di DANILO CARUSO
Quando si scrive un romanzo distopico il sistema dipinto
nella narrazione costituisce l’utopia negativa, pertanto si tende a esaltare
(indirettamente) la situazione di segno opposto, la quale assumerebbe il valore
di utopia (positiva) nel comune inteso senso del termine. Un lettore
superficiale di “The power”, testo di altezza letteraria pregevole e opera del
2016 di Naomi Alderman, autrice di eccellenti abilità e capacità in materia di
creazione narrativa, potrebbe rimanere disorientato non poco riguardo a quanto
testé premesso. Quello che potrebbe disorientare il lettore sprovveduto inerisce
agli aspetti ideologici fondanti di suddetto romanzo. In esso il gentil sesso
si carica molto pesantemente del ruolo distopico. Donne e ragazze in un’epoca
paragonabile alla nostra all’improvviso sviluppano un potere elettrico (il
quale dà il titolo alla traduzione italiana: “Ragazze elettriche”). Come in una
nemesi radicale vengono ribaltati nel giro di pochissimo tempo i rapporti di
forza (fisica, direi in senso lato) con gli uomini. La distopia di “The power”,
scritta da una donna femminista, potrebbe dare l’impressione di calcare troppo
la mano nel mettere in cattiva luce il gentil sesso. Naomi Alderman si è
formata da piccola dentro un ambiente familiare improntato all’ortodossia
giudaica, maturò poi subito da giovane uno spirito e una vocazione attivistica
femminista. Il suo primo romanzo “Disobedience” (2006) segnò il suo
allontanamento dall’Ebraismo ortodosso. Se la capacità femminile in “The power”
di gestire a proprio piacimento l’elettricità emanata dal proprio corpo, grazie
a un nuovo organo sviluppatosi lungo le clavicole, ha rovesciato il precedente
storico confronto uomo/donna, dove era stato il primo a detenere la maggiore
forza muscolare, ora lo strapotere speculare distopico rappresentato dalla
scrittrice inglese a beneficio delle donne rende il potere elettrico femminile
(gli uomini sono costitutivamente esclusi dalla novità naturale) qualcosa
appunto che potrebbe turbare ex abrupto il lettore e l’immaginario endogeno
spettatore. La facoltà di gestire simile capacità personale basata
sull’elettricità in virtù di cui si può anche facilmente fulminare chiunque
stia a pochi metri porta le donne del romanzo a eccessi sadici. Sarebbe
perlopiù spontanea la difficoltà ad accogliere una siffatta ipotizzata radice
concettuale, e non condividerla, nel suo equivocato apparire quale costituente
ideologica dell’opera. Non si può facilmente apprezzare detto ribaltamento
ideale così perfetto nella rotazione simmetrica dei ruoli storicamente assunti
in precedenza: la misoginia giudaicocristiana1, la persecuzione con
le conseguenti torture e uccisioni di streghe2 non dovrebbero
naturalmente legittimare per contrasto e compenso femminile misandria sadica e
omicida in una seconda superficialmente ritenuta in nemetica fase. Imboccando
una simile via di esame disattenta si potrebbe ritenere che nel sostrato profondo
del romanzo di Naomi Alderman possano risiedere input e motivazioni in sé e per
sé non femministi. Chi legge la mia produzione intellettuale conosce bene la
mia avita posizione femminista. In passato mi era capitato di leggere “Herland”
di Charlotte Perkins Gilman, nota attivista americana in difesa dei diritti
delle donne, e di aver trovato quel testo nella sostanza più distopico che
motivo di sprone nella corretta e utile maniera all’ottenimento di risultati
veramente “femminili”3. Come ho rammentato Naomi Alderman è
cresciuta e si è formata in una famiglia di elevata cultura umanistica e
religiosa. “The power”, prodotto di una donna femminista, che in apparenza
potrebbe sembrare di non compiacere direttamente il femminismo pacifico merita
accurata attenzione. L’analisi in interiore opera evidenzia l’inversione delle
parti storiche in detta creazione letteraria: agli uomini è toccata la sorte
delle femmine storicamente perseguitate (specialmente nella forma pregiudiziale
psicopatologica di streghe), alle donne il compito dei vecchi storici
persecutori (in ispecial modo inquisitori cattolici e protestanti). In simile
meccanismo che scambia i ruoli storici a vantaggio di quelli distopici si nota
un dettaglio nevralgico in funzione della mia analisi: nel romanzo di Naomi
Alderman le donne sono state rese virtualmente maschi. Gesù Cristo in un
vangelo apocrifo afferma che nessuna donna entrerà nel Regno dei cieli se prima
non sarà resa maschio. L’autrice inglese ha prestato molta attenzione alla
figura di Gesù come testimonia il suo romanzo del 2012 “The liars gospel”.
Oltre a questo dettaglio ho rilevato un altro particolare il quale si rivela
molto significativo. Il potere elettrico attribuito alle donne mascolinizzate
rappresenta il potere di Zeus, il quale costituisce l’equivalente concettuale
dinamico del Dio Veterotestamentario. La radice del nome Zeus si riallaccia
direttamente alla semantica e all’etimologia indoeuropea dove il concetto di
riferimento è quello della “luce-del-giorno-proveniente-dal-cielo”. Tra Giudei
e Greci antichi mutava soltanto la simbologia statica. Zeus ha i fulmini e
fulmina, le donne di “The power” idem. Il Dio del Tanak rappresenta una
divinità uranica solare derivante da Aton. Il kabôd del Dio biblico (la gloria
divina) costituisce la manifestazione della sua potenza solare, ed è analogo al
fulmine di Zeus: i fulmini (l’elettricità uranica) sono il kabôd di costui.
Aton, il Dio biblico e Zeus raffigurano personaggi simbolici di una medesima
gamma dinamica concettuale. Vediamo in “The power” che il kabôd è stato
acquisito con la sottostante potenza dalle donne, rese alla fine formalmente maschi:
tutto quanto operano le donne del romanzo di Naomi Alderman in possesso del
potere di Zeus lo attuano perché sono state mascolinizzate. Non sono più donne,
sono state snaturate. Qualcosa di analogo, con tutt’altre dinamiche, accadeva
in “Herland”. Il mascolinizzare il femminile non aggiusta niente. È questo il
senso della distopia di “The power”, non la complementare esaltazione del
“maschile”. La dicotomia cardine è un’altra riguardante l’assunzione di
pregressi atteggiamenti negativi dell’altro sesso: la mascolinizzazione delle
donne rappresenta distopia, costoro non devono trasformarsi in sedie
elettriche, in artefici di pseudonemetiche sofferenze e morte. Il lettore
accorto dunque si rende conto, pensando profondamente, di quale sia la reale
chiave di lettura data al romanzo da Naomi Alderman e di quale perciò sia la
vera chiave dicotomica da usare. Una lettura superficiale potrebbe fuorviare
chiunque. L’analisi critica di un testo necessita di acutezza, profondità,
pensiero. “The power” è un romanzo di pregio e di ottima ideologia di cui
cogliere e apprezzare i dettagli. Nel mio discorso ne voglio segnalare un
altro: a carico degli uomini in Bessapara (distopico Stato femminista moldavo)
si trova riversato il misogino antico diritto attico di famiglia attinente alle
donne, ovviamente in salsa misandrica. Il gioco rotante della specularità che
inverte maschile e femminile, dalla storia alla distopia, dà il senso di “The
power”: bisogna evitare simile perfetta conversione e non trasferire il sadismo
a una nuova categoria dominante femminile. Si sbaglierebbe a leggere tale opera
di Naomi Alderman nella direzione di un recupero valorizzatore del “maschile”
che fu sadico a fronte di una complessa distopia del “femminile”. In “The
power” sono le donne a diventare persecutrici dei maschi. Quanto potrebbe non
riuscire a ben capire un lettore poco attento e poco riflessivo immediatamente
è perché ciò avvenga. E costui potrebbe immaginare possibili sbagliate
interpretazioni: 1) l’autrice attua un meccanismo puramente scenico letterario
di rovesciamento della storia passata (soprattutto di ambienti cristianizzati)
o 2) la scrittrice inglese in modo inconsapevole mette le donne in distopica
luce nell’inconscio ossequio della misoginia veterotestamentaria precedentemente
metabolizzata. Nel momento in cui si ricordasse il contenitore culturale
formativo ebraico-umanistico dell’autrice inglese ovviamente occorre da parte
di tutti una maniera pulita. Dal mio canto in tutta la mia produzione
intellettuale, ogni volta che ho trovato spazio pertinente, ho sempre
condannato il deprecabile antisemitismo, assieme ad altri nefandi e nefasti
crimini contro l’umanità. Allorché si parla di misoginia veterotestamentaria il
commentatore serio mira a non essere equivocato. Io ad esempio ho studiato,
analizzato e parlato a lungo nei miei scritti della tradizione
giudaicocristiana e l’ho sempre compiuto, come si deve e come si addice a
persona votata all’onestà intellettuale, sotto il profilo concettuale, cioè
riferendomi agli elaborati di pensiero altrui inerenti a teologia e ad
antropologia. Io ho esaminato, e continuo ad analizzare, idee. Se ce ne sono di
non conformi a una, secondo me, sana razionalità le evidenzio e le discuto
nella qualità di prodotti culturali. Chi si avventurasse su posizioni
dell’erronea via 2) deve rammentare che i concetti teologici e antropologici
antifemministi veterotestamentari sono pregressi ed esterni rispetto a “The
power”, elaborato meritevole nel suo genere. Rammentare la misoginia del Tanak
in guisa inappropriata non è conveniente. Studio scientifico ha luogo quando si
conduce l’indagine sui binari sopra evocati: allora si può parlare di tutto,
avendo grazia intellettuale e precisione. A chi sembrasse che Naomi Alderman possa
aver metabolizzato nella sua prima giovinezza l’idea ortodossa ebraica della
donna espressa nel Tanak, e che tale cosa possa aver lasciato comunque degli
schemi archetipici nella sua forma mentis anche dopo “Disobedience”, e che ciò
possa essere alla base di contraddizioni, sappia che si sbaglia, come già visto
nella prima parte della mia analisi. E sto parlando proprio sotto un profilo
psicanalitico, la cui prospettiva si offre all’analisi letteraria (io poi nei
miei lavori in generale ho applicato la psicologia analitica di Jung ad autori
e a opere esaminate). Lo spirito di “The power” contesta correttamente l’idea di
subordinazione e di colpevolizzazione della donna in quanto genere che compare
in “Genesi” (non dimentichiamo che furono simili pregiudizi, uniti a quelli
greci e romani4, ad alimentare la Patristica e quindi la caccia alle
streghe): simile antifemminismo veterotestamentario non rappresenta un mistero ignoto.
Si può condividere o no il pensiero degli altri, ma la cosa deve sempre
rimanere ancorata al consono piano (idest quello dei concetti) e vincolata ai
giusti canoni di pacifico dialogo e educato, senza trascendimenti: la violenza
appartiene agli animali e non agli esseri umani, l’offesa costituisce la
risorsa di chi non ha idee nella testa e non di chi esprime ragionamenti
onesti. Le epoche nelle quali si perseguitavano gli Ebrei, le streghe, i
dissidenti sono state degli eventi reali su scala considerevole, e potrebbero
tornare a ripetersi. È possibile criticare le idee di chiunque nello scientifico
modo, tuttavia non è, fu e sarà lecito convertire una qualsiasi osservazione
(per giusta che possa manifestarsi) in una generalizzazione razzista. Risale al
24 novembre 2018 un articolo su THE GUARDIAN dove Naomi Alderman parla del suo
disagio di crescita e di formazione all’interno di schemi familiari e sociali
improntati all’Ebraismo ortodosso. E rammenta come avesse iniziato a lavorare
al suo primo romanzo “Disobedience” sin dal 2001. Ci racconta della maniera in
cui il rigore religioso fosse una faccia della medaglia di quella vita
contraddittoria. Gli attentati alle Twin Towers dell’undici settembre misero in
crisi il suo equilibrio precedente. Da ciò emerge ad esempio il rifiuto
dell’omofobia biblica (la quale non appartiene soltanto a Giudei ortodossi ma
pure al Cristianesimo radicale) da parte della scrittrice inglese:
“Disobedience” narra di una lesbica figlia di un rabbino. In un altro articolo,
sempre sulla testata inglese menzionata, del 28 ottobre 2016 Naomi Alderman
espresse apprezzamento verso i suoi genitori per averle trasmesso lo spirito
della curiosità intellettuale nonostante loro agissero nei confini di una
cornice culturale conservatrice. In quella sede espresse altresì il suo
dispiacere a causa del fenomeno storico dell’antisemitismo cristiano5.
THE GUARDIAN in questo secondo articolo l’ha definita “Atwoodian” giacché
Margaret Atwood, celeberrima autrice tra l’altro di “The handmaid's tale”, è
stata sua mentore.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Prospettive
rinnovate”
https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate
1 A tal riguardo suggerisco di leggere un mio lavoro
intitolato Antropogonia e androginia nel
Simposio e nella Genesi contenuto nella mia pubblicazione Considerazioni letterarie (2014).
https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html
2 A quest’altro proposito il consiglio di lettura di un mio
scritto riguarda: Guido Guinizelli e la
nascita della sistematica caccia alle streghe dentro la mia opera recante
il titolo Radici occidentali (2021).
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html
3 Per approfondimenti rinvio al mio relativo studio: Il femminismo distopico di “Herland”
nella mia monografia del 2022 Letteratura
e psicostoria.
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html
4 Allo scopo di approfondire indico un mio lavoro: I protopatristici Aristofane e Giovenale
presente all’interno del mio saggio del 2020 Percorsi critici.
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html
5 In relazione a questo tema reputo interessante segnalare un
mio scritto in cui ne parlo: Nevrosi e
irrazionalismo in Agostino d’Ippona nella mia pubblicazione Teologia analitica (2020).
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html