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martedì 15 agosto 2023

LA COMPLESSA DISTOPIA DI NAOMI ALDERMAN

di DANILO CARUSO

Quando si scrive un romanzo distopico il sistema dipinto nella narrazione costituisce l’utopia negativa, pertanto si tende a esaltare (indirettamente) la situazione di segno opposto, la quale assumerebbe il valore di utopia (positiva) nel comune inteso senso del termine. Un lettore superficiale di “The power”, testo di altezza letteraria pregevole e opera del 2016 di Naomi Alderman, autrice di eccellenti abilità e capacità in materia di creazione narrativa, potrebbe rimanere disorientato non poco riguardo a quanto testé premesso. Quello che potrebbe disorientare il lettore sprovveduto inerisce agli aspetti ideologici fondanti di suddetto romanzo. In esso il gentil sesso si carica molto pesantemente del ruolo distopico. Donne e ragazze in un’epoca paragonabile alla nostra all’improvviso sviluppano un potere elettrico (il quale dà il titolo alla traduzione italiana: “Ragazze elettriche”). Come in una nemesi radicale vengono ribaltati nel giro di pochissimo tempo i rapporti di forza (fisica, direi in senso lato) con gli uomini. La distopia di “The power”, scritta da una donna femminista, potrebbe dare l’impressione di calcare troppo la mano nel mettere in cattiva luce il gentil sesso. Naomi Alderman si è formata da piccola dentro un ambiente familiare improntato all’ortodossia giudaica, maturò poi subito da giovane uno spirito e una vocazione attivistica femminista. Il suo primo romanzo “Disobedience” (2006) segnò il suo allontanamento dall’Ebraismo ortodosso. Se la capacità femminile in “The power” di gestire a proprio piacimento l’elettricità emanata dal proprio corpo, grazie a un nuovo organo sviluppatosi lungo le clavicole, ha rovesciato il precedente storico confronto uomo/donna, dove era stato il primo a detenere la maggiore forza muscolare, ora lo strapotere speculare distopico rappresentato dalla scrittrice inglese a beneficio delle donne rende il potere elettrico femminile (gli uomini sono costitutivamente esclusi dalla novità naturale) qualcosa appunto che potrebbe turbare ex abrupto il lettore e l’immaginario endogeno spettatore. La facoltà di gestire simile capacità personale basata sull’elettricità in virtù di cui si può anche facilmente fulminare chiunque stia a pochi metri porta le donne del romanzo a eccessi sadici. Sarebbe perlopiù spontanea la difficoltà ad accogliere una siffatta ipotizzata radice concettuale, e non condividerla, nel suo equivocato apparire quale costituente ideologica dell’opera. Non si può facilmente apprezzare detto ribaltamento ideale così perfetto nella rotazione simmetrica dei ruoli storicamente assunti in precedenza: la misoginia giudaicocristiana1, la persecuzione con le conseguenti torture e uccisioni di streghe2 non dovrebbero naturalmente legittimare per contrasto e compenso femminile misandria sadica e omicida in una seconda superficialmente ritenuta in nemetica fase. Imboccando una simile via di esame disattenta si potrebbe ritenere che nel sostrato profondo del romanzo di Naomi Alderman possano risiedere input e motivazioni in sé e per sé non femministi. Chi legge la mia produzione intellettuale conosce bene la mia avita posizione femminista. In passato mi era capitato di leggere “Herland” di Charlotte Perkins Gilman, nota attivista americana in difesa dei diritti delle donne, e di aver trovato quel testo nella sostanza più distopico che motivo di sprone nella corretta e utile maniera all’ottenimento di risultati veramente “femminili”3. Come ho rammentato Naomi Alderman è cresciuta e si è formata in una famiglia di elevata cultura umanistica e religiosa. “The power”, prodotto di una donna femminista, che in apparenza potrebbe sembrare di non compiacere direttamente il femminismo pacifico merita accurata attenzione. L’analisi in interiore opera evidenzia l’inversione delle parti storiche in detta creazione letteraria: agli uomini è toccata la sorte delle femmine storicamente perseguitate (specialmente nella forma pregiudiziale psicopatologica di streghe), alle donne il compito dei vecchi storici persecutori (in ispecial modo inquisitori cattolici e protestanti). In simile meccanismo che scambia i ruoli storici a vantaggio di quelli distopici si nota un dettaglio nevralgico in funzione della mia analisi: nel romanzo di Naomi Alderman le donne sono state rese virtualmente maschi. Gesù Cristo in un vangelo apocrifo afferma che nessuna donna entrerà nel Regno dei cieli se prima non sarà resa maschio. L’autrice inglese ha prestato molta attenzione alla figura di Gesù come testimonia il suo romanzo del 2012 “The liars gospel”. Oltre a questo dettaglio ho rilevato un altro particolare il quale si rivela molto significativo. Il potere elettrico attribuito alle donne mascolinizzate rappresenta il potere di Zeus, il quale costituisce l’equivalente concettuale dinamico del Dio Veterotestamentario. La radice del nome Zeus si riallaccia direttamente alla semantica e all’etimologia indoeuropea dove il concetto di riferimento è quello della “luce-del-giorno-proveniente-dal-cielo”. Tra Giudei e Greci antichi mutava soltanto la simbologia statica. Zeus ha i fulmini e fulmina, le donne di “The power” idem. Il Dio del Tanak rappresenta una divinità uranica solare derivante da Aton. Il kabôd del Dio biblico (la gloria divina) costituisce la manifestazione della sua potenza solare, ed è analogo al fulmine di Zeus: i fulmini (l’elettricità uranica) sono il kabôd di costui. Aton, il Dio biblico e Zeus raffigurano personaggi simbolici di una medesima gamma dinamica concettuale. Vediamo in “The power” che il kabôd è stato acquisito con la sottostante potenza dalle donne, rese alla fine formalmente maschi: tutto quanto operano le donne del romanzo di Naomi Alderman in possesso del potere di Zeus lo attuano perché sono state mascolinizzate. Non sono più donne, sono state snaturate. Qualcosa di analogo, con tutt’altre dinamiche, accadeva in “Herland”. Il mascolinizzare il femminile non aggiusta niente. È questo il senso della distopia di “The power”, non la complementare esaltazione del “maschile”. La dicotomia cardine è un’altra riguardante l’assunzione di pregressi atteggiamenti negativi dell’altro sesso: la mascolinizzazione delle donne rappresenta distopia, costoro non devono trasformarsi in sedie elettriche, in artefici di pseudonemetiche sofferenze e morte. Il lettore accorto dunque si rende conto, pensando profondamente, di quale sia la reale chiave di lettura data al romanzo da Naomi Alderman e di quale perciò sia la vera chiave dicotomica da usare. Una lettura superficiale potrebbe fuorviare chiunque. L’analisi critica di un testo necessita di acutezza, profondità, pensiero. “The power” è un romanzo di pregio e di ottima ideologia di cui cogliere e apprezzare i dettagli. Nel mio discorso ne voglio segnalare un altro: a carico degli uomini in Bessapara (distopico Stato femminista moldavo) si trova riversato il misogino antico diritto attico di famiglia attinente alle donne, ovviamente in salsa misandrica. Il gioco rotante della specularità che inverte maschile e femminile, dalla storia alla distopia, dà il senso di “The power”: bisogna evitare simile perfetta conversione e non trasferire il sadismo a una nuova categoria dominante femminile. Si sbaglierebbe a leggere tale opera di Naomi Alderman nella direzione di un recupero valorizzatore del “maschile” che fu sadico a fronte di una complessa distopia del “femminile”. In “The power” sono le donne a diventare persecutrici dei maschi. Quanto potrebbe non riuscire a ben capire un lettore poco attento e poco riflessivo immediatamente è perché ciò avvenga. E costui potrebbe immaginare possibili sbagliate interpretazioni: 1) l’autrice attua un meccanismo puramente scenico letterario di rovesciamento della storia passata (soprattutto di ambienti cristianizzati) o 2) la scrittrice inglese in modo inconsapevole mette le donne in distopica luce nell’inconscio ossequio della misoginia veterotestamentaria precedentemente metabolizzata. Nel momento in cui si ricordasse il contenitore culturale formativo ebraico-umanistico dell’autrice inglese ovviamente occorre da parte di tutti una maniera pulita. Dal mio canto in tutta la mia produzione intellettuale, ogni volta che ho trovato spazio pertinente, ho sempre condannato il deprecabile antisemitismo, assieme ad altri nefandi e nefasti crimini contro l’umanità. Allorché si parla di misoginia veterotestamentaria il commentatore serio mira a non essere equivocato. Io ad esempio ho studiato, analizzato e parlato a lungo nei miei scritti della tradizione giudaicocristiana e l’ho sempre compiuto, come si deve e come si addice a persona votata all’onestà intellettuale, sotto il profilo concettuale, cioè riferendomi agli elaborati di pensiero altrui inerenti a teologia e ad antropologia. Io ho esaminato, e continuo ad analizzare, idee. Se ce ne sono di non conformi a una, secondo me, sana razionalità le evidenzio e le discuto nella qualità di prodotti culturali. Chi si avventurasse su posizioni dell’erronea via 2) deve rammentare che i concetti teologici e antropologici antifemministi veterotestamentari sono pregressi ed esterni rispetto a “The power”, elaborato meritevole nel suo genere. Rammentare la misoginia del Tanak in guisa inappropriata non è conveniente. Studio scientifico ha luogo quando si conduce l’indagine sui binari sopra evocati: allora si può parlare di tutto, avendo grazia intellettuale e precisione. A chi sembrasse che Naomi Alderman possa aver metabolizzato nella sua prima giovinezza l’idea ortodossa ebraica della donna espressa nel Tanak, e che tale cosa possa aver lasciato comunque degli schemi archetipici nella sua forma mentis anche dopo “Disobedience”, e che ciò possa essere alla base di contraddizioni, sappia che si sbaglia, come già visto nella prima parte della mia analisi. E sto parlando proprio sotto un profilo psicanalitico, la cui prospettiva si offre all’analisi letteraria (io poi nei miei lavori in generale ho applicato la psicologia analitica di Jung ad autori e a opere esaminate). Lo spirito di “The power” contesta correttamente l’idea di subordinazione e di colpevolizzazione della donna in quanto genere che compare in “Genesi” (non dimentichiamo che furono simili pregiudizi, uniti a quelli greci e romani4, ad alimentare la Patristica e quindi la caccia alle streghe): simile antifemminismo veterotestamentario non rappresenta un mistero ignoto. Si può condividere o no il pensiero degli altri, ma la cosa deve sempre rimanere ancorata al consono piano (idest quello dei concetti) e vincolata ai giusti canoni di pacifico dialogo e educato, senza trascendimenti: la violenza appartiene agli animali e non agli esseri umani, l’offesa costituisce la risorsa di chi non ha idee nella testa e non di chi esprime ragionamenti onesti. Le epoche nelle quali si perseguitavano gli Ebrei, le streghe, i dissidenti sono state degli eventi reali su scala considerevole, e potrebbero tornare a ripetersi. È possibile criticare le idee di chiunque nello scientifico modo, tuttavia non è, fu e sarà lecito convertire una qualsiasi osservazione (per giusta che possa manifestarsi) in una generalizzazione razzista. Risale al 24 novembre 2018 un articolo su THE GUARDIAN dove Naomi Alderman parla del suo disagio di crescita e di formazione all’interno di schemi familiari e sociali improntati all’Ebraismo ortodosso. E rammenta come avesse iniziato a lavorare al suo primo romanzo “Disobedience” sin dal 2001. Ci racconta della maniera in cui il rigore religioso fosse una faccia della medaglia di quella vita contraddittoria. Gli attentati alle Twin Towers dell’undici settembre misero in crisi il suo equilibrio precedente. Da ciò emerge ad esempio il rifiuto dell’omofobia biblica (la quale non appartiene soltanto a Giudei ortodossi ma pure al Cristianesimo radicale) da parte della scrittrice inglese: “Disobedience” narra di una lesbica figlia di un rabbino. In un altro articolo, sempre sulla testata inglese menzionata, del 28 ottobre 2016 Naomi Alderman espresse apprezzamento verso i suoi genitori per averle trasmesso lo spirito della curiosità intellettuale nonostante loro agissero nei confini di una cornice culturale conservatrice. In quella sede espresse altresì il suo dispiacere a causa del fenomeno storico dell’antisemitismo cristiano5. THE GUARDIAN in questo secondo articolo l’ha definita “Atwoodian” giacché Margaret Atwood, celeberrima autrice tra l’altro di “The handmaid's tale”, è stata sua mentore.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Prospettive rinnovate
https://www.academia.edu/105610295/Prospettive_rinnovate
 
1 A tal riguardo suggerisco di leggere un mio lavoro intitolato Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi contenuto nella mia pubblicazione Considerazioni letterarie (2014).
https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html
 
2 A quest’altro proposito il consiglio di lettura di un mio scritto riguarda: Guido Guinizelli e la nascita della sistematica caccia alle streghe dentro la mia opera recante il titolo Radici occidentali (2021).
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/07/guido-guinizelli-e-la-nascita-della.html
 
3 Per approfondimenti rinvio al mio relativo studio: Il femminismo distopico di “Herland” nella mia monografia del 2022 Letteratura e psicostoria.
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html
 
4 Allo scopo di approfondire indico un mio lavoro: I protopatristici Aristofane e Giovenale presente all’interno del mio saggio del 2020 Percorsi critici.
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html
 
5 In relazione a questo tema reputo interessante segnalare un mio scritto in cui ne parlo: Nevrosi e irrazionalismo in Agostino d’Ippona nella mia pubblicazione Teologia analitica (2020).
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html