di DANILO CARUSO
In un mio passato lavoro mi sono occupato del lato stoico
della figura letteraria e mitologica del Gesù evangelico1. Qua
proseguo l’esame dei rapporti concettuali intercorrenti fra stoicismo e nuova
religione cristiana. Come già visto nell’altra mia analisi, e ben noto prima di
me a studiosi attenti e molto meno alla stragrande maggioranza della gente, la
filosofia stoica ha fornito molto materiale all’erigendo Cristianesimo. Sebbene
questo fenomeno culturale sia stato evidente sotto il naso di menti acute, non
ho trovato niente che andasse al di là del semplice accenno nei termini di una
approfondita indagine filosofica e teologica. Ci sono intellettuali che mi
hanno preceduto i quali sono consapevoli che la religione cristiana sia una
invenzione umana, però di tale costruzione non hanno prodotto al pubblico
l’esame genetico delle idee puntuale. Non mi sono mai imbattuto in indagini
paragonabili alle mie nelle quali grazie all’uso di strumenti adeguati alla
filosofia e alle religioni dell’antichità ho smontato nel tempo, sempre meglio,
la tradizione giudaicocristiana nelle sue contestuali culturali, ideologiche,
filosofiche componenti di base. Non ho avuto la ventura di incontrare una
simile intenzione di destrutturazione sino agli elementi di pensiero ultimi. Ci
sono dei lavori storici pertinenti, tuttavia la storia dei fatti non è stata
accompagnata da una storiografia di ampio raggio. Naturalmente non sono il
primo a scoprire alcune cose che scrivo, ma non le ho trovate ben spiegate e
chiarite prima di me. Perciò non poche cose in relazione a me sono state nuove
scoperte, e come frutto di mie riflessioni e ricerche autonome poi pubblico i
risultati d’analisi. Nello studiare i testi biblici e le due religioni
collegate non è stato facile accantonare il tradizionale senso fideistico
cristiano che la società occidentale inculca in huxleyano modo (mi riferisco ai
metodi di trattamento formativo mentale del Brave New World2). Riuscitoci
da solo per puro spirito filosofico grazie alle mie indagini, continuo ad
analizzare gli argomenti di cui ho fatto menzione, e nelle mie particolari
personali modalità. Come ho anticipato in questo scritto parlerò della
maternità stoica del Cristianesimo e anche della paternità ebraica. C’è nel
Nuovo Testamento un brano degli “Atti degli apostoli” molto rilevante nella
determinazione dei legami fra stoicismo e Giudaismo in relazione alla nascita
del Cristianesimo. Paolo di Tarso si trova all’Aeropago e rivolge agli astanti
che lo ascoltano un discorso di nitida matrice stoica. Egli, dopo aver
introdotto un ancora demiurgico Dio giudaicocristiano (più avanti destinato
dalla teologia cattolica a essere invece protagonista di una creazione ex
nihilo3), dipinge costui con tratti monistici e panteistici di
tonalità hegeliane e spinoziane4, pur volendosi mantenere
nell’orizzonte personalistico del divino. E non sorprende che in simile
contorsionismo teologico, volto a valorizzare la radice stoica, Paolo appunto
si esprima quale profondo simpatizzante dello stoicismo. Afferma infatti,
all’Areopago, che ogni essere vivente opera dentro Dio e che da lui ha sostegno
ontologico. E addirittura l’apostolo va a citare proprio un pertinente verso
dell’inno a Zeus di Cleante di Asso (304-233 a.C.) dove si asserisce che gli
uomini sono il frutto di una discendenza divina. Paolo condanna altresì, tra
l’altro, le rappresentazioni artistiche del divino. Anche nei Vangeli compaiono
tracce esplicite di panteismo stoico riformulato nella direzione
dell’inglobante ubiquità divina. Il filosofo Cleante citato, di cui esaminerò
detto inno, fu di modeste origini, ebbe uno spirito sensibile alla sfera della
religione e fu di orientamento filosofico panteista. Fu il primo a subentrare
nel ruolo di scolarca stoico a Zenone di Cizio, e diede allo stoicismo
un’inclinazione investigativa e riflessiva ritenuta preliminare e faro rispetto
ai contenuti della prassi. Lo stoicismo nel tempo spostò via via la sua visione
panteistica greca verso un assetto teistico nella speculazione romano-latina. In
detto testo di Cleante l’autore definisce Zeus αθάνατος. E dal momento in cui
la sua posizione è spinoziana non c’è da stupirsi che egli non metta una
frattura nichilistica al corso divino (identificato col corso della realtà). La
nota di contrasto emerge allorché si evidenzia la mortalità degli Dei (Elohiym)
biblici, a cominciare dal “numero uno”5. Il Vecchio Testamento non
possiede la categoria teologico-filosofica dell’“eternità”, la mortalità
inerisce pure alla divinità, e in luogo dell’immortalità personale, di
garantita eterna vita, si offre la prospettiva di “lunghissimo tempo”. La
teologia cristiana poi prenderà spunti esterni al Giudaismo e renderà il Dio
biblico un soggetto teologico con attributi ontologici parmenidei. Il filosofo
greco di Asso poi definisce Zeus πολυώνυμος. Sebbene tale definizione possa
apparire scontata in un contesto stoico panteista che risente dei modi
orientali teologici di vedere nel molteplice dispiegamento delle divinità una
manifestazione di facciata di un divino alla sua base e nella sua sostanza
unitario, si rivela per me molto interessante se la collego a un mio studio
precedente sul concetto veterotestamentario di “Elohiym”6. Là avevo
spiegato che il termine, la cui forma invariabile riaguardo al numero non ci
precisa da sola la quantità (“il Dio / gli Dei”, in generale “il Divino”), a
mio avviso nel contesto biblico giudaico finì per assorbire la possibilità del
pluralismo a vantaggio di una singolarità semantica privilegiata in quel
sistema religioso. Il Dio ebraico in posizione di supremazia enoteistica
diviene cioè lo Elohiym per eccellenza, il “numero uno” come recita Dt 6,4
nella mia corretta e approfondita traduzione dall’ebraico. Nella linea di
vicinanza semitica fra Ebraismo e stoicismo (fondato da Zenone di Cizio) sono
in grado di rilevare un’altra pertinente cosa grazie all’uso di Cleante, primo
successore del fondatore della scuola filosofica stoica, dell’aggettivo
πολυώνυμος. I Giudei maturarono il divieto di pronunziare il nome del loro Dio.
Penso che se la parola Elohiym si spostò nella teologia ebraica dal plurale di
partenza a una forma singolare di maggiore e migliore copertura semantica, anche
il Dio d’Israele è definibile strutturalmente nel suo concetto costitutivo
globale e finale (inglobante soprattutto elementi egizi e sumeri7)
“dai-molti-nomi”. Lo stoicismo non ha guadagnato ancora con Cleante una
dimensione di persona al divino unico e si mantiene sopra un piano panteistico
spinoziano rispetto al Giudaismo, ma entrambi i sistemi possiedono analogie
originarie nel meccanismo di una semantica unificatrice del “divino”. Lo
stoicismo è stato molto più saldo a proposito dell’unicità esclusiva, però non
della personalità; il pensiero ebraico ha operato invece sul costruire un Dio persona
ben preciso, ma lasciandogli degli Elohiym avversari (comunque non alla sua
altezza). Sarà il definitivo matrimonio culturale stoico-giudaico a generare
nella teologia cristiana il Dio personale unico contrastato solamente da
un’altra singola personalità malefica (Satana). Riguardo al discorso che stavo
facendo poc’anzi sul Dio d’Israele dai-molti-nomi e sul divieto di pronunziarne
il nome ho l’impressione che il fagocitamento semantico da parte di “elohiym”
possa aver prodotto un risultato semantico di ribaltamento. Vale a dire che il
Dio dai-molti-nomi è divenuto alla fine una divinità senza-nome: qualità di
“elohiym” dall’enoteismo veterotestamentario potenzialmente vocato al
monoteismo personalistico cristiano, raggiunto dopo l’incontro conciliante con
la filosofia stoica. Cleante definisce altresì Zeus παγκρατὲς, cioè
onnipotente. Pnsiamo all’incipit del cantico di Francesco d’Assisi: «Altissimu,
onnipotente, bon Signore / tue so’ le laude la gloria e l’honore et onne
benedictione. / Ad te solo, Altissimo, se konfano». L’altezza lirica, anche in
generale, è analoga a quella del filosofo greco antico, però i toni sono
differenti: più cupi e irrigiditi in Francesco, dove il recinto appare prigione
mentale animata da gaiezza inquadrata dai vincoli di un Dio onnivoro, mentre in
Cleante, quantunque si stigmatizzi parimenti la devianza, si mostrano una forma
religiosa e una sostanza filosofica non oppresse da una teologia oscurantista.
Il Dio cattolico francescano monopolizza tutte le celebrazioni e le attenzioni,
lo Zeus dell’autore greco invece si offre alla richiesta di interlocuzione
umana, non manifesta pretesa: da un lato notiamo un negativo divino incalzare,
dall’altro uno spazio di gioiosità più libera. Il Cristianesimo ha recintato il
Paganesimo, ha buttato via lo spirito religioso liberale e cordiale, e tenuto
dentro le cose peggiori. Nonostante stoici ed epicurei fossero come cani e
gatti non sono finiti all’uso della violenza, la quale invece sarà introdotta
in relazione a questioni teologiche e filosofiche nella cultura e nella società
occidentali proprio dal Cristianesimo, i cui scontri interni e rivolti in
direzione dell’esterno, ispirati o mascherati da motivazioni nevrotiche o di
interesse, di richiamo propagandistico religioso cristiano sono stati fra le
pagine più orrende della Storia universale8. Non trascuriamo quindi
che lo Zeus di Cleante non si è trasformato nel Paganesimo in un persecutore.
Oggigiorno quasi tutti giudicano erroneamente la religiosità greca antica come
se fosse stata un fattore di deficienza, senza peraltro rendersi conto che il
Cristianesimo è sorto grazie all’incontro di stoicismo ed Ebraismo, tra cultura
pagana e cultura ebraica. Molti ignorano o trascurano che il Paganesimo greco
era in grado di far sospendere pro tempore le guerre in Grecia durante
significativi eventi religiosi. Si pensi ad esempio alle olimpiadi, una serie
di competizioni sportive in onore degli Dei. Il Cristianesimo non ha posseduto
simile potere, anzi ha promosso le guerre e l’odio: pensiamo alle crociate e
all’antisemitismo, ad esempio. A me pare che il Paganesimo greco fosse
socialmente migliore e, mi si consenta di dire, superiore al Cristianesimo. Gli
antichi Greci pagani, nonostante di cultura perlopiù misogina, non
perseguitarono, torturando e uccidendo, le streghe. Non ebbero affatto omofobia
di uguale effetto. Rispettarono con profondo senso di riguardo il sacerdozio
religioso femminile, mentre ancora questo resta tabù a tutt’oggi nel
Cattolicesimo romano. Lo Zeus di Cleante mira alla conciliazione, il Gesù
evangelico ci prospetta invece in alcune sue note parole divisione e contrasto.
A mio modestissimo avviso gli Dei greci non erano né falsi né bugiardi, e
l’Occidente sarebbe cresciuto meglio se la massa fosse rimasta con loro. È vero
che lo Zeus mitologico comune fu un clamoroso donnaiolo; ma meglio tenersi lui
che il Dio cristiano il quale si rivelò, nell’opera plurisecolare di suoi
psicopatici pericolosissimi credenti e seguaci, persecutore, sadico torturatore
e uccisore di streghe, omosessuali, Giudei, non cristiani in generale, eretici
e intellettuali dissidenti. Se simili crimini contro l’umanità sono stati
compiuti è perché i loro responsabili psicopatici intesero rispettare una
volontà in quella direzione di un Dio immaginario, inventato dal Cristianesimo,
un Dio-nevrosi molto nefasto. La Patristica, misogina, omofoba, antisemita,
intollerante, elaborò una teologia neopagana monoteistica radicale troppo
deviata alla volta dell’Ombra junghiana. Quando l’albero dà i suoi frutti,
tutto dipende dai semi che sono stati piantati. E io ritengo che veramente il
Medioevo, iniziato con l’Editto di Costantino, sia stato il periodo
dell’Oscurantismo9, poi via via sempre più scemato riguardo al
dominino politico-religioso cristiano nell’Occidente. I Greci antichi non
concepivano le “eresie religiose” e presso di loro la filosofia fu sempre molto
libera. Uccisero Socrate per motivi politici, ma non ebbero mai un caso
Giordano Bruno né un caso Ipazia d’Alessandria. L’ultima strega nell’Occidente
cristiano fu uccisa a fine ’700 in Svizzera alla vigilia della Rivoluzione
francese, cioè quattordici secoli dopo l’Editto di Teodosio. Ai nostri giorni
il vecchio modello culturale del Cristianesimo risulta sostituito in linea di
massima da un altro più adeguato al rispetto delle diversità, alla tolleranza
delle ideologie differenti, a uno spirito di carità semplice e incruento.
Dall’epoca della ottocentesca postunitaria scomparsa dello Stato pontificio, di
Don Bosco e della “Rerum novarum” il Cattolicesimo romano avviò una fase 2.0 e
dopo il novecentesco post-bellico Concilio ecumenico vaticano ha avviato una
ulteriore fase 3.0. Nonostante tutti gli ammodernamenti dottrinari e liturgici
la Chiesa cattolica contemporanea è stata colpita dallo scandalo della
pedofilia. Tornando all’analisi testuale dell’inno di Cleante, proseguo il mio
esame dicendo che il filosofo di Asso aggiunge una nuova definizione di Zeus:
φύσεως ἀρχηγός, originatore della Natura. Non creatore ex nihilo: in Cleante
immanente e panteistica spinoziana causa sui et Naturare, nella “Genesi” il Dio
ebraico uscito fuori dall’arché acqueo assieme alla materia è sempre demiurgo e
non creatore ex nihilo. L’autore greco afferma che Zeus governa ogni cosa per
mezzo del νόμος. Quello di “legge” rappresenta un concetto nevralgico sia nello
stoicismo che nell’Ebraismo. Qui esprime nella Torah l’indiscutibile volontà
normativa divina del Dio personale: la Legge sta fra Dio e gli uomini con la
sua direzione univoca e inderogabile. La stessa cosa succede per gli stoici
originari: il loro sommo panteistico riferimento divino impone una legge, la
quale si traduce non in un diretto testo di norme a cui guardare, bensì passa
attraverso la Natura (da cui il “vivi secondo Natura” stoico). La Natura
costituisce questa legge per lo stoicismo e rappresenta la carta normativa a
cui guardare: essa è una Torah naturale da cui trarre i principi e da cui rifuggire
l’inottemperanza. Il filosofo stoico di Asso e la “genesi” biblica concordano
formalmente su cosa sia l’essere umano: θεοῦ μίμημα. Il testo ebraico ci parla
esplicitamente di somiglianza divina quando Dio dice a principio del suo atto
artigianale di produzione dell’umano androginico: «Produciamo [naaseh] adam per
mezzo della nostra immagine [be-tsalme-nu] a nostra somiglianza [ki-dmute-nu]»10.
In passato ho spiegato più volte Gv 1,9 riallacciandomi alla corretta
traduzione weiliana e alla mitologia dionisiaca11. Il fatto che ogni
uomo che nasca porti con sé una scintilla divina fu condiviso prima
dell’affermazione del Vangelo non sinottico di Giovanni dagli stoici, e pure in
seguito a loro influenza l’idea finì in quel prologo evangelico. Il Vecchio testamento,
comunque, a sua volta ci aveva già spiegato che Dio aveva soffiato per mezzo
della sua ruach la nefesh, cioè attraverso la sua facoltà determinatrice e
attualizzante la forma attiva animata dell’ente umano. Tali due dettagli (ruach
e nefesh) diventeranno nella teologia cristiana lo Spirito Santo e l’anima
individuale immortale. In un suo punto l’inno a Zeus di Cleante introduce
direttamente nel testo il concetto chiave di Logos quale strumento di
“in-formazione” del reale. Per dirla con Hegel esso costituisce il momento
tetico, progettuale, il quale in atto sarà retto ontologicamente dallo Pneuma
stoico. Il Logos nel pensiero stoico-eracliteo non rappresenta qualcosa di
derivato da un principio primo. Ho notato simile coabitazione ab aeterno nel
prologo del Vangelo non sinottico di Giovanni12. Filone di
Alessandria con le sue idee teologiche sul Logos preneotestamentario edificò un
fondamentale ponte tra stoicismo ed Ebraismo alla volta della loro fusione
nell’esperienza cristiana. Gli stoici chiamavano “pneuma” il fattore reggitore
degli enti animati e dell’intera realtà: ragione seminale. Questo “spirito”
proveniente dal sommo unitario soggetto divino tutto inglobante, viene
immaginato come soffio-di-fuoco e sarà la base teologica dello Spiritus Sanctus
cristiano, la cui raffigurazione rimarrà infatti collegata alla “fiamma”
(pensiamo alla Pentecoste o alla Trinità alla fine del “Paradiso” dantesco: «Ne
la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre
colori e d’una contenenza; / e l’un da l’altro come iri da iri / parea
reflesso, e ’l terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente si spiri»).
L’ascendenza concettuale è così evidente che il Cristianesimo delle origini
puntualizzerà che lo Spirito Santo è Dominus et vivificans. Non è stato Domina,
secondo l’auspicio gnostico, per via della misoginia patristica. La Santissima
Trinità cattolica dunque è stata concepita integralmente al maschile. Lo pneuma
stoico, il cui concetto è presente nell’inno di Cleante a Zeus, rappresenta il
Dio reggitore; il logos rappresenta il Dio produttore/creatore. Simile potere
ontologico bipolare della divinità stoica unica e dello Zeus del filosofo di
Asso, schema (Zeus, Logos, Pneuma) che si evolverà nella formazione cattolica
del dogma trinitario divino, lo ritroviamo nell’episodio del dubbioso Tommaso
davanti al Cristo risorto, allorché lo appellerà: «Signore di me e Dio di me».
Vale a dire: “reggitore-della-mia-esistenza” e “causa-della-mia-esistenza”.
Gesù ha assunto chiare connotazioni teologiche stoiche connesse in fusione con
formali analoghi schemi forniti dalla teologia di Filone di Alessandria13.
L’agire di Zeus, descritto nell’inno di Cleante, in quanto sostanza spinoziana,
contempla una razionalità hegeliana ante litteram et sui generis, la quale nel
filosofo di Asso ci riconduce a una radice eraclitea. Cleante al di là del
momento tetico-logico ci mostra una contrapposizione nel reale fra ciò che
rispetta e segue il Logos e ciò che nella sua possibilità di libertà possa
sfuggirgli. È questo filosofo stoico nel suo inno a costruire l’agostiniana
spiegazione sulla presenza del Male nel Mondo. Non è il divino che contempla
nella sua produzione della realtà l’esistenza dell’iniquità. Come riecheggerà Agostino
d’Ippona, Dio non è causa prossima del Male, bensì causa remota indiretta
(origine) poiché sono le creature umane a operare secondo spirito malvagio di
propria iniziativa (più o meno influenzata da fattori prossimi negativi).
L’obiettivo di stoicismo e Cristianesimo rimane quello di ricondurre gli uomini
all’osservanza della Legge divina, espressa grazie al Logos (il quale è
attualizzato nella Natura per gli stoici, nella Torah per i Giudei, nel Verbo
incarnato neotestamentario per i cristiani; ma in ogni caso come dice Cleante
la Legge rimane per tutti θεοῦ κοινὸς νόμος). La dialettica stoica in Cleante
che in Hegel sarà ab ovo “razionale” fra “negativo razionale” (momento del
divenire seguente il tetico-logico) e “positivo razionale” è sorta sotto altro
spirito speculativo e sotto altra dinamica. La divinità stoica postula
logicamente e attua positivamente la sua legislazione ontologica: qui dal
tetico-logico passiamo al “positivo razionale”; “negativo razionale” è un
difetto di osservanza del Logos (un difetto più che altro pratico umano); qua
non ci sono ancora le necessità hegeliana e spinoziana a “razionalizzare” tutto
e persino il male. Il filosofo greco di Asso ci dice che Zeus riesce a
riprendere tuttavia i fili del reale sfuggiti nel “negativo” e così a risanare
la frattura tra negativo arazionale (si badi bene: non “razionale”) e Logos col
suo “positivo razionale” (il quale sarebbe il complesso delle “ragioni
seminali” immesse nella materia naturale). Cleante inquadra la cosa sopra un
tavolo morale, e l’opposizione che ne viene fuori riguarda l’agire umano.
Simile dialettica generale (tetico-positivo-negativo-positivo-tetico di
apocatastasi) delinea il corso universale dato dagli stoici al Cosmo, dove dopo
una finale conflagrazione universale ricomincia il ciclico ritmo descritto,
improntato al suo interno da “fatalismo logico” (il quale costituisce la più
profonda radice della “predestinazione luterana”, radice passante attraverso il
pensiero teologico di Agostino d’Ippona). Suddetta stoica sequenza ciclica
cosmica mostra avere un’ascendenza analogica induista: “creazione-conservazione-distruzione”
da parte della Trimurti. Lo Zeus di Cleante è pure a suo modo di apparenza
trinitaria, ma nei canali speculativi teologici ripresi da Filone di
Alessandria: la trinità induista si evolve in quella stoica (Zeus, Logos,
Pneuma), e questa infine si evolverà in quella cristiana (Padre, Figlio,
Spirito Santo). La fase della distruzione rigenerativa è stato via via isolato
e separato dalla concezione più schietta del divino. Riprendiamo lo schema
della dialettica cosmica stoica: tetico-positivo-negativo-positivo-tetico di
apocatastasi. Riesaminiamolo alla luce di Giudaismo e Cristianesimo. Il Dio
Veterotestamentario (tetico) produce l’Universo (positivo), però l’uomo
simboleggiato da Adamo ed Eva devia in relazione all’ordine divino dato (negativo).
Qui le strade speculative di stoicismo, Ebraismo e Cristianesimo si separano.
Il razionalismo panteistico stoico non era a vocazione nazionalistica bensì
cosmopolitica e guardava all’umanità nel suo insieme indistinto. I Giudei in
possesso di tradizionale forte spirito etnico, dettato dalla loro religione,
hanno vissuto profondamente il “negativo stoico” delle vicende connesse alla
sorte del loro antico stato nazionale. Il loro ritorno del “positivo” proviene
dalla venuta del Messia liberatore con il ripristino di un terreno Regno di Dio
(i cui sudditi sarebbero gli Ebrei). Il Cristianesimo rielaborò gli schemi
visti stoico e giudaico. Mantenne il Dio personale ebraico strutturandolo
teologicamente secondo canoni desunti da Filone di Alessandria e dallo
stoicismo. Qua Dio, dietro suggestione induista, finirà per creare ex nihilo
l’Universo (tetico e positivo). La concezione stoica ciclica del tempo fu
abbandonata sulla scia lineare giudaica. Dopo il “peccato originale” di Adamo
ed Eva (negativo) i cristiani posero una figura di Messia stoicizzante
(positivo). Ciò costituisce un incontro a metà strada fra Ebraismo e stoicismo:
non ci sono più un popolo nel senso etnico eletto di Dio e il bisogno di un
parallelo Stato nazionale, adesso il popolo di Dio viene rappresentato dai
battezzati (in virtù del nuovo sacramento che recupera il “positivo”) e viene
inquadrato nella Chiesa (una santa cattolica apostolica), la quale ha preso il
posto dello Stato nazione giudeo. Ritorna nel Nuovo Testamento in maniera aperta
il concetto stoico di apocatastasi nella forma di “ultima restaurazione
messianica del Cosmo” (ci si riferisce a una fase postapocalittica): ciò
costituisce il tetico di apocatastasi a cui non v’è altro seguito nella
teologia cristiana. Alle origini del Cristianesimo l’idea stoica di Cleante,
espressa nel suo inno, di un emendante riassorbimento integrale del lato
negativo della realtà, senza dunque procedere a soppressione (ma a
conversione), era ancora sentita e qualche pensatore cristiano immaginò che
anche Satana potesse essere recuperato alla fine dei tempi. La Chiesa, poi,
poco dopo, qualificò eretica una simile visione. Cleante nel suo inno a Zeus
non apprezza i piaceri legati alla corporeità, la scriteriata vocazione
all’arricchimento e gli amanti della notorietà. Nel Cristianesimo patristico la
sessuofobia fu radicale dopo la concezione neotestamentaria paolina un po’ più
moderata. Il Giudaismo non era sessuofobico, bensì legato al vincolo
procreativo del congresso carnale: l’Antico Testamento, a dispetto di Paolo di
Tarso, celebra l’atto quale ripristino dell’unità androginica14. Il
Cristianesimo non colse questo contenuto veterotestamentario e inventò un mito
nuovo estraneo al testo ebraico, fondato sulla famosa costola di Adamo. Il
divieto cristiano di accumulare ricchezze è un esplicito precetto evangelico. La
conclusione dell’inno di Cleante propone uno spinoziano itinerarim mentis in
Deum: l’auspicio è che gli uomini possano essere beneficiari di
un’illuminazione divina, se non riescono da soli a conformarsi alla
Legge-Logos, e cogliere in ogni caso il senso ontologico del Cosmo mediato dal
Logos. A chiusura della mia analisi voglio far presente altre due cose. La
prima è che la filosofa Simone Weil colse perfettamente il legame ideologico che
univa l’inno a Zeus di Cleante di Asso alla fondazione del Cristianesimo, però
la prospettiva fideistica di costei, che ha ribaltato di 180° lo sviluppo
storico nel di lei pensiero filosofico-religioso, non le ha consentito di farsi
convinta (correttamente) che le corrispondenze de facto marciavano in direzione
confutatoria piuttosto che di conferma di fede15. L’ultima cosa che
voglio dire a proposito delle analogie riguarda il Dio biblico e Zeus. Il primo
nasce teologicamente quale riproposizione di Aton, quindi raffigura una
divinità solare16. L’etimologia del nome del secondo riporta al
sostrato indoeuropeo dove il concetto della radice è: “luce-del-giorno-proveniente-dal-cielo”.
Pertanto Zeus e il Dio giudaicocristiano si pongono sulla stessa linea concettuale,
nella quale hanno altresì in comune il kabôd biblico. Esso (volto comunemente
con “gloria di Dio”) costituisce per la divinità “numero uno”
veterotestamentaria la manifestazione della propria potenza uranico-solare.
Uguale prerogativa di kabôd appartiene a Zeus dietro una facciata statica
simbolica differente: il suo potere uranico-solare si rende manifesto
attraverso il fulmine. Rappresentazioni di simboli diversi, ma unità
concettuale dinamica in comune. Cleante nel suo inno menziona il fulmine di
Zeus: κεραυνός, il quale è là nel testo greco qualificato a doppio taglio,
infocato, imperituro. L’antico Testamento racconta che Dio mostra il suo kabôd
grazie a una nuvola (elemento uranico) dal cui interno si manifesta un fuoco
(elemento solare). Con medesimo fuoco (aysh) partito dal cielo, ci narra il
testo ebraico, in una particolare mitologica circostanza, la divinità “numero
uno” distrugge Sodoma e Gomorra coi suoi abitanti. I Settanta volgeranno il
segmento che ci interessa con: «πῦρ
παρὰ Κυρίου ἐκ τοῦ οὐρανοῦ».
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato
“Prospettive rinnovate”
1 Allo scopo di riallacciarsi a questa mia precedente
trattazione indico dove trovarla: Gesù
stoico e dionisiaco nella mia pubblicazione intitolata Partita a scacchi (2022).
2 Al noto romanzo di Aldous Huxley ho destinato una mia
monografia: Il capitalismo impazzito Di
Aldous Huxley (2015).
3 Per approfondimenti suggerisco di leggere dei miei studi: Radici egizie nella cosmogonia ebraica
dentro la mia monografia Ermeneutica
religiosa weiliana (2013) e Radici
sumere di ebraismo e capitalismo all’interno dell’altra mia opera Note di critica (2017).
4 Al fine di approfondire il concetto relativo all’aggettivo
“spinoziano” segnalo una mia analisi contenuta nel mio saggio Distopie occidentali (2023): Il nevrotico e distopico idealismo di
Spinoza.
5 Si veda in direzione dell’approfondimento nella mia
monografia già menzionata Ermeneutica
religiosa weiliana (2013) dentro alla sezione recante il titolo Radici egizie parimenti già citata nella
nota 3.
6 Nel mio saggio ricordato nella nota precedente nel segmento Il Dio del Tanak non è solo.
7 Vedasi nota 3.
8 Si può rilevare d’altro canto quale fosse l’atteggiamento
epicureo leggendo un mio studio destinato a Lucrezio: Riflessioni sopra il “De rerum natura” lucreziano, contenuto nella
mia pubblicazione Analisi letterarie e
filosofiche (2023).
9 A chi volesse meglio conoscere il mio punto di vista
consiglio di leggere: due mie monografie in particolare, Teologia analitica (2020) e Parricidio
dantesco (2021); il mio scritto intitolato Guido Guinizelli e la nascita della sistematica caccia alle streghe
presente nel mio saggio Radici
occidentali (2021); e infine una terza mia monografia che ha trattazione
tangente al tema e intitolata Il Medioevo
futuro di George Orwell.
10 Alla volta dell’approfondimento
segnalo una mia analisi: Antropogonia e
androginia nel Simposio e nella Genesi nella mia pubblicazione Considerazioni letterarie (2014).
11 Si veda il mio lavoro citato nella
nota 1 e nella mia opera Ermeneutica
religiosa weiliana (2013) la sezione intitolata La “lettre a un religieux”.
[seconda parte di questo testo su internet]
12 A proposito di ciò si veda il mio
scritto di nota 1.
13 Riguardo a tale argomento vedasi
dentro la mia monografia Ermeneutica
religiosa weiliana (2013) la parte recante il titolo La “lettre a un religieux”.
[seconda parte di questo testo su internet]
14 Si veda nota 10.
15 Per approfondire consiglio la
lettura di una mia analisi: Cristianesimo
e verità in Simone Weil nel mio saggio Note
umanistiche (2020).
16 Per un approfondimento vedasi nota
6.