Nella giurisprudenza italiana in virtù della legge 248 del 18 agosto 2000 anche i testi pubblicati su internet godono della tutela del diritto d’autore già stabilito dalla precedente legge 633 del 22 aprile 1941. La loro riproduzione integrale o parziale è pertanto libera in presenza di scopi culturali e al di là di contesti di lucro, da questo lecito uso fuori del consenso dello scrittore si devono necessariamente poter evincere i seguenti dati: il link del testo, il titolo, l’autore e la data di pubblicazione; il link della homepage del suo contenitore web. Copiare non rispettando queste elementari norme rappresenta un illecito.

martedì 15 agosto 2023

DALL’INNO STOICO A ZEUS DI CLEANTE ALLA FONDAZIONE DEL CRISTIANESIMO

di DANILO CARUSO
 
In un mio passato lavoro mi sono occupato del lato stoico della figura letteraria e mitologica del Gesù evangelico1. Qua proseguo l’esame dei rapporti concettuali intercorrenti fra stoicismo e nuova religione cristiana. Come già visto nell’altra mia analisi, e ben noto prima di me a studiosi attenti e molto meno alla stragrande maggioranza della gente, la filosofia stoica ha fornito molto materiale all’erigendo Cristianesimo. Sebbene questo fenomeno culturale sia stato evidente sotto il naso di menti acute, non ho trovato niente che andasse al di là del semplice accenno nei termini di una approfondita indagine filosofica e teologica. Ci sono intellettuali che mi hanno preceduto i quali sono consapevoli che la religione cristiana sia una invenzione umana, però di tale costruzione non hanno prodotto al pubblico l’esame genetico delle idee puntuale. Non mi sono mai imbattuto in indagini paragonabili alle mie nelle quali grazie all’uso di strumenti adeguati alla filosofia e alle religioni dell’antichità ho smontato nel tempo, sempre meglio, la tradizione giudaicocristiana nelle sue contestuali culturali, ideologiche, filosofiche componenti di base. Non ho avuto la ventura di incontrare una simile intenzione di destrutturazione sino agli elementi di pensiero ultimi. Ci sono dei lavori storici pertinenti, tuttavia la storia dei fatti non è stata accompagnata da una storiografia di ampio raggio. Naturalmente non sono il primo a scoprire alcune cose che scrivo, ma non le ho trovate ben spiegate e chiarite prima di me. Perciò non poche cose in relazione a me sono state nuove scoperte, e come frutto di mie riflessioni e ricerche autonome poi pubblico i risultati d’analisi. Nello studiare i testi biblici e le due religioni collegate non è stato facile accantonare il tradizionale senso fideistico cristiano che la società occidentale inculca in huxleyano modo (mi riferisco ai metodi di trattamento formativo mentale del Brave New World2). Riuscitoci da solo per puro spirito filosofico grazie alle mie indagini, continuo ad analizzare gli argomenti di cui ho fatto menzione, e nelle mie particolari personali modalità. Come ho anticipato in questo scritto parlerò della maternità stoica del Cristianesimo e anche della paternità ebraica. C’è nel Nuovo Testamento un brano degli “Atti degli apostoli” molto rilevante nella determinazione dei legami fra stoicismo e Giudaismo in relazione alla nascita del Cristianesimo. Paolo di Tarso si trova all’Aeropago e rivolge agli astanti che lo ascoltano un discorso di nitida matrice stoica. Egli, dopo aver introdotto un ancora demiurgico Dio giudaicocristiano (più avanti destinato dalla teologia cattolica a essere invece protagonista di una creazione ex nihilo3), dipinge costui con tratti monistici e panteistici di tonalità hegeliane e spinoziane4, pur volendosi mantenere nell’orizzonte personalistico del divino. E non sorprende che in simile contorsionismo teologico, volto a valorizzare la radice stoica, Paolo appunto si esprima quale profondo simpatizzante dello stoicismo. Afferma infatti, all’Areopago, che ogni essere vivente opera dentro Dio e che da lui ha sostegno ontologico. E addirittura l’apostolo va a citare proprio un pertinente verso dell’inno a Zeus di Cleante di Asso (304-233 a.C.) dove si asserisce che gli uomini sono il frutto di una discendenza divina. Paolo condanna altresì, tra l’altro, le rappresentazioni artistiche del divino. Anche nei Vangeli compaiono tracce esplicite di panteismo stoico riformulato nella direzione dell’inglobante ubiquità divina. Il filosofo Cleante citato, di cui esaminerò detto inno, fu di modeste origini, ebbe uno spirito sensibile alla sfera della religione e fu di orientamento filosofico panteista. Fu il primo a subentrare nel ruolo di scolarca stoico a Zenone di Cizio, e diede allo stoicismo un’inclinazione investigativa e riflessiva ritenuta preliminare e faro rispetto ai contenuti della prassi. Lo stoicismo nel tempo spostò via via la sua visione panteistica greca verso un assetto teistico nella speculazione romano-latina. In detto testo di Cleante l’autore definisce Zeus αθάνατος. E dal momento in cui la sua posizione è spinoziana non c’è da stupirsi che egli non metta una frattura nichilistica al corso divino (identificato col corso della realtà). La nota di contrasto emerge allorché si evidenzia la mortalità degli Dei (Elohiym) biblici, a cominciare dal “numero uno”5. Il Vecchio Testamento non possiede la categoria teologico-filosofica dell’“eternità”, la mortalità inerisce pure alla divinità, e in luogo dell’immortalità personale, di garantita eterna vita, si offre la prospettiva di “lunghissimo tempo”. La teologia cristiana poi prenderà spunti esterni al Giudaismo e renderà il Dio biblico un soggetto teologico con attributi ontologici parmenidei. Il filosofo greco di Asso poi definisce Zeus πολυώνυμος. Sebbene tale definizione possa apparire scontata in un contesto stoico panteista che risente dei modi orientali teologici di vedere nel molteplice dispiegamento delle divinità una manifestazione di facciata di un divino alla sua base e nella sua sostanza unitario, si rivela per me molto interessante se la collego a un mio studio precedente sul concetto veterotestamentario di “Elohiym”6. Là avevo spiegato che il termine, la cui forma invariabile riaguardo al numero non ci precisa da sola la quantità (“il Dio / gli Dei”, in generale “il Divino”), a mio avviso nel contesto biblico giudaico finì per assorbire la possibilità del pluralismo a vantaggio di una singolarità semantica privilegiata in quel sistema religioso. Il Dio ebraico in posizione di supremazia enoteistica diviene cioè lo Elohiym per eccellenza, il “numero uno” come recita Dt 6,4 nella mia corretta e approfondita traduzione dall’ebraico. Nella linea di vicinanza semitica fra Ebraismo e stoicismo (fondato da Zenone di Cizio) sono in grado di rilevare un’altra pertinente cosa grazie all’uso di Cleante, primo successore del fondatore della scuola filosofica stoica, dell’aggettivo πολυώνυμος. I Giudei maturarono il divieto di pronunziare il nome del loro Dio. Penso che se la parola Elohiym si spostò nella teologia ebraica dal plurale di partenza a una forma singolare di maggiore e migliore copertura semantica, anche il Dio d’Israele è definibile strutturalmente nel suo concetto costitutivo globale e finale (inglobante soprattutto elementi egizi e sumeri7) “dai-molti-nomi”. Lo stoicismo non ha guadagnato ancora con Cleante una dimensione di persona al divino unico e si mantiene sopra un piano panteistico spinoziano rispetto al Giudaismo, ma entrambi i sistemi possiedono analogie originarie nel meccanismo di una semantica unificatrice del “divino”. Lo stoicismo è stato molto più saldo a proposito dell’unicità esclusiva, però non della personalità; il pensiero ebraico ha operato invece sul costruire un Dio persona ben preciso, ma lasciandogli degli Elohiym avversari (comunque non alla sua altezza). Sarà il definitivo matrimonio culturale stoico-giudaico a generare nella teologia cristiana il Dio personale unico contrastato solamente da un’altra singola personalità malefica (Satana). Riguardo al discorso che stavo facendo poc’anzi sul Dio d’Israele dai-molti-nomi e sul divieto di pronunziarne il nome ho l’impressione che il fagocitamento semantico da parte di “elohiym” possa aver prodotto un risultato semantico di ribaltamento. Vale a dire che il Dio dai-molti-nomi è divenuto alla fine una divinità senza-nome: qualità di “elohiym” dall’enoteismo veterotestamentario potenzialmente vocato al monoteismo personalistico cristiano, raggiunto dopo l’incontro conciliante con la filosofia stoica. Cleante definisce altresì Zeus παγκρατὲς, cioè onnipotente. Pnsiamo all’incipit del cantico di Francesco d’Assisi: «Altissimu, onnipotente, bon Signore / tue so’ le laude la gloria e l’honore et onne benedictione. / Ad te solo, Altissimo, se konfano». L’altezza lirica, anche in generale, è analoga a quella del filosofo greco antico, però i toni sono differenti: più cupi e irrigiditi in Francesco, dove il recinto appare prigione mentale animata da gaiezza inquadrata dai vincoli di un Dio onnivoro, mentre in Cleante, quantunque si stigmatizzi parimenti la devianza, si mostrano una forma religiosa e una sostanza filosofica non oppresse da una teologia oscurantista. Il Dio cattolico francescano monopolizza tutte le celebrazioni e le attenzioni, lo Zeus dell’autore greco invece si offre alla richiesta di interlocuzione umana, non manifesta pretesa: da un lato notiamo un negativo divino incalzare, dall’altro uno spazio di gioiosità più libera. Il Cristianesimo ha recintato il Paganesimo, ha buttato via lo spirito religioso liberale e cordiale, e tenuto dentro le cose peggiori. Nonostante stoici ed epicurei fossero come cani e gatti non sono finiti all’uso della violenza, la quale invece sarà introdotta in relazione a questioni teologiche e filosofiche nella cultura e nella società occidentali proprio dal Cristianesimo, i cui scontri interni e rivolti in direzione dell’esterno, ispirati o mascherati da motivazioni nevrotiche o di interesse, di richiamo propagandistico religioso cristiano sono stati fra le pagine più orrende della Storia universale8. Non trascuriamo quindi che lo Zeus di Cleante non si è trasformato nel Paganesimo in un persecutore. Oggigiorno quasi tutti giudicano erroneamente la religiosità greca antica come se fosse stata un fattore di deficienza, senza peraltro rendersi conto che il Cristianesimo è sorto grazie all’incontro di stoicismo ed Ebraismo, tra cultura pagana e cultura ebraica. Molti ignorano o trascurano che il Paganesimo greco era in grado di far sospendere pro tempore le guerre in Grecia durante significativi eventi religiosi. Si pensi ad esempio alle olimpiadi, una serie di competizioni sportive in onore degli Dei. Il Cristianesimo non ha posseduto simile potere, anzi ha promosso le guerre e l’odio: pensiamo alle crociate e all’antisemitismo, ad esempio. A me pare che il Paganesimo greco fosse socialmente migliore e, mi si consenta di dire, superiore al Cristianesimo. Gli antichi Greci pagani, nonostante di cultura perlopiù misogina, non perseguitarono, torturando e uccidendo, le streghe. Non ebbero affatto omofobia di uguale effetto. Rispettarono con profondo senso di riguardo il sacerdozio religioso femminile, mentre ancora questo resta tabù a tutt’oggi nel Cattolicesimo romano. Lo Zeus di Cleante mira alla conciliazione, il Gesù evangelico ci prospetta invece in alcune sue note parole divisione e contrasto. A mio modestissimo avviso gli Dei greci non erano né falsi né bugiardi, e l’Occidente sarebbe cresciuto meglio se la massa fosse rimasta con loro. È vero che lo Zeus mitologico comune fu un clamoroso donnaiolo; ma meglio tenersi lui che il Dio cristiano il quale si rivelò, nell’opera plurisecolare di suoi psicopatici pericolosissimi credenti e seguaci, persecutore, sadico torturatore e uccisore di streghe, omosessuali, Giudei, non cristiani in generale, eretici e intellettuali dissidenti. Se simili crimini contro l’umanità sono stati compiuti è perché i loro responsabili psicopatici intesero rispettare una volontà in quella direzione di un Dio immaginario, inventato dal Cristianesimo, un Dio-nevrosi molto nefasto. La Patristica, misogina, omofoba, antisemita, intollerante, elaborò una teologia neopagana monoteistica radicale troppo deviata alla volta dell’Ombra junghiana. Quando l’albero dà i suoi frutti, tutto dipende dai semi che sono stati piantati. E io ritengo che veramente il Medioevo, iniziato con l’Editto di Costantino, sia stato il periodo dell’Oscurantismo9, poi via via sempre più scemato riguardo al dominino politico-religioso cristiano nell’Occidente. I Greci antichi non concepivano le “eresie religiose” e presso di loro la filosofia fu sempre molto libera. Uccisero Socrate per motivi politici, ma non ebbero mai un caso Giordano Bruno né un caso Ipazia d’Alessandria. L’ultima strega nell’Occidente cristiano fu uccisa a fine ’700 in Svizzera alla vigilia della Rivoluzione francese, cioè quattordici secoli dopo l’Editto di Teodosio. Ai nostri giorni il vecchio modello culturale del Cristianesimo risulta sostituito in linea di massima da un altro più adeguato al rispetto delle diversità, alla tolleranza delle ideologie differenti, a uno spirito di carità semplice e incruento. Dall’epoca della ottocentesca postunitaria scomparsa dello Stato pontificio, di Don Bosco e della “Rerum novarum” il Cattolicesimo romano avviò una fase 2.0 e dopo il novecentesco post-bellico Concilio ecumenico vaticano ha avviato una ulteriore fase 3.0. Nonostante tutti gli ammodernamenti dottrinari e liturgici la Chiesa cattolica contemporanea è stata colpita dallo scandalo della pedofilia. Tornando all’analisi testuale dell’inno di Cleante, proseguo il mio esame dicendo che il filosofo di Asso aggiunge una nuova definizione di Zeus: φύσεως ἀρχηγός, originatore della Natura. Non creatore ex nihilo: in Cleante immanente e panteistica spinoziana causa sui et Naturare, nella “Genesi” il Dio ebraico uscito fuori dall’arché acqueo assieme alla materia è sempre demiurgo e non creatore ex nihilo. L’autore greco afferma che Zeus governa ogni cosa per mezzo del νόμος. Quello di “legge” rappresenta un concetto nevralgico sia nello stoicismo che nell’Ebraismo. Qui esprime nella Torah l’indiscutibile volontà normativa divina del Dio personale: la Legge sta fra Dio e gli uomini con la sua direzione univoca e inderogabile. La stessa cosa succede per gli stoici originari: il loro sommo panteistico riferimento divino impone una legge, la quale si traduce non in un diretto testo di norme a cui guardare, bensì passa attraverso la Natura (da cui il “vivi secondo Natura” stoico). La Natura costituisce questa legge per lo stoicismo e rappresenta la carta normativa a cui guardare: essa è una Torah naturale da cui trarre i principi e da cui rifuggire l’inottemperanza. Il filosofo stoico di Asso e la “genesi” biblica concordano formalmente su cosa sia l’essere umano: θεοῦ μίμημα. Il testo ebraico ci parla esplicitamente di somiglianza divina quando Dio dice a principio del suo atto artigianale di produzione dell’umano androginico: «Produciamo [naaseh] adam per mezzo della nostra immagine [be-tsalme-nu] a nostra somiglianza [ki-dmute-nu]»10. In passato ho spiegato più volte Gv 1,9 riallacciandomi alla corretta traduzione weiliana e alla mitologia dionisiaca11. Il fatto che ogni uomo che nasca porti con sé una scintilla divina fu condiviso prima dell’affermazione del Vangelo non sinottico di Giovanni dagli stoici, e pure in seguito a loro influenza l’idea finì in quel prologo evangelico. Il Vecchio testamento, comunque, a sua volta ci aveva già spiegato che Dio aveva soffiato per mezzo della sua ruach la nefesh, cioè attraverso la sua facoltà determinatrice e attualizzante la forma attiva animata dell’ente umano. Tali due dettagli (ruach e nefesh) diventeranno nella teologia cristiana lo Spirito Santo e l’anima individuale immortale. In un suo punto l’inno a Zeus di Cleante introduce direttamente nel testo il concetto chiave di Logos quale strumento di “in-formazione” del reale. Per dirla con Hegel esso costituisce il momento tetico, progettuale, il quale in atto sarà retto ontologicamente dallo Pneuma stoico. Il Logos nel pensiero stoico-eracliteo non rappresenta qualcosa di derivato da un principio primo. Ho notato simile coabitazione ab aeterno nel prologo del Vangelo non sinottico di Giovanni12. Filone di Alessandria con le sue idee teologiche sul Logos preneotestamentario edificò un fondamentale ponte tra stoicismo ed Ebraismo alla volta della loro fusione nell’esperienza cristiana. Gli stoici chiamavano “pneuma” il fattore reggitore degli enti animati e dell’intera realtà: ragione seminale. Questo “spirito” proveniente dal sommo unitario soggetto divino tutto inglobante, viene immaginato come soffio-di-fuoco e sarà la base teologica dello Spiritus Sanctus cristiano, la cui raffigurazione rimarrà infatti collegata alla “fiamma” (pensiamo alla Pentecoste o alla Trinità alla fine del “Paradiso” dantesco: «Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre colori e d’una contenenza; / e l’un da l’altro come iri da iri / parea reflesso, e ’l terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente si spiri»). L’ascendenza concettuale è così evidente che il Cristianesimo delle origini puntualizzerà che lo Spirito Santo è Dominus et vivificans. Non è stato Domina, secondo l’auspicio gnostico, per via della misoginia patristica. La Santissima Trinità cattolica dunque è stata concepita integralmente al maschile. Lo pneuma stoico, il cui concetto è presente nell’inno di Cleante a Zeus, rappresenta il Dio reggitore; il logos rappresenta il Dio produttore/creatore. Simile potere ontologico bipolare della divinità stoica unica e dello Zeus del filosofo di Asso, schema (Zeus, Logos, Pneuma) che si evolverà nella formazione cattolica del dogma trinitario divino, lo ritroviamo nell’episodio del dubbioso Tommaso davanti al Cristo risorto, allorché lo appellerà: «Signore di me e Dio di me». Vale a dire: “reggitore-della-mia-esistenza” e “causa-della-mia-esistenza”. Gesù ha assunto chiare connotazioni teologiche stoiche connesse in fusione con formali analoghi schemi forniti dalla teologia di Filone di Alessandria13. L’agire di Zeus, descritto nell’inno di Cleante, in quanto sostanza spinoziana, contempla una razionalità hegeliana ante litteram et sui generis, la quale nel filosofo di Asso ci riconduce a una radice eraclitea. Cleante al di là del momento tetico-logico ci mostra una contrapposizione nel reale fra ciò che rispetta e segue il Logos e ciò che nella sua possibilità di libertà possa sfuggirgli. È questo filosofo stoico nel suo inno a costruire l’agostiniana spiegazione sulla presenza del Male nel Mondo. Non è il divino che contempla nella sua produzione della realtà l’esistenza dell’iniquità. Come riecheggerà Agostino d’Ippona, Dio non è causa prossima del Male, bensì causa remota indiretta (origine) poiché sono le creature umane a operare secondo spirito malvagio di propria iniziativa (più o meno influenzata da fattori prossimi negativi). L’obiettivo di stoicismo e Cristianesimo rimane quello di ricondurre gli uomini all’osservanza della Legge divina, espressa grazie al Logos (il quale è attualizzato nella Natura per gli stoici, nella Torah per i Giudei, nel Verbo incarnato neotestamentario per i cristiani; ma in ogni caso come dice Cleante la Legge rimane per tutti θεοῦ κοινὸς νόμος). La dialettica stoica in Cleante che in Hegel sarà ab ovo “razionale” fra “negativo razionale” (momento del divenire seguente il tetico-logico) e “positivo razionale” è sorta sotto altro spirito speculativo e sotto altra dinamica. La divinità stoica postula logicamente e attua positivamente la sua legislazione ontologica: qui dal tetico-logico passiamo al “positivo razionale”; “negativo razionale” è un difetto di osservanza del Logos (un difetto più che altro pratico umano); qua non ci sono ancora le necessità hegeliana e spinoziana a “razionalizzare” tutto e persino il male. Il filosofo greco di Asso ci dice che Zeus riesce a riprendere tuttavia i fili del reale sfuggiti nel “negativo” e così a risanare la frattura tra negativo arazionale (si badi bene: non “razionale”) e Logos col suo “positivo razionale” (il quale sarebbe il complesso delle “ragioni seminali” immesse nella materia naturale). Cleante inquadra la cosa sopra un tavolo morale, e l’opposizione che ne viene fuori riguarda l’agire umano. Simile dialettica generale (tetico-positivo-negativo-positivo-tetico di apocatastasi) delinea il corso universale dato dagli stoici al Cosmo, dove dopo una finale conflagrazione universale ricomincia il ciclico ritmo descritto, improntato al suo interno da “fatalismo logico” (il quale costituisce la più profonda radice della “predestinazione luterana”, radice passante attraverso il pensiero teologico di Agostino d’Ippona). Suddetta stoica sequenza ciclica cosmica mostra avere un’ascendenza analogica induista: “creazione-conservazione-distruzione” da parte della Trimurti. Lo Zeus di Cleante è pure a suo modo di apparenza trinitaria, ma nei canali speculativi teologici ripresi da Filone di Alessandria: la trinità induista si evolve in quella stoica (Zeus, Logos, Pneuma), e questa infine si evolverà in quella cristiana (Padre, Figlio, Spirito Santo). La fase della distruzione rigenerativa è stato via via isolato e separato dalla concezione più schietta del divino. Riprendiamo lo schema della dialettica cosmica stoica: tetico-positivo-negativo-positivo-tetico di apocatastasi. Riesaminiamolo alla luce di Giudaismo e Cristianesimo. Il Dio Veterotestamentario (tetico) produce l’Universo (positivo), però l’uomo simboleggiato da Adamo ed Eva devia in relazione all’ordine divino dato (negativo). Qui le strade speculative di stoicismo, Ebraismo e Cristianesimo si separano. Il razionalismo panteistico stoico non era a vocazione nazionalistica bensì cosmopolitica e guardava all’umanità nel suo insieme indistinto. I Giudei in possesso di tradizionale forte spirito etnico, dettato dalla loro religione, hanno vissuto profondamente il “negativo stoico” delle vicende connesse alla sorte del loro antico stato nazionale. Il loro ritorno del “positivo” proviene dalla venuta del Messia liberatore con il ripristino di un terreno Regno di Dio (i cui sudditi sarebbero gli Ebrei). Il Cristianesimo rielaborò gli schemi visti stoico e giudaico. Mantenne il Dio personale ebraico strutturandolo teologicamente secondo canoni desunti da Filone di Alessandria e dallo stoicismo. Qua Dio, dietro suggestione induista, finirà per creare ex nihilo l’Universo (tetico e positivo). La concezione stoica ciclica del tempo fu abbandonata sulla scia lineare giudaica. Dopo il “peccato originale” di Adamo ed Eva (negativo) i cristiani posero una figura di Messia stoicizzante (positivo). Ciò costituisce un incontro a metà strada fra Ebraismo e stoicismo: non ci sono più un popolo nel senso etnico eletto di Dio e il bisogno di un parallelo Stato nazionale, adesso il popolo di Dio viene rappresentato dai battezzati (in virtù del nuovo sacramento che recupera il “positivo”) e viene inquadrato nella Chiesa (una santa cattolica apostolica), la quale ha preso il posto dello Stato nazione giudeo. Ritorna nel Nuovo Testamento in maniera aperta il concetto stoico di apocatastasi nella forma di “ultima restaurazione messianica del Cosmo” (ci si riferisce a una fase postapocalittica): ciò costituisce il tetico di apocatastasi a cui non v’è altro seguito nella teologia cristiana. Alle origini del Cristianesimo l’idea stoica di Cleante, espressa nel suo inno, di un emendante riassorbimento integrale del lato negativo della realtà, senza dunque procedere a soppressione (ma a conversione), era ancora sentita e qualche pensatore cristiano immaginò che anche Satana potesse essere recuperato alla fine dei tempi. La Chiesa, poi, poco dopo, qualificò eretica una simile visione. Cleante nel suo inno a Zeus non apprezza i piaceri legati alla corporeità, la scriteriata vocazione all’arricchimento e gli amanti della notorietà. Nel Cristianesimo patristico la sessuofobia fu radicale dopo la concezione neotestamentaria paolina un po’ più moderata. Il Giudaismo non era sessuofobico, bensì legato al vincolo procreativo del congresso carnale: l’Antico Testamento, a dispetto di Paolo di Tarso, celebra l’atto quale ripristino dell’unità androginica14. Il Cristianesimo non colse questo contenuto veterotestamentario e inventò un mito nuovo estraneo al testo ebraico, fondato sulla famosa costola di Adamo. Il divieto cristiano di accumulare ricchezze è un esplicito precetto evangelico. La conclusione dell’inno di Cleante propone uno spinoziano itinerarim mentis in Deum: l’auspicio è che gli uomini possano essere beneficiari di un’illuminazione divina, se non riescono da soli a conformarsi alla Legge-Logos, e cogliere in ogni caso il senso ontologico del Cosmo mediato dal Logos. A chiusura della mia analisi voglio far presente altre due cose. La prima è che la filosofa Simone Weil colse perfettamente il legame ideologico che univa l’inno a Zeus di Cleante di Asso alla fondazione del Cristianesimo, però la prospettiva fideistica di costei, che ha ribaltato di 180° lo sviluppo storico nel di lei pensiero filosofico-religioso, non le ha consentito di farsi convinta (correttamente) che le corrispondenze de facto marciavano in direzione confutatoria piuttosto che di conferma di fede15. L’ultima cosa che voglio dire a proposito delle analogie riguarda il Dio biblico e Zeus. Il primo nasce teologicamente quale riproposizione di Aton, quindi raffigura una divinità solare16. L’etimologia del nome del secondo riporta al sostrato indoeuropeo dove il concetto della radice è: “luce-del-giorno-proveniente-dal-cielo”. Pertanto Zeus e il Dio giudaicocristiano si pongono sulla stessa linea concettuale, nella quale hanno altresì in comune il kabôd biblico. Esso (volto comunemente con “gloria di Dio”) costituisce per la divinità “numero uno” veterotestamentaria la manifestazione della propria potenza uranico-solare. Uguale prerogativa di kabôd appartiene a Zeus dietro una facciata statica simbolica differente: il suo potere uranico-solare si rende manifesto attraverso il fulmine. Rappresentazioni di simboli diversi, ma unità concettuale dinamica in comune. Cleante nel suo inno menziona il fulmine di Zeus: κεραυνός, il quale è là nel testo greco qualificato a doppio taglio, infocato, imperituro. L’antico Testamento racconta che Dio mostra il suo kabôd grazie a una nuvola (elemento uranico) dal cui interno si manifesta un fuoco (elemento solare). Con medesimo fuoco (aysh) partito dal cielo, ci narra il testo ebraico, in una particolare mitologica circostanza, la divinità “numero uno” distrugge Sodoma e Gomorra coi suoi abitanti. I Settanta volgeranno il segmento che ci interessa con: «πῦρ παρὰ Κυρίου ἐκ τοῦ οὐρανοῦ».



NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Prospettive rinnovate”
 
1 Allo scopo di riallacciarsi a questa mia precedente trattazione indico dove trovarla: Gesù stoico e dionisiaco nella mia pubblicazione intitolata Partita a scacchi (2022).
 
2 Al noto romanzo di Aldous Huxley ho destinato una mia monografia: Il capitalismo impazzito Di Aldous Huxley (2015).
 
3 Per approfondimenti suggerisco di leggere dei miei studi: Radici egizie nella cosmogonia ebraica dentro la mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013) e Radici sumere di ebraismo e capitalismo all’interno dell’altra mia opera Note di critica (2017).
 
4 Al fine di approfondire il concetto relativo all’aggettivo “spinoziano” segnalo una mia analisi contenuta nel mio saggio Distopie occidentali (2023): Il nevrotico e distopico idealismo di Spinoza.
 
5 Si veda in direzione dell’approfondimento nella mia monografia già menzionata Ermeneutica religiosa weiliana (2013) dentro alla sezione recante il titolo Radici egizie parimenti già citata nella nota 3.
 
6 Nel mio saggio ricordato nella nota precedente nel segmento Il Dio del Tanak non è solo.
 
7 Vedasi nota 3.
 
8 Si può rilevare d’altro canto quale fosse l’atteggiamento epicureo leggendo un mio studio destinato a Lucrezio: Riflessioni sopra il “De rerum natura” lucreziano, contenuto nella mia pubblicazione Analisi letterarie e filosofiche (2023).
 
9 A chi volesse meglio conoscere il mio punto di vista consiglio di leggere: due mie monografie in particolare, Teologia analitica (2020) e Parricidio dantesco (2021); il mio scritto intitolato Guido Guinizelli e la nascita della sistematica caccia alle streghe presente nel mio saggio Radici occidentali (2021); e infine una terza mia monografia che ha trattazione tangente al tema e intitolata Il Medioevo futuro di George Orwell.
 
10 Alla volta dell’approfondimento segnalo una mia analisi: Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi nella mia pubblicazione Considerazioni letterarie (2014).
 
11 Si veda il mio lavoro citato nella nota 1 e nella mia opera Ermeneutica religiosa weiliana (2013) la sezione intitolata La “lettre a un religieux”.
[seconda parte di questo testo su internet]
 
12 A proposito di ciò si veda il mio scritto di nota 1.
 
13 Riguardo a tale argomento vedasi dentro la mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013) la parte recante il titolo La “lettre a un religieux”.
[seconda parte di questo testo su internet]
 
14 Si veda nota 10.
 
15 Per approfondire consiglio la lettura di una mia analisi: Cristianesimo e verità in Simone Weil nel mio saggio Note umanistiche (2020).
 
16 Per un approfondimento vedasi nota 6.