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martedì 12 settembre 2023

OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 1 di 4 (L’“APOLOGETICUM” E LA STORIA)

di DANILO CARUSO
 
Il testo che segue è un estratto del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano” pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook), disponibile per intero online qua (possibile il download):
Nel blog è stato ripresentato in quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in calce.
 
 
 
Vive la sentenza divina sopra questo sesso [femminile] in quest’epoca [post Christum natum]: è necessario che viva pure il reato. Tu sei la porta del Diavolo; tu sei colei che ha dissigillato quell’albero [della conoscenza del bene e del male]; tu sei colei che ha trascurato per prima la legge di Dio; sei stata tu a persuadere chi il Diavolo non ebbe capacità di adescare: tu sei colei che ha distrutto con leggerezza l’imago Dei, l’uomo; a causa del tuo premio, cioè la morte, anche al Figlio di Dio toccò morire: e a te passa in testa di abbellire il tuo nudo corpo [pellicea tunica]?
 
Quinto Settimio Florente Tertulliano, “De cultu feminarum”
 
 
 
Se tu guardi per troppo tempo in un abisso, pure l’abisso ti guarda dentro.
 
Friedrich Nietzsche, “Al di là del bene e del male”
 
 
 
Quinto Settimio Florente Tertulliano era originario di Cartagine, dove nacque intorno a metà del secolo II. Secolo alla cui fine si convertì al Cristianesimo. Nella sua vita fu un avvocato, e divenuto cristiano ricevette poi anche l’ordinazione sacerdotale. È noto per essere stato un integralista religioso e uno dei primissimi autori apologeti del Cristianesimo dell’area imperiale latino-occidentale. All’inizio del III sec. si avvicinò al montanismo, passato alla storia quale rigoristica eresia (dichiarata tale nel 202 dal Papa) richiedente la disponibilità al martirio, al digiuno, alla castità, alla penitenza. E verso il 207 uscì fuori della Chiesa ufficiale in polemica antiedonistica e negandole inoltre il potere di rimettere i peccati dei fedeli. Morì in età imprecisata, ma avanzata. L’“Apologeticum” (risalente alla fine del II sec.) viene considerata la sua opera principale. Tertulliano lamenta che, a suo dire, i cristiani siano perseguitati dalla giustizia romana senza un valido motivo e che per giunta siano vittime di pregiudizi e calunnie. L’opinione pubblica li riteneva adoratori di un Dio avente testa asinina, responsabili dell’uccisione di bambini nei loro riti duranti i quali ne consumavano poi le carni e compivano atti sessuali. Ho valutato con molta attenzione simili dettagli. E a proposito del primo, la testa d’asino, sono dell’orientamento che almeno alcuni dei primi cristiani potessero veramente destinarvi la loro attenzione di culto. In altro mio studio ho evidenziato la radice dionisiaca nella costruzione evangelica della figura di Gesù Cristo1: l’asino è un simbolo collegato a Dioniso. Dalla molto probabile per me verità di questa prima parte, ricavo l’ipotesi di verità della seconda parte di dettagli, anche sulla base di ulteriori osservazioni in aggiunta alla loro attendibilità di forma (cioè non credo che i pagani mentissero sui fatti indicati). Non giudico impossibile l’infanticidio rituale e il cannibalismo derivato perché mi appaiono una liturgia protoeucaristica: nel mito greco dionisiaco i Titani mangiarono le carni del Dio, nel rito cristiano il parallelismo è poggiato sulle note parole di Gesù all’ultima cena dove istituì l’eucaristia. È, secondo me, altamente possibile (dal momento in cui la cosa è stata segnalata dai pagani) che almeno alcuni cristiani delle origini potessero aver interpretato la loro nuova religiosità in una direzione cruenta e cannibalesca in un macabro ossequio a una teologia non ancora precisata in chiari accettabili riti al pubblico. Questa propensione all’irrazionalità troverebbe una dionisiaca celebrazione rinnovata nella pratica di atti sessuali rituali. Sappiamo che un’ala dello gnosticismo era molto permissivista nei confronti delle pulsioni sessuali: niente di strano che nel calderone del primo Cristianesimo idee che poi saranno più specificatamente gnostiche trovassero una loro applicazione presso gli ambienti propriamente definiti “cristiani”. In ogni caso le scene offerte da invasati kamikaze cristiani disposti al martirio, idest a farsi condannare a morte in quanto eversori dell’ordine costituito, per motivi giudicabili poco sensati, non deponeva a favore di un giudizio positivo sugli estremisti del caso. I cristiani, a cui danno Tertulliano lamenta condanne e torture, venivano condannati in primis a causa del loro monoteismo, il quale li portava a rifiutare qualsiasi altra forma di ossequio di natura religiosa. Il crimen maiestatis comportava la pena capitale. Ma i cristiani non erano disposti ad accettare la divinizzazione possibile dell’imperatore a scapito del Dio neotestamentario (sulla falsariga ebraica col “Tanak”). Loro reputavano diavoli gli Dei del politeismo pagano. Tale demonizzazione della religiosità altrui rappresentava un atto estremistico che gettava fango sopra le civiltà egizia, greca e romana. Costituiva nelle intenzioni e nei fatti uno sprone a un sovvertimento radicale e globale. Io credo che la repressione romana dei cristiani originari sia stata un fenomeno storico ingigantito e distorto dall’apologetica del Cristianesimo, a partire proprio da Tertulliano (a cui non mancavano abilità intellettuali manipolatorie). Dobbiamo considerare qui due aspetti: perché i Romani respingevano i cristiani, e che cosa sia dunque obiettivamente successo in seguito alla motivazione repressiva. Come detto poc’anzi al governo imperiale di Roma non interessava intromettersi nella privatezza religiosa, bensì tutelare l’ordine costituito. L’incendio della capitale dell’Impero di era neroniana, a mio modesto avviso, potrebbe anche essere stato il frutto di un attentato terroristico a opera di messianisti ebrei (da non confondersi coi cristiani). Nel Vicino Oriente girava l’idea che il dominio romano non sarebbe scomparso se prima Roma non fosse stata distrutta. Perciò non mi pare assurdo ipotizzare l’attentato compiuto da estremisti ebraici rivoluzionari. I rapporti fra Giudei e Romani furono tesi per via dell’enoteismo ebreo che impediva atti religiosi al di fuori della propria stretta liceità. Culti pagani obbligatori rivolti a tutti i sudditi dell’Impero portarono i Cristiani sulle note posizioni di chiusura manifestate dal Giudaismo. Tertulliano nell’“Adversus Iudaeos” rammenta l’antipatia del Cristianesimo nei confronti di Roma pagana centro del potere politico: «Babylon apud Iohannem nostrum Romae urbis figura est […] sanctorum debellatricis». I Romani pagani tenevano in simili circostanze in considerazione l’atto di insubordinazione pubblica, non si interessavano dei contenuti teologici altrui. Giuridicamente il reato cristiano pesava quanto quello possibile dei Giudei. Quindi ritengo di poter concludere che il trattamento riservato ai mono(eno)teisti integralisti fosse analogo. Però il Cristianesimo si è lamentato solo dei propri disagi in quell’operazione di propagandistica imposizione religiosa di un Dio unico. I cristiani non hanno segnalato la parallela difficoltà, dal canto loro, degli Ebrei. I quali anzi da subito, con spregevole intenzione antisemita e con spirito illiberale, mirarono ad annientare come soggetti religiosi. Tale malaugurato proposito si evolverà in persecuzioni e ghettizzazioni a scapito del popolo giudaico sino all’irrazionalistico antisemitismo nazista protagonista di altri consequenziali deprecabili e gravissimi crimini contro l’umanità. L’assenza di una giusta visione cristiana dell’intero, quindi di una visione obiettiva e non propagandistica e non tendenziosa, già da Tertulliano, mi porta a reputare ingigantita e distorta l’occasionale operazione romana contro i cristiani. Tale vocazione apologetica vittimistica toccherà il vertice molto dopo con “Quo vadis” di Henrik Sienkiewicz. Non nego che le forze dell’ordine imperiali condannassero a morte dei cristiani in quanto equiparati a sovversivi, giudicati potenzialmente pericolosi, messianisti ebrei indipendentisti. Gli intellettuali apologeti cristiani furono lasciati molto liberi nel II-III sec. di produrre e diffondere le loro opere. Ora, se veramente ci fosse stata una intenzione di Roma di reprimere la nuova religione il sistema pagano avrebbe preso sistematicamente di mira e di continuo scrittori e predicatori, mentre questi rimasero in realtà quasi sempre liberi. Se ci furono morti e martiri fra cristiani e messianisti giudei, in quanto sovversivi (cioè irrispettosi della comune legalità costituita). A un secolo da Tertulliano il Cristianesimo ottenne con Costantino l’immunità penale per i suoi adepti. Il tragico vittimismo di Sienkiewicz e Tertulliano, improntato, ad arte, come uno scontro tra le forze del bene e quelle del Male, avrebbe storicamente preluso a una guerra civile tra pagani e cristiani, la quale non c’è stata. A testimonianza del fatto che Roma lasciava ampia libertà religiosa sino al punto di farsi condizionare, in peggio, in direzione religiosa totalitaria e antisemita, dal Cristianesimo. Se questo fosse stato quel mostro reprimendo dipinto negli occhi del governo pagano romano da Tertulliano, non se lo sarebbero messo di certo dentro casa con l’editto di tolleranza, per poi addirittura con Teodosio in meno di un secolo proclamarlo padrone di casa. A me la storiografia apologetica del primo Cristianesimo non quadra. Nessun leone s’è mangiato Tertulliano, estremista apologeta cristiano. La nuova religione si poteva estirpare colpendo le radici, non i frutti. I Romani lo sapevano benissimo, tuttavia non lo fecero. Tertulliano mente nell’accusarli di odio religioso. Il mito nero di Nerone è stato giustamente corretto dalla storiografia contemporanea. Mi pare il caso di riesaminare altresì il mito bianco delle persecuzioni cristiane precostantiniane. Rivediamo dunque il quadro storico inerente al confronto fra Romani da un lato, ed Ebraismo e Cristianesimo dall’altro, dall’origine di questo secondo all’Editto di Costantino, rammentando che i primi non riuscirono a cogliere subito ab ovo la distinzione fra vecchi Giudei e nuovi cristiani. Roma fra il 66 e il 135 combatté ben tre Guerre giudaiche al fine di mantenere il controllo politico della Palestina ebraica. Nel 66-70 (due anni dopo il grande incendio dell’Urbe) i Romani sedarono la prima insurrezione giudaica, la quale ebbe come conseguenze la distruzione del Secondo Tempio ebraico risalente al VI sec a.C. (a cui non ne seguì un terzo) e una rinnovata forzata dispersione di quasi centomila Ebrei palestinesi schiavizzati. Durante il principato (69-96) del filotradizionalista Domiziano i giudeocristiani furono ritenuti un problema serio, e costui con lo scopo di liberarne la capitale dell’Impero li sottopose a una tassa ad hoc. Nel 93 Domiziano, temendo la diffusione di un’atmosfera culturale troppo permeata da ascendenze ellenistiche, aveva bandito i filosofi da Roma. Nel 115-117 i Romani furono in guerra contro i Parti, e gli Ebrei sostennero i secondi nel corso della Seconda Guerra giudaica. Il posteriore regolamento dei conti coi Giudei, mostratisi di nuovo gravemente ostili a Roma, segnò la fine di Gerusalemme ebraica, la quale lasciò il suo spazio a un centro urbano coloniale romano denominato Aelia Capitolina (la città già privata del suo tempio al Dio giudeo vide l’erezione di uno dedicato a Giove). L’insurrezione (132-135) che scaturì nella veste di risposta a questo proposito punitivo, la Terza Guerra giudaica, fallì, e la Iudaea, pienamente romana dal 6, finì nella nuova provincia imperiale denominata Syria Palaestina. Queste le tappe storiche salienti ab Christi religionis origine ad Tertullianum: in questo primo secolo e mezzo di vita del Cristianesimo è andata molto male per gli indipendentisti ebrei, e i cristiani appaiono molto marginali a dispetto delle loro devianze. L’“Apologeticum” tertullianeo fu persino offerto a Settimio Severo, princeps, come parecchi altri, tollerante verso la nuova religio. Tuttavia, nonostante una tendenziale indulgenza, Settimio Severo nel 202 sentì l’esigenza di proibire formalmente, senza contorni persecutori, nuove adesioni e propaganda ebraica e cristiana. Anche post Tertullianum ad Constantinum le cose non andarono poi così male per i cristiani, rimasti liberi per vasti tratti nel successivo periodo di un secolo, dove le persecuzioni furono molto circoscritte nel tempo. Sotto il filosenatorio e reazionario imperatore Decio (249-251) i cristiani furono oggetto di una repressione volta all’acquisizione dei cospicui beni dei loro ceti arricchiti (altro che povertà evangelica, è già iniziata una weberiana accumulazione!). Fu introdotto un libellum di adeguatezza sociale grazie a cui si potevano evitare possibili sequestri di beni, carcerazioni e torture. A ciascun titolare di famiglia bastava dimostrare di essere pagano per poter continuare a vivere tranquillamente: in fin dei conti solo chi aveva una fede-nevrosi irremovibile andava incontro al peggio. La brevissima azione repressiva di Decio, animata da bassi spregevoli interessi di ricchezza, produsse vittime eccellenti e martiri fra i cristiani. In un Impero sempre più avviato alla decadenza spirituale, nel 257-258 due provvedimenti dell’imperatore Licinio Valeriano obbligavano i cristiani, pena la morte nel caso di sacerdoti, a osservare il culto pagano prestabilito, e interdicevano alle loro aggregazioni la possibilità di proprietà (le quali furono pertanto sequestrate). Anche qui morivano solo quelli che pur avendo a disposizione l’opzione di salvezza (una prospettiva pacificamente accettabile quella di tornare al Paganesimo) sceglievano deliberatamente di farsi ammazzare per una favola nevrotizzante. Alla vigilia dello sdoganamento cristiano costantiniano giunse l’unica, estrema, vera persecuzione a scapito del Cristianesimo (accompagnato dal Manicheismo in questa molto tragica temporalmente circoscritta esperienza). Diocleziano nel 297 e nel 303 dichiarò fuorilegge i manichei e i cristiani: furono colpiti beni e persone, la libertà e le opere letterarie, in deprecabile stile nazista. Costui abdicò nel 305 e si lasciò dietro le sue spalle quell’orrendo periodo. L’editto di tolleranza del 313 chiuse il primo tempo a definitivo vantaggio dei cristiani. La resistenza pagana contro il Cristianesimo risultò piegata nonostante l’inaccettabile uso dioclezianeo della violenza estrema, in tutti i sensi. Il venturo teodosiano editto sulla religione, nel secondo tempo, che sovvertì l’ordine civile avito pluralista dell’Impero, proclamando la religione cristiana unica di Stato, rappresentò il coronamento di un sogno e di un disegno politici integralisti cristiani. È difficile negare, a mio modesto avviso, che l’Editto di Teodosio del 380 costituisca da un canto un colpo di mano estraneo all’antica mentalità grecoromana, e che dall’altro esso rappresenti il profondo realizzato desiderio dell’“Apologeticum” di Tertulliano. Il Cristianesimo tertullianeo mira de facto a sovvertire l’ordine pubblico costituito della società romana e delle libertà religiose. Ambisce a imporre a tutti il culto di un Dio unico (in parole povere il sogno di Akenaton): la nuova religione non possiede uno spirito aperto alla libera e varia coabitazione religiosa. Tertulliano è un fautore della renitenza alla leva romana. È un sincero pensatore idealista, a modo suo, non violento, oppure il suo recondito piano è quello di indebolire le forze dell’ordine? Chi era renitente era passibile di pena di morte. Inoltre l’autore dell’“Apologeticum” propugnava l’astensione dai pubblici uffici che erano inseriti in un quadro di forme pagane: culti obbligatori e possibilità della somministrazione della pena capitale non gli piacevano affatto. Un impiegato statale dunque non poteva diventare cristiano rimanendo tale. Il Cristianesimo prese i suoi proseliti allora in larga parte tra le categorie sociali più precarie, pescò abbondantemente nel proletariato ignorante. Ecco spiegata la ragione del suo successo popolare. Chi non aveva niente da perdere scelse questa distopica religione che prometteva un risanamento. La base popolare incolta del Cristianesimo fu la forza di un impazzimento religioso che segnerà l’Europa sino al Barocco. Tertulliano rifiuta una possibile conciliazione con la filosofia greca antica. Purtroppo per lui il Cristianesimo è sorto proprio da radici ebraico-alessandrine e stoiche2, di cui egli non coglie razionalmente né la cornice né il contenuto. E dunque si abbandona in una preoccupante chiusura irrazionalistica, la quale fu d’esempio alla postulazione di qualsiasi illogico e ascientifico dogma cristiano. Il pensiero nevrotico di questo scrittore romano-latino rappresenta un’espressione della crisi spirituale occidentale post-ellenistica, nella quale ebbe il suo triste successo l’impazzimento religioso diffuso che chiuse all’Occidente le porte della razionalità, seppellì le antichità egizia, greca e romana, e aprì il baratro medievale. Ai nostri tempi si studia ancora il diritto romano per diventare magistrati, non teologia dogmatica. Tertulliano elogia l’ignoranza, disprezza gli studi filosofici, idealizza l’essere umano guidato dal cuore. C’è qui dell’irrazionalismo pascaliano3. Accogliere i dogmi e i principi del Cristianesimo sulla base di un “credo quia absurdum” non soltanto costituisce l’elevatissimo tasso di irrazionalità del pensato tertullianeo, ma tocca anche l’orwelliano. Tertulliano, al pari di O’Brien, è uno che ci spiega che 2+2 può fare 3,4, o 5 a seconda delle circostanze. L’anima di cui tratta lui, la quale dovrebbe cogliere le verità di fede per semplice intuizione diretta (ragioni del cuore disomogenee rispetto a quelle avanzate dai filosofi) sarebbe naturaliter christiana, vale a dire, ante litteram, naturaliter orwelliana4. Il pacifismo tertullianeo, ritenuto evangelico, mentre Gesù stesso aveva proclamato in sue clamorose parole di essere venuto a portare non pace (ειρήνη) ma spada e divisione (μάχαιρα, διχάζω), appare surreale giacché svuota lo Stato dei suoi servitori e funzionari. Il Cristianesimo originario aveva fatto della nonviolenza una bandiera ideologica contraddittoria. È stato un calcolo forzato davanti a un avversario militarmente superiore? A guardare la storia post-costantiniana la domanda non sembra così insensata. Dal vittimismo esagerato e dalle intorbidite, nel mio punto di vista, “persecuzioni religiose anticristiane” si è passati subito, senza tanti tentennamenti, alle persecuzioni di tutti i nemici del Cristianesimo. Ma questa così decantata nonviolenza era perciò uno specchietto per le allodole romane pagane5? Perché con i cristiani dentro le stanze del potere politico, di loro nonviolenza se n’è vista pochina per parecchi secoli. La schiavitù e le discriminazioni di donne e omosessuali, a quanto si è visto, non rappresentavano per i cristiani pre- e post-costantiniani forme di violenza. E così durò a lungo. Strano questo concetto tertullianeo di nonviolenza, che nuoceva all’ordine costituito pagano… Tertulliano elogiò la vocazione al martirio, una sorta di impazzimento avanzato del suicidio stoico. Questo patologico invogliare a uscire patologicamente fuori di testa costituisce qualcosa che ho rilevato nella cultura cristiana pure nell’erasmiano “Elogio della follia”5. Per quanto concerne la teologia, Tertulliano fu un sostenitore dei dogmi della Trinità divina e della doppia natura, umana e divina, del Cristo, nonché della resurrezione dei corpi umani. Rappresentò un avversario del pensiero gnostico. Come si vede è stato un teologo molto importante nell’imbeccare verso posizioni poi divenute salde. Il fatto di essere stato un fuoruscito montanista gli fece sfuggire la qualifica di Padre della Chiesa per via di alcune sue credenze lontane dall’ortodossia cattolica. Comunque, ciò non gli ha alienato simpatie per il suo spirito apologetico e apprezzamenti per il suo “Apologeticum”, un’opera la quale a me sembra invece una favolona propagandistica condita di distorsioni storiche e di esagerata aria fritta teologica, un prodotto non a caso di un tecnico della retorica e del diritto mirante nella sostanza a sdoganare posizioni estremistiche. In tutta sincerità non trovo inappropriato accostare l’“Apologeticum” tertullianeo alla forma del “Mein kampf” di Adolf Hitler: potremmo invertire i titoli e non cambierebbero i sensi dei rispettivi testi. Il prosieguo della mia analisi vuol mettere ulteriormente in luce altri aspetti oscuri e oscurantisti della proposta cristiana tertullianea, di cui il suo testo apologetico costituisce premessa propagandistica. Cioè voglio far notare che cosa il suo esaltato Cristianesimo auspicava di portare e attuare. E lo farò attraverso opere di Tertulliano scritte come l’“Apologeticum” nel suo periodo cattolico premontanista, per prevenire osservazioni che tirassero in ballo influenze ereticali. Al periodo montanista appartiene il “De corona”, con il suo orwelliano pacifismo. Gli altri scritti che appresso esaminerò sono “cattolici” e non “montanisti”.
 
Continua qui
 
 
NOTE
 
1 Gesù stoico e dionisiaco nel mio saggio Partita a scacchi (2022).
 
2 Per approfondimento indico dei miei lavori: Dall’inno stoico a Zeus di Cleante alla fondazione del Cristianesimo dentro la mia pubblicazione Prospettive rinnovate (2023); quello segnalato della nota precedente; La “lettre a un religieux” all’interno della mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013).
[seconda parte di questo testo su internet]
 
3 A volte la Storia offre strani ricorsi vichiani. Uno di questi riguarda Tertulliano con la sua inclinazione verso il montanismo riproposto in veste adattata a tempi diversi nel Pascal condizionato dal giansenismo. A chi volesse approfondire il paragone suggerisco di leggere questo mio studio: Pascal e le ragioni del cuore nella mia opera Letture critiche (2019).
 
4 A questo concetto ho dedicato attenzione nella mia monografia Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
 
5 Da non trascurare il caso evangelico di Pietro armato e del giovinetto γυμνóς (nudo, o disarmato?) al Getsemani con Gesù, questione che ho affrontato nella mia pubblicazione Radici occidentali (2021) nel segmento intitolato Un inquietante brano neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo nudismo.
 
6 A quest’opera ho destinato una mia analisi: Il machiavellico disegno della “follia” erasmiana contenuto nel saggio di nota 3.

OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 2 di 4 (LA MISOGINIA DEL “DE CULTU FEMINARUM”)

di DANILO CARUSO
 
Il testo che segue è un estratto del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano” pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook), disponibile per intero online qua (possibile il download):
Nel blog è stato ripresentato in quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in calce.
Prosegue da qui 

 
Tertulliano esordisce nel “De cultu feminarum” spiegando alle donne cui si rivolge che la venuta del Messia Gesù Cristo ha portato a queste la coscienza della loro colpa edenica (feminae condicio), colpa trasmessasi senza scampo all’intero genere femminile, vale a dire di quod de Eva trahit, ignominia primi delicti. A seguito di tale consapevolezza della portata del peccato originale, che l’autore latino carica teologicamente e antropologicamente soltanto sulle donne, costoro dovrebbero, per così dire, vestirsi a lutto, allo scopo di mostrare ravvedimento, rammarico, dispiacere per il loro essere causa di siffatta grande colpa, la quale per loro è rimasta ontologica negativa prerogativa. Tertulliano rammenta a sostegno delle sue idee Gn 3,16. Ma ignorava che la comune voltura dall’ebraico, voltura giuntaci sino a oggi, potrebbe essere sbagliata. Ad hoc riporto un mio brano di spiegazione da un precedente mio saggio7 (piuttosto che farne una inutile parafrasi).
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Nel procedere del mio esame si rivela utilissimo ritrovare l’impulso sessuale menzionato in Gn 3,16: «… ve-el-iyshe-k teshuqate-k ve-hu ymshal-ba-k»; «… e verso l’uomo di te [sarà] l’impulso di te e lui ? ? te». Ho lasciato per il momento la mia traduzione parziale giacché voglio far vedere come quelle comuni mi appaiano inadeguate in relazione alla lettera. Osserviamo innanzitutto l’analisi grammaticale degli ultimi tre elementi del versetto legati fra di loro in singola parola: a) verbo qal imperfetto, 3a persona singolare; b) preposizione “be”: in, sopra (complemento di luogo), con (complemento di unione-compagnia), per mezzo di (complemento di mezzo-strumento); c) pronome suffisso, 2a persona femminile singolare. Dove sta il problema? Il verbo usato non è unico, ha un gemello di significato altro. I traduttori fra i due optano a vantaggio di quello avente significato: governare, reggere; dominare; vincere. A mio avviso non esistono i presupposti per appesantire il versetto in direzione cristiano-patristica e tradurre con toni simili: «egli ti dominerà». Non ne vedo la fondatezza grammaticale, né quella logica nel discorso in cui si inserisce Gn 3,16. Valutiamo l’aspetto grammaticale: il pronome femminile suffisso non è un complemento oggetto poiché retto dalla preposizione “be”, quindi la donna non subisce l’azione espressa dal verbo. La preposizione esprime l’idea di un “concorso nell’azione” cui non si addice il verbo di 1). Il verbo clone significa 2) assomigliare, parlare in parabola. Sulla base dei miei passati lavori, tenendo anche conto che in Gn 3,16 si tratta della gestazione e del parto, ritengo che il verbo corretto da usare nella traduzione sia “assomigliare”. L’idea di “somiglianza” in “Genesi” apparirà più chiara leggendo il versetto 1,26: «Adam causava una nascita grazie alla similarità di lui [ossia Eva], a somiglianza della sua immagine [la tselem androgina]». Ho approfondito il discorso in un mio precedente studio, qua ricordo semplicemente che «per mezzo della somiglianza» premette il procreare esseri umani sessualmente specificati e non androgini. Pertanto allorché traduco alla lettera «e lui assomiglierà grazie a te» il significato è: «lui avrà figli/progenie [“somiglianti”: maschi e/o femmine] grazie al tuo concorso [nel congresso carnale]». Non mi sembra il caso di mettere misoginia laddove i concetti non la tirano in ballo in modo esplicito. La Bibbia è un libro misogino, tuttavia Gn 3,16 non è strutturato come Ct 7,11, anzi là l’impulso sessuale viene indicato quale uguale e speculare nell’attrazione a quello di qui.
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Voglio citare un piccolo brano dell’apertura del “De cultu feminarum” poiché costituisce l’indice dell’aberrazione misogina dell’intero Cristianesimo premoderno. Riporto il segmento (la mia traduzione nell’esergo): «Vivit sententia Dei super sexum istum in hoc saeculo: vivat et reatus necesse est. Tu es diaboli ianua; tu es arboris illius resignatrix; tu es divinae legis prima desertrix; tu es quae eum suasisti, quem diabolus aggredi non valuit; tu imaginem Dei, hominem, tam facile elisisti; propter tuum meritum, id est mortem, etiam filius Dei mori habuit: et adornari tibi in mente est super pelliceas tuas tunicas?». Simile patrimonio di caustiche idee misogine ha rappresentato una delle distopiche novità del Cristianesimo sin da subito. Siamo nel III sec. e questo ferocissimo antifemminismo non appartiene solo a Tertulliano, costituisce l’atteggiamento standard della nuova religione nei confronti delle donne. Esisteva sì già una misoginia greca e romana, ma era più moderata e isolati gli estremismi8. Queste sconcertanti e aberranti parole tertullianee, che non erano all’ordine del giorno nella società grecoromana, turbano ancora oggi giacché sappiamo che tale irrazionalistica e nevrotica misoginia si salderà appunto nel pensiero teologico cristiano a venire, portando con sé oltre alla produzione letteraria e artistica di ispirazione religiosa antifemminista il crimine contro l’umanità rappresentato dalla caccia alle streghe. Quelle torture e quelle uccisioni in epoche in cui i livelli di popolazione erano molto più bassi rispetto a oggi, sebbene numericamente possano dare l’erronea impressione di essere stati “pochi casi”, in termini di percentuale (i quali non ho visto evocati) non lo sono affatto. minimizzare e cercare di nascondere la portata di fenomeni storici con espedienti alla fine inefficaci non giova all’accertamento della verità, dell’ampiezza e delle cause. In genere il Cristianesimo moderno, quello addociltosi sempre meglio dopo l’urto con l’Illuminismo, non ama la profonda e puntuale autocritica, e preferisce l’oblio orwelliano e la diluizione nell’ignoranza della massa delle proprie responsabilità storiche. A mio avviso si rivela importante rileggere un pensatore psicopatico quale Tertulliano perché i suoi difetti transiteranno in toto nella nascente teologia cattolica. Di lì a poco si metterà mano a sadica violenza, da quando il Cristianesimo diverrà religione unica imperiale romana. Dall’era agostiniana inizieranno i “legali” roghi di omosessuali, e di quel tempo è il cruento “illegale (ancora)” femminicidio di Ipazia di Alessandria. La visione distopica tertullianea costituisce un simbolo di radici cristiane e crea quel raccordo fra atteggiamenti di intolleranza precristiani e presenti nel mondo pagano grecoromano e in quello giudaico, alla volta di un pensiero unificato e unico post-teodosiano, il quale ha il suo campione in Agostino d’Ippona9. L’autore del “De cultu feminarum”, proseguendo il suo discorso, chiarisce che l’introduzione di deprecabili monili femminili deriva da un portato degli angeli ribelli cacciati in origine dal cielo, angeli poi qualificati “diavoli”, i quali si unirono a donne terrestri. A questi diavoli lui fa risalire gli «herbarum ingenia», le «vires incantationum». Cioè Tertulliano viveva in un mondo fantasy distopico, come meglio puntualizza sostenendo che «peculiariter feminis instrumentum istud muliebris gloriae» essere un dono diabolico. Rimango senza parole di fronte a simili asserzioni, le quali hanno gettato le basi, essendo state ben assorbite dalle radici cristiane, della persecuzione delle streghe. Già Tertulliano sta inquadrando abilità curative femminili graze a prodotti naturali come una forma di stregoneria: è semplicemente assurda una cosa del genere, e non si può trascurare il fatto che tale plurisecolare tragica misoginia sia fra le novità del Cristianesimo. Se qualcuno pensa che quello premoderno sia stato uno spirito religioso cristiano mal capito e quindi mal praticato di conseguenza, a mio modestissimo sentire, e vedere, si sta sbagliando: è lui che capisce male o ignora. Lo studio, serio e approfondito, scevro di pregiudiziali, dimostra che il Cristianesimo, prima della sua metamorfosi, è stato perlopiù una favola nera dalle sue origini. Io perlomeno riscontro che è nato così. Un altrui giudizio storiografico che postulasse errori alla luce di una più avanzata sensibilità non lo reputo sostenibile. I Padri della Chiesa dalla loro ottica di fondazione non sbagliavano: erano antifemministi, omofobi, antisemiti, intolleranti, per convinzione e fede. Per quanto li riguardava, costruirono convintamente una nuova religione con quei requisiti, ritenendo che la loro distopica morale fosse buona e giusta. la Storia ha fatto evolvere, però molto tardi, quel Cristianesimo divenuto dominante in Occidente con metodi illiberali. Io vedo e valuto la storia cristiana a questo modo, basandomi con obiettività sugli eventi e sui prodotti culturali in maniera contestuale: le cose sono state quel che sono state. Girarci attorno danzando non le cambia. Personale potrà essere il mio giudizio storiografico, tuttavia non mi giudico persona estranea all’umanità, e quindi, giacché in morale sono kantiano, miro all’universalità di metro, e perciò alla ponderatezza delle mie valutazioni, le quali ambiscono alla razionale ampia accettazione. Il “De cultu feminarum” affronta fra i suoi temi quello della lussuriosa accoppiata donne e diavoli quale motivo di enorme contrarietà da parte di Dio. L’autore del testo dunque passa a parlarci di abbigliamento femminile e di estetica (stricto sensu quest’ultima): cultus e ornatus. E ci propone un privo di moderno tatto gioco di parole “mundus/immundus”, “eleganza/lordura”: «Habitus feminae duplicem speciem circumfert, cultum et ornatum. Cultum dicimus quem mundum muliebrem vocant, ornatum quem immundum muliebrem convenit dici». Immediatamente dopo queste parole puntualizza che la cura femminile dell’abbigliamento e dell’abbellimento rappresenta per lui un crimen (usa un termine giuridico molto pesante), un “motivo d’accusa / delitto”, connesso all’ostentazione e alla prostituzione: «Alteri ambitionis crimen intendimus, alteri prostitutionis». Tertulliano spiega alle donne che «scilicet humilitatis et castitatis». Egli condanna il valore assegnato a oro, argento e pietre preziose. E qua sono d’accordo con lui: pure nell’altrui più ottenebrata follia si può trovare qualche spunto corretto. Personalmente non sono mai stato amante di ferraglie varie, però ognuno rimane ovviamente per me libero di indossare quello che gli piace e vuole (io, nel caso delle donne, apprezzo comunque gli orecchini di varia foggia, meno le collane, le mani plurianellate e artigliate da unghia finte, e i bracciali). In ogni caso, de gustibus non est disputandum, e Tertulliano lo fa, violando la libertà personale, e per giunta su cose irrilevanti che la sua religione fa diventare importantissime. A lui non interessa l’uso della ricchezza per destinazioni inutili (il che rappresenta il perno del mio punto di vista), a lui interessa colpire il genere femminile mediante idee illiberali e assurde di marca misogina, per lui neanche una donna sobriamente ornata andrebbe bene (come io suggerirei quale opzione normalmente gradita e gradevole erga omnes). Tertulliano condanna tutte le donne curate e ricercate, da quelle equilibrate a quelle esagerate (le quali ultime, ribadisco, rimangono per me liberissime). Nessuno può criticare abbigliamento e ornamento altrui, di donne e uomini, al di là di un ragionevole fondato motivo, stabilito da un sano dettato legislativo. Può tutt’al più esprimere un semplice giudizio personale di gusto extra legem nel rispetto sempre della persona, sulla mia falsariga, e dire ciò che piace e ciò che no, e la cosa finisce lì. Tertulliano, che aveva smesso di indossare la toga romana a beneficio del tipico pallio greco dei filosofi, si spinge invece molto oltre, è un estremista religioso le cui idee rimarranno inapplicabili al 100% del genere femminile. La misoginia di Tertulliano si rivela essere quella di fondo del Cristianesimo. Quest’ultimo non ha avuto il potere di prendere le donne a una a una e di conformarle al proprio distopico schema; è riuscito, purtroppo, in alternativa a manipolare le donne religiose consacrate (costringendole a un vestiario tertullianeo), e a perseguitarne un altro gruppo sadicamente torturandole e uccidendole con il pretesto psicopatico che fossero streghe. Tali femminicidi erano utili coram populo a scopo di deterrenza, in aggiunta all’ipotizzato da me soddisfacimento di pulsioni sadiche da parte degli autori10. L’obiettivo esterno era quello di indurre tutti alla stabile ortodossia nevrotica della religione. Tuttavia la Storia, e la crescita demografica occidentale, sono riuscite a smarcarsi dalla fine del Medioevo da simili ambizioni. L’Impero romano aveva ai tempi della prima apologetica cristiana sui sessanta milioni di abitanti (una popolazione paragonabile a quella italiana di oggigiorno e dell’Europa rinascimentale). A causa del tasso di mortalità era auspicabile che ogni donna romana desse alla luce non pochi figli per impedire la decrescita demografica. Durante il secolo cristiano di Costantino e Teodosio la popolazione risulterà ridotta di un terzo. In parole povere la morale sessuofobica cristiana aprì le porte alle invasioni barbariche a causa del calo demografico. La civiltà umanistico-rinascimentale11 rappresenta un regno dell’assurdo: da un lato v’è, e non solo, una feroce caccia alle streghe; dall’altro v’è la presenza di inclinazioni edonistico-capitalistiche antitetiche. Il capitalismo post-illuministico vincerà quel confronto dialettico mettendo la parola fine all’esperienza distopica cristiana. Il Cattolicesimo fu dunque costretto a adeguarsi per sopravvivere, compiendo non poche capriole ideologiche dall’Ottocento in poi. All’epoca di Tertulliano il “De cultu feminarum” affermava che le donne erano omogenee e associate alla seducente e sviante attrattiva dell’oro: «Auro lenocinium mutuum praestant». Alla fine del primo libro di quest’opera in esame il suo autore precorre un concetto frommiano, quello di “avere esistenziale”. Tertulliano parla di “immoderate habere”. Lui e Fromm condannano la brama di acquisizione proprietaria12. Un’altra volta nello scrittore cristiano esce fuori un’idea per me giusta. Tuttavia in questo apologista del Cristianesimo rimane annegata nel mare della follia religiosa. Comunque mi piace riportare le sue parole in merito, una circoscritta frommiana ante litteram richiesta di limite: «Etsi forte habendum sit, modus tamen debetur». L’apertura del secondo libro del “De cultu feminarum” ricalca il primo nel contenere un’espressione teologica la quale mi sembra molto significativa nell’ottica della costruenda religione cristiana. Tertulliano parla di “Deus vivus”, riferendosi a un precisando meglio dalla teologia cristiana novella Dio neotestamentario. La mia impressione è che lui risenta ancora della concezione ebraico-semitica della mortalità degli Dei: il fatto che fosse originario di Cartagine potrebbe entrarci qualcosa. Tale idea di ampio raggio orientale potrebbe aver avuto nell’apologetica tertullianea bisogno di una precisione semantica non esornativa. Davanti al suo pubblico, allorché si è introdotto un Dio morto e risorto, lui usa, secondo me, l’aggettivo “vivus” incalzato da un’esigenza teologica: quella di sostenere che il Dio cristiano è morto sulla terra per la remissione dei peccati umani, ma che contrariamente a una prospettiva di cancellazione greca a questo è seguita una resurrezione (un osirideo ritorno). “Vivus” in questi primi tempi dell’elaborazione teologica cristiana non rappresenta un aggettivo a beneficio di una esclusiva espressione enfatica, bensì pure a vantaggio di una teologia che annienterà tutti gli altri sistemi mitologici. Nel regime unico religioso a venire la massa si ritroverà al cospetto di un unico Dio, non ne conoscerà altri, e il “Deus vivus” rimarrà soltanto “Deus” dagli attributi ontologici parmenidei, incarnatosi in una delle sue trinitarie Persone, morto unicamente in questa e risorto. Il dogma della Trinità sarà una dottrina senza rivali mitologici pagani, e in questo secondo momento sì dire “Deus vivus” sarà espressione enfatica. Tertulliano è uno che è rimasto ancora alla presocratica concezione semitica della materialità dell’essere. In ciò un’ascendenza che lo lega all’ontologia veterotestamentaria. Egli in questo secondo libro chiarisce alle donne che al di là di un abbigliamento mirato a non dare nell’occhio occorre un largo esercizio di “pudicitia”, di virtù, e bisogna evitare d’altro canto che alla corretta condotta casta si accompagni un vestiario inadeguato. Per lui la castità deve abitare in un abbigliamento non appariscente le cui forme non siano provocanti. I vestiti aderenti femminili secondo l’autore latino non vanno bene. Se pensiamo alla statuaria sacra greca ci rendiamo conto di quale abisso di oscurantismo sia pervaso il pensiero tertullianeo e di quanto sia distopico il Cristianesimo animato da sessuofobia e disprezzo nei riguardi del corpo umano. Persino lavarsi nel Medioevo diverrà un “problema”. Simili imbeccate nevrotiche spingeranno religiosi cristiani radicali al masochismo e all’anoressia. Tertulliano considera un male molto grave che le donne possano curare il loro aspetto al fine di rendersi attraenti: lo studium placendi è naturaliter invitator libidinis. Vale a dire che nella sua mentalità cristiana il freudiano principio di realtà costituisce una fragilissima barriera sfondabile facilmente dal peccato. Tale concezione è palesemente patologica, nonché nella sua stessa sede contraddittoria. Dov’è andata a finire quella superiorità maschile, quell’esercizio di continenza e di razionalità che dovrebbe connotare gli uomini? Pare che l’autore latino li tratti alla stregua di bestie che non possano vedere una donna senza saltarle addosso. Il radicalismo misogino tertullianeo qua oscilla tra il comico e il tragico, è umoristico pirandelliano. Ai nostri giorni viviamo nell’era marcusiana della desublimazione repressiva, e Tertulliano prepara le basi di una involuzione di segno opposto per la sua epoca. Oscurare il corpo femminile ha rappresentato una delle novità del Cristianesimo, a scapito della più sana e avanzata visione antropologica e artistica greca. La capitalistica avversaria edonistica civiltà umanistico-rinascimentale cambierà in parte il corso della Storia e della repressione antifemminista. Un’icona di tale svolta progressista si rintraccia nella “Nascita di Venere” del Botticelli13. Per Tertulliano anche se una donna non ricerca di piacere agli uomini e appare comunque attraente nella sua semplicità naturale, la cosa resta sempre molto preoccupante. È facilissimo indurre i maschi a peccare non esclusivamente in opere ma altresì in pensieri. Nella mente tertullianea (malata, poiché il mondo circostante pagano era moderatissimo in ciò) “bellezza femminile = sprone alla lussuria”: «Ubi pudicitia, ibi vacua pulchritudo, quia proprie usus et fructus pulchritudinis corporis luxuria». L’autore latino ci comunica in tutte le salse una “verità” portata avanti dal Cristianesimo per secoli (rafforzata dal rilancio agostianiano): il corpo femminile è un oggetto edonistico, un sex toy, disapprovato da Dio; il corpo femminile va dunque censurato. Prima lo scrittore dice: «Solis maritis vestris placere debetis». e poi mantiene il recinto sessuofobico e antiedonistico: «Omnis maritus castitatis exactor est». Contrariamente ai Greci in Tertulliano la bellezza non costituisce virtù. Lo scrittore cristiano puntualizza alle destinatarie delle sue precedenti osservazioni (oscurantiste!) che ovviamente non sta chiedendo alle donne di abbandonarsi alla totale incuria: un basilare regime di cura personale rimane necessario. C’è un confine stabilito da Dio, a dir di lui, il quale sta davanti a estetica e cosmesi. Le donne che lo superano «in illum [Deum] enim delinquunt». Un Dio avverso a simili cose non è stato molto amato dalle vocazioni commercial-capitalistiche, le quali lo sostituiranno alla lunga col Dio luterano-calvinista. Tertulliano disapprova l’estetica e la cosmesi giacché andrebbero a modificare l’assetto naturale voluto da Dio. Tutti i prodotti estetici e cosmetici risultano strumenti satanici inventati dal Diavolo contro Dio. La satanizzazione dei cosmetici, e della donna in generale (quantunque creatura divina, ma divenuta diaboli ianua), si rivela aberrazione attraverso cui il Cristianesimo ha recato vulnera alla Civiltà. Da un atteggiamento nevrotico del genere, in base a cui non si deve mutare la disposizione naturale, determinata da Dio, emergerà fra alcuni cristiani un’inclinazione molto inopportuna e pericolosa: non curare le malattie poiché appartenenti al corso umano stabilito da Dio, con i suoi premi e i suoi castighi; le malattie resterebbero perciò solamente curabili da Dio e non dalla medicina umana. Lo scopo cristiano di non rivoltarsi contro il presunto ordine divino del reale non ha rappresentato un buon principio dentro la Società occidentale. Notiamo come ab ovo l’autore del “De cultu feminarum” esprima le basi di vari tipici difetti della cultura oscurantista cristiana nel periodo distopico premoderno. E accanto ai cosmetici nella sua assurda esposizione egli mette altresì le tinture per capelli e le parrucche. Tertulliano professa la sua fede-nevrosi cristiana pensando che al Cristianesimo e ai cristiani spetti il compito di correggere questo mondo. Purtroppo più che miglioramenti hanno portato, e messo in pratica, raggiunto il potere politico, posizioni estremistiche irrazionali e illiberali, per lungo tempo. Dalla furia tertullianea nel “De cultu feminarum” si sono salvati i pettini, fortunatamente ritenuti opera divina. Riprende tuttavia nel finale di questo testo la follia religiosa delirante, e il suo autore sostiene che le donne non dovrebbero uscire da casa se non per visitare un parente malato o per partecipare alla liturgia o alla propaganda cristiane. Per il resto dissocia l’universo femminile da qualsiasi tipo di svago o di attività non religiosa fuori di casa. In parole povere mette le donne agli arresti domiciliari con una piccolissima possibilità di libertà vigilata, cosicché non le veda nessun uomo, e quindi nessuno di questi possa essere indotto alla lussuria. Peccato che Tertulliano non ci abbia spiegato come siano tranquillamente sopravvissuti nell’antica Creta. L’assurdità psicopatica misogina del neonato Cristianesimo si è spinta sino a distopiche richieste. Il fatto che Ipazia d’Alessandria sia stata uccisa mentre si trovava in strada non appare tanto casuale. Naturalmente quel femminicidio così efferato ebbe specifiche più profonde, inaccettabili parimenti, motivazioni presso gli uccisori, però c’è un sinistro messaggio di contorno: le donne devono stare in casa e non andare in giro al di là delle tertullianee concessioni. Tertulliano distingue fra “diaboli ancillae” e “Dei ancillae”. E puntualizza che le donne debbono magnificare Deum in corpore per pudicitiam. La donna dev’essere una sacerdos pudicitiae. Lo scrittore latino sta qui fornendo a Dante il modello della di costui Beatrice nella “Divina Commedia”: una theological Barbie doll14, un “non-sex toy”. Ma c’è un altro aspetto non solo tertullianeo che passando attraverso la cultura cristiana giunge all’Alighieri: la misoginia evidente nella semantica. Ne “De cultu feminarum” per denotare la donna Tertulliano usa perlopiù il sostantivo “femina”, in senso comune e spregiativo; quando vuol riferirsi alla donna con accezione migliore usa il sostantivo “mulier”. Identico fenomeno semantico accade nella “Divina Commedia”: i termini “donna” e “femmina” sono adoperati con analogo criterio antifemmnista15. “Donna” è Beatrice, sacerdos pudicitiae e Dei ancillae. Mentre la «femmina balba» rappresenta il simbolo dantesco della diaboli ancilla. Da Tertulliano in poi lo schema misogino si è infiltrato per bene nella teologia e nella letteratura medievale. Agli occhi dello scrittore latino costituisce un pericolo l’effeminare virtutem fidei. Come sono cambiati i tempi dalle cose che si sentivano e si leggevano prima del Cristianesimo moderno addolcito! Il Protestantesimo è arrivato persino a sfatare il tabù del sacerdozio femminile. Ma Tertulliano volendo plagiare l’universo femminile, che aveva già trovate le porte aperte del Giardino epicureo16 e la benevolenza di Platone (il campione filosofico della Chiesa sarà il misogino e schiavista Aristotele17), chiede in maniera distopica sottomissione agli uomini e di piantare i piedi in casa: «Caput maritis subicite et satis ornatae eritis; manus lanis occupate, pedes domi figite et plus quam in auro placebitis». Più di mille anni dopo il cattolico Thomas More, nella sua “Utopia”18, riproporrà quale ideale e ottimale il modello antifemminista di subordinazione del genere femminile a quello maschile, un modello che ha una sua pietra miliare in Tommaso d’Aquino19.
 
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NOTE
 
7 Radici occidentali (2021), l’estratto proviene dalla sezione intitolata Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1.
 
8 Al fine di un approfondimento consiglio di leggere una mia analisi, dentro alla mia opera Percorsi Critici (2020), recante il titolo I protopatristici Aristofane e Giovenale.
 
9 A questo teologo e filosofo ho dedicato un mio studio: Nevrosi e irrazionalismo in Agostino d’Ippona nella mia monografia Teologia analitica (2020).
 
10 Ne ho parlato in un mio lavoro, L’irrazionalismo nevrotico di Kierkegaard, contenuto nella mia pubblicazione Filosofie sadiche (2021).
 
11 A chi volesse approfondire il mio punto di vista indico un mio scritto pertinente: La genesi dell’umanesimo italiano nel mio saggio di nota 5.
 
12 Ritroveremo quest’atteggiamento ostile all’arricchimento nel cattolico medievale Dante, per un approfondimento del quale segnalo il mio saggio Parricidio dantesco (2021).
 
13 Un altro esempio artistico, molto significativo, di tale impulso edonistico, a mio avviso, è rappresentato da “La Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean Fouquet, alla quale ho dedicato una analisi che si trova nella mia pubblicazione Note di studio (2016) e intitolata La Madonna “pneumatica” e Lenina Crowne.
 
14 A proposito di approfondimenti danteschi vedasi nota 12.
 
15 Si veda la nota precedente.
 
16 Circa la per me evidente superiorità morale e scientifica dell’epicureismo in relazione al Cristianesimo neonato interessante una mia analisi: Riflessioni sopra il “De rerum natura” lucreziano presente nella mia opera Analisi letterarie e filosofiche (2023).
 
17 Alle affinità ideologiche tra Cattolicesimo e sistema filosofico aristotelico ho destinato attenzione in un mio lavoro contenuto nella mia monografia di nota 9, nel segmento intitolato Aristotele e il pericoloso regno di Dio.
 
18 A tale opera ho dedicato un mio studio: Cristianesimo razionale e nazional-socialismo in Thomas More dentro la mia opera di nota 9.
 
19 Sull’antifemminismo di questo teologo e filosofo suggerisco di leggere la sezione recante il titolo L’irrazionale misoginia tomista all’interno del mio saggio della nota 9.

OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 3 di 4 (L’ANTISEMITISMO DELL’“ADVERSUS IUDAEOS”)

di DANILO CARUSO
 
Il testo che segue è un estratto del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano” pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook), disponibile per intero online qua (possibile il download):
Nel blog è stato ripresentato in quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in calce.
Prosegue da qui 

 
Un altro scritto di Tertulliano del suo periodo cattolico ortodosso, prodotto in funzione della polemica antigiudaica, è l’“Adversus Iudaeos”. Esso, quantunque pieno per gran parte di contenuti teologici e biblici cristiani che possono apparire noiosi, e anche insignificanti, giacché messi assieme alla volta dell’utilità propagandistica in un lontano diverso tempo, gioca invece il suo significativo ruolo nel porre le basi di quello che oggigiorno definiamo “antisemitismo”. Questo è sorto nella cultura occidentale nell’ambito religioso cristiano, nelle società cristianizzate è rimasto e si è sviluppato, ma da categoria di spregevole pensiero di religione a lungo andare si è così infiltrato nella mentalità diffusa al punto di poter godere di un’autonomia razzista: dall’Ebreo deicida si è passati a parallelamente assurda generalizzazione formale di etnia. L’animo del Giudeo sarebbe per Natura negativo nelle aberranti concezioni antisemitiche di stampo laico e pseudobiologico. Una simile inaccettabile assurdità ha generato la barbarie nazista, la quale ha tratto la sua linfa dal plurisecolare odio verso il popolo ebreo alimentato per troppo tempo e senza tregua dai cristiani. Costoro in pochissimi secoli sradicarono e cancellarono l’Antichità con le sue religioni pagane, la quale li aveva preceduti e aveva tenuta in piedi una Civiltà occidentale migliore di quella medievale che portarono loro. È facile perciò intuire che mira del Cristianesimo di una volta era quella di far scomparire l’Ebraismo, il quale rappresentava un compagno di via molto sgradito. Tertulliano nell’“Adversus Iudaeos” ci spiega che la religione giudaica è “scaduta”, dal momento della venuta del Messia. Dunque non possiede più una sua ragion d’essere al pari dei satanici culti pagani. Lui non lo dice apertamente in questo testo polemico, però la conclusione appare chiara: come nel mondo non c’è più spazio per il Paganesimo, non c’è più spazio per un ormai deviante Ebraismo. Quest’embrionale, abbozzato nell’ombra, concetto di una religione giudaica da “rimuovere” lo ritroveremo in Hegel, dagli scritti teologici giovanili in poi: l’Ebraismo il quale deve essere rimosso e rimpiazzato alla fine dal “positivo razionale” del Cristianesimo. La “scadenza” che Tertulliano ha appiccicato alla religione giudaica (negativo razionale) è stata l’incipit dell’emarginazione del popolo ebreo, preludio di forme persecutorie accanite quando i rapporti di forza saranno, da Teodosio in avanti, impari. La resistenza del martoriato popolo giudeo sarà per secoli eroica, al punto di suscitare l’ammirazione di Nietzsche20. L’autore di questo “Adversus Iudaeos” sostiene la Legge ebraica essere stato un passaggio storico pro tempore. Prima di essa v’era già una Legge naturale divina, di cui l’altra è stato un calco non destinato a durata indefinita bensì con “scadenza”. Questa è sopraggiunta con l’arrivo del Cristianesimo abolitore della precedente Legge, e migliore attuatore della Legge divina rivolta adesso col Vangelo a tutti senza distinzione etnica. Tertulliano in siffatti ragionamenti si rivela stoicizzante poiché recupera l’idea di un Logos (provvidenziale) accomunante ciascun essere umano21, al quale la nuova religione cristiana si propone di (ri)portare ognuno in funzione della (ri)scoperta salvifica secondo l’ottica teologica della Chiesa. L’autore dell’“Apologeticum” è fautore, come del resto l’intero sistema cattolico neonato, del superamento e della soppressione del vecchio quadro normativo giudaico. Egli s’impegna a dimostrare l’Ebraismo uscito fuori della historia salutis e le profezie sulla venuta del Messia già concretizzatesi nella figura dell’evangelico Gesù Cristo. Secondo me, quello di cui leggiamo nel Nuovo Testamento è ormai un personaggio piegato e adattato alla letteratura mitologica cristiana. Quest’operazione creativa evangelica ha fuso diverse componenti culturali religiose a essa coeve in uno spirito di larga sintesi. Tertulliano riprende le profezie veterotestamentarie sul Messia e il suo gioco di suggestioni non ha partita difficile nel trovare canali di collegamento in ambito neotestamentario. Egli o non capisce o non spiega che simili sintonie sono il risultato di proiezioni veterotestamentarie profetiche sopra gli scritti nuovi testi: chi li scriveva creava quegli agganci poi usati ribaltando weilianamente la frittata. Non c’è di che stupirsi che opere letterarie mitologiche posteriori narrino vicende di convalida di profezie anteriori. Io giudico i Vangeli elaborati pieni di spunti e sfaccettature mitologiche assortite22, elaborati in possesso di povero scheletro storico. Sono paragonabili a favole rivolte a un pubblico perlopiù ignorante. Tertulliano si spende non poco a spiegarci le profezie messianiche veterotestamentarie alla stessa guisa in cui si analizzano le profezie già ritenute avverate di Nostradamus: l’autore latino infatti introduce la “lettura simbolica”. E allora ha vinto la sua partita propagandistica: da un lato perché mediante le decriptazioni religiose simboliche e allegoriche si può affermare dogmaticamente tutto e il contrario di tutto, dall’altro perché mi pare che i testi neotestamentari fossero già stati predisposti alla volta di simili agganci. In generale il corretto modo di esaminare un simbolo è quello passante attraverso un’indagine psicanalitica inerente alla sua nascita, non quello che vi sovrappone una nuova superficiale vernice culturale. Le distorsioni dei cristiani nella lettura del “Tanak” ebraico e nella sua voltura in altre lingue sono state significative. Nei miei studi sui testi ebraici mi sono accorto di varie cose. Di come, ad esempio, nelle traduzioni siano scomparsi il demiurgico Dio venuto fuori dall’archè acqueo assieme alla materia, l’androgino originario poi diviso in due (da cui Adamo ed Eva separati), la mortalità del divino23. E Tertulliano, che già viveva quell’atmosfera mistificatoria, comunica la “scadenza” del Giudaismo! Io non so se in lui la fortissima inclinazione nevrotica impedisse una valutazione migliore su cosa fosse veramente il Cristianesimo delle origini (un deficit agevolato dalla mancanza di fonti informative ponderate), oppure se in lui ci sia uno strato di ipocrisia volto a celare e negare quanto fosse sconveniente al nuovo progetto religioso. Non è da escludere che per la testa gli passassero il desiderio e la volontà di consolidare il novello Cristianesimo a tutti i costi intellettuali giungendo ad avallare distorsioni e falsificazioni possibili. Nell’“Adversus Iudaeos” egli ci offre uno spunto di contestazione tra i più nevralgici. Lui cita Is 7,14 al fine di sostenere un punto di vista cristiano completamente fuori del valore semantico ebraico del caso. La partenogenesi mariana dogmatica avanzata dal Cristianesimo non trova una corrispondenza profetica in Is 7,14. In ebraico quel soggetto, indicato con «ha-almah», che metterà al mondo un bambino non reca con sé nel termine veterotestamentario adoperato (almah) il concetto di partenogenesi. “Almah” vuol dire: fanciulla-in-età-matrimoniale-e-pronta-alla-prima-gestazione. Is 7,14 ci comunica che il neonato di cui si sta parlando sarà figlio di: una ragazza che ha raggiunto la maturità sessuale ed è al primo suo figlio. Non c’entrano assolutamente niente il sovrapposto discorso della prodigiosa maternità e il successivo parto per compenetrazione di Maria (ci sono qua ben due ascientifici dogmi nella gestazione della Madonna estranei a Is 7,14, dove si puntualizza invece, alla luce dell’analisi semantica, che la madre di questo annunziato bambino non sarà né avanti negli anni né a un figlio aggiuntivo). Però Tertulliano e il Cristianesimo hanno usato una incipiente violenza cristiana contro il popolo giudaico a cominciare dal “Tanak”. L’autore latino era al corrente della giusta traduzione, tuttavia o per ignoranza o per nevrotica faccia tosta si rivolge così ai Giudei: «Mentiri audetis, quasi non virginem sed iuvenculam concepturam et parituram scriptura contineat». Lui sta spiegando agli Ebrei che costoro erano deficienti, che non si tratta in Is 7,14 di una iuvencula, bensì della «Virgo Mater». Una cosa del genere merita unicamente un aggettivo qualificativo: orwelliano. Che un simile accanimento sia passato dalla violenza intellettuale cristiana alla violenza materiale cristiana a danno dei giudei non mi stupisce. Il Cristianesimo preteodosiano non aveva un braccio armato di arma, ma quello armato di stilo era veramente una simbolica funesta prefigurazione. Tertulliano nella sua distorsione in questa circostanza poteva appoggiarsi sulla “Septuaginta” traducente «ha-almah» con «ἡ παρθένος». Questo sostantivo greco sfuma e rimuove il concetto ebraico insito in “almah” di “maturità sessuale”, il quale assieme alla sua radice ritorna nel corrispettivo maschile ebraico “elem” (giovinetto non più bambino). “Παρθένος” mette l’accento sulla purezza, castità della fanciulla, non sul suo essere in grado di procreare. “Almah” indica una ragazza giudaica sessualmente maturata. “Παρθένος” indica invece in greco antico una ragazza considerata esclusivamente nel suo stato di incontaminatezza sessuale. tale termine contribuisce, indebitamente, a proiettare su “almah” di Is 7,14 un significato teologico che l’ebraico non possiede. La partenogenesi di Maria madre di Gesù e il di lei parto per compenetrazione costituiscono invenzioni teologiche sessuofobiche cristiane. Il termine greco antico che i Settanta avrebbero dovuto correttamente adoperare nel volgere “almah” è “νεᾶνις”. “Νεανίας” rappresenta l’equivalente di “elem”. Tutto ciò dimostra l’exemplum di un rimodellamento del Giudaismo in vista dell’incontro filosofico con lo stoicismo, un rimodellamento già incominciato nella prima metà dell’Ellenismo. Non per niente questa traduzione alessandrina del “Tanak” non piacque all’Ebraismo ortodosso. Tertulliano nell’“Adversus Iudaeos” intende a modo suo e cristiano convalidare l’illogica tesi storica e teologica della “scadenza” del Giudaismo. Accusa apertamente gli Ebrei di essere rimasti ormai nell’errore. Gli imputa duritia cor per il fatto di inridere e respuere le interpretazioni veterotestamentarie dei cristiani, i quali hanno parlato adversus Iudaeos, ci dice Tertulliano, affinché questi non «in dubium deducant vel negent quae scripta proferimus». La (vuota) presunzione di superiorità tertullianea si mostra totalitaria: le cose che dicono i cristiani sarebbero «paria scripturis divinis». Tertulliano rimprovera a Israele di essersi allontanato dalla via della fides. E qua gioca un’altra carta propagandistica antisemitica a cui il “Tanak” prestò il fianco: le critiche dei profeti al popolo giudaico a proposito della sua infedeltà nei riguardi del proprio Dio. Si tratta di un espediente, nella parte conclusiva dell’“Adversus Iudaeos”, molto sinistro. Giacché Tertulliano afferma che la rovina d’Israele è stata profetizzata, e che si è avverata quando gli Ebrei hanno respinto e rinnegato il Messia cristiano, il quale tolsero di mezzo («interfecerunt») come fosse stato (ai suoi occhi) un delitto di lesa maestà: «ob impietatem». Il Tertulliano avvocato conosceva benissimo l’accezione giuridica della parola “impietas”, e v’è ragionevole motivo di ritenere che il suo utilizzo sia specifico nel quadro di una personale visione sociopolitica teocratica non ancora infiltratasi nelle stanze del potere statale romano. La Dei Gratia ha abbandonato, in questo schema tertullianeo e cristiano, la Domus Israelis, la quale è stata sostituita dal Templum spiritale id est Ecclesia dominica. La linea di pensiero antigiudaica tertullianea si è rivelata durevole, seguita e osservata ampiamente nella storia della Chiesa sino a metà Novecento. La liturgia per la celebrazione del Venerdì Santo cattolico contemplò sino all’era riformatrice di Papa Roncalli un brano molto discutibile, la cui origine risaliva al VI secolo. Il messale tridentino che lo girò alla modernità lo mantenne invariato sino alle modifiche del 1962. Esso recita: «Oremus et pro perfidis Judaeis ut Deus et Dominus noster auferat velamen de cordibus eorum; ut et ipsi agnoscant Jesum Christum, Dominum nostrum. Omnipotens sempiterne Deus, qui etiam judaicam perfidiam a tua misericordia non repellis: exaudi preces nostras, quas pro illius populi obcaecatione deferimus; ut, agnita veritatis tuae luce, quae Christus est, a suis tenebris eruantur». Il celebrente chiede ai fedeli di pregare per i perfidi Judaei il cui cuore è rimasto velato; la preghiera chiede che la misericordia divina, così grande da non tenere in conto la judaica perfidia, possa far sì che l’accecato popolo ebraico, di cui i cristiani si stanno preoccupando, escano dalle tenebre in seguito al riconoscimento della luminosa divina missione di Gesù Cristo. Pietre di scandalo agli sguardi più sensibili appariranno, oltre al riferimento alla volontaria cecità di Israele davanti alla luce del Messia a causa della ebraica mancata apertura di fede verso le profezie veterotestamentarie, le espressioni “perfidi Judaei” e “perfidia judaica”. Queste possiedono la loro diretta radice di significato nel pensiero religioso antisemitico di Tertulliano, il quale tuttavia non si esprime letteralmente ancora così. Che cosa vogliono dire l’aggettivo “perfidus” e il sostantivo “perfidia” in quel testo basso medievale? Denotano dei concetti che l’autore dell’“Adversus Iudaeos” ha esposto in questo suo non apprezzabile scritto: gli Ebrei sono traditori-della-fede (perfidi), sono colpevoli di tradimento (perfidia). “Perfidus” e “perfidia” sono parole latine derivate dall’unione di per e fides. Per (prefisso) indica qui l’idea di deviazione (come nel caso di periurus). Fides (dalla cui radice la parte del tema) è fede (fiducia), e nel nostro contesto cristiano l’accezione è religiosa. Tertulliano ce l’ha detto chiaro e tondo: «A […] fide Israel excidit [è uscito perdendosi]». Egli non adopera i termini che sto esaminando, ma ne formula i concetti, i significati, su cui la Patristica a lui posteriore del IV secolo imporrà quelle parole, “perfidi” e “perfidia”, a denotare quella qualità e quella sostanza di marca teologica testé spiegate. Nei Padri della Chiesa eresia, apostasia, devianza dottrinale appunto, erano denotati col termine “perfidia”, il quale assunse ulteriormente in quest’ambito teologico il valore semantico di ostinazione (nell’errore, nella devianza riguardo alla fede). Sino all’epoca di Pio XII si intendeva pregare per i traditori Giudei, responsabili del giudaico tradimento. Lo schietto significato, teologico, di quelle espressioni è questo. Al di là di questa valenza delle parole “perfidus” (in senso lato, chi-devia-dall’affidamento) e “perfidia” (parimenti in generale, l’azione-di-deviazione-dall’affidamento) nel loro contesto d’uso cristiano denotante gli Ebrei, il loro uso popolare (a forza di sentirseli ripetere negli insegnamenti e nella liturgia) spinse “perfidus” e “perfidia”, accanto al loro binario semantico teologico, a spostarsi in direzione di una laicizzazione, di una naturalizzazione. La massa occidentale bombardata tra l’altro da propaganda religiosa antigiudaica finì col pensare che questi Ebrei (ingiustamente bersagliati), “perfidi”, fossero malvagi per Natura, ossia creature fisiologicamente inaffidabili e nocive. Dalla degradazione teologica è sorto l’antisemitismo nella forma del razzismo biologico tragicamente culminato nel nazismo. L’antisemitismo possiede ormai due facce, però la moneta è una sola, e l’ha coniata il Cristianesimo all’epoca della sua nascita. La parallela folle idea di un antisemitismo biologico fu formulata nella cattolicissima Spagna del Cinquecento allorché il tradizionale ceto sociale dominante cristiano ebbe motivo di temere l’ascesa del nuovo ceto provenuto dalle recenti non libere conversioni di Ebrei e islamici rimasti sul suolo iberico. Venne concessa la possibilità a enti richiedenti di poter attuare delle discriminazioni sulla semplice base dell’origine etnica. Fu sostenuto che i Giudei fossero geneticamente malvagi, allora si parlava di sangue e di trasmissione di caratteri spirituali. La natura dell’Ebreo rimaneva, secondo questi altri psicopatici teorici, costantemente tendente al male. E poiché era chiaro che ciò sostenendo, si minava il potere salvifico del sacramento battesimale per chiunque, ne venne fuori un confronto teologico aspro fra protonazisti e tradizionalisti antigiudaici aperti alle conversioni. Infatti los estatutos de limpieza de sangre non divennero uno strumento universale dello Stato spagnolo, ma vennero adoperati con non indifferente diffusione laddove si teneva a escludere il paventato pericolo di un contagio soprattutto giudaico delle istituzioni a rischio di cadere in balia di impuri per Natura nuovi cristiani convertiti. Questa patente di sanità socioreligiosa, che certificava la presenza di sangue incontaminato proveniente da lunghe genealogie di cattolici, tranquillizzava alcuni e gli dava la sicurezza che il virus ebraico non gli avrebbe tolto di mano il timone nella società. Los estatutos de limpieza de sangre furono abrogati in Spagna verso la fine dell’Ottocento, e divennero prima nel periodo dell’auge coloniale un criterio razziale generale ossessivo nell’America latina, dove l’ideologia suprematista bianca incalzava nevroticamente i discendenti dei coloni. In Europa i Giudei colpiti dagli effetti de los estatutos de limpieza erano costretti a indossare il sambenito, lontano antenato dei mortificanti contrassegni sull’abbigliamento pretesi dai nazisti sopra le categorie umane da questi ritenute nocive alla società. L’Inquisizione spagnola trovò congeniale tale nuovo razzismo biologico e si accanì sui “falsi convertiti” (per convenienza). I gesuiti invece rimasero fedeli allo schema antiebraico tertullianeo scevro di aperti razziali richiami pseudobiologici. Per i fautori di simile lasciapassare sociale, che apriva le porte di importanti stanze, il popolo ebreo era stato traditore della fede giacché il tradimento era nel suo sangue, i caratteri morali si ereditavano a prescindere dal battesimo, e i Giudei in quanto tali sarebbero dovuti essere estromessi dai centri dirigenziali ed emarginati; nel frattempo Ebrei convertiti furono condannati a morte (marranos). Se rammentiamo pure i quemadores dell’Inquisizione spagnola, possiamo completare il quadro delle analogie naziste. El estatuto de limpieza de sangre appare il precursore della certificazione di appartenenza alla razza ariana previsto dai tragici regimi razzisti novecenteschi. Si tratta sempre di antisemitismo, la faccia della medaglia costituisce un dettaglio, il bersaglio additato è sempre quello inventato dal Cristianesimo originario: gli Ebrei traditori e malvagi. L’antisemitismo in tutte le sue forme si rivela un prodotto o un derivato della religione cristiana. L’antigiudaismo tertullianeo ha attraversato i secoli. “Adversus Iudaeos” è il titolo di un’opera di Agostino d’Ippona24. Nell’inferno dantesco la sezione più profonda viene riservata ai peggiori traditori: si chiama Giudecca, con esplicito richiamo ai pregiudizi cattolici antisemiti, là stanno i Giudei traditori25. Dall’antisemita Lutero in poi l’antigiudaismo cristiano fu liberato da una cappa istituzionale rigida e poté, malauguratamente, in maggiore libertà evolversi alla volta della sua forma pseudoscientifica non religiosa. L’Ottocento in Germania contribuì a creare, in negativo, il mito (nero) della purezza tedesca e l’ideologia pangermanica. Fichte sostiene un inquietante primato storico e spirituale del popolo tedesco nei confronti del resto dell’umanità. Egli, suggestionato da un lato dalla dottrina veterotestamentaria di un popolo (in senso etnico) divinamente eletto e dall’altro dalle filosofie del linguaggio di Herder e del “Cratilo” platonico, afferma che i Germanici mitteleuropei siano rimasti un gruppo storicamente non contaminato per parecchi secoli da fattori esterni. Il fondatore dell’idealismo moderno identifica nella lingua nazionale l’elemento discriminante, scartando in ciò il peso del sangue e del territorio. L’uso della lingua dei Tedeschi, secondo Fichte, non è stato troncato e innestato dal latino (come ad esempio nel caso dei Galli). Tale privilegio di continuità concederebbe al popolo germanico migliore e maggiore vicinanza all’origine linguistica umana, e in un’ottica platonica la prossimità a quanto ci sia di più autentico nella realtà. Fichte proclama i Tedeschi portavoce dell’Assoluto, attraverso di loro passerebbe la palingenesi dell’umanità, rimasta zavorrata in materiali interessi individuali. È il popolo, in quanto entità spirituale, il vero motore mondano della vita. L’individuo vive in esso e non per sé. E al popolo germanico spetterebbe il compito di correggere tutte le altre genti sparse nel mondo. Ebrei compresi, cui Fichte rivolge la sua particolare antipatia in “Contributi per rettificare i giudizi del pubblico sulla Rivoluzione francese”. Qui egli afferma che, ovunque siano nel continente europeo, costoro costituiscono un corpus misantropico dentro ogni società statale. Li etichetta quali mercanti pericolosi per il prossimo nella loro brama di acquisizione, astiosi con gli altri popoli in cui vedono i figli di coloro che li dispersero nel mondo, fanatici adoratori di un Dio in comune con la Cristianità che loro pretendono di tenere in esclusiva. Il filosofo tedesco esterna la sua preoccupazione che la piovra giudaica, uno Stato dentro lo Stato dice lui, possa mandare in rovina l’ordine delle società cristiane europee. Perciò, a suo sconcertante avviso, non va dato assolutamente spazio ai rappresentanti del popolo ebraico sparsi nei vari consorzi sociali, perché i Giudei userebbero il loro potere per sopraffare gli altri. Fichte è sgradevolmente chiaro: a questa gente non va concessa la cittadinanza dello Stato in cui vivono (sic!). Si tratta in tale suo parlare di pregiudizi accolti con irresponsabile tranquillità e promossi da un filosofo in luogo di una analisi da parte di costui obiettiva che ne rintracci le cause storiche e ideologiche. Il filosofo tedesco appare inoltre contraddittorio e ipocrita nel suo dire qua. Non vuol passare per intollerante e condanna tutte le forme di persecuzione religiosa, e al contempo lamenta che ci sia un’eccessiva inaccettabile tolleranza verso i Giudei, a cui vorrebbe mozzare il capo per sostituirlo con una testa non giudaica, se non anche trasferirli in massa in Palestina (come ebbe a suggerire Lutero a suo tempo). Fichte riporta un topos antisemita luterano ricordando che gli Ebrei sarebbero soggetti ingannevoli, cioè malvagi e perfidi, e si vanta, pur disprezzandoli manifestamente, di averne protetto qualcuno a suo rischio (sic!). Il fondatore dell’idealismo moderno sottolinea l’importanza che rivestono per lui la religione e la figura di Gesù Cristo, delle quali indubbiamente risente il condizionamento. A conclusione di questa sua specifica non condivisibile parte di opera in cui ha affrontato simili temi (in guisa così sgraziata e priva di riflessione autentica) il filosofo tedesco sfida il suo lettore, dopo essersi dichiarato non avvelenato nell’animo, a confutarlo coi fatti. Ebbene, caro Fichte, la Storia ha dimostrato infausto tutto il tuo ragionamento, alla luce, non soltanto, dei tragici fatti relativi all’Olocausto. Senza così sinistre sponde l’antigiudaismo sarebbe rimbalzato di meno in avanti nella Storia. Fichte nel suo porre l’accento della primazia tedesca sulla lingua compie una valorizzazione di Lutero e della Riforma protestante poiché il popolo germanico è stato liberato dalla “Bibbia” in latino e ne ha avuta in mano una in tedesco. Nella visione fichtiana tale passaggio rappresenta un motivo di vanto. Più avanti quando Nietzsche opererà una voltura concettuale del Cristianesimo luterano in una filosofia laica e pseudobiologica26 recupererà altresì due categorie che si rivelano significative: l’antisemitismo luterano (e cristiano-tertullianeo in genere) e la componente dionisiaca presente nella figura evangelica del Messia27. Fichte ha reso i tedeschi il nuovo popolo eletto, e ciò si è venuto a contrapporre alle parallele vecchie pretese di Ebraismo e Cristianesimo. Il razzismo nietzschiano, di marca pseudobiologica, celebrante gli ariani, nel suo rigetto delle religioni, ha individuato nell’Ebraismo il suo contrapposto principale in senso etnico. Quest’aspetto del pensiero di Nietzsche, a mio avviso, nei generali recupero e rielaborazione di mattoni luterani, dimostra che pure l’antisemitismo nel quadro nietzschiano non sia nient’altro che un congeniale ritorno (in quella non condivisibile ottica ovviamente), dell’antigiudaismo canonico cristiano però liberato della faccia religiosa della medaglia di cui ho detto. Il razzismo di Gobineau, dal mio punto di vista, rappresentò un supporto esterno, accidentale, non necessario alla sfera tedesca ottocentesca e novecentesca, la quale possedeva già da sé una qualificata, purtroppo, cremeria filosofica di discriminatori (Kant, Fichte, Schelling, Hegel, Schopenhauer, Marx, Nietzsche, Weininger, Heidegger). Da Nietzsche in poi il feroce antisemitismo di Lutero (il quale fu a danno dei perfidi Giudei un istigatore all’emarginazione sociale, agli espropri, ai lavori forzati, alla violenza) rivive soltanto nelle forme degenerate del rovescio della medaglia antisemita cristiana, il lato de los estatutos de limpieza de sangre, i quali ritroveremo separati da una cornice teologica e inseriti in uno schema razzistico pseudobiologico nella deprecabile esperienza nazista. Fu Fichte stesso a creare le condizioni del passaggio dell’antisemitismo luterano, durante l’incrocio di questo con idee romantiche tedesche accostabili alle di costui di sopra, alla volta di una di esso incisiva ripresa in ambito sociopolitico. “Lingua+Lutero+antigiudaismo”, un trinomio di spunti ideologici torbidi; al punto tale che il primato linguistico ha lasciato il passo in era positivistica a un fattore principe, quello del sangue, de la limpieza de sangre. Un altro dettaglio da non trascurare a proposito di Nietzsche e Tertulliano è che l’esaltazione del “dionisiaco” del primo a scapito dell’“apollineo” non fa altro che riproporre il modello tertullianeo irrazionalista il quale rifiuta la filosofia e il pensiero razionalizzanti per privilegiare pulsioni di “dionisiaco (cristiano)” vitalismo cieco e scriteriato. Non si rivela peregrino che nei “Discorsi alla nazione tedesca” Fichte dica che chi appartiene al popolo eletto tedesco, diretto luminoso raggio della vita universale la quale marcia sempre in atto, debba mostrare disponibilità all’estremo sacrificio per il bene del popolo. Sembra un discorso alquanto pazzesco che sa di martirio cristiano, allora permeato di irrazionale slancio suicida dionisiaco, che ritroveremo nell’ideologia filofichtiana e nietzschiana nazista (dulce et decorum est pro patria mori). Dentro il nazismo sono finite molte ombre del passato, e tutte risalenti alle origini del cristianesimo. È possibile ricostruire, come si vede, i percorsi e trovare cause prossime e cause remote in un ponderato obiettivo esame. La linea di pensiero dell’antisemitismo tedesco è questa: Tertulliano-Agostino d’Ippona-Lutero-Fichte-Nietzsche-Hitler. L’antisemitismo luterano laicizzandosi fu filtrato e assorbito dalla suddetta apologia delle genti tedesche, la quale trovò il suo perfetto interprete (potremmo definirlo in negativo senso lato un “profeta”) in Nietzsche. L’idea che è venuta fuori da questo processo è quella di una Germania salvatrice dell’Umanità dalla piovra ebraica: idea molto malsana che infiniti addusse lutti. Nietzsche non è un precursore del nazismo, furono i nazisti a essere prosecutori nietzschiani. Di questa sciagurata ideologia di esaltazione germanica antisemitica Nietzsche rappresentò una specie di profeta veterotestamentario, mentre, proseguendo il paragone, il messia neotestamentario fu Adolf Hitler e il “Mein kampf” risultò essere una sorta di vangelo. Pio XI, pur potendo far cancellare i due discussi termini “perfidi” e “perfidia” dalla liturgia cattolica, preferì accontentare l’ala antigiudaica della Chiesa e lasciare il di essa razzismo spiritualista a danno degli Ebrei intatto. Cercò soltanto, senza successo perché morì, di attaccare il razzismo biologico nazista. Papa Ratti vide il bicchiere mezzo vuoto a differenza del suo successore. La Germania nazista sedicente grande salvatrice dell’Umanità dalla piovra giudaica grazie alla sua dottrina razzistica biologica costituiva una seria avversaria della Chiesa, sedicente grande salvatrice dell’Umanità dalla piovra giudaica grazie alla sua dottrina razzistica spiritualistica. Se la Chiesa non apprezzava il razzismo biologico antisemita nazista in quanto non spiritualista, ebbe un giudizio più morbido su quello italiano emerso disgraziatamente alla ribalta alla fine degli anni ’30, a proposito del quale anzi a tratti in alcuni suoi quotati rappresentanti espresse particolare simpatia. Pio XI aveva disposto un’enciclica dove si attaccava il nazismo e la sua ideologia razzistica antigiudaica. La sua morte nel ’39 fermò l’imminente pubblicazione, e Papa Pacelli subentratogli la sospese del tutto ritenendola inopportuna. Dal punto di vista tertullianeo di quest’ultimo il bicchiere era mezzo pieno: alla Chiesa, tutto sommato, gli effetti di privazione delle libertà a scapito dei Giudei negli anni Trenta e Quaranta risultavano graditi in ossequio al proprio tradizionale antiebraismo cristiano, poiché i traditori della fede avevano guadagnato le loro punizione divina e rovina storica (a prescindere dalla strumentalità contingente). Pio XII è stato sconcertante nella sua assente esternazione pubblica di una protesta contro le legislazioni razziali e le persecuzioni antisemitiche della prima metà del ’900. Lo storico statunitense di origine ebraica Daniel Goldhagen ci rammenta due significativi episodi circa l’acquiescenza ecclesiastica alle leggi antisemite laddove emanate. Nell’estate del ’41 l’ambasciatore della Repubblica di Vichy presso il Vaticano chiese alla sede pontificia un parere di conformità sulla legislazione antigiudaica varata dal suo Stato fantoccio nazista francese. La risposta fu così positiva ed entusiasmante (i Giudei, a detta del suo interlocutore ecclesiastico, meritavano l’emarginazione affinché non nuocessero agli altri) che la collaborazionista Repubblica di Vichy rese ufficialmente nota l’approvazione: da Roma non pervenne nessuna smentita. Dalla sede pontificia, addirittura, motivata da visibile quasi integrale approvazione nei confronti di quelle aberranti norme, pervenne nel ’43 al governo presieduto dal generale Badoglio la sollecitazione a mantenere attive tutte le limitazioni a carico degli Ebrei, apprezzate dalla Chiesa, previste dalle giustamente abrogande leggi razziali fasciste dopo l’armistizio, con l’esclusione dei Giudei aderenti al Cattolicesimo. A fungere da portavoce il gesuita Padre Pietro Tacchi Venturi (un amico di Mussolini) presso l’allora ministro per gli affari interni. La deprecabile legislazione discriminatoria e razzista emanata dal fascismo nel periodo 1937-38 fu abrogata dallo Stato italiano a partire dal ’44 attraverso numerosi provvedimenti, però durante la guerra era proseguita infaustamente nei territori della RSI. Con il Concilio Vaticano II (1962-65) la Chiesa ha cambiato di 180° la sua pregressa posizione tertullianea riguardo al Giudaismo.
 
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NOTE
 
20 Sul pensiero nietzschiano esiste un mio lavoro analitico dentro al mio saggio di nota 10, intitolato Leopardi e Nietzsche: i profeti del male?.
 
21 In vista di un approfondimento si veda nella mia opera Prospettive rinnovate (2023) il mio studio Dall’inno stoico a Zeus di Cleante alla fondazione del Cristianesimo.
 
22 Vedansi: la mia analisi indicata nella nota 1, e l’altra recante il titolo Iside e Osiride, Cristo e la Madonna all’interno della mia pubblicazione Note di studio (2016).
[2.3 di questo testo]
 
23 Approfondimenti possibili mediante miei lavori in miei saggi: Radici egizie in Ermeneutica religiosa weiliana (2013); L’acqua e il dio biblico in Teologia analitica (2020); lo studio menzionato nella nota 7.
 
24 Riguardo a un approfondimento su questo testo agostiniano si veda l’indicazione di nota 9.
 
25 Vedasi nota 12.
 
26 Si veda la nota 20.
 
27 Al fine di approfondire si veda il mio studio segnalato nella nota 1.

OSCURANTISMO E IRRAZIONALISMO DEL CRISTIANESIMO IN TERTULLIANO – parte 4 di 4 (IL DISTOPICO ANTIEDONISMO DEL “DE SPECTACULIS”)

di DANILO CARUSO
 
Il testo che segue è un estratto del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano” pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook), disponibile per intero online qua (possibile il download):
Nel blog è stato ripresentato in quattro sezioni tematiche.
Prosegue da qui

 
Dalla contestuale abolizione nel 1966 dell’Index librorum proibitorum (creato nel 1559) torniamo, in tema di censure, a Tertulliano. Costui nel “De spectaculis” prende di mira «inter cetera saecularium errorum etiam spectaculorum voluptates». Ci comunica che «ista non competant verae religioni et vero obsequio erga verum Deum». Per il cristiano rappresenta un «divino praescripto definitum» di fronte a gaudia et fructus saeculi la obstinatio abdicatione voluptatum; il cristiano compie una eieratio (rinuncia) in virtù della sua testimonianza battesimale (testimonium in lavacro). Nel suo argomentare qui Tertulliano si avvale del sostegno di una interpretazione allegorica del Vecchio Testamento, operazione che risulta indebita poiché la sua maniera di individuare simboli ad hoc appare fantasiosa e forzata. Attraverso un simile gioco nevrotico interpretativo ha ricavato una formale (assurda) spectaculorum interdictio: «Omne spectaculum concilium impiorum». Gli spectacula provengono ex idolatria, essi sono asserviti «Diabolo et pompae et angelis eius»; i pagani sono empi, peccatori e nemici di Cristo. In tale sua opera l’autore latino ci delinea tipologie di spectacula e loro difetti. Quando Tertulliano usa nel “De spectaculis” l’espressione urbs «in qua daemoniorum conventus consedit», potrebbe riferirsi all’Urbs, a Roma. I ludi costituiscono una manifestazione del reatus generalis idololatriae. Per Tertulliano tutti gli spazi sono infestati da epifanie idolatriche: «Ceterum et plateae et forum et balneae et stabula et ipsae domus nostrae sine idolis omnino non sunt: totum saeculum satanas et angeli eius repleverunt». Parlando del teatro, Tertulliano mette in mostra l’odiatore nevrotico che è in lui: « Oderis, christiane, quorum auctores non potes non odisse». Lui istiga a una forma di odio verso l’attività teatrale perché essa sarebbe, come tutti gli altri spectacula, una manifestazione demoniaca. Il fatto che Tertulliano esterni esplicitamente un sentimento di odio e un richiamo così significativo a esso da piantare nelle teste di chi gli andava appresso, mi pare molto rilevante alla volta della comprensione del fondo dello spirito cristiano. Non rilevo contraddizione nella dottrina del Cristianesimo fra il Gesù evangelico dichiaratosi portatore di conflitto e di divisione, e il pacifismo cristiano delle origini ancora fuori del potere politico. Ho già chiarito in questa monografia riguardo a tale apparente contraddizione. Però voglio altresì ricordare una conclusione che formulai nel mio saggio “Il Medioevo futuro di George Orwell” (2015) dove illustrai, alla luce dell’affermazione weiliana che la Chiesa è la madre dei diversi totalitarismi a venire, come nel sistema dottrinario cattolico si manifesti, fra le altre sfaccettature orwelliane, l’idea che L’AMORE È ODIO28. Tertulliano, nella maniera in cui ora di seguito spiegherò meglio, nel momento in cui sollecita a odisse, al pari di un lapsus, ci ha involontariamente mostrato il fondo del pozzo dottrinale cristiano. Allorché egli parla dei ludi gladiatorii e delle esecuzioni capitali, non possiamo tuttavia fare a meno di essere d’accordo con lui, nonostante su quasi tutto la sua ragione abbia fatto naufragio nell’oscurità di un folle sistema. La violenza è, sempre e comunque, da rifiutare, da non mettere in pratica al di fuori di una ragionevole motivazione fondata sulla legittima difesa. Lo spettacolo di violenti combattimenti e pari sadiche condanne a morte non devoe trovare spazio nella Civiltà umana. La mia modesta impressione è però, come già ho avuto modo di dire, che tale discorso tertullianeo sugli spargimenti di sangue abbia un fine dissimulato: quello di proteggere i cristiani colpiti dalla giustizia romana, i quali cristiani condannati, sebbene la procedura di condanna fosse davvero disumana, non erano effettivamente esenti da colpe in quanto propugnatori nei fini dell’eversione sociale e politica a scapito dell’ordine costituito dell’Impero romano. Io noto che Tertulliano nei casi delle sentenze, a danno specialmente dei seguaci del Cristianesimo, insiste solo sul difetto di prassi inumane, e obiettivamente inaccettabili, legate alla macchina giudiziaria romana, ma non tiene per niente in conto il deleterio potenziale sovversivo della sua religio. La Verità a volte è poliedrica, usare le facce che convengono non rappresenta una ricostruzione vera, bensì un’operazione di propaganda, anche se a far ciò sono le vittime e di una giustizia non progredita: la punizione sadica e barbarica non cancella le responsabilità penali. Queste rimangono, si rende necessario adeguare la pena a un regime di umanità maturo, rispettoso in ogni caso della dignità della persona umana. E simile cosa, purtroppo, non fecero i cristiani quando presero il potere in Occidente. I primi a fare le spese dell’ipocrisia cristiana tertullianea gli omosessuali, condannabili al rogo. Poi vennero gli eretici e le streghe e tutti gli altri. Tertulliano accusa il pubblico pagano di tenere questi spectacula violenti e mortali a beneficio di una sadica crudelitas. Ma tutti quelli che hanno poi assistito ai roghi e alle varie esecuzioni a morte della Cristianità non costituivano più un pubblico di sadici pagani, rappresentavano un pubblico di sadici cristiani. Dov’è finito l’afflato tertullianeo al rispetto della persona? Nel cestino delle ipocrisie di circostanza? So che sto facendo un ragionamento a posteriori nel mettere in dubbio la sincerità in questo caso di Tertulliano, per me motivato più da esigenze immediate dettate dalla volontà di difendere con tutti di i mezzi argomentativi degli eversori, ma se il frutto è stato quello la pianta non doveva essere di un genere molto dissimile (a meno di cesure e innesti qui non rilevabili). Tertulliano si rivela un abile esperto della comunicazione, sa che cosa deve dire per portare l’acqua al suo mulino, tuttavia, in generale e nel caso più specifico sopra riportato, abbiamo visto il suo viscerale odio a carico della pluralista per le religioni società pagana. Odiare gli altri fa parte del DNA cristiano originario, quantunque il Cristianesimo parli di amore. È un meccanismo orwelliano, sopra rammentato, dove l’amore per Dio e per il prossimo comporta l’odio e la distruzione di tutto quanto non è conforme alla dottrina cristiana. Prima i cristiani sono riusciti a sovvertire lo Stato romano pagano “amorevolmente” con la conversione, poi sempre “amorevolmente” hanno dato la caccia a quei seguaci del Diavolo già segnalati da Tertulliano. E per amore di Dio e del prossimo hanno eliminato dalla Cristianità i pericoli rappresentati da streghe, eretici, omosessuali, et ceteri. Però sempre e comunque perché amavano Dio e proteggevano il prossimo dai rappresentanti del Demonio. Con Tertulliano il Cristianesimo ci ha detto che la violenza su di sé era illecita, in un secondo momento ha chiarito in pratica che il problema dell’uso della violenza non risiedeva in essa, bensì in chi la adoperava. Sulla divina religione cristiana costituiva un affronto a Dio, al servizio della religione cristiana rappresentava la longa manus di Dio. Ed ecco che l’horrendus locus indicato da Tertulliano dei ludi gladiatorii e delle esecuzioni è pacificamente, per così dire, transitato nel Cristianesimo dominante non più horrendus: le pubbliche sadiche condanne a morte dei nemici di Dio erano cosa buona e giusta giacché bonificavano il mondo. Non reputo estraneo simile spirito orwelliano nella mente e nella propaganda tertullianee. In relazione all’autore latino possiamo dire che il principio cristiano dei secoli scorsi L’AMORE È ODIO sia valido nella forma storicamente esternabile da lui, ma più vivo e più intenso visceralmente come si vedrà in maniera ulteriore nel testo del “De spectaculis”. Tertulliano ci spiega che l’idololatria è connaturata a tutte le forme di spectacula, nella loro antica genesi e nel loro sviluppo storico. Degli spectacula non si salva niente, nemmeno i luoghi che li ospitano e le cose usate per allestirli. In particolare colpisce, per via dell’esagerazione così grottesca, l’affermazione tertullianea secondo cui i pagani non si rendano conto di fare consacrationes non a presunti Dei (pagani) bensì a Daemonii (angeli ribelli contemplati dal Cristianesimo). Tertulliano degrada così la religiosità pagana laddove connessa con gli spectacula. E visto che c’è dimostra nuovamente la sua mancanza di apertura, equilibrio, tolleranza nei confronti degli altri non cristiani: «Nec minus templa quam monumenta despuimus». Lui disprezza i pagani (sic!): bell’esempio di amore verso il prossimo! La radice di despuere è la stessa di spuere, sputare: Tertulliano aveva diversi verbi a disposizione, tuttavia ha scelto il peggiore facendo notare in guisa significativa il suo estremismo religioso gravemente sovversivo. E addirittura, a testimonianza che lui intenzionalmente si avvalga della figura dello sputare-su, più avanti usa il verbo respuere: i luoghi dove si tengono spettacoli si imbevono di lordura la quale «in alteros respuunt». In questo gioco degli sputi reciproci messo in piedi da Tertulliano egli cerca di giustificarsi del suo precedente sputare sull’antichità pagana mostrando la causa compensativa del suo precedente disprezzo (sputo). “Spettacolare” questo stratagemma retorico della propaganda tertullianea. E poi ci si stupisce che i Romani mettessero in azione la loro macchina giudiziaria nelle situazioni di forte e aperta eversione sociale provocate dall’ideologia estremistica religiosa cristiana? Il radicalismo del Cristianesimo rendeva questo inconciliabile con l’ordine costituito romano-pagano. Nel “De spectaculis” il suo autore afferma: «Non possumus cenam dei edere et cenam daemoniorum». È evidente lo spirito sovvertitore, non conciliante, della nuova distopica religio. E quando Tertulliano ci dice che «Deus […] cum causa prohibet odisse, […] maledicere», non possiamo fare a meno di rilevare ipocrisia e contraddizione. Egli spera di far proseliti cristiani sfruttando tutte le risorse retoriche, non bada tanto a un’intima coerenza razionale nel suo discorso, ha del sofista che critica gli affectus (passioni, emozioni) e poi sotto sotto mira alla parte emozionale dei suoi interlocutori. Pensiamo a Pascal il quale ho già ricordato29, alle sue “ragioni del cuore”, ma altresì alla sua pesante critica al divertissement; Pascal possiede forti analogie nevrotiche, e nella forma dei frutti, con Tertulliano. Il “credo quia absurdum” di costui rappresenta una plateale “ragione del cuore”. Purtroppo in entrambi al posto del “cuore” c’era una nevrosi di impronta religiosa molto grave. Nel “De spectaculis” l’autore latino svolge, fra l’altro, professione di antiedonismo antiepicureo. Egli prende anche decisamente di mira il civile, equilibrato, moderno sistema filosofico del Giardino30, un exemplum di sanità mentale e di progresso in assoluto, non solo rispetto ai deragliamenti cristiani. Tertulliano comprende benissimo che il nemico scientifico-filosofico del Cristianesimo è l’epicureismo. Ne teme la concorrenza. La filosofia del Giardino ambiva a liberare dal «mortis timor» attraverso una dottrina atomistica la quale negava l’immortalità dell’anima, la resurrezione dei corpi e l’attenzione divina verso il mondo. Tertulliano ci esterna la sua preoccupazione in relazione a queste idee concorrenziali. Non è un caso che gli epicurei avranno una parte di primo piano nell’“Inferno” dantesco. Nonostante l’autore latino tema Epicuro, torna di nuovo a usare la sua maestria propagandistica prendendo delle idee epicuree per farle proprie in salsa distopica cristiana. Come se fossimo idioti, e non capissimo quanto sta mettendo in atto qua, ci illustra la distinzione tra piaceri dinamici e piaceri catastematici epicurea formalmente volta all’interno della dottrina cristiana dove assume una veste distopica in quanto l’ambito del piacere lecito si restringe enormemente (dirà più avanti: «Quae maior voluptas quam fastidium ipsius voluptatis»). Nemico del Cristianesimo è l’affectus, il movimento dell’animo suscitante passioni ed emozioni. Il pensiero cristiano condanna la concupiscentia, in cui rientra la voluptas in genere. Tertulliano puntualizza: «Nemo ad voluptatem venit sine affectu». Al fatto che ci sia una evitanda «voluptatis concupiscentia» unisce l’idea che sono «species […] voluptatis etiam spectacula». Dalla forma di simile ragionamento è derivata altresì la sessuofobia cristiana, dove il congresso carnale ideale appare quello che si celebra con la stessa partecipazione che si presta ad esempio nell’accendere e spegnere un interruttore della luce. Infatti l’autore del “De spectaculis”, a proposito di questi, ma principio valido appunto in generale, precisa: «Furor interdicitur nobis». Laddove Tertulliano riguardo al teatro parla di «privatum consistorium impudicitiae» v’è un ragionevole motivo di intendere che egli stia dicendo “privato raduno di omosessuali” giacché non gradisce abiti di scena femminili sopra uomini: mimus per muliebres [vestes] repraesentans sensum sexus et pudoris exterminat. Sembra un’affermazione omofobica, le allusioni ci sono. Comunque, se quell’impudicitia possiede senso lato, ci rientra un teatrale festival delle prostitute: «Etiam prostibula, publicae libidinis hostiae, in scaena proferuntur». Tertulliano aborrisce gli spectacula comuni e quelli per adulti, la scurrilitas (rappresentazione spiritosa, comica) et omne vanum verbum. L’autore latino chiude la faccenda inerente a teatri e spettacoli così: «Habes igitur et theatri interdictionem de interdictione impudicitiae». Lui altresì disprezza (stavolta è stato più morbido, ha usato aspernari) la «doctrinam saecularis litteraturae ut stultitiae apud Deum deputatam». Chiarisce meglio che tale letteratura pagana va disprezzata perché dà alimento alla creazione di tragedie e commedie, le quali sono «scelerum et libidinum auctrices». Simili eccessi non meritano di essere messi in scena. La conclusione tertullianea turba non poco e sotto vari profili. Cominciamo a vedere il primo, il più semplice. Se uno come Tertulliano fosse vissuto ai nostri giorni si sarebbe espresso più o meno in tal guisa: «Vi annunzio un Dio che, oltre a volere le donne chiuse in casa e vestite in abiti castigati e non truccate, che giudica gli Ebrei inguaribili traditori della vera fede, vuole, per la salvezza eterna della vostra preziosa anima, che in casa vostra in televisione non si guardino più film o serie TV comiche o drammatiche, né programmi di divertissement, né eventi sportivi, che non facciate un parallelo uso di internet con il divertissement che offre, che rinunziate a leggere romanzi e racconti da cui magari la cinematografia trae spunto…». Io, modestamente, credo che uno così sarebbe preso per pazzo, specialmente quando aggiungesse che dentro gli smartphone ci sono dei diavoli incorporati. Mettetevi ora nei panni del Romani che vedevano le bestiali affermazioni distopiche di Tertulliano, un ideologo estremista tra i più importanti teorici della nuova religio. E rammento che le sue opere da me qui esaminate sono del suo periodo di ortodossia cattolica, non ho preso a riferimento testi posteriori del periodo eretico montanista. Se questo scrittore latino è l’autore dell’“Apologeticum”, è pure il creatore di “De cultu feminarum”, “Adversus Iudaeos” e di questo “De spectaculis”. Il primo rappresenta l’apologia degli altri tre. E tutto ciò si inserisce nella fase cattolica tertullianea. L’intero quadro del pensiero tertullianeo di questo segmento temporale ci restituisce una ricostruzione obiettiva e completa. Non si possono minimizzare né accantonare le proposte, quasi sempre, assurde cui l’“Apologeticum” fa da sponda. Detto ciò voglio prendere in esame un secondo profilo di turbamento. Tertulliano ha chiesto di non sceneggiare scelera et libidines. Simile proposito si rivela antitetico alla produzione teatrale greca, di cui Aristotele ha sostenuto essere la catarsi dello spettatore il principio animante. Aristotele con la sua metafisica, la sua misoginia, la sua approvazione della schiavitù, è diventato il campione filosofico della Chiesa (il celeberrimo dantesco «maestro di color che sanno»). Perché il Cristianesimo ha preso e conservato, fra l’altro, le cose peggiori di Aristotele e buttato nel cestino la catarsi teatrale? A me sembra, a fronte di sistemi di pensiero più sani, che i teorici cristiani avessero una spiccata vocazione ad approvare e seguire le cose peggiori, a partire dalla misoginia31. L’oscurantismo tertullianeo ha colpito pure lo sport: l’attività sportiva è contro l’ordine divino dato alla realtà poiché costituisce un impegno agonistico inutile, faticoso, e volto soprattutto a superare una forma non agonistica dello statuto umano concepito da Dio (plastica Dei). Dopo la “catarsi greca” Tertulliano si mette sotto i piedi anche il romano “mens sana in corpore sano”. Tradotto oggigiorno il desiderio tertullianeo toglierebbe a tutti, perché contrario alla volontà di Dio, sin dalla prima infanzia la possibilità di una prestazione atletica, agonistica. In parole povere, per rendere l’idea, una partitella di calcio al campetto sarebbe peccato. Il Cristianesimo delle origini ha generato i paolini cosiddetti folli per Cristo. È stato il padre spirituale del Cristianesimo, Paolo di Tarso, a definire la nuova religio, allo sguardo altrui e non partecipante, μωρία, e a scagliarsi contro la σοφία pagana, colpevole di incomprensione che meriterà la punizione divina. A detta del Paolo neotestamentario il tempo dei σοφόι è finito e i piani si sono ribaltati: Dio ha attribuito la qualifica di stoltezza alla conoscenza pagana, si è rivelato alla impotente σοφία dei pagani mediante la pazzia di ciò che è proclamato a voce alta (μωρία τοῦ κηρύγματος). Agli occhi giudei il Messia cristiano appare σκάνδαλον (una trappola), a quelli di tutti gli altri μωρία. Paolo aggiunge che «quanto con stupidità fatto da Dio è più dotto dell’operato umano [τὸ μωρὸν τοῦ θεοῦ σοφώτερον τῶν ἀνθρώπων ἐστίν]». In questo gioco di inversione dei ruoli, prosegue l’apostolo invitando il presunto σοφός non cristiano a diventare μωρὸς allo scopo di essere veramente σοφός: la σοφία pagana rappresenta μωρία per Dio. Gli sciocchi per via di Cristo (μωροὶ διὰ Χριστόν) sarebbero in realtà nell’ottica paolina assennati in Cristo (φρόνιμοι ἐν Χριστῷ)32. I cristiani non destavano affatto una buona impressione a nessuno, e ne erano consapevoli sin dal tempo di Paolo di Tarso. La loro apologetica continuava a sconcertare non meno dei loro martiri. In linea di squilibrio mentale il martirio cristiano è parente prossimo del suicidio stoico: lo stoicismo andava fagocitato; l’epicureismo, il vero nemico, sostenitore di un edonismo moderato, andava annientato. Quello che restava dello spirito epicureo tornerà a galla con la civiltà umanistico-rinascimentale nelle forme particolari di una nuova società a vocazione capitalistica in contrasto con la reazionaria Chiesa cattolica di allora. Il risultato? Lo scisma protestante. Ma torniamo a Tertulliano e al suo “De spectaculis” dove si riecheggia il ragionamento paolino sopra riportato: «Ethnici, quos penes nulla est veritatis plenitudo, quia nec doctor veritatis Deus, malum et bonum pro arbitrio et libidine interpretantur». A nuova dimostrazione che esisteva ormai all’epoca tertullianea una salda e consolidata volontà cristiana, presente già ab ovo, di scalzare nella sua interezza l’ordine sociale politico pagano. Alla fine di questo distopico programma dipinto nel “De spectaculis” si toccano altre cime dell’assurdità. Se si assiste agli spectacula, a dire di Tertulliano, esiste il serio pericolo che qualche diavolo si impossessi di qualche spettatore, e allora ci vorrebbe l’esorcista. Gli spectacula insomma sono pericolosissimi. I cristiani, continua l’autore latino, non hanno bisogno dell’arte pagana la quale rappresenta «fabulae», hanno le loro produzioni le quali riportano «veritates». Altri studiosi prima di me hanno colto la natura del Cristianesimo originario quale favola nera, cioè rovinosa per molti secoli e responsabile di crimini contro l’umanità a causa delle sue dottrine: la misoginia, l’antisemitismo, l’omofobia, l’intolleranza, l’illiberalismo della nuova religio hanno tragicamente fatto sì, e non quale Cristianesimo mal compreso e mal praticato, che molte persone fossero perseguitate e sadicamente torturate e uccise. Simili luttuosi fenomeni furono il prodotto di una intenzione precisa, nevrotica e irrazionale. La storia ce ne ha liberati col progresso civile, e il Cristianesimo di oggi non è più come quello del periodo nero preilluministico. Perdendo il potere politico ha solo potuto legarsi in scala ridotta con gli amici di turno, pur mantenendo un suo peso non indifferente (abbiamo visto ad esempio la Chiesa cattolica durante i totalitarismi antisemiti del ’900 giocare in negativo in un contesto molto tragico). Mi ha particolarmente colpito il finale del “De spectaculis” a causa del disvelamento di una malcelata ipocrisia. Nella celebrazione tertullianea del vivere Deo, l’autore latino non riesce a nascondere l’acredine e l’astio nei riguardi dei non cristiani. Si parla infatti di questo favoloso «ultimus et perpetuus iudicii dies» al fine di prospettarci uno scenario di rinnovata distopia e di apocalittico orrore. Unus ignis divorerà il cosmo con suoi peccatori abitanti, e Tertulliano mostra sadico compiacimento al pensiero dei lamenti e delle scene che avranno per protagonisti questi avvolti dalle fiamme nel corso del giudizio divino. Molto inquietante, molto sconcertante, molto sinistro, simile desiderio il quale nella sua vis proveniente dall’Ombra junghiana ci offre una prefigurazione dei trattamenti violenti che i cristiani riserveranno ai loro inquadrati nemici33. Torture, roghi, esecuzioni varie, volte a rimuovere presenze giudicate diaboliche hanno rappresentato crimini contro l’umanità sia per estensione (in termini di percentuale sulla popolazione) che per intensione. Il vecchio Cristianesimo di prima maniera è stato una distopia in terra, prima teorica, poi materializzatasi storicamente nella guisa ecclesiastica sottolineata da Simone Weil34.
 
 
NOTE
 
28 A pag. 20. Consiglio la lettura di tale mio lavoro.
 
29 Vedasi nota 3.
 
30 Si veda nota 16.
 
31 Vedasi nota 8.
 
32 Erasmo da Rotterdam attuerà una ripresa del tema della μωρία, una ripresa molto sottile, le cui facce ho esaminato nella mia analisi indicata nella nota 6.
 
33 In merito a cattivi presagi, in argomento un mio studio: Dalle parole di Gesù Cristo a quelle di Pauline Harmange contenuto nella mia pubblicazione Prospettive rinnovate (2023). Dacché ho ritenuto il sistema di de Sade una forma di tanatolatria e il sadismo presente all’interno di una parte del Cristianesimo (fatti salvi tutti quelli che d’altro canto qualcosa di veramente buono hanno compiuto), è possibile concludere che in generale e sotto il profilo ideologico il Cristianesimo intero sia sorto quale religio tanatolatrica. Dal sacrificio di Gesù Cristo alla sua imitazione dei martiri successivi si nota una strutturale vocazione al suicidio in sintonia, ma più estremistica, con l’autodistruzione stoica. I cristiani originari potrebbero essere definiti, e non a torto, “stoici impazziti”. Allo scopo di approfondire l’argomento sul sadismo segnalo due miei lavori: quello indicato nella nota 10 e nel medesimo mio saggio che lo contiene l’altro intitolato La tanatolatria di de Sade.
 
34 Giudico interessante segnalare nell’ambito letterario la nostalgia di simile passato distopico all’inizio del ’900 in un autore di elevate capacità di scrittura, che accosto a Tertulliano e a Dante, quale fu Monsignor Robert Hugh Benson. E ciò nella dimostrazione di come sia stato alquanto lento il processo di ammodernamento della Chiesa cattolica, divenuto più rapido solo dalla seconda metà del XX secolo. Ho il piacere di invitare a leggere il romanzo bensoniano “Lord of the World”. E per i motivi di cui ho trattato nella mia monografia che gli ho dedicato, e della quale consiglio parimenti la lettura: L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017). Riguardo a un summum exemplum, la personalità e l’opera del cattolico Tommaso Moro, il quale μωρὸς διὰ Χριστόν si fece uccidere dai protestanti e fu teorico del Cattolicesimo totalitario nella sua “Utopia”, suggerisco la lettura di un altro mio lavoro: Cristianesimo razionale e nazional-socialismo in Thomas More nella mia opera menzionata nella nota 9.