della questione
dall’antisemitismo ecclesiastico adottando come riferimento l’agostiniano
“Tractatus adversus Iudaeos” (di cui si ignora il periodo di redazione). L’esistenza
del moderno Stato d’Israele è la concreta dimostrazione che il Cristianesimo è
una favola (nera)? Per secoli la Chiesa di Gesù Cristo disprezzò ed emarginò il
popolo deicida, assieme alle altre persecuzioni di streghe, eretici e omosessuali.
I primi a non riconoscere il Messia sarebbero stati proprio quelli a suo
diretto contatto. Quindi: o il Dio cristiano non avrebbe dovuto concedere ai
“deicidi” di ricostituirsi come comunità nazionale in Palestina (in linea con
uno status derivato da punizione divina) o la religione cristiana e il Nuovo
Testamento sono delle invenzioni, il prodotto culturale di precisi contesti
umani. È difficile conciliare sul piano teologico cristiano la nuova fede e la
riemersione vittoriosa dell’Ebraismo. Tutt’al più ci si aspetterebbe, in
conformità dell’antisemitismo pregresso, e a tutela dell’impianto teologico
cattolico (ma ciò anche negli ambiti protestanti di passato antisemita), che il
ricostituito Stato d’Israele sia indicato ai fedeli quale creatura demoniaca.
Però ciò non avviene (il che non costituisce affatto male pratico), e
rappresenta una contraddizione teologica: da “deicidi” a “fratelli maggiori
nella fede”. Sul piano dottrinario è stata applicata una correzione traumatica
che notano solo i più attenti. Sino agli anni ’60 il Venerdì santo la liturgia
cattolica diceva: «Oremus pro perfidis Iudaeis». Cioè: lo Stato d’Israele,
sulla base di quell’affermazione, potrebbe definirsi “perfida costruzione”.
Dunque sino a un certo punto la teologia cattolica è stata coerente. Ma poi ha
fatto inversione a U negli anni postconciliari costretta dal sempre migliore
progresso sociale? Vediamo cosa ha insegnato il famoso vescovo d’Ippona in
materia nel suo scritto sopra citato. Sant’Agostino nell’apertura del suo discorso
tende a puntualizzare che Dio è ben disposto ad accogliere convertiti pagani,
ma che è rigido nei confronti degli Ebrei rimasti fedeli al Giudaismo
veterotestamentario. Fa ciò riallacciandosi a un passo della paolina epistola
ai Romani. Di Paolo di Tarso egli tende altresì subito a sottolineare
l’eccellenza nel suo essere testimone della Verità (di fede) in una pratica di
propaganda voluta da Dio. Il tema si presenta già con una connotazione
pregiudiziale nevrotica mirante a colpevolizzare e discriminare i Giudei ancora
uniti all’ortodossia tradizionale e non transitati nella nuova religione
cristiana. Dopo molti secoli il ragionamento agostiniano appare inaccettabile. Da
quando il Cristianesimo mise radici politiche sociali ben salde in non molto
tempo grazie a un qualificato attivismo propagandistico si cercò di collocare
gli Ebrei e il Giudaismo in un cono d’ombra negativo. Ma negativa, illiberale,
totalitaria si rivela l’azione discriminatoria del Doctor Gratiae, il quale non
fa altro che creare una delle basi antisemite della cultura occidentale, i cui
tragici frutti riempiono i libri di storia. Il più autorevole esponente della
Patristica chiarisce che chi non si converte rimarrà vittima di una condizione
infernale (la quale è una classica prospettiva di deterrenza verso soggetti
ignoranti e mentalmente deboli; tale tipo di cupa suggestione può trovare spazio
in epoche di crisi sociale e spirituale, presso chi non ha idee chiare sulla
realtà dei fatti, dagli insipienti della massa ai nevrotici indottrinati e
imbevuti di studi distorti e distorcenti, parziali e inadeguati). Il vescovo di
Ippona veste paraocchi fideistici radicali, i quali non gli impediscono di
apparire quale soggetto privato di un sano equilibrio mentale. Accanirsi con
veemenza, peraltro non scientifica, nella difesa di un’idea religiosa
circoscritta discriminando la parte rimanente dell’umanità non cristiana indica
soltanto il prodotto di una nevrosi. Nel caso dell’Agostino divenuto cristiano
ritroviamo sessuofobia, misoginia, astio a danno di chi viene ritenuto eretico
e odio riversato sui Giudei, come si può evincere dal testo esaminato. Vive in
lui una forma mentis manichea(-gnostica): ciò che è buono sta da una parte, il
resto rappresenta l’opposto ed è male, non esistono isole di verità, pluralismo
nella conoscenza, per lui esiste una e incontestabile Città di Dio (si può
stare solo al di qua o al di là delle mura perimetrali: simile tipologia di
pensiero inclina alla patologia psichica giacché si adopera per togliere agli
altri leciti e autonomi spazi di libertà). Per il Dottore della Chiesa gli Ebrei
non riescono a comprendere le profezie del Vecchio testamento, li accusa di non
voler accettare il Messaggio evangelico, e li qualifica come ottusi e
interdetti: «Si intelligerent de quo praedixerit propheta, quem legunt: Dedi te
in lucem Gentium, ita ut sis salus mea usque in fines terrae; non sic caeci
essent, non sic aegroti, ut in Domino Christo nec lucem agnoscerent, nec
salutem». La realtà è che invece il teologo patristico non ha compreso che il
Cristianesimo costituisce una religione inventata, e che i Giudei non possono
credere a racconti di fantasia recente come pretenderebbe lui. Il prodigioso
Gesù Cristo sarebbe stato sotto il loro naso e quelli che gli prestano fede
sono coloro a stare più lontano da una possibilità di verifica (nello spazio e
nel tempo). Si tratta di un sovvertimento della ragionevolezza che va a scapito
dell’Ebraismo, i cui fedeli tradizionali vengono accusati di deicidio. Ciò
costituisce un’assurdità alla radice dell’antisemitismo, tra l’altro perché era
stato Dio stesso a prevedere il sacrificio del suo Figlio e i Romani a essere
gli esecutori. La vicenda evangelica su Gesù e Barabba non possiede credibilità
storica, anzi pare che sdoppi un singolo personaggio reale di rivoluzionario
integralista ebraico mirando a creare un letterario personaggio evangelico
depurato da connotazioni eversive politiche. I Giudei non facilmente potevano
dar credito a un’invenzione narrativa e alla sua prosecuzione paolina e neotestamentaria.
Il Doctor Gratiae li sta condannando a causa della loro mancanza di ingenuità e
per il fatto di mantenersi coerenti sotto tutti i profili. Tale atteggiamento
agostiniano non è né obiettivo nell’approccio alle cose né sano riguardo al
profilo psicanalitico (in maniera nevrotica si costruisce una fantasiosa colpa
e la si attribuisce ripetutamente ad altri: ciò costituisce un disturbo
ossessivo compulsivo, e prende di mira tutta la galassia dei non conformi,
dagli eretici ai Pagani). Sant’Agostino nel “Tractatus adversus Iudaeos” evoca
brani veterotestamentari nei quali indica prefigurazioni di Gesù Cristo. La sua
ermeneutica biblica si mostra più confessionale che confacente a una
metodologia corretta. Non ha colto che gli aspetti profetici veterotestamentari
costituiscono spunto per la produzione letteraria evangelica, non una conferma.
Tra parentesi: il noto vescovo d’Ippona ha altresì mal inteso anche la
cosmogonia biblica. All’inizio della biblica genesi non compare l’idea di una
divina creazione dal nulla dell’universo: “Genesi” parlando della “produzione”
del cosmo non fa altro che ricalcare topoi comuni dell’area del Mediterraneo
orientale. Cambia la facciata, ma le strutture di pensiero retrostanti sono
sempre quelle. Vale a dire che il Dio biblico è un demiurgo platonico, il quale
si trova davanti una “materia” da “ordinare” venuta fuori dal Caos assieme a
Lui. La posteriore teologia ha caricato sopra la biblica narrazione un’idea di
“creatio ex nihilo” che essa non contiene affatto. Anzi una cosa che traspare
da quel testo ebraico, e da altri brani a parte, è che gli Dei biblici, tutti,
sono inseriti nell’ordine della temporalità e possono morire (a conferma
dell’idea precedente di una divinità che muore e risorge: Osiride). All’esordio
del testo veterotestamentario di “Genesi” di solito si traduce così: in
principio Dio creò i cieli e la terra. Nel testo ebraico però “Dio” sta tra il
verbo e i complementi oggetti: che anche Lui sia un complemento oggetto? In
effetti sta scritto così: in principio [chi?] creò/produsse Dio/gli Dei, il
cielo e la terra. Prima del verbo mancherebbe un soggetto maschile singolare.
Pensiamo a sant’Agostino e al suo quesito: che cosa faceva Dio “prima” di creare/produrre
l’universo? Per quel teologo la domanda era considerata improponibile perché il
tempo è venuto fuori assieme col mondo, e Dio era anteriore (visto a
posteriori). Risposta sulla base della cosmogonia ebraica: anche Dio/gli Dei
sono venuti fuori dal Caos dentro l’orizzonte temporale; “prima” Dio non c’era.
Prima di Dio/gli Dei c’è qualcosa: il Caos nella primordiale fase determinante,
il quale pare essere quel soggetto sottinteso/scomparso. Questo caso esemplare
la dice lunga sulle capacità agostiniane di valutazione obiettiva di quanto
pretende dire. Nel “Tractatus adversus Iudaeos” rimprovera agli Ebrei cose
giustificandole mediante un preteso superamento cristiano, ma in realtà quelli
non hanno torto a replicare ai Cristiani di non vedere costoro omologati
all’ortodossia giudaica: il Cristianesimo è stato una costruzione religiosa che
ha prescisso dalla concretezza storica, gli Ebrei non hanno mai visto il Gesù
Cristo dei Vangeli poiché inesistente. Di che cosa il Dottore della Chiesa
accusa il popolo giudaico? Da tutto questo ostile schema è sorto
l’antisemitismo in Occidente. Dall’elaborazione dell’irrazionale categoria dei
“deicidi”, ossia da un parto psicopatologico svincolato dall’obiettività
storica. Additare all’odio gente in virtù di colpe che non ha commesso, e per
giunta molto fantasiose, costituisce un crimine, rappresenta deviazione da un
più normale equilibrio mentale. La nascita del sentimento antisemita è
completamente gratuita, non paga prezzi di verità da nessuna parte, costituisce
accanimento nevrotico immotivato (il che non ha niente a che spartire con la
repressione politica romana del nazionalismo ebraico fondato sull’integralismo
religioso, un’altra cosa legata alla concretezza storica; nei ragionamenti
agostiniani si naviga entro i confini della teologia). Nella concezione del Doctor
Gratiae la Chiesa cattolica realizza il perimetro della salvezza dell’anima:
chi è dentro con la religione cristiano-paolina e i suoi sacramenti potrà avere
in premio il paradiso e la vita eterna, chi è fuori è automaticamente perso, a
cominciare dai radicati e radicali negatori giudaici del Figlio di Dio. Il
vescovo di Ippona appoggiandosi a una pregiudiziale interpretazione di vari
passi del Vecchio Testamento cerca di dimostrare l’errore della prosecuzione
storica del culto giudaico tradizionale, e offende ancora una volta gli Ebrei (i
quali per lui sarebbero dei deficienti quando non capiscono la loro stessa
religione e il fenomeno cristiano): «Non ergo vos alto et gravi somno
dormientes, ad spiritualia quae non capitis excitamus; neque nunc quomodo
spiritualiter accipienda sint ista vocabula, vobis in auditu et visu spirituali
surdis et caecis persuadere conamur». In parole povere il punto di vista
giudaico che vedeva eretici/apostati dell’Ebraismo nei Cristiani è quello
sociologicamente corretto. Il Dottore della Chiesa ha ribaltato i piani con
un’operazione teologica discutibile, forte soltanto di una fortunata campagna
di proselitismo fra masse ignoranti e intellettuali disorientati in un’epoca di
crisi sociospirituale che portò al crollo dell’Impero romano. È lui che sta
dalla parte del torto storico, è scorretto che dica cose del genere: «Postremo
si haec verba prophetica secundum cor vestrum in alium sensum detorquere
conamini, o Iudaei, contra salutem vestram resistentes Filio Dei». Il
Cristianesimo si è costruito via via a posteriori tenendo sì conto
dell’universo veterotestamentario, tuttavia questo è originario e autonomo,
quanto viene dopo non lo è, e cerca di scalzare il “problema giudaico”
attraverso uno stratagemma aprioristico retorico. Ma l’aggressione concettuale
antisemita agostiniana è pura sofistica strategica, figlia di un ordine mentale
dato alla materia inadeguato in relazione a un’autentica procedura di
dimostrazione scientifica. A questo Dottore della Chiesa interessa scippare
agli Ebrei il primato teologico, darlo al Cattolicesimo, e concludere che i
primi sono stati rifiutati da Dio. L’accusa di deicidio a carico dei Giudei è
esplicita da parte del teologo patristico (che non manca di evocare altresì
l’antisemitismo contenuto nella “Lettera ai Romani” di Paolo di Tarso, il quale
era pure un cittadino romano): «Occidistis Christum in parentibus vestris.
Tamdiu non credidistis, et contradixistis». Nel “Tractatus adversus Iudaeos” sant’Agostino
invita a non offendere l’interlocutore, però non ha capito di aver condotto
l’altro che discriminazione a scapito del popolo giudaico, rivolgendo
osservazioni infondate sul piano storiografico. L’acredine fideistica, aspetto
visibile del suo abito nevrotico, lo ha portato a formulare tutta una serie di
osservazioni di esclusiva natura teologica. Né lui né gli Ebrei avevano un’esperienza
storica del letterario Gesù dei Vangeli. L’errore di questo Dottore della
Chiesa consiste nel credere vere cose per fede pur avendo una dimostrazione
concreta della loro infondatezza. La continuazione della religione giudaica
dimostra che il Cristianesimo è (come tutte le religioni) un’invenzione senza
riscontro reale. Gli Ebrei non hanno tenuto in nessun conto il Gesù evangelico
a causa del semplice fatto che questo è un personaggio letterario. Non potevano
credere ai miracoli e alla resurrezione perché non hanno visto questi
prodigiosi eventi (viceversa in un modo o nell’altro ne avrebbero dato
testimonianza). La sopravvivenza del Giudaismo falsifica, volendo usare una
terminologia popperiana, la validità teologica e storica del Cristianesimo. Perciò
i teologi cristiani sin dal principio hanno proclamato antisemitismo. Un mondo
senza “perfidi Iudaei”, o quantomeno emarginati è più conforme alla prospettiva
sociale del primato esclusivo della salvezza. Se questi che avrebbero avuto
Gesù Cristo davanti agli occhi non gli hanno creduto, o erano falsi come i
Cristiani hanno proclamato per secoli; oppure non l’hanno visto proprio poiché
irreale, e allora meglio sbarazzarsi di questi scomodi testimoni calunniandolo,
emarginandoli, perseguitandoli, torturandoli, uccidendoli. Non esiste amore del
prossimo nell’ostinata e liberticida volontà di voler imporre a tutti i costi
il proprio fanatico credo ad altri. Il popolo giudaico legato all’ortodossia
tradizionale, un cui serio giudizio valutativo è ben altra cosa da ciò che
viene affermato nello scritto agostiniano, sarebbe stato abbandonato da Dio a
beneficio della Chiesa cattolica. E costoro non avrebbero compreso la cosa. Il
primato sacerdotale, a detta del vescovo d’Ippona, è passato dai sacerdoti
ebrei mediante Gesù Cristo agli ordinati nel seno del Cattolicesimo: quindi
presso di questo sta la luce, tutti gli altri stanno nelle tenebre. La
dicotomia gnostica del “Vangelo di Giovanni” pervade il pensiero agostiniano
imbevuto di manicheismo. Il Doctor Gratiae dopo una prima parte della sua vita
vissuta in maniera edonistica rovesciò il suo modo di vedere il mondo
convertendosi al Cristianesimo. Questo avvenimento testimonia la svolta
nevrotica agostiniana: da un eccesso libertario-edonistico la sua psiche, in
seguito a un meccanismo di compensazione, si gettò nell’opposto. Nella personalità
agostiniana cristiana non esiste un pacifico equilibrio mentale: la passione
religiosa vorrebbe emendare quella precedente edonistica vissuta come una
colpa, uno sbaglio davanti al Dio neotestamentario che lui giudica l’elemento di
confronto corretto, mentre in realtà sta rendendosi nuovamente protagonista di
altri eccessi (di carattere concettuale): accusare tutti gli altri al di fuori
dei Cristiani di essere sbagliati, oltre a essere indice di una personalità
illiberale, è anche indizio di una forte nevrosi compensativa della sua prima
fase esistenziale. Prendersela con Ebrei, donne, eretici, Pagani rappresenta la
facciata di una problematica psichica interiore. Questa può essere osservata in
altri testi agostiniani, specialmente laddove si parla di sessualità. In
quest’analisi prendo come riferimento principale, fra i vari scritti possibili,
un’opera teologica dedicata al sacramento matrimoniale: “De bono coniugali” (risalente
al 401 circa). In essa sant’Agostino riflette la ristretta visuale sessuofobica
maschilistica paolina (espressa, non soltanto, nella prima epistola ai Corinzi)
appesantendola ulteriormente. La sessuofobia di Paolo di Tarso, fautore della
castità assoluta, contraddice l’idea veterotestamentaria ebraica del congresso
carnale quale strumento di recupero dell’unità androginica dell’Adam (i due
convenuti di sesso opposto diverrebbero la “carne primigenia”). Il Vecchio
Testamento è misogino (come il Nuovo), però non avversa la dinamica sessuale
catalogandola quale peccaminosa in sé (l’incesto delle figlie di Lot ad esempio
non viene condannato). Il matrimonio nell’ottica giudaica è un pratico obbligo
di matrice religiosa assieme alla sua consumazione (si pensi altresì al comando
divino di unirsi e moltiplicarsi); in quella cristiana la connotazione positiva
viene rimossa, arbitrariamente rispetto a un intrinseco veterotestamentario
punto di vista teologico, a vantaggio dell’astinenza sessuale (su cui ricade la
positività). È evidente che agli occhi del genuino precedente Ebraismo un
ribaltamento del genere risulti ingiustificato. Va però detto che nelle parole
paoline ai Corinzi la questione della riunificazione androginica è chiara, lui
l’ha sminuita nel suo valore ideale. I Cristiani dopo di lui dell’argomento
dell’Adam androgino non avranno più nessuna consapevolezza a causa di non ottimali
traduzioni in latino (ne è venuta fuori l’invenzione della favola della
“costola” di Adamo). Pure il teologo patristico rimase coinvolto in
quest’errore (lui era di lingua latina, conosceva male il greco, e per niente
l’ebraico). Il sacramento matrimoniale nel Cattolicesimo è l’unico in cui a
ricoprire ruolo ministeriale non sia il sacerdote ordinato bensì siano gli sposi:
ciò da un lato si spiega col distanziamento massimo teologico sessuofobico;
però d’altro canto notiamo che la vecchia idea giudaica di “Genesi” e della
riunificazione androginica (la quale può essere compiuta solo dagli effettivi
protagonisti) si è conservata nella teologia cattolica in modo inconsapevole e
oscuro (per chi non sappia ben valutare). Il vescovo d’Ippona accanto alla sua
posizione sessuofobica, a cui la tradizione cristiana attinse, espresse una
visione misogina a carico della donna. Antifemminismo di ispirazione vetero e
neotestamentaria emerge dal suo pensiero. Assieme all’inferiorità della donna sant’Agostino
legittima la schiavitù (conseguenza del peccato), in “Quaestionum in
Heptateuchum” è esplicito. Il maschio prodotto a somiglianza di Dio
(diversamente dalla donna provenuta in un secondo momento) e in possesso della
maggiore razionalità infusagli domina sui soggetti deficitari (altri uomini più
deficienti per cattivo accidente, le donne deficienti per natura, gli animali
privi di ragione): «Commendatur in Patriarchis, quod pecorum nutritores erant a
pueritia sua et a parentibus suis. Et merito, nam haec est sine ulla
dubitatione iusta servitus et iusta dominatio, cum pecora homini serviunt, et
homo pecoribus dominatur. Sic enim dictum
est, cum crearetur: Faciamus hominem ad imaginem et similitudinem nostram, et
habeat potestatem piscium maris et volatilium caeli, et omnium pecorum quae
sunt super terram. Ubi insinuatur rationem debere dominari irrationabili vitae.
Servum autem hominem homini, vel iniquitas vel adversitas fecit; iniquitas
quidem, sicut dictum est: Maledictus Chanaan, erit servus fratribus suis;
adversitas vero, sicut accidit ipsi Ioseph, ut venditus a fratribus servus
alienigenae fieret. Itaque
primos servos, quibus hoc nomen in latina lingua inditum est, bella fecerunt.
Qui enim homo ab homine superatus iure belli posset occidi, quia servatus est,
servus est appellatus; inde et mancipia, quia manu capta sunt. Est etiam ordo
naturalis in hominibus, ut serviant feminae viris, et filii parentibus, quia et
illic haec iustitia est ut infirmior ratio serviat fortiori. Haec igitur in
dominationibus et servitutibus clara iustitia est, ut qui excellunt ratione,
excellant dominatione; quod cum in hoc saeculo per iniquitatem hominum perturbatur,
vel per naturarum carnalium diversitatem, ferunt iusti temporalem
perversitatem, in fine habituri ordinatissimam et sempiternam felicitatem». Nel
“De Trinitate” il Doctor Gratiae, nonostante non sappia che l’Adam (androgino)
sia stato prodotto per-mezzo-di-un’immagine(-divina), complemento di mezzo, e
non a-sua-immagine (complemento di qualità inesistente nel testo ebraico:
be-tselem), ragiona sulla questione della somiglianza con Dio dell’umanità
nell’essere maschile-e-femminile. Non intuisce affatto la presenza di un
originario soggetto androgino platonico, ma riesce a cogliere lo spirito della
successiva subordinazione femminile. Infatti dice che uomo e donna in coppia
costituiscono la specularità rispetto a Dio, ma in verità “Genesi” prospetta e
auspica una momentanea riunificazione androginica attraverso il congresso
carnale, cosa di cui il teologo patristico non si rende conto. L’uomo in sé
nella concezione cristiana agostiniana, in quanto possessore della razionalità
divina in maniera molto più elevata rispetto alla donna, potrebbe riflettere
l’immagine di Dio in modo autonomo: questa ragione può controllare e bloccare
l’incontinenza (soprattutto sessuale) e non farsi sopraffare dal corpo, dalla
libido (frutto del peccato originale cattolico) giacché ogni anima in sé è
asessuata (e tale va in paradiso se lo merita). Freud direbbe che si sta
parlando di un forma di SUPER EGO di fronte a una pulsione costitutiva
dell’essere umano, e che questo sia stato elevato in seguito a nevrosi profonda
nella figura del Dio Padre sessuofobico del Cristianesimo celebrato da Agostino
e da quelli come lui per idee. La donna dal canto suo (erede della “debolezza
mentale” di Eva ingannata dal serpente) non possiede, ad avviso del vescovo di
Ippona, questa pienezza razionale e non è in grado di far fronte da sé
all’inclinazione a peccare: ha bisogno della sua guida naturale riconosciuta
dalla “Bibbia”. Possiamo chiaramente leggere: «Videndum est quomodo non sit
contrarium quod dicit Apostolus non mulierem, sed virum esse imaginem Dei, huic
quod scriptum est in Genesi: Fecit Deus hominem, ad imaginem Dei, fecit eum
masculum et feminam; fecit eos et benedixit eos. Ad imaginem quippe Dei naturam
ipsam humanam factam dicit, quae sexu utroque completur, nec ab intellegenda
imagine Dei separat feminam. Dicto enim quod fecit Deus hominem ad imaginem
Dei; fecit eum, inquit, masculum et feminam; vel certe alia distinctione,
masculum et feminam fecit eos. Quomodo ergo per Apostolum audivimus virum esse
imaginem Dei, unde caput velare prohibetur, mulierem autem non, et ideo ipsa
hoc facere iubetur nisi, credo, illud esse quod iam dixi, cum de natura humanae
mentis agerem, mulierem cum viro suo esse imaginem Dei, ut una imago sit tota
illa substantia; cum autem ad adiutorium distribuitur, quod ad eam ipsam solam
attinet, non est imago Dei; quod autem ad virum solum attinet, imago Dei est,
tam plena atque integra, quam in unum coniuncta muliere. Sicut de natura
humanae mentis diximus, quia et si tota contempletur veritatem, imago Dei est;
et cum ex ea distribuitur aliquid, et quadam intentione derivatur ad actionem
rerum temporalium, nihilominus ex qua parte conspectam consulit veritatem,
imago Dei est; ex qua vero intenditur in agenda inferiora, non est imago Dei.
Et quoniam quantumcumque se extenderit in id quod aeternum est, tanto magis
inde formatur ad imaginem Dei et propterea non est cohibenda, ut se inde
contineat ac temperet; ideo vir non debet velare caput. Quia vero illi
rationali actioni quae in rebus corporalibus temporalibusque versatur,
periculosa est nimia in inferiora progressio; debet habere potestatem super
caput, quod indicat velamentum quo significatur esse cohibenda. Grata est enim
sanctis Angelis sacrata et pia significatio. Nam Deus non ad tempus videt, nec
aliquid novi fit in eius visione atque scientia, cum aliquid temporaliter ac transitorie
geritur, sicut inde afficiuntur sensus vel carnales animalium et hominum, vel
etiam caelestes Angelorum». La problematica teologica ereditata dalla Chiesa in
merito è la seguente. Nella Santissima Trinità adorata dai Cristiani le persone
del Padre e del Figlio hanno un’evidente connotazione maschile: lo Spirito
Santo possiede un’essenza “femminile”? Se così non fosse nella donna non
risiederebbe niente di somiglianza col suo creatore, ed ella sarebbe, come
afferma san Tommaso d’Aquino nella “Summa theologiae”, un surrogato di uomo
(questo il pieno riflesso divino), qualcosa di secondo grado umano a livello
ontologico (si parla esplicitamente di soggetto “deficitario”). Pertanto delle
due necessariamente una: o lo Spirito Santo reca in sé un quid di femminile e
le donne hanno il diritto di accedere al sacerdozio in virtù di un principio di
“parità trinitaria”, o queste ultime sono esseri umani di serie B non avendo
niente di direttamente derivato da Dio (al pari degli uomini). La Chiesa
giustifica il sacerdozio esclusivamente maschile col fatto che la natura
terrena del Cristo fosse di “vir”, però la teologia nei secoli ha spiegato la
sconvenienza ontologica di un’incarnazione del Verbo in un soggetto femminile
adducendo come motivazione che la donna è meno perfetta rispetto all’uomo e che
Dio non avrebbe potuto incarnarsi in un’entità di serie B avendo a disposizione
la natura maschile. Pensiamo anche alla “sanificazione” della sua
“incubatrice”: la Madonna “concepita senza peccato” e privata di tutte le
connotazioni di una comune (e normale) “femminilità” (giacché tale complesso
rappresentava l’armamentario del Diavolo). Il corpo della donna è il tempio
della lussuria, la porta del Diavolo (Tertulliano). Se la femmina non dismette
le sue connotazioni psicosessuali rimarrà sempre una tentazione per la
santificazione dell’uomo, la realtà più angelica tra i due generi. Al buon
cristiano spetta dunque desessualizzare in primis le donne e quindi se stesso.
Da ragionamenti del genere è nata quella nevrosi diffusa che nella storia viene
registrata come “caccia alle streghe”. Nella trattazione teologica del “De bono
coniugali” all’inizio si puntualizza che al maschio spetta l’essere “regens” e
alla femmina il rimanere “obsequens”. Nella concezione del vescovo d’Ippona i
fari del regime coniugale, esclusivamente monogamico, sono: proles (l’obiettivo
di fare figli), fides (l’essere fedeli inter se degli sposi), sacramentum (la
permanenza del vincolo matrimoniale a vita sino alla morte di uno dei
contraenti, anche in caso di separazione). Prima della sua svolta interiore
religiosa in senso cristiano in gioventù era stato incline al divertimento e al
sesso. Nel suo periodo da manicheo edonista aveva sfruttato, in assenza di
sistemi contraccettivi migliori, l’idea dei suoi correligionari di allora di
astenersi da acta copulandi nei periodi di fertilità della donna. Da cristiano
il Dottore della Chiesa poi condannò tale prassi. Infatti convertitosi esternò
un’esplicita posizione teologica sessuofobica. Nella sua abitazione di Ippona
non faceva entrare nessuna donna da sola se non ci fosse qualcun altro
presente. Per lui il piacere sessuale costituisce un peccato universalmente
pervasivo anche in regime di matrimonio. Anche due coniugi sarebbero affetti da
lussuriosi trasporti parzialmente accoglibili solo nella loro funzione
procreativa. Prima del peccato originale l’esercizio della sessualità sarebbe
stato disconnesso dal piacere e dall’eccitazione: una pura operazione meccanica,
come alzare un braccio, sotto l’egida completa della ragione (si legga meglio
nel posteriore agostiniano “De nuptiis et concupiscentia” dove si definisce la
pulsione sessuale un «motum […] indecentem, quia inoboedientem», che pone gli
esseri umani sotto la tirannia del corpo, ribelle all’uomo come Adamo ed Eva a
Dio). Ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere” Milan Kundera rammenta la
sessuofobia patristica. Ma già a quei tempi replicava il più moderato Pelagio,
contemporaneo e avversario teologico di Agostino, che la sessualità rappresenta
qualcosa di normale, l’importante è non degenerare. Il primo escludeva
l’esistenza di una adamitica macchia spirituale ereditaria (Adamo fu
personalmente responsabile della sua condotta). Il secondo considerava l’atto
sessuale procreativo l’unico ammissibile e solo all’interno del legame
matrimoniale, il tutto inquadrato in un cupo recinto sessuofobico. Gli incontri
eterosessuali consentiti debbono seguire esclusivamente la modalità del coito
vaginale, il resto è ulteriore e più grave peccato: «Cum ille naturalis usus,
quando prolabitur ultra pacta nuptialia, id est ultra propagandi necessitatem,
venialis sit in uxore, in meretrice damnabilis; iste, qui est contra naturam,
exsecrabiliter fit in meretrice, sed exsecrabilius in uxore. Tantum valet
ordinatio Creatoris et ordo creaturae, ut in rebus ad utendum concessis, etiam
cum modus exce/ditur, longe sit tolerabilius quam in eao, quae concessa non
sunt, vel unus vel rarus excessus. Et ideo in re concessa immoderatio coniugis,
ne in rem non concessam libido prorumpat, toleranda est. Hinc est etiam, quod
longe minus peccat quamlibet assiduus ad uxorem quam vel rarissimus ad
fornicationem. Cum vero vir membro mulieris non ad hoc concesso uti voluerit
turpior est uxor, si in se, quam si in alia fieri permiserit. Decus ergo
coniugale est castitas procreandi et reddendi carnalis debiti fides: hoc est
opus nuptiarum, hoc ab omni crimine defendit Apostolus dicendo: Et si acceperis
uxorem, non peccasti; et si nupserit virgo, non peccat; et: Quod vult faciat;
non peccat, si nubat. Exigendi autem debiti ab alterutro sexu immoderatior
progressio propter illa, quae supra dixit, coniugibus secundum veniam
conceditur». La sessualità in funzione procreativa sarebbe pratica razionale, negli
altri casi diverrebbe passionale, ossia peccato compiuto di lussuria. Il Doctor
Gratiae condanna l’eccitazione sessuale dei convenuti a congresso carnale e
promuove la frigidità: uomini e donne dovrebbero comportarsi da Vulcaniani di
Star Trek. Un uomo dovrebbe approcciarsi alla compagna con distacco e
concentrandosi altresì sul nascituro, giacché quello celebrato include un
momento peccaminoso di lussuria, la cui responsabilità risale alla colpa
originaria di Adamo. Anche la moglie dovrebbe pensare al figlio e non al
partner. Alla “venialità” di simile atto si contrappone la “mortalità
spirituale” dell’esercizio della sessualità disgiunto dallo scopo di procreare
(paternità e maternità). Senza di esso un congresso carnale, ad avviso di lui,
rappresenta un atto di prostituzione (pure fra sposi). Il teologo patristico
ammette però i rapporti sessuali durante una gestazione, dato che è l’uomo che
comanda (secondo la prospettiva paolina), e anche al fine di evitare di farlo
andare a peccare fuori del matrimonio. Se la moglie fosse sterile il vescovo di
Ippona consente nuovamente la possibilità di tenere congressi carnali con
l’obiettivo di non spingerla a essere fedifraga: il marito si dovrebbe
sacrificare pur nell’impossibilità procreativa. Viene altresì sconsigliato ai
soggetti in là negli anni di non indulgere nel sesso, a maggior ragione non
essendo più potenzialmente utili alla riproduzione. La prossimità al Dio
cristiano è maggiore mantenendosi vergine che non altrimenti, una condizione la
prima che manterrebbe esenti dall’esperienza del peccato: «Hoc tempore solos
eos qui se non continent coniugari oportet». L’incontaminatezza sessuale
anticiperebbe la futura possibile eterna condizione paradisiaca senza libido:
queste idee corroborarono la norma del celibato sacerdotale legato al voto di
castità. I personaggi dell’Antico Testamento circondati da mogli e concubine
sarebbero stati il risultato della vocazione divina a opportuna prolificità,
all’incremento del gruppo, non più necessari. Se la poligamia passata è stata
ammissibile a scopo strumentale, la poliandria per il dottore della Chiesa rappresenta
un assurdo concettuale assoluto. Ammissibile che un uomo possa aver fatto figli
con più donne, però che una donna possa fare lo stesso con più uomini non
rispetta l’ordine presunto naturale (ella diverrebbe prostituta); la gerarchia
contempla la signoria del maschio sulla donna: «Occulta enim lege naturae amant
singularitatem, quae principantur; subiecta vero non solum singula singulis,
sed, si ratio naturalis vel socialis admittit, etiam plura uni non sine decore
subduntur. Neque enim sic habet unus servus plures dominos,
quomodo plures servi unum dominum. Ita duobus seu pluribus maritis vivis nullam
legimus servisse sanctarum; plures autem feminas uni viro legimus, cum gentis
illius societas sinebat et temporis ratio suadebat: neque enim contra naturam
nuptiarum est. Plures enim feminae ab uno viro fetari possunt, una vero a
pluribus non potest (haec est principiorum vis) ac: sicut multae animae uni Deo
recte subduntur». Si
veda pure lo stesso ragionamento misogino ribadito nel “De nuptiis et
concupiscentia”: «Principatus magis naturaliter unius in multos quam in unum
potest esse multorum. Nec dubitari potest naturali ordine viros potius feminis
quam viris feminas principari. Quod servans
Apostolus ait: Caput mulieris vir; et: Mulieres, subditae estote viris vestris;
et apostolus Petrus: Quomodo Sara, inquit, obsequebatur Abrahae, dominum illum
vocans. Quod licet ita sese habeat, ut natura principiorum amet singularitatem,
facilius autem pluralitatem videamus in subditis, tamen plures feminae uni viro
numquam licite iungerentur, nisi ex hoc plures filii nascerentur. Unde si una
concumbat cum pluribus, quia non est ei hinc multiplicatio prolis, sed
frequentatio libidinis, coniux non potest esse, sed meretrix». La teologia
cristiana agostiniana (nel “De nuptiis et concupiscentia”) respinge l’uso di
sistemi contraccettivi e l’aborto in linea di principio, non tanto perché
allora non perfette pratiche sanitarie; condanna altresì l’abbandono di neonati
indesiderati (qui non possiamo biasimarlo, ma occorreva un quadro di educazione
sessuale e morale migliore di quello offerto dal Cristianesimo). Siamo
lontanissimi dalla moderna giurisprudenza italiana che riconosce il diritto
d’aborto e quello di divorzio, qua compare tutto l’opposto sostenuto ancor oggi
dalla Chiesa. Le femmine a suo avviso dovrebbero spezzare la catena libidica:
con eco paolina dice che è «ampliorem sanctitatem innuptarum quam nuptarum». Se
alle donne viene concessa la facoltà di sposarsi è solo allo scopo di
soddisfare e arginare la libido maschile: «Femina fidelis, servans pudicitiam
coniugalem, non cogitat, quomodo placeat Domino, sed utique minus, quia cogitat
etiam quae sunt mundi, quomodo placeat viro. Hoc enim de illis dicere voluit,
quod possunt habere quodam modo de necessitate connubii, ut cogitent quae sunt
mundi, quomodo placeant viris suis». Agostino tiene più alle sposate obbedienti
e sottomesse che non alle caste ma sregolate giacché la subordinazione
femminile al quadro rigoristico morale cristiano è nevralgica: «Multas sacras
virgines novimus verbosas, curiosas, ebriosas, litigiosas, avaras, superbas:
quae omnia contra praecepta sunt et sicut ipsam Evam inoboedientiae crimine
occidunt. Quapropter non solum oboediens inoboedienti, sed oboedientior
coniugata minus oboedienti virgini praeponenda est». Ha chiara la
preoccupazione di irreggimentare il gentil sesso in maniera stabile in serie B
ecclesiastica. Gesù stesso nel Vangelo ha chiarito che avere fantasie sessuali
sopra a una donna equivale a peccare, e al pari peccaminoso sarebbe sposare
colei che è stata ripudiata dal marito. Stando alle affermazioni del Messia
soffermarsi sulle forme femminili con sguardi interessati costituisce sprone
all’incontinenza (lo ricordava pure il Catechismo di san Pio X, un testo
sostituito negli anni ’90 da san Giovanni Paolo II): da considerazioni del
genere deriva alla lunga l’aberrante soluzione che è meglio mettere le donne
sotto un lenzuolo. Inoltre pare che Gesù abbia un misogino disprezzo verso le donne
di secondo letto in quanto non più vergini e quindi indegne di un nuovo
matrimonio. L’idea di un Redentore femminista appare alquanto forzata. Fra i
Dodici non scelse neanche una donna; nel “Vangelo di Giovanni” rispose
maleducatamente alla madre; e nel momento in cui, sempre da questo vangelo, si
rammentasse che salvò dalla lapidazione un’adultera sorgono problemi analitici.
Il brano di Gv 8,1-8 sembra apocrifo in quanto assente nella maggioranza delle
più antiche versioni del vangelo non sinottico. Gesù poi non afferma qui che
l’atto e l’intenzione di uccidere in sé siano sbagliati, ma sottintende che
scribi e farisei prima debbano esserne degni grazie all’osservazione perfetta
dei precetti religiosi (uno senza peccato poteva in teoria scagliare pietre;
ciò vorrebbe dire che se fossero divenuti fanatici integralisti potevano
ammazzarla: e così è accaduto da Ipazia d’Alessandria alla caccia alle
streghe). I Vangeli presentano le donne vicino al Redentore e ai suoi seguaci
in una destinazione subalterna e strumentale (perlopiù utili perché portavano
soldi alla cassa). La scena di Maria, sorella di Lazzaro, la quale lava e
asciuga coi propri capelli i piedi del Messia nel “Vangelo di Giovanni”, rivela
allo sguardo psicanalitico un gioco erotico sadomasochistico che prevede la
mortificazione della femminilità. Un’altra Maria, di Magdala (Maddalena),
esorcizzata, si era liberata da sette demoni. Esistono delle ipotesi storiche
per cui la Maddalena possa essere stata la moglie del Gesù reale: quindi lui
più che essere lo sposo mistico della Chiesa cattolica rischia di essere stato
il marito di una che viene definita, con spirito misogino, come un inferno
ambulante (il 7 indica pienezza). L’evento narrativo evangelico che contempla
il Risorto visto dapprima da donne ricalca semplicemente l’architettura
dinamica nel mito solare di Osiride del ritrovamento del cadavere di costui
(prossimo a resuscitare) da parte della moglie Iside. La croce cristiana pare
derivare da quella egizia, e del corpo di Osiride fatto a pezzi la compagna non
riuscì a recuperare il membrum virile: il Gesù crocifisso è vestito solo di un
perizoma. Simile serie di elementi, dove la Maddalena prenderebbe il posto
simbolico di Iside, è allusiva a sostanziali analogie da offrire alle masse
nella promozione del proselitismo. L’ideale matrimoniale sommo agostiniano
rimane comunque quello offerto dalla Madonna e dal suo consorte: sessualità
totalmente al bando (se si vuole entrare nella Civitas Dei), sessualità
intravista nei casi in cui viene praticata come una frattura della continenza. La
posizione ideologica in materia di sesso della Chiesa odierna è rimasta essenzialmente
agostiniana. Il vescovo d’Ippona in ossequio alla tradizione biblica omofoba e
in conseguenza della sua riflessione negativa sulla sessualità, si esprime
anche contro i gay. Sottolinea non solo che gli omosessuali siano “contro
Natura”, e che la contaminino mediante il loro venir meno all’ordine dato da
Dio alle cose umane, ma anche chiede che questi e tutti i praticanti di pratiche,
sempre ad avviso del teologo patristico, «contra naturam» siano additati al
disprezzo e siano altresì sottoposti a punizione. Nell’Impero romano una norma
risalente al 342 sotto Costanzo II introdusse la pena di morte a scapito degli
omosessuali passivi, e al tempo di Teodosio I, un anno prima dell’editto che
rese il Cristianesimo la religione unica e ufficiale dello Stato (391), una
nuova norma penale ne previde il rogo (queste leggi rappresentarono degli
aberranti effetti del progetto di cristianizzazione della società romana e la
base giuridica della persecuzione cristiana a venire). Il Concilio di Elvira,
di inizio del IV sec., aveva tolto la possibilità di accedere al sacramento
eucaristico ai gay (persino nella forma del “viatico”). Nelle “Confessiones”
leggiamo: «Flagitia, quae sunt contra naturam, ubique ac semper detestanda
atque punienda sunt, qualia Sodomitarum fuerunt. Quae si omnes gentes facerent,
eodem criminis reatu divina lege tenerentur, quae non sic fecit homines, ut se
illo uterentur modo. Violatur quippe ipsa societas, quae cum Deo nobis esse
debet, cum eadem natura, cuius ille auctor est, libidinis perversitate
polluitur». Il nuovo manuale catechetico della Chiesa, edito negli anni ’90 al
tempo del pontificato di san Giovanni Paolo II, affronta in maniera esplicita
quello che per il Cattolicesimo rappresenta il problema degli omosessuali. Dal
mio esclusivo punto di vista etero andarsi a preoccupare di cosa fanno nel loro
privato due persone maggiorenni e consenzienti, rispettose della sanità fisica
e mentale del partner, costituisce un’ingerenza indebita, illiberale. Sulla
base di motivazioni che non possiedono niente di scientificamente fondato (né
nell’ambito biologico né tanto meno in quello giuridico), i gay sono stati perseguitati
per secoli nella società cristiana, torturati e uccisi soltanto in nome della
religione. Tutt’oggi possiamo notare come vengano considerati nella dottrina
cattolica: essere omosex equivale a non essere normale, ma in preda a qualcosa
di pesantemente peccaminoso; l’omosessualità costituisce qualcosa da
correggere, a cui non dar seguito. Nel passato una questione attinente alla
“sfera privata”, quale il personale orientamento sessuale, è stata elevata al
rango di “reato penale”. Mi pare assurdo oggigiorno continuare a discriminare,
anche se in modo più inefficace grazie al progresso giuridico, i gay. A me
sembra un accanimento privo di fondamenta razionali. Personalmente sono
sfavorevole alle adozioni di minori o alle maternità surrogate a beneficio degli
omosessuali in virtù di una riflessione filosofica (legata ad aspetti biologici
e giuridici), però mai proporrei di considerarli “anormali”. I gay sono
persone, a mio avviso, normalissime, non protagoniste di alcuno scomposto
peccato. E se poi, un giorno, anche in Italia le coppie omosex avessero
riconosciuto il diritto di adozione o di maternità surrogata non mi strapperò
di certo le vesti. Ma che si continui a dire di loro le cose contenute
nell’estratto riportato, mi lascia perplesso: a me, in tutta sincerità, pare ci
sia una radice nevrotica omofobica e sessuofobica portata avanti per inerzia
formale, dato che l’omofobia veterotestamentaria ha una ragione legata
all’incremento demografico di Israele, una ragione de facto insussistente per i
Cattolici. Continuare a riallacciarsi a norme dell’Antico Testamento
riecheggiate nel Nuovo non lo valuto come lecito in nessuna prospettiva
(morale, biologica, giuridica). In fatto di etica sono kantiano, per inciso.
Segue brano dal nuovo libro di catechismo cattolico.
§------------§
Castità e
omosessualità
2357
L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano
un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo
sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti
culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile.
Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come
gravi depravazioni, [Cf Gen 19,1-29; Rm 1,24-27; 2357 1Cor 6,10; 1Tm 1,10 ] la
Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono
intrinsecamente disordinati” [Congregazione per la Dottrina della Fede, Dich.
Persona humana, 8]. Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto
sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità
affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 Un numero
non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali
profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata,
costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere
accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni
marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la
volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio
della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza
della loro condizione.
2359 Le persone
omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di
sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di
un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono
e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
§------------§
Rimanendo
al più recente passato già il catechismo cattolico precedente lasciava spunti
di perplessità. Spirito di intolleranza, antisemitismo, un qualche sprone
all’anoressia (si pensi alle vicende delle sante anoressiche), sessuofobia si
ritrovano nell’orwelliano Catechismo di san Pio X (risalente al 1905 e accantonato
soltanto negli anni ’90 da san Giovanni Paolo II). Seguono brani estratti.
§------------§
115. La Chiesa
docente può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?
La Chiesa docente
non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio: essa è infallibile,
perché, come promise Gesù Cristo, “lo Spirito di verità” * l’assiste
continuamente.
* Giov., XV, 26
---
116. Il Papa, da
solo, può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio?
Il Papa, da
solo, non può errare nell’insegnarci le verità rivelate da Dio, ossia è
infallibile come la Chiesa, quando da Pastore e Maestro di tutti i cristiani,
definisce dottrine circa la fede e i costumi.
---
117. Può altra Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, essere la Chiesa di Gesù Cristo, o almeno parte di essa?
117. Può altra Chiesa, fuori della Cattolica-Romana, essere la Chiesa di Gesù Cristo, o almeno parte di essa?
Nessuna Chiesa,
fuori della Cattolica-Romana, può essere la Chiesa di Gesù Cristo o parte di
essa, perché non può averne insieme con quella le singolari distintive qualità,
una, santa, cattolica e apostolica; come difatti non le ha nessuna delle altre
Chiese che si dicono cristiane.
---
124. Chi è fuori
della comunione dei santi?
È fuori della
comunione dei santi chi è fuori della Chiesa, ossia i dannati, gl’infedeli, gli
ebrei, gli eretici, gli apostati, gli scismatici e gli scomunicati.
---
195. La Chiesa
ha stabilito pene contro il suicida?
La Chiesa ha
stabilito la privazione della sepoltura ecclesiastica contro il suicida
responsabile dell’atto compiuto.
---
201 Che ci proibisce il sesto comandamento «non commettere atti impuri» ?
201 Che ci proibisce il sesto comandamento «non commettere atti impuri» ?
Il sesto
comandamento Non commettere atti impuri ci proibisce ogni impurità: perciò le
azioni, le parole, gli sguardi, i libri, le immagini, gli spettacoli immorali.
---
335. Quante cose
sono necessarie per fare una buona comunione?
Per fare una
buona comunione sono necessarie tre cose: 1° essere in grazia di Dio; 2° sapere
e pensare chi si va a ricevere; 3° essere digiuno dalla mezzanotte.
---
339. Qual
digiuno si richiede prima della comunione?
Prima della
comunione si richiede il digiuno naturale ossia totale, che si rompe con
qualunque cosa presa a modo di cibo o di bevanda.
---
340. È permessa mai la comunione a chi non è digiuno?
340. È permessa mai la comunione a chi non è digiuno?
La comunione a
chi non è digiuno, è permessa in pericolo di morte, e durante le lunghe
malattie, nelle condizioni determinate dalla Chiesa.
---
405. Quali
doveri hanno i fedeli verso i chiamati agli Ordini?
I fedeli hanno
il dovere di lasciare ai figli e dipendenti piena libertà di seguir la
vocazione; inoltre di chiedere a Dio buoni pastori e ministri, e di digiunare a
tal fine nelle quattro Tempora; finalmente di venerare gli ordinati come
persone sacre a Dio.
---
411. Gli sposi
cattolici possono anche compiere il Matrimonio civile?
Gli sposi
cattolici non possono compiere il Matrimonio civile né prima né dopo il
Matrimonio religioso: che se lo osassero anche con l’intenzione di celebrare in
appresso il Matrimonio religioso sono dalla Chiesa considerati pubblici
peccatori.
---
Appendice II
II. - ANNO
ECCLESIASTICO
C) GIORNI DI ASTINENZA E DI DIGIUNO.
I - Di sola
astinenza dalle carni.
Tutti i venerdì
(tranne quelli nei quali cade una festa di precetto).
II - Di
astinenza e di digiuno.
I. Il mercoledì
delle Ceneri.
II. Ogni venerdì e sabato di Quaresima.
II. Ogni venerdì e sabato di Quaresima.
III. Il
mercoledì, venerdì e sabato delle Quattro Tempora o stagioni, cioè:
1. della
primavera nella 1° settimana di Quaresima;
2. dell’estate nella settimana di Pentecoste;
3. dell’autunno nella 3° settimana di settembre;
4. dell’inverno nella 3° settimana dell’Avvento.
2. dell’estate nella settimana di Pentecoste;
3. dell’autunno nella 3° settimana di settembre;
4. dell’inverno nella 3° settimana dell’Avvento.
IV. Le vigilie:
1. di Natale (24
dicembre);
2. di Pentecoste;
3. dell’Assunzione di Maria Vergine (14. agosto);
4. di Ognissanti (31 ottobre).
2. di Pentecoste;
3. dell’Assunzione di Maria Vergine (14. agosto);
4. di Ognissanti (31 ottobre).
III. - Di solo
digiuno.
Tutti gli altri
giorni feriali di Quaresima.
NB. - 1. La
domenica è sempre esente dalla legge dell’astinenza e del digiuno. Le altre
feste di precetto sono pure esenti, tranne quelle che cadono in Quaresima.
2. L’astinenza e
il digiuno delle vigilie, quando queste cadono in giorni festivi di precetto,
non si anticipano.
3. Il Sabato
Santo l’obbligo dell’astinenza e del digiuno cessa a mezzogiorno.
---
Appendice III
Avvertenze ai genitori e agli educatori cristiani
3. I genitori
cristiani come sono i primi e principali educatori dei loro figli, così debbono
esserne i primi e principali catechisti: i primi perché debbono loro istillare
quasi col latte la dottrina ricevuta dalla Chiesa; i principali, perché spetta
ad essi far imparare a memoria in famiglia le cose principali della Fede, cominciando
dalle Prime preghiere, e farle ripetere ogni giorno in modo che a poco a poco
penetrino profondamente nell’animo dei figliuoli. Che se essi, come più volte
avviene, sono costretti a farsi supplire da altri nell’educazione, ricordino
l’obbligo sacrosanto di scegliere tali istituti e tali persone che sappiano e
vogliano coscienziosamente compiere per loro un così grave dovere.
L’indifferenza in questa materia è stata la perdita irreparabile di tanti
figli. Qual conto se ne dovrà rendere a Dio!
4. Per insegnar
con frutto bisogna ben sapere la dottrina cristiana, bisogna esporla e
spiegarla in maniera adatta alla capacità degli alunni e soprattutto,
trattandosi di dottrina pratica, bisogna viverla.
5. Ben sapere la
dottrina cristiana; perché come si può istruire non essendo istruiti? Onde il
dovere dei genitori e degli educatori di ripassare il catechismo e di
penetrarne a fondo le verità, frequentando le spiegazioni più ampie dei
parrochi agli adulti, interrogando persone competenti e leggendo, se possono,
libri opportuni.
§------------§
È
il caso altresì di ricordare che l’“Indice dei libri proibiti” è stato
soppresso nel 1966. La ricerca storica sull’origine e sullo sviluppo sociale
del Cristianesimo chiarisce che esso è stato alla fin fine una forma di
distopico neopaganesimo illiberale? La stessa Inquisizione non è stata
soppressa, ma ha semplicemente cambiato nome, rimanendo a vigilare
sull’ortodossia cattolica. Come dire che qualcosa di paragonabile a un
plurisecolare medievale e rinascimentale partito protonazista a un certo punto
cambia orientamento e denominazione, però mantenendo la continuità storica. In
Italia il Partito fascista che concluse i Patti lateranensi e promosse le Leggi
razziali è fuorilegge; Città del Vaticano e il suo dipartimento inquisitorio,
oggi ristretto al controllo della “dottrina della fede”, no. Che cosa
garantisce che un nefasto ricorso storico prenda corpo nei Paesi di radicata
tradizione cattolica e faccia tornare attuali le persecuzioni del passato? La
mitologia cristiana viene inculcata in genere a tutti i soggetti raggiungibili
dai di essa sostenitori sin da tenera età, senza lasciare spazio di autonomia
critica al futuro adulto. Quasi tutti i cristiani sono credenti perché figli di
un’educazione infantile condizionata. Se poi aggiungiamo l’insegnamento
dottrinario nelle scuole pubbliche e lo spazio mediatico concesso gratuitamente
nelle emittenti televisive pubbliche che Stati possono accordare ci rendiamo
conto come “pregare per i cattivi Ebrei” possa apparire a suo tempo cosa
normale giacché figlia del condizionamento. La Francia in materia di religione
è molto più equilibrata e protegge dall’invasione fideistica l’ambito pubblico.
Se lo Stato d’Israele fosse risorto secoli fa, molto probabilmente, la Chiesa
avrebbe promosso una Crociata distruttiva. Che cosa impedisce di pensare
possibile un ritorno nel futuro di quell’“orare pro perfidis Iudaeis”? Non
poche fedi si alimentano a livello popolare di ignoranza, la quale è la strada
su cui veicolare contenuti nevrotici e distruttivi, come già accaduto. Aldous
Huxley ha detto che il più grande insegnamento della storia è che la storia non
insegna in verità niente a nessuno (poiché i più se ne fregano della conoscenza
e della sua effettiva sostanza). Se non si metterà l’umanità nelle condizioni
di un’autonomia intellettuale scaturente non da formazione dogmatica (a qualsiasi
età), bensì da studio autentico, l’Ombra junghiana potrà sempre uscire
dall’angolo e far tornare attuali le persecuzioni misogine, omofobe e
antisemite, peraltro non del tutto sradicate nell’Occidente cristiano (dove per
abrogare ad esempio la schiavitù si dovette aspettare il progresso politico,
dato che la religione la considerò normale a lungo). Hannah Arendt direbbe che
la “banalità del male” è in agguato da qualunque parte.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Teologia
analitica”
1 Riguardo a ciò
ho notato a livello letterario un brano paragonabile a questo nel romanzo “Lord
of the World” di Monsignor Robert Hugh Benson. Si veda per approfondimento nel
mio saggio “L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson”
(2017)
a pag. 25 .
7 Invito
alla lettura della mia opera “Il Medioevo futuro di George Orwell (2015)”.