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martedì 27 giugno 2017

LO STRANO CASO DI MABEL BRAND E DI MONSIGNOR BENSON

di DANILO CARUSO

Era una creatura veramente leggiadra;
alta e snella, aveva gli occhi grigi,
severi ed ardenti, salde e rosse labbra
ed un bel portamento in tutta la persona.

Robert Hugh Benson, “Lord of the World”


Accade di rado che leggendo un romanzo distopico chi ha in mano il libro abbia simpatia verso quella parte presentata dal suo autore come “negativa”. Siffatto il caso della mia lettura di “Lord of the World” di Robert Hugh Benson (1871-1914). Egli fu figlio di un Arcivescovo di Canterbury morto nel 1896. Ebbe tre fratelli e due sorelle, un fratello e una sorella morirono precocemente. Quelli rimasti furono degni del suo valore intellettuale. Tutti rimasero single: il disturbo bipolare (a causa di tare paterne) e tendenze omosessuali comparivano fra di loro. La madre già da sposata teneva una relazione con la figlia dell’Arcivescovo di Canterbury precedente il di lei marito. Sacerdote anglicano dal 1895, alla fine del 1903 passò al Cattolicesimo e nel 1904 ricevette il sacramento del sacerdozio. Nel 1911 divenne cameriere segreto di san Pio X e quindi Monsignore. Separando il fatto che Benson sia stato sospettato di aver intrattenuto un legame omoerotico col connazionale scrittore e artista Frederick Rolfe (1860-1913; un omosessuale cattolico il quale esternava una sua vocazione al sacerdozio e che aveva esaltato il martirio maschile), cercherò di spiegare, per quanto concerne il caso dell’autore di “Lord of the World” il mio modesto assenso all’ipotesi di anomalie psichiche (puntualizzo che non considero l’omosessualità una patologia sotto nessun profilo1: perciò parlerò di altro in termini analitici in merito). Il racconto, pubblicato nel 1907, parla del mondo come sarebbe nel XXI secolo. Una prima traduzione in italiano del testo (voltura di Corrado Raspini) venne pubblicata nel 1920 da Vallecchi Editore (edizione da cui sono tratti i brani riportati). In “Lord of the World” la Massoneria ha prevalso in Occidente, in maniera democratica, nella direzione politica dei popoli, portando una maggiore giustizia sociale. Sono rimasto alquanto turbato dal fatto che, a inizio del ’900, un uomo dalle capacità intellettuali così raffinate, quale Monsignor Benson, abbia mostrato adesione a una reazione anti-illuministica i cui contenuti ideali sono descritti da lui nel romanzo. Egli è misogino. Il suo alter ego narrativo è Padre (futuro cardinale) Percy Franklin,. Robert Hugh Benson si mostra fautore della monarchia assoluta, nonché di una teocrazia papale. Parla contro la democrazia e sostiene il primato della stupidità di contro a studi seri. Un evento parecchio sconcertante in “Lord of the World” è l’attentato contro un deputato comunista, Oliver Brand (un altro protagonista del racconto). Si tratta della narrazione di un gesto ispirato da nevrosi religiosa a opera di un cattolico durante una manifestazione pubblica. Oliver rimane ferito, e non riporterà conseguenze. Un sinistro alone accompagna poi le parole del Papa che istituisce il “Nuovo Ordine del Cristo Crocifisso”, sembra di leggervi una postulazione dei principi del terrorismo religioso. L’ultima parte dell’allocuzione papale contiene un messaggio oscuro il quale verte sopra «il desiderio del martirio ed il proponimento di riceverlo». Se sommiamo lo spirito di questo discorso all’attentato di matrice religiosa menzionato, in cui lo sparatore («un cattolico» il quale «aveva premeditato il colpo; tant’è vero la sua rivoltella fu trovata carica») è stato ucciso dalla folla (martirizzato), non possiamo che restare sgomenti di fronte all’ambiguità di simili idee le quali non di rado abbiamo visto, attraverso l’informazione dei media, presenti nella propaganda terroristica religiosa di richiamo islamico. Simili impianti concettuali hanno una radice ebraica comune che si esemplifica all’interno del Tanak in un modello ideologico intollerante nei confronti di culti o forme sociali differenti, e soprattutto, per quanto ora ci interessa, nella figura letteraria del kamikaze Sansone. Se il Regno di Dio assomiglia alla Roma papalina mostratasi a Padre Franklin al suo arrivo dall’Inghilterra, c’è da guardarsi. L’Urbe appare una via di mezzo fra una discarica di rifiuti e una colossale fogna a cielo aperto. Con tutto il rispetto nei riguardi di uno scrittore dalle eccellenti qualità, mi domando come Robert Hugh Benson possa essere riproposto quale esempio apologetico. A me non pare accettabile una giustificazione che si rifugia nella circoscrizione di limiti e difetti nel contesto di una determinata epoca. Dio non ha una verità che si storicizza (relativismo), non ammazza, tortura in maniera orrenda streghe, Ebrei, omosessuali, eretici, per secoli, e poi cambia idea. Monsignor Benson parla del raggiungimento nel XXI secolo di una pacificazione mondiale, però questa non gli va bene. Ampia si rivela la gamma di disapprovazione bensoniana in “Lord of the World”. Benson contrappone la madre di Oliver Brand alla moglie. Una viene conformata allo stereotipo misogino dell’anziana (e innocua) donna con il rosario in mano. L’altra, Mabel, è una giovane di mentalità aperta. Ella rappresenta agli occhi del suo creatore il “negativo”. Io l’ho trovata una donna amabilissima, una delle varie ragioni che mi fanno apprezzare “Lord of the World”, sebbene non secondo i propositi dell’autore. Costui ha indicato i piani alternativi in modo così nitido, in una molto bella cornice narrativa, a tal punto che basta considerare utopia la sua distopia per incontrarci, anche se su fronti opposti. Egli mette sulla bocca di Mabel ragionamenti agli antipodi della sua fede (la quale, modestamente, definirei, secondo una prospettiva psicanalitica, “nevrosi ossessiva”). Alla suocera malata ella rivolge parole sensatissime. Nella parte centrale del romanzo l’autore affronta il tema di una forma di religiosità pubblica e collettiva istituita dallo Stato. In virtù del modo in cui si esprime viene spontaneo pensare alle considerazioni hegeliane in merito, dove la liturgia viene vista come un collante sociale e uno strumento pedagogico. Questi aspetti iniziano a emergere allorché l’apostata ex Padre Francis, prima di illustrare lo svolgimento di un nuovo rito sostiene che «il mondo non avrebbe potuto vivere senza un culto». A proposito di Hegel è qui il caso di sottolineare che Benson oltre a ciò inserisce nel suo racconto due precisi concetti hegeliani: “lo Spirito del mondo”, e “il signore del mondo” (che dà il titolo al libro). L’hegelismo di Francis si palesa bene in quel passaggio dove ricorda «lo Spirito del Mondo, il quale ci insegna che l’individuo non è nulla, e che lui è tutto». Il “Weltgeist” è varie volte citato nel romanzo, in modo generico, però con questo riferimento all’idealismo di Hegel. Infatti il filosofo tedesco spiega qualcosa che nel romanzo già abbiamo udito da Mabel. All’interno della singola coscienza degli esseri umani si manifesta “lo Spirito del mondo”, il quale costituisce il loro contenitore metafisico che li supporta. Esso è l’immagine dell’Assoluto, il quale è Dio: perciò ogni individuo viene raggiunto attraverso il “Weltgeist” dal divino. Molto hegeliane, e molto junghiane, altre parole di Mabel in questo colloquio a tre con il marito. «“Eh! Caro Signore, –  ricominciò Francis – il culto implica un senso del mistero, […] il piano fondamentale è magnifico, e, soprattutto, verace nel suo profondo significato. […] Un omaggio offerto alla vita nei suoi quattro aspetti. La Maternità, corrispondente al Natale della leggenda cristiana, è la festa della famiglia, dell’amore, della fedeltà... Poi viene la Vita stessa con i suoi fremiti giovanili a Primavera; la Solidarietà, nel cuore dell’Estate, esprime abbondanza, prosperità, ricchezza..., e corrisponde al Corpus Domini cattolico; infine la Paternità, che significa procreazione, difesa, padronanza... quando l’inverno si avvicina.” […] Mabel ad un tratto congiunse le mani, e disse con voce sommessa: “Io penso che questo è bello, e nel medesimo tempo, vero!”. Francis le rivolse gli occhi bruni infiammati. “Ah! Proprio così, Madama!... qui non ha luogo la cosiddetta fede, ma la visione di fatti, sui quali non può cader dubbio. E l’incenso palesa la vita come unica divinità, ed insieme il suo mistero”. “Di che materia sono fatte le statue?” – domandò Oliviero. “Una statua di pietra, per ora è impossibile; sarà provvisoriamente di argilla […].” Mabel osservò ancora con femminile gravità [with a soft gravity: un sottile ossimoro misogino]: “È proprio quello di cui sentivamo bisogno! È così difficile chiarire i nostri principi senza incorporarli in qualche cosa... Un’espressione ci vuole!... […] Non voglio dire […] che alcuni non possano vivere senza di questo, ma molti, certo, non possono. L’Ideale non si può esprimere se non mediante immagini concrete che servano come di veicolo alle aspirazioni umane...”». Nell’ultima affermazione di Mabel emerge una triplice funzione dell’arte: 1) mezzo di espressione dell’Assoluto (Hegel); 2) manifestazione simbolica di contenuti archetipici dell’inconscio collettivo (Jung); 3) sprone all’attuazione, nel reale fenomenico, di principi ideali, similmente all’ingresso delle idee artistiche (Simone Weil). Mabel è fantastica, rappresenta il più bel personaggio di “Lord of the World”. Il titolo dell’opera richiama una figura hegeliana della “Fenomenologia dello Spirito”. Ciò si rivela operato da Monsignor Benson, nell’ambito creativo della sua distopia, con la mira di polarizzare il termine dell’antagonista. Ripercorrendo la sezione pertinente dell’opera hegeliana citata, osserviamo come lo scrittore inglese proietti il cono antiutopico sullo «Spirito del Mondo», il quale assume una direzione appunto in un, a suo parere, nefasto “signore del mondo”. Costui è Julian Felsenburgh, l’emergente politico americano, primo artefice nel successo nei dialoghi internazionali miranti a evitare la guerra con la potenza orientale, divenuto a metà del romanzo Presidente dell’Europa. Adesso è il momento di chiarire la maniera in cui la figura hegeliana assuma nel racconto una coloritura cacoutopica. Hegel, nella “Fenomenologia dello Spirito”, ha appena spiegato l’importanza di essere cittadino-di-uno-Stato, stato che è per lui un Dio-in-terra. Il “signore del mondo” hegeliano, a guisa di un vampiro, ha assorbito la positività degli individui divenendo totalità rappresentativa della pluralità di singoli svuotati, i quali mantengono un valore solo se posti in relazione inter se. Questo insieme di interrelazioni si oppone al “signore del mondo” in modo disordinato. Tale irrequietezza è a sua volta assunta da quest’ultimo nel suo essere un condensato astraente di quello. Da ciò scaturisce un rapporto che può essere violento nei confronti dei cittadini (o sudditi) poiché la coscienza non assume una forma tutelante più ampia. Il “signore del mondo” si vede quale non plus ultra che può reprimere il disordine. Quest’ultimo opera nella dimensione del “privato”, fuori dello Stato. Al di là di questo ci può essere l’irrazionale. Giunti a questo punto capiamo che la discriminante, non soltanto nell’ambito del testo bensoniano, è l’uso della ragione. Benson è affetto da nevrosi, la quale gli impedisce di accogliere la visione di un mondo libero ed equilibrato. Il recente culto in “Lord of the World” porta con sé norme repressive razionali. Hanno l’obiettivo di far comprendere e educare, non di convertire a forza a vantaggio di formulazioni teologiche assurde. Se Mabel è paragonabile a Diotima, Benson è un Socrate sordo: non ascolta la sua “anima” junghiana (Mabel). Il personaggio della moglie di Oliver Brand è una proiezione letteraria della componente psichica sessuale complementare dell’Io bensoniano. L’“anima” fa parlare l’inconscio assoluto, il quale prospetta salutari equilibri archetipici. Ma lo scrittore inglese rimane vittima di un negativo complesso a tonalità affettiva (Iesus Christus), pregiudicante l’intera sua armonia psichica per via dello schiacciamento dell’Ego sull’asse (dove si trova la facoltà intuitiva) dell’irrazionalità (donde l’antipatia hegeliana e il conseguente richiamo dell’“anima”)2. Se la libido non viene maltrattata, non diviene carica energetica negativa di nevrosi. Mabel costituisce, in senso lato, il “sogno proibito” dello scrittore inglese. Sarà per questo che ha cercato di ucciderle il marito Oliver? Come al solito, in casi quale il nostro, ciò che ha l’abito del “femminile” diviene “porta del diavolo (diaboli ianua; Tertulliano)”. Nella nostra circostanza letteraria il “femminile” in aggiunta al ruolo della sessualità ricopre quello della “razionalità”. Tanto è l’eccesso nevrotico bensoniano che la sua anima junghiana si fa portavoce di un profondo e ampio messaggio di richiamo tramite la consorte di Oliver. Quando Benson in un significativo tratto del racconto illustra le tappe del processo meditativo, della riflessione interiore di Mabel, recatasi in un santuario, ripropone in una superba estrema sintesi il cammino della “Fenomenologia dello Spirito” hegeliana. Questo brano, confermante l’indubitabile grandezza del personaggio di Mabel, contiene altresì un ulteriore spunto weiliano nella sua parte iniziale, laddove si riecheggia il concetto espresso dalla corretta traduzione di Gv 1,9: Simone Weil ha fatto osservare che il Vangelo non sinottico dice, in detto passaggio, che ciascun essere umano dalla nascita porta dentro di sé un’illuminazione divina riflesso del Logos3. La seconda metà di “Lord of the World” prosegue tutte le premesse. Le ambigue indicazioni provenute ai fedeli dalla Chiesa assumono, volenti o nolenti, anche la veste di istigazione al fanatismo, alla violenza e al terrorismo. Non mi voglio spingere a sostenere che la consapevolezza di istigare sia deliberata e si traduca in una subliminale intenzione di comunicazione sottostante alla superficie semantica, tuttavia è indubbio che ci sono aree d’“ombra” nei discorsi papali, finestre aperte a possibilità di azioni irrazionali. Dopo aver riscaldato gli animi non ci si può nascondere dietro un dito; chi semina vento, raccoglie tempesta. La violenza attira una risposta violenta. Non dimentichiamo che un fallito attentato terroristico ha già avuto luogo prima delle istituzioni del “Nuovo Ordine del Cristo Crocifisso” e della novità in materia di culto pubblico. È il modo in cui viene creato il primo ad aggravare la situazione: la crociata contro lo Stato allarma i cittadini. Ancora le parole del Papa e quello che succede a Roma lasciano perplessi sulla bontà di direttive non chiare nel loro senso ultimo. Arresti di fanatici, atti di violenza e di uccisione da parte di un volgo imbestialito segnano questa fase. L’assenza di razionalità, le tentazioni dell’“ombra” junghiana colpiscono altresì una fetta della massa. E ciò non è un bene. Il rimedio a questo è l’hegeliano “signore del mondo”: Julian Felsenburgh. Di fronte a un popolo siffatto non v’è alternativa. La razionalità, la forza dell’ordine passano attraverso gli uomini, non calano esteriormente dal cielo. Se la sociologia e la psicologia raccomandano i buoni risultati in effetti prodotti dall’azione di Felsenburgh, pro bono pacis è un’esigenza storica adottare un “signore del mondo” tratteggiato da Hegel. Il disordine sociale, la morte non paiono preferibili. È chiaro che in un ambiente sociale progredito il “signore del mondo” non debba essere «Dominus et Deus noster – proprio come Domiziano», ma, ad esempio, come il Presidente nella V Repubblica francese, istituzione di uno Stato libero e laico nella patria dell’Illuminismo. Migliore si mostra il popolo, migliore sarà l’aspetto del “signore del mondo”; al cospetto di un saggio non c’è necessità di un mikado. Però se saggezza e conoscenza (filosofia) non impregnano la massa, accade quello che leggiamo in “Lord of the World”. I cittadini impauriti, con iniziativa irrazionale, fuori dello Stato, “privata”, fanno giustizia da sé, secondo modelli barbarici da respingere. Nel racconto questi effetti hanno una causa remota nel cui perimetro matura il peggio: la pianificazione di azioni terroristiche. Il 31 dicembre il Cardinale Franklin viene portato a conoscenza da un informatore occasionale che a Londra «i Cattolici hanno ordito una congiura con l’intenzione di far saltare, domani, l’Abbazia per mezzo di esplosivi». I progetti terroristici sono scoperti e sventati ancor prima della segnalazione di cui ha parlato nel racconto il Cardinale, e la reazione popolare è furiosa e incivile, nuove uccisioni di cattolici turbano la quiete e reclamano un freno. Di nuovo il manifestarsi dell’inaccettabile. La giustizia deve amministrarsi nelle aule di tribunali ispirati al diritto naturale. Un ragionamento particolare merita il bombardamento di Roma, quello che appare l’attacco militare a uno Stato istigatore del terrorismo di matrice religiosa. Anche qua debbo ammettere che il modo adottato nella risoluzione della questione non è il più bello. Mabel rimane sconvolta da quell’insieme di accadimenti svoltisi l’ultimo dell’anno. L’amorevole vicinanza del marito allontana in lei l’idea del suicidio e la persuade a un metro di giudizio più comprensivo in relazione a fatti spiacevoli e tragici. 30.000 vittime, fra cui il Papa e i cardinali, a Roma, cancellata come Cartagine. Questo evento letterario, da non imitare, colpirebbe la suscettibilità di molti, i quali, molto probabilmente, rimarrebbero indifferenti allo sgancio reale delle bombe atomiche sul Giappone nel 1945. Il che ci fa comprendere l’utilità della diffusione della conoscenza storica obiettiva su larga scala, al fine di creare negli esseri umani una sensibilità adeguata alla loro appartenenza all’umanità. Ci può essere strada prima di giungere a una extrema ratio. Poi è il caso di ricordare che il Dio biblico non sia molto evangelico nel momento in cui distrugge Sodoma e Gomorra, o quando eliminava i nemici d’Israele. Il che non vuol naturalmente rappresentare legittimazione dell’uso della violenza: un male non ne giustifica il compimento di un altro. Lecita è la “legittima difesa” dell’ordine costituito. Mabel passa attraverso simili e sofferte riflessioni. Grazie a lei comprendiamo parecchio di “Lord of the World”, tra cui il significato archetipico del “signore del mondo”. Julian Felsenburgh è rappresentazione di una “personalità mana” junghiana, dell’archetipo dell’uomo potente, il quale Jung definisce altresì “signore degli uomini e degli spiriti”, “amico di Dio”. Si tratta di un archetipo maschile di valore comunitario. In “Lord of the World” Monsignor Benson ha trasferito il mana da Gesù Cristo a Felsenburgh. Costui è perciò una figura che si rivela sovrumana, potente, quasi divina. Da ciò scaturiscono i termini in cui la descrive. Non sono arbitrari, esagerati: possiedono un puntuale significato psicologico di ascendenza junghiana nei riguardi di una massa considerabile primitiva. Ecco qui pure il “signore del mondo” hegeliano comparire in Felsenburgh visto dall’angolatura del “razionale” idealistico che diventa “maschile” archetipico in psicologia analitica. Un soggetto ritenuto primitivo si sottomette al portatore del mana. Quest’ultimo può pure recitare una parte sacerdotale, la qual cosa in realtà vediamo fare, fra l’altro, a Felsenburgh nel racconto bensoniano. Salvare dal disordine è una sua prerogativa. Jung rammenta che il consorzio umano è composto di unità bisognose di questa figura della “personalità mana” poiché l’umanità non si è evoluta dallo stadio di infantilismo: necessita di un simbolo rappresentante la forza dell’ordine nella società. Questo è Julian Felsenburgh, con i suoi connotati da semidio richiesti dal volgo. Mabel coglie suddetti aspetti delineati di un archetipo che l’inconscio impersonale sintetizza nella speranza che non vada verso la nevrosi (Iesus Christus), dove gli elementi di sintesi e di equilibrio si disgregano nella formazione di un complesso (cattivo maestro, archetipo negativo) il quale trascina l’Io alla volta dell’“ombra” junghiana e dell’irrazionalità. Una falsa verità può imporsi all’Ego, nella forma nevrotica della Parola di Dio, potenziale motore di violenza interiore ed esteriore. Tale gamma va dal masochismo al sadismo: non vedo altre spiegazioni all’autopunizione o al piacere malato di torturare, uccidere streghe, Ebrei, omosessuali, eretici, in nome di Gesù Cristo e della Parola di Dio. Questo è un regno della patologia psichica messo all’angolo dalla storia, dove rimane dormente. I crimini contro l’umanità di cui si è reso responsabile richiederebbero un “processo di Norimberga” più che il subitaneo bombardamento di Roma del romanzo. Ma Benson non può approvare l’idea di un giudizio razionale, storico e penale emanato da una corte umana – giudizio che lo metterebbe sotto scacco – e preferisce il martirio dei suoi. Neanche dopo può smascherarli, spiegando la ragione sostanziale di quella fine. Non gli resta che aggrapparsi alla nevrosi. Tutto ciò non vuol dire che ogni sentimento di fede sia nevrotico. Jung ha spiegato che l’umanità ha bisogno di favole, miti, religioni, dove i simboli archetipici entrano in scena. È importante per la salute mentale non seguire una favola malata, una favola nera, dove l’“ombra” junghiana dischiude la porta del peggio, dell’insensato, del negativo. Il racconto bensoniano continua con la segreta elezione a Sommo Pontefice del Cardinale Franklin (nel romanzo di Frederick Rolfe “Adriano VII”, del 1904, si trova l’elezione al soglio pontificio di un ignorato intellettuale inglese e riformatore). In “Lord of the World” la Chiesa è ormai un’organizzazione clandestina, simile alla Carboneria. Il testo però introduce un clima storico già vissuto: il Cristianesimo in epoca romana intorno al II sec. d.C. Intanto l’ascesa di Felsenburgh si completa: costui diviene Presidente del Mondo. Questo atteggiamento radicale conduce monsignor Benson a riprendere il modello apocalittico dello scontro finale (Armageddon). L’impianto distopico si avvia al suo ribaltamento attraverso l’ideale dell’Apocalisse. La radicalizzazione parallela dei campi narrativi attuata dallo scrittore inglese è repentina e poco gradita. E mi riferisco all’identificazione di teismo e Cristianesimo, relegante tra gli avversari un simmetrico totalitario ateismo. Abbiamo visto che l’hegelismo non permetteva ciò, mentre adesso la struttura ideologica antagonista è marxista. La moderazione, l’equilibrio precedenti sono scomparsi. Non condivido questa svolta letteraria, ma ne comprendo i motivi. Nel racconto un provvedimento ha stabilito che «tutti saranno interrogati se credano o no in Dio, e messi a morte se confesseranno di credere». Ripeto che l’equiparazione tra teismo e Cristianesimo è illecita: il primo ha estensione semantica superiore rispetto al secondo. Già qui notiamo il modo in cui tutto comincia a contorcersi. Rappresenta un passo verso l’Apocalisse, il più o meno figurato recinto di violento confronto tra reali razionalità e irrazionalità. Ma è lo scrittore inglese a contaminare con irrazionalità l’adozione di un provvedimento statale, così alterando pure la realtà storica romana dove ha preteso di ripararsi: la persecuzione dei Cristiani è lecita in quanto pericolosi sovversivi dell’ordine pubblico per mezzo di idee o atti (diritto penale), è illecito condannare a morte qualcuno prendendo a pretesto la semplice esclusiva base del teismo (inerente alla sfera del “privato”). L’autore ha spinto il racconto verso opposti eccessi radicali. Il che costituisce la dinamica di disgregazione di un archetipo, o l’inverso della sua elaborazione di sintesi mediatrice. Non stupisce dunque il disorientamento di Mabel di fronte agli ultimi sviluppi del romanzo. Questi sono introdotti dall’autore del libro al fine di creare delle particolari condizioni. Una è quella già vista in direzione dell’Apocalisse; l’altra è meno tangibile all’osservatore superficiale, ma non per questo non chiara. Essa, la medesima in un rapporto puntualizzato, indurrà Mabel al suicidio in un centro per l’eutanasia. Sottolineando che siamo in un ambito letterario, direi che è Monsignor Benson a uccidere la protagonista: egli vuole sbarazzarsi del continuo appello della sua anima junghiana. La norma cristianofoba agisce nel racconto al pari della peste manzoniana, è anch’essa assurda e illogica: allo scopo di eliminare un personaggio sgradito succede una catastrofe collettiva la quale ne provocherà la scomparsa. Lo scrittore inglese segue l’exemplum narrativo del cattolico Manzoni. In relazione alla morte di Mabel parlerei di simbolico femminicidio. Per quanto concerne la sospetta omosessualità di Robert Hugh Benson, sarei cauto senza prove concrete. In “Lord of the World” è indubbio ci sia qualche eco rolfiana, tuttavia non vedrei niente di più di una semplice simpatia intellettuale. La vicenda letteraria di Mabel testimonia un sentimento misogino, in cui però il teorico termine d’interesse sessuale rimane la donna. Il tentato omicidio del marito Oliver sarebbe parte di un meccanismo psicologico (inconscio?) dove la forma dell’eterosessualità non viene modificata. La coppia di coniugi rimane in piedi, perciò bisogna colpire lei. E al secondo tentativo l’Io bensoniano ci riesce. Abramo sacrifica il proprio figlio al suo Dio. L’Ego di Benson, presidiato dal complesso nevrotico (Gesù Cristo), impedisce l’allargamento del personale orizzonte psichico. La descrizione del trapasso di Mabel raffigura questa costellazione. Mabel vede un Io bensoniano che si è liberato di lei, e comprende chi l’ha uccisa e perché, mentre il complesso nevrotico alla fine si interpone. Monsignor Benson nella realtà non si è liberato dell’anima junghiana: il suo Ego si è illuso di farlo nel romanzo, consegnandosi nei fatti a un pericolosissimo complesso (Iesus Christus). La morte di Mabel non rappresenta un martirio cristiano, è bensì un suicidio (indotto) stoico. Le tangenze formali tra i due tipi non sono casuali: hanno una ragione nella comune, a Cristianesimo e Stoicismo, antica radice semitica. La lettera di addio di Mabel si rivela eloquente sotto molteplici profili. Ella non rinnega il razionalismo, non abbraccia la fede cristiana, non tradisce il marito. La sua morte letteraria appare forzata nel contesto narrativo del turbine finale. Mabel nel suo commiato coglie un paio di nevralgiche dicotomie della psicologia analitica (“sentimento/ragione”, “femminile/maschile”) di cui Benson dimostra di non capire il significato profondo4 poiché lima le parole della moglie di Oliver con la di lui misoginia. Lo scrittore inglese non ha la lucidità di dare un opportuno seguito all’estremo input della sua anima junghiana. È rimasto chiuso e appiattito a una dimensione nevrotica. La chiusura del romanzo dipinge l’Apocalisse, il confronto terminale tra distopia e utopia secondo lo scrittore inglese. Qui si trova il vertice pratico dell’intolleranza a una disomogenea signoria politica che non sia riflesso della tradizione monoteistica giudaicocristiana con le sue norme e i suoi dogmi. Monsignor Benson ricalca alla lettera Joseph de Maistre, il cui pensiero si misura in “Lord of the World” con Hegel e con Marx: la partita finale (Apocalisse) si gioca tra Medioevo e Illuminismo.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017)” dove si trova una disamina più articolata su “Lord of the World”

1 Si veda nel mio saggio intitolato “Mitopoiesi junghiana in Clive Staples Lewis (2017)” nella nota 10.

2 Ho delineato tale formazione nevrotica e la sua dinamica psicologica nella mia monografia menzionata nella nota 1.

3 A tal proposito si veda alle pagg. 3-4 nella mia monografia “Ermeneutica religiosa weiliana (2013)”.

4 Questo è argomento nella mia opera ricordata nella nota 1.