di
DANILO CARUSO
Simone
Weil (1909-1943) è la dimostrazione del fatto che il Cristianesimo sia una
costruzione pseudosincretistica neopagana. Nel suo pensiero ella manifesta in
modo molto chiaro questo dettaglio della “nuova religione”, la quale non fa
altro che recuperare categorie concettuali e filosofiche greche mediate
attraverso l’Ebraismo alessandrino alla volta dell’edificazione di un credo che
però in termini sociologici e psicologici fa un passo indietro rispetto al
cosiddetto Paganesimo ufficiale. In questo non sono esistiti i problemi di
deviazione nevrotica vissuti dal Cristianesimo nei suoi quindici secoli di
auge: intolleranza religiosa e pretesa di esclusività (con la materiale e
ideale distruzione degli avversari); misoginia cronica (sino al punto di
inventare la categoria radicale della “strega”); violenza esercitata su coloro
che sono stati intravisti quali nemici (barbare torture e cruente esecuzioni
sono state attuate a scapito di streghe, eretici, non cristiani, omosessuali).
Se si confrontano Paganesimo e Cristianesimo seriamente emerge che il primo era
espressione di una società più liberale: la Grecia antica ha creato il modello
democratico (non ha patrocinato qualcosa di paragonabile allo schema teocratico
cristiano); la misoginia greca al confronto di quella giudeocristiana sembra
qualcosa di più lieve nella sua incidenza comportamentale (c’erano sacerdotesse
pagane: un’istituzione aberrante per i cristiani); il mondo culturale antico
grecoromano pagano non creò mai dal suo interno l’equivalenza
femminile=demoniaco. Nel pensiero teologico weiliano possiamo notare un
tentativo di riedizione ideale del Cristianesimo, rivissuto da una donna nei
termini più autentici mancati alla storia di esso. L’universalismo religioso
della Weil rappresenta quell’ambizione fallita alla fine dell’Impero romano di
dare un collante sociale rigenerativo: la decadenza della più grande
costruzione politica dell’antichità europea necessitò di un rimedio il quale
purtroppo nella sua concretizzazione ne accelerò il crollo. Il Medioevo inizia
con l’Editto di Costantino, e dall’Editto di Teodosio in poi l’Europa piombò in
una società orwelliana in stile “1984”. L’avere eretto un castello teologico,
peraltro saccheggiando la filosofia greca, non è bastato ai cristiani per dare
una facciata accettabile a quello che de facto è stato un “totalitarismo
cristiano” ovunque questa religione abbia messo e consolidato radici. La Weil
non ha mancato di sottolineare simile aspetto nell’esperienza storica della
Chiesa. L’antisemitismo, così come lo conosciamo oggi, ha avuto una genesi
religiosa cristiana, ed è finito per generalizzarsi in forma, per così dire,
laica pseudorazionalizzata. Ai cristiani sono addebitabili crimini contro l’umanità:
l’insieme degli punti negativi sopra delineati nelle loro attuazioni pratiche.
La distruzione di tutte le civiltà precolombiane, la cristianizzazione forzata
e violenta del Nuovo Mondo costituiscono temi di riflessione. Se Simone Weil
non ebbe un rapporto idilliaco con la Chiesa c’è un motivo evidente: che
proprio una donna “incarnasse” la nemesi di secoli poco evangelici nei fatti
era una situazione inaccettabile. La pensatrice francese ha vissuto sopra la
sua persona il travaglio di tutte quelle contraddizioni nell’auspicio di
portarle a soluzione positiva. È morta, di tubercolosi aggravata da anoressia,
vivendo una “passione” come le sante anoressiche di moda in un periodo del
passato. Viene bandita dai manuali di storia della filosofia quasi fosse una
pietra di scandalo, quando invece dal suo pensiero scaturisce un giudizio
storiografico inappellabile e severo a carico del Cristianesimo nella più ampia
parte di questo. Simone Weil è stata, forse, l’unica che possa definirsi “cristiana”,
una donna che ha compiuto una scelta di fede profonda, ma portandola alle
estreme conseguenze. Sino al punto di smascherare la radice di provenienza di
tutto l’apparato ideologico cristiano: nient’altro che neopaganesimo. E ciò non
è motivo di stupore all’occhio dello storico privo di una distorcente lente di
fede. Nel Cristianesimo parlano, con voce manipolata, schemi concettuali presi
dalla Grecità, a cui si è dato un abito stretto e fastidioso. La filosofa
francese nella sua sincera visione ha preteso di vedere in tale fenomeno la
preesistenza di elementi cristiani, però la verità storica è il contrario,
corrispondente alla dinamica su evocata. Il Cristianesimo ideale weiliano, un
po’ cupo, pessimistico, porta dentro di sé un rifiuto del mondo. Reca quella
percezione di decadenza mondana dell’Impero romano nei suoi ultimi tempi. Come
allora, nell’animo della Weil rivive la crisi dello spirito che attraversa
alcune epoche storiche. Il Novecento è stato il secolo delle guerre mondiali,
capitalistiche manifestazioni di una intestina e unica lotta (paragonabile alla
Guerra del Peloponneso nella forma). Simone Weil ha colto il disagio di un
animo genuino di fronte all’affermarsi del dominio del capitalismo su scala
pressoché globale: non è stata comunque l’unica ad avvertire il problema, il
tema del predominio della tecnica sull’autenticità umana è un esempio connesso
dibattuto da varia filosofia. Ella prima rispose alla chiamata spirituale
libertaria con un’adesione all’anarchismo, cioè proprio
liberazione-da-un-dominio. Poi si volse in direzione più mistica, alla volta di
un Cristianesimo rigenerato dai suoi deficit ideologici e storici. E nel far
questo ella attuò una versione ideale della “nuova fede” di antica memoria. Lei
riprende mattoni greci idealizzandoli in forma cristiana: è una grande madre
del Cristianesimo. Si può dire che faccia una rifondazione teologica, e ciò è
lampante segnale non solo della crisi a lei contemporanea nel mondo, ma anche
del fallimento storico-ideologico del Cristianesimo ufficiale nella sua
plurisecolare vita. Non si può di certo additare lo Stato pontificio quale
modello evangelico o di Regno di Dio in terra. E se non persiste qualcosa di
positivo proprio là, non si può addurre la scusante degli errori umani. Tutti
sbagliano: non è accettabile sostenere che alcuni lo facciano in buona fede e
altri in mala fede, soprattutto nel momento in cui questi ultimi non godono
dell’assistenza divina. Allora i crimini contro l’umanità del Cristianesimo
sarebbero peggiori se compiuti contro la volontà di Dio; e se alcuni reclamano
misericordia si nota poi d’altro canto la difficoltà a essere comprensivi
altresì con i secondi (meritevoli di analogo riguardo). Perché l’antisemitismo
cristiano che ha provocato persecuzioni e vittime dovrebbe essere ascritto a
“errore umano”, e l’antisemitismo nazista (di irrazionalistica matrice
sociopolitica luterana) dovrebbe invece essere un crimine contro l’umanità?
Simone Weil è scomparsa nel 1943, prima che la barbarie dell’Olocausto venisse
alla luce, ma lei non si sarebbe arroccata dietro giustificazioni scusanti nel
fare paragoni: avrebbe intravisto nei fatti storici di ogni tempo l’obiettività
di fondo. Sino all’ultimo Concilio ecumenico cattolico, chiusosi nel 1965, la
liturgia del venerdì santo proclamava: Oremus pro perfidis Iudaeis. Vale a dire
una manifestazione, se non vogliamo definirla apologia, di antisemitismo a
quasi trent’anni dalle Leggi razziali di epoca fascista, che a paragone delle
direttive della Chiesa contro gli Ebrei nel corso dei secoli hanno avuto
un’applicazione circoscritta nello spazio e nel tempo, e prima della caduta del
fascismo non hanno causato vittime (contrariamente alle persecuzioni dei
cristiani nei secoli precedenti). In materia di antisemitismo Chiesa e nazismo
raramente vengono accostati. La Weil nel dopoguerra, probabilmente, avrebbe
affrontato questo problema non soltanto storiografico. Ella fu persona di
estremo rigore nella sua indole personale, molto sensibile in generale e nei
confronti di quanto accadeva e accadde nel mondo prima di lei. Il peso delle
contraddizioni attorno a lei finì per schiacciarla, però ella visse sempre in
maniera coerente, senza rifugiarsi in zone di sicurezza create ad hoc
dall’umana ipocrisia. Amò gli ideali di solidarietà e fratellanza maturati nell’umanesimo
greco antico. Tanto idealistica fu la sua filosofia di vita religiosa che perse
il contatto col verso realistico degli eventi. Lei infatti invertì l’ordine
storico causa-effetto in qualcos’altro di ideale: le prefigurazioni pagane del
Cristianesimo. Indubbiamente una bella operazione concettuale, prova di una
mente raffinata nel produrre filosofia. Tuttavia in questa weiliana dicotomia
storia/religione risulta non facile stare con obiettività logica (e ciò lascia
spazio là alla fede) nel secondo polo. Con metro scientifico, lontano da
condizionamenti fideistici, non possiamo fare a meno di notare come nei Vangeli
ci sia un recupero, e non l’attuazione ideale di una potenza passata, di
immagini e contenuti teologici pregressi. Gesù Cristo è una riproposizione di
Osiride. La Maddalena lo vede per prima risorto perché è Iside a ritrovare il
marito. La croce cristiana deriva da quella egizia. Il Cristo vi è crocifisso
in perizoma giacché di Osiride, ucciso e fatto a pezzi, non si trovò il membrum
virile: il perizoma è allusivo. Questo membrum nella mitologia pagana finì in
cielo a fare la cometa, quella dei re magi (ma sarebbe meglio dire maghi con
chiarezza, senza acrobazie retoriche, poiché erano astrologi). Simone Weil non
ha torto sostanziale nei suoi collegamenti teologici diacronici: è stata
filosofa, non storica, costruttrice dunque di una prospettiva metafisica che ha
contemplato l’inversione logico-storica di causa-effetto. Nessuno può
biasimarla per ciò: la strada è quella giusta, lei ha voluto percorrerla in
direzione opposta. Qui sta la grandezza di lei: trovare la forza di compiere
quel cammino, vedere quella luce che gli altri non vedevano. E dunque grazie a
lei riscoprire tutto un mondo antico, occidentale e orientale, che il
Cristianesimo totalitario e ufficiale, al contrario del Paganesimo, volle
confinare nell’angolo della falsità e della bugiarderia. Riscoprire le radici,
soffocate, della civiltà occidentale. Sembra paradossale dirlo, ma a livello di
idee, la pensatrice francese pare aver fatto un’azione di proiezione del
presente sul passato nello stile di “1984”, derivando la sua escatologia di
conseguenza. Storicamente la Chiesa ha preteso proiettarsi in tal guisa sul
mondo antico. La Weil è stata soltanto formalmente analoga, in lei albergava
una tensione mistica: lei cercava, non imponeva una Verità a ritroso. La Verità
di Simone Weil è metafisica, non sociopolitica.
NOTA
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note umanistiche (2020)”
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche