di DANILO CARUSO
Le mie ricerche e i miei
approfondimenti sui testi biblici mi hanno consentito negli anni, attraverso
analisi non alla portata di tutti, di conquistare personalmente quelle
conoscenze sull'autentica natura di contenuti che ho via via esaminato. Ciò non
vuol dire che altri non sapessero quanto ho fatto emergere, ma di spiegazioni
simili alle mie non ne ho incontrate. Tant'è che diverse scoperte ai miei occhi
sono risultate novità assolute. Cosicché, proseguendo pressoché da solo nel
deserto degli approfondimenti, ho continuato nella mia “ermeneutica
contestuale” a recuperare i mattoni concettuali di quelle costruzioni
letterarie bibliche che mi sono parse bisognose di procedure analitiche non
ideologizzate al fine di impiantare in quella desertificazione personale i
moventi culturali e concettuali che sfuggono ai più poiché non interessati di
storia della filosofia, delle religioni e delle mitologie coeve alla redazione
dei libri della “Bibbia”. Quanto ho praticato nel corso dei miei articolati
lavori d'analisi, spinto inoltre dal fatto di non aver trovato in precedenza
filosofica soddisfazione concettuale, è stato armarmi di buona volontà
scientifica e scavare allo scopo di portare alla luce il background di pensiero
dell'epoca soggiacente. Quindi ho capito che l'Ebraismo e il Cristianesimo non
sono altro che costruzioni religiose umane non avulse dalle meccaniche storiche
dei tempi in cui si sono sviluppati. Recuperate quelle dimensioni mediante
fatiche intellettuali personali ho dunque presentato i miei risultati. Nel
complesso, di esami approfonditi sulla mia scia ermeneutica non ne ho trovati.
È possibile che in Italia o all'estero abbiano pubblicato larghi lavori di
ermeneutica contestuale applicata ai testi biblici, però non mi è giunta
notizia né tanto meno la sostanza di ciò a cui possa pormi alla fine accanto.
Parlando dei miei studi, sono pervenuto a conclusioni definitive sulla
cosmogonia esposta in “Genesi”1.In seguito a questa ottima base ho
rivisto il prologo del “Vangelo di Giovanni”, di cui avevo parlato nel mio
saggio del 2013 “Ermeneutica religiosa weiliana”. Allora dissi cose
interessanti alle quali ne aggiungo di nuove adesso, e alle integrazioni
accompagno degli emendamenti alla traduzione. Addietro mi adeguai all'analisi
logica comunemente proposta con la canonica voltura, pur sempre cogliendo la
natura concettuale del Logos giovanneo. A quel tempo mi fermai al versante
culturale egizio-alessandrino mediato dall'Ebraismo filoniano. In altro saggio
ricordai – e ciò era risaputo – la clonazione di Osiride e Iside nelle figure
di Gesù e della Madonna2. Nella presente analisi recupererò un
versante neotestamentario al quale ancora non avevo messo mano: quello
culturale greco. Al pari dell'altro mitologico egizio non costituisce una mia
scoperta la presenza di analogie fra Gesù e Dioniso. Ho voluto approfondire con
migliore ampiezza non trovata simile aspetto, e altresì giacché c'entrava il
prologo di Giovanni, a mio modo di vedere, ho avuto l'occasione nella
rivisitazione del suddetto brano, alla luce della chiara conoscenza della
cosmogonia ebraica, di scoprire tutta una serie di puntuali presenze
concettuali stoiche. Affronterò i temi prospettati in dettaglio e con ordine.
Pertanto mi pare il caso di riportare le molle che hanno fatto scattare la
nuova indagine. Leggendo sopra il teatro greco e Dioniso mi sono documentato
meglio sul suo mito (si vedrà meglio avanti). Lui viene ucciso e mangiato da
Titani, Zeus incenerisce gli assassini e dalle loro ceneri, contaminate dal
consumo precedente delle carni di Dioniso, si svilupperà una fuliggine da cui
trarrà origine l'umanità. Gli uomini quindi nascono a priori con un elemento
dionisiaco positivo da quel che resta della negativa materia titanica. Dov'è nei
vangeli riportato tale concetto? Nel prologo di Giovanni. Ma qui bisogna fare
molta attenzione: Gv 1,9 di solito viene pure secondo me mal tradotto, come
ebbi modo di rammentare grazie alla lezione weiliana. Il participio presente
“veniente” (erkómenon) è da riferirsi ad ánthropon e non a fos. È
all'accusativo, non al nominativo: “la luce che illumina ciascun uomo che nasce
(veniente al mondo)”, non “la luce che illumina ogni uomo era veniente nel
mondo”. Dirò del lato dionisio del personaggio di Gesù dopo aver ripercorso
tutto il prologo giovanneo alla luce di tutti i miei nuovi elementi: la citata
perfetta visione cosmogonica ebraica e la rilevazione di presenze concettuali
stoiche. Sia dunque lampante la guisa in cui è stato edificato il Gesù
letterario neotestamentario. Dentro a tale personaggio si trova mitologia
egizia, mitologia greca, filosofia greca. Se vuoi costruire una religione
universale (ossia cattolica) devi preparare la macedonia giusta. E simile
macedonia concettuale, dalla precisa architettura dinamica, doveva sposarsi con
lo stoicismo grecoromano (filosofia-manifesto dell'attivismo piuttosto laico
dello Stato romano). Il caso volle che Ebraismo e stoicismo fossero fratelli,
figli di una semitica nevrosi attivistica risalente ai Sumeri3. La cosmogonia
e la cosmologia stoiche sono formalmente identiche alla cosmogonia e alla
pertinente teologia ebraiche veterotestamentarie. Il Cristianesimo costituisce
per mezzo del momento neotestamentario le nozze romane tra i due fratelli. E
l'incesto partorì il mostro torturatore e uccisore di streghe, omosessuali,
Giudei, eretici, non cattolici. Ma questa è un'altra storia rispetto alla
materia qui presa in considerazione. Qua voglio, tra l'altro, farvi notare gli
elementi stoici del prologo di Giovanni a fianco dell'infiltrazione dionisiaca
di 1,9. Spiegherò altresì le menzionate analogie fra stoicismo e Giudaismo, le
quali offriranno migliore comprensione di ciò che dico. È questo il momento di
indicare la “molla stoica” che mi ha condotto a smontare il prologo del Vangelo
non sinottico ancor meglio del passato. È stata la preposizione “pros” di 1,1.
Pros+accusativo rende un complemento di moto a luogo, l'idea di “... in
direzione di...”. Vale a dire che là c'è scritto che “il Logos stava in
direzione del Dio”. Dalla constatazione di un movimento ho rivisto pure “en
archè”. I traduttori lo volgono quale un complemento di tempo determinato, ma a
me è risultato che “en” sia preposizione temporale per il “tempo continuato”,
non per quello “determinato”: nel corso di, durante. Oltre a ciò ho pensato che
l'archè nella cultura greca è il “principio” nel senso di “causa”. Non possiedo
perciò validi motivi per affidarmi al complemento di tempo determinato. Traduco
allora con un complemento di stato in luogo, e più precisamente di moto entro
luogo circoscritto: “dentro l'elemento primordiale”. La coppia di dettagli
evidenziati mi ha spalancato le porte di una nuova visione, e sinceramente più
congeniale, più contestuale delle trinitarie posteriori elucubrazioni teologiche.
Mi sono ricordato del mio profondo studio su Genesi 1,1 e ho riportato quei
risultati al riguardo del prologo giovanneo. Siamo in un contesto culturale di
impronta ancestrale semitica sia nell'Ebraismo che nello stoicismo del I-II
sec. d.C. Dunque la cosmogonia e la cosmologia giovannee non possono e non
devono entrare in contrasto inconciliabile. Chi mirava a creare la religione
universale (=cattolica) partendo dal Giudaismo sapeva che la filosofia di Stato
stoica era geneticamente compatibile in funzione di quello che si è rivelato un
funesto matrimonio, la cui prima vittima è stata l'Impero romano, caduto da lì
a breve a causa di un calo demografico cui diede una bella mano la sessuofobia
cristiana. Ma torniamo all'assetto cosmologico dell'incipit del Vangelo non
sinottico al fine di inquadrarlo nel dettaglio culturale semitico. L'elemento
primordiale dentro cui si trovava il Logos (1,1) è l'acqua-disordine-tenebre di
Gn 1,1 (né “bereshit” là svolge il ruolo di avverbio di tempo bensì di
soggetto, né qui “archè” sta in un complemento di tempo ma di luogo). Come in
apertura di “Genesi” vien fuori la divinità (elohiym), nel prologo di Giovanni
si trova il theòs. Il Dio stoico è fuoco, quello ebraico è il Sole. Vale a dire
lo stesso soggetto concettuale visto, interpretato e sviluppato in due diverse
maniere, una filosofica e una religiosa. Il movimento del
venir-fuori-dal-disordine-acqueo da parte dell'elemento igneo è suggerito dal
movimento proprio del Logos “in direzione del Dio”. In origine “dentro l'archè”
si passò dal disordine all'ordine. Il discorso di “Genesi” rispecchia tale
cliché. Mentre qua causa efficiente e causa formale rimangono indistinte,
Giovanni introduce la distinzione maturata nella riflessione stoica. La
struttura della realtà ha avuto un esplicito progetto, il quale la regolamenta
e la tiene in piedi: si chiama “Logos”. Il movimento di questa causa formale,
di cui tuttavia esiste l'equivalente veterotestamentario nella figura della
Sapienza divina tirata fuori dall'abisso a opera di Dio, può intendersi quale
momento logico, concettuale, al modo hegeliano dell'Idea che si volta
all'attuazione. Hegel possiede radici religiose e filosofiche non casuali, non
dimentichiamo che il suo ispiratore generale, Spinoza, era Giudeo. L'immanentismo
stoico ha caratteri protohegeliani, i quali tuttavia non si possono allargare
al prologo giovanneo. Ho parlato di isolato movimento logico. Il Cristianesimo
si svilupperà sulla base delle comunanze tra stoicismo e religione ebraica. E,
a quanto la storia ha mostrato, sulla base dei peggiori contenuti (misoginia,
omofobia, intolleranza) predisposti a sadica esaltazione nevrotica. Nel
pensiero cristiano lo spirito filosofico greco è morto, dopo essere stato
imprigionato e soppresso. Dicevo dell’incontro giovanneo fra Theos e Logos. Il
Vangelo non sinottico rappresenta la chiave di volta della costruenda
architettura teologica stoico-cristiana. Perché mettere qualcosa nel canone
evangelico che non si tiene in linea con i primi tre, qualcosa appunto di “non
sinottico”? Semplice, poiché gli altri vangeli non offrono una simile
prospettiva filosofica. Il testo di Giovanni costituisce una sorta di anello
nuziale fra Ebraismo alessandrino e stoicismo romano. Togliendo il “non
sinottico” la teologia cristiana non può celebrare l’abbraccio col potere
politico dominante di matrice stoica. Il prologo di Giovanni recupera gli
elementi centrali della vecchia cosmogonia giudaica veterotestamentaria e
l’arricchisce in immagini e concetti. In aggiunta a quanto detto in questa
sede, oltre che a quello esposto nel mio saggio “Ermeneutica religiosa
weiliana” (contenuti che non ripeterò ora), va rilevata la radicalizzazione
luce/tenebra, ordine/disordine. Ciò che viene definito come “bene” è un porre
sotto il dominio dell’ordine, della luce, scacciando le tenebre provenienti
dall’acqueo disordine. Tale nevrotica impostazione svela corollari: il
maschile-fuoco impersona il positivo, il femminile-acqueo il negativo. Da
assurde dicotomie del genere è emersa la misoginia cristiana, e si tratta di
roba strutturale di quella teologia, non di errori di un Cristianesimo mal
interpretato e mal attuato4. Bruciare le streghe equivale a
sanificare il mondo. Ho anticipato sopra l’infiltrazione dionisia ad hoc nel
prologo. Il quale assieme al pensiero cosmologico stoico è allusivo, nella
seconda metà del brano, di passione-morte-resurrezione di Dioniso. Più avanti
delineerò i tratti dionisiaci evangelici del non sinottico, giacché tale
Vangelo mirava a far presa nell’ambito di credenza, a suo tempo nutrita,
orfico-dionisia. Adesso debbo puntualizzare il dettaglio di un’altra
infiltrazione filosofica. Il prologo parla di “figlio-unico del Padre” allorché
il Logos si è incarnato. Si tratta
di derivazioni dal “Timeo” di Platone, il quale chiama “padre” una causa
efficiente, “figlio” il prodotto, “madre” la causa materiale. La paternità
divina su Gesù non prende le mosse dalla biologia normale. Il Theòs diventa
Padre nel momento in cui delibera l’incarnazione del Logos, e nell’accezione
platonica (la quale di conseguenza squalifica il “femminle”; che Gesù sia
alquanto, per noi, maleducato nel rispondere alla madre Maria alle nozze di
Cana, dove compie un dionisiaco miracolo, non è un caso: le ha proprio detto
che essendo una donna non era in grado di esprimere un giudizio accettabile!).
Le eresie trinitarie e cristologiche sono poi in seguito sorte poiché il
prologo di Giovanni è soltanto allusivo delle dinamiche stoiche, non le disegna
nitidamente. Infatti sono io il primo a non capire se qui Theòs e Logos fossero
in origne sostanzialmente separati, o se fossero uniti e il movimento di cui
sopra detto fosse figurato passaggio dal Logos-potenza al Theòs-atto
produttivo. Allorché Giovanni afferma che “una divinità Figlio” ha reso
visibile in qualche modo un Dio invisibile, si parla sempre in termini
platonici non chiarificatori. Il fatto che asserisca che il Logos si trovi
“nell’insenatura del Padre”, nel kólpos (cavità marina), mi suggerisce di aver
letto bene “arché” di 1,1, però ciò non rende comprensibile la struttura
gerarchica e la relazione tra i due con estrema chiarezza. Saranno appunto i
teologi a dire tutto e il contrario di tutto, dove probabilmente la via di
comprensione più sensata, e concettualmente accettabile, è quella derivante da
una genuina lettura stoica. La quale andrebbe più verso l’immanentismo
panteistico stoico, che hanno decisamente rifiutato di percorrere a vantaggio
di invenzioni teologiche in lotta inter se (la guerra dell’aria fritta!). Per
quanto concerne il sistema filosofico stoico possiamo dire quanto segue,
rilevando le analogie del caso. Zenone di Cizio, il caposcuola, di origine e di
mentalità semitiche, attribuisce la corporeità a Dio. Il che non è estraneo al
“Tanak” dove la divinità giudaca passeggia e combatte in guerra (è evidente che
gli attribuivano un corpo). E al pari degli Ebrei il Dio zenoniano è il “numero
uno”5 cosmico, meglio definito quale ragione universale e attività
originaria: il Dio che produce il cosmo ordinato e lo sostiene nella di esso
esistenza (in virtù dell’ordine dato). Il “mio Signore e mio Dio” di Tommaso è
espressione stoico-filoniana, richiamante l’ebraismo alessandrino (di ciò
parlai nella mia monografia sopra rammentata), espressione la quale si
riallaccia non a caso allo stoicismo. Gli intrecci giovannei mostrano le
sfaccettature di un progetto teologico-religioso la cui sintesi doveva coprire
tutti i principali lati culturali, ideologici, mitologici dell’Impero romano di
quell’era. Potremmo altresì definirla un’operazione di “adescamento universale”
in relazione al suo scopo emergente. Il nuovo contenitore cattolico proviene da
un disegno di natura distopica e totalitaria e non per niente monoteistico (per
la precisione, il giudaismo è enoteistico). Il Dio-Sole ebraico, di derivazione
atonista6, ha il suo equivalente filosofico nel Dio-fuoco zenoniano
di derivazione eraclitea. La congenialità semitica spinse Zenone di Cizio a
simpatizzare per Eraclito. Il fuoco rappresenta il principio attivo, la causa
determinante, la ragionevolezza ordinatrice (Logos). Il Dio veterotestamentario
si manifesta attraverso la potenza solare, è de facto egli il Sole, è fattore
che determina e ordina dopo essere uscito dall’acqua-oscurità-disordine la
materia cosmica. A lui si contrappone la Natura, l’Universo. Gli stoici
rispetto agli Ebrei svilupparono la dimensione panteistica, e proprio in virtù
del Logos, al quid divino di progettuale che si riporta nelle cose (sarebbe la
metessi platonica trasfusa nelle stoiche “ragioni seminali”). Lo stoicismo ha
portato nel Cristianesimo l’idea di Logos, a sua volta poi diversamente
sviluppata. Senza Zenone di Cizio non ci sarebbe stato nessun Verbo di Dio
incarnato. Il Logos stoico è 1) fondamento veritativo-logico, 2) progetto e
causa determinante della realtà, 3) traduttore di norme comportamentali. Detto
con parole di Gesù: 3) la via, 1), la verità, 2) la vita. Ritengo opportuno
dire a proposito del punto 3) che l’etica del dovere semitica (dell’ubbidienza
al Dio di riferimento, al Logos) nei Giudei si codificò nella Torah, negli
stoici in un’etica più laica, però pur sempre nevrotizzante, in quanto
costruzione razionalistica estremistica. Il razionalismo stoico costituisce
l’espressione di un maschilismo7, di cui la tradizione
giudaicocristiana rappresenta la manifestazione socioreligiosa. L’attivismo
degli stoici e quello degli Ebrei sono fratelli gemeli, poi cresciuti in case
diverse. Il Logos di Zenone è un momento intermedio nella cosmogonia giudaica
fra il Dio “numero uno”, principio determinante, e la materia disordinata alla
volta di cui si dirige il soffio divino (ruach), il veicolo di determinazione
attuante. Simile dimensione di intermediazione sarà introdotta nell’Ebraismo
alessandrino da Filone, da cui il recupero del ponte concettuale
cristiano-stoico. È una sorta di giro attorno alle stesse cose per poi saldarle
nell’esaltazione messianica del Verbo incarnato, il Mediatore tra Dio e gli
uomini. La nuova religione universale (cattolica) nasce da salse concettuali
semitiche e si lega alla parallela (più moderata) misoginia grecoromana8,
portando però odio e ostilità verso gli eccessi che la Storia plurisecolare ci
ha mostrato. Tengo a far notare che l’imperativo comportamentale (nevrotico)
che porta Abramo a ubbidire a Dio quando costui gli comanda di sacrificargli il
figlio Isacco è lo stesso, nella forma (nevrotizzante), che agli stoici
comandava il suicidio (o altro di esagerato): che in un caso sia
dovere-religioso e nell’altro dovere-politico non fa differenza, sempre di
dovere semitico si tratta (correlato a forme attivistiche: la provvidenziale
elezione storica dei Romani, l’elezione divina d’Israele; il Cristianesimo
puntò sui primi, a cui diede un abbraccio mortale accelerando la crisi sociale
imperiale in direzione della catastrofe la quale spalancò le porte
all’oscurantismo medievale). Quando Simone Weil afferma che la Chiesa cattolica
è stata la madre di tutti i totalitarismi moderni, e quando io porto alla luce
simile verità nel testo orwelliano di “1984”9, non siamo usciti
fuori del seminato, bensì abbiamo ben rilevato il meccanismo mentale semitico
“dovere-ubbidienza”, declinabile in vari modi. Il poliedro semitico del
cristianesimo nelle sue facce stoiche ci mostra illuminanti contenuti i quali
ci fanno ben comprendere che la religione di Gesù è una invenzione a tavolino,
e che lo stesso evangelico Messia risulta un quasi totale personaggio
letterario, il quale, contaminato di non poche ascendenze contemporanee, rimane
distinto dal presunto Gesù storico (l’attivista politico-religioso radicale).
Il suo essere Verbo divino incarnato, Figlio-Logos, originario medium
produttivo cosmico, costituisce una serie di idee precedenti lui e consolidate
a posteriori sopra di lui. La persona storica di Gesù fu accidentale. Più che
altro la sua morte (storicamente vera o falsa) si prestò al di lui inserimento
nella nuova teologia universale ebraico-stoico-romana. Questa andò a riprendere
motivi filosofici, religiosi, mitologici omogenei al progetto di una religione
unificatrice per tutto l’Impero romano. Cosicché ad esempio ritroviamo il
Zenone che afferma il Logos presente nella nostra anima in Gv 1,9. Ritroviamo
altresì la dicotomia ontologica stoica agire/patire nell’idea di Passione di
Gesù Cristo (la quale, come meglio vedremo, riprende evidenti tratti dionisiaci).
Per “patire” Dio doveva incarnarsi in un Figlio corporeo giacché la sola
materia-corpo rappresenta la parte passiva della realtà. Dio sta all’opposto.
Un’idea rilevante degli stoici, che ci ricollega alla cosmogonia ebraica, è
quella per cui il principio supremo, visto nella veste di divinità-logica, si
serva nell’atto determinante-reggente di uno pneuma, di un soffio-caldo: vale a
dire, tradotto in termini veterotestamentari, della ruach (lo spirito, soffio
animante). Il trinitario Spirito Santo “che è Signore e dà la vita” esce da
suddette cose (gli gnostici pensavano lo Spirito santo al femminile). E
dobbiamo inoltre dire che la Trinità cristiana ha il suo modello stoico nella
triade dell’inno di Cleante: Zeus, Logos e Pneuma; cioè la prototrinità pagana
già predisposta a beneficio del neopagano distopico Cristianesimo. Nel momento
in cui parlo di distopia totalitaria non esagero, non costituisce ovviamente
una mia scoperta (da studioso ho indagato per bene vari segmenti nei miei
lavori), né tanto meno dico non per tutti delle novità. L’ideale di libertà
autentica (esagerato d’altro canto nel nevrotico attivismo protestante
liberista) dentro lo stoicismo e il Cristianesimo ha subito forti restrizioni:
gli stoici insegnavano che l’uomo sapiente e coscienzioso si sarebbe dovuto
adeguare “liberamente”, idest spontaneamente, al Fato, al destino (il prodotto
della razionalità del Logos il quale ha già hegelianamente preordinato i corsi
storici). Ebbene, non troverete nessuno più stoico di Giobbe, il precursore dei
praticanti l’etica stoica. Giobbe si adegua spontaneamente, “stoicamente”, alla
volontà divina, ossia alle deliberazioni del Dio-Logos. Alla fine verrà
premiato in virtù della sua attivistica caparbietà di condotta, ma nel
frattempo una vera libertà umana, un’autonomia morale kantiana, è stata
cancellata alla radice. Nel Cristianesimo esiste una sola Verità di cui hanno
nella storia pagato il prezzo non poche persone all’interno di un regime
sociale illiberale durato secoli. La tradizione giudaicocristiana ha proposto
di sacrificare la propria libertà a vantaggio di contenuti nevrotici (si vedano
ad esempio Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro10). Arrivati a questo
punto possiamo rivolgere lo sguardo al panorama religioso-mitologico greco, il
quale avevo rammentato in apertura di disamina. Sarà possibile dunque vedere
quanto di mitologia greca si è infiltrato nella tetrade evangelica, soprattutto
nel non sinottico, inerente a temi orfico-dionisiaci. Diciamo che l’orfismo
rappresenta il lievito del formantesi Cristianesimo. Dalla di quello esaltata
inquietudine spuntano le radici popolari cristiane. Al di là di quell’ingenuo
slancio, tuttavia non torbido nell’orfismo, non si sarebbe sviluppata una
dimensione fideistica di massa. Il Cristianesimo è intervenuto su un terreno
fertile: questa è stata la sua astuzia costruttiva, questa è stata la sua
fortuna nell’allargarsi presso la credulità dei più. Ritroviamo idee orfiche
basilari poi centrali nella visione cristiana. Una è l’idea di passione, del
martirio, i quali purificano (si pensi al “battesimo di sangue”), facendo
recuperare l’elemento divino dionisio (illustrato più sopra) in sé. L’orfismo
assume una dicotomia corpo/spirito analoga a quella stoica: da simili contenuti
le concezioni cristiane sessuofobiche e di disprezzo generale della corporeità
(le cosiddete “sante anoressiche” costituiscono tristi exempla di tali
principi, già nevrotici, elevati a più distruttiva nevrosi). Quel che conta è
il divino nell’uomo, al punto tale che gli orfici sono i teorici della
successiva dicotomia cristiana anima/corpo: sono loro a dire che esiste
un’anima immortale. E l’orfismo è esistito quantomeno dal VI sec. a.C.
L’esistenza umana nella mentalità orfica servirebbe a pagare le colpe
all’interno di uno schema metempsicotico. I Cristiani sostituirono alla
rincarnazione punitiva il temibilissimo inferno. La visione degli orfici
raffigura concettualmente Zeus nei tre moment di causa originaria, causa
strumentale e causa finale in relazione alla realtà, realtà la quale assorbe in
maniera panica (una tangenza stoica, non sviluppata in direzione
panteistica da parte del Cristianesimo, il quale si limitò a postulare soltanto
l’ubiquità di Dio). La teogonia orfica culminava con le vicende dei Titani
uccisori di Dioniso, una sequenza che distaccava dalla tradizione veicolata da
Esiodo. E giunti a Dioniso dobbiamo allora approfondire i legami fra di lui e
il Gesù evangelico. Nel momento in cui ho focalizzato meglio tali aspetti ho
ottenuto una più nitida e più definita cornice sull’origine del Cristianesimo,
al quale ho dedicato la mia attenzione da una vita essendo nato in una società
cristianizzata da secoli. Cominciamo col dire che Dioniso nacque in una grotta
e il suo destino era quello di succedere a Zeus nella signoria cosmica. Il piccolo,
a detta del mito, venne al mondo con delle corna. Gesù Bambino non le ha, però
ha il bue cornuto del presepio. Il toro è un animale correlato all’immaginario
dionisio: il bue cornuto del presepio suggerisce l’evidente inconsapevole
prosecuzione di un topos neopagano. E lo fa assieme all’asinello, a sua volta
associato a Dioniso e all’uccisore di Osiride (Seth/Tifone). Allorché nacque il
Cristianesimo, in ambito culturale pagano si diceva che i fedeli adorassero una
divinità teriomorfa dalla testa di asino. Ho visto su un libro la foto di
un’antica rappresentazione di ciò, e la mia ipotesi è che non si trattasse di
una presa in giro volta al disprezzo da parte dei Romani, ma che invece i primi
Cristiani tendessero a rendere più percepibile il sostrato della nuova
religione, in particolar modo il sostrato orfico-dionisiaco. Cioè quello a
livello popolare di maggior diffusione, il quale costituì la base del successo
presso la massa ingenua disposta alla credulità nei confronti di un’abile
costruzione propagandistica. Venne tenuta, non a lungo, in epoca medievale,
ogni primo dell’anno una “festa degli stolti” nella quale veniva ricordato
l’asino dell’entrata a Gerusalemme di cui Gesù si servì: in questo contesto
festoso nel momento in cui si pregava la preghiera era chiusa da un raglio in
luogo del consueto canonico “amen”. Sia Dioniso che Gesù appena venuti al mondo
ricevono l’omaggio di altri intervenuti all’evento. Suddetto Dio grecopagano
nella cultura cretese, la quale non era di radice aria, si manifesta come Dio
bambino che è destinato alla morte (nel mito muore giovanissimo). I Cretesi
avevano stabilito dove fosse stato il suo sepolcro isolano. Dioniso, figlio di
una donna comune, viene elevato al rango divino tempo dopo la nascita. Nelle
sue vicende non manca un’ascensione finale in cielo (ennesima tangenza con
Gesù). Nell’orfismo Dioniso rappresenta colui che è nato tre volte: nel grembo
materno, nella coscia di Zeus in funzione di incubatrice (dopo che la madre
morì precocemente prima di partorirlo correttamente), nella resurrezione post
mortem. Gesù mostra un percorso parallelo: alla coscia di Zeus sostituisce il
battesimo con la discesa dello Spirito Santo. Non sempre la madre di Dioniso è
stata identificata dal mito con una donna semplice: Persefone poteva comparire
sua madre. Da ciò la familiarità di detto Dio con l’elemento infero. Ade marito
di Persefone era pure chiamato Zeus sotteraneo, perciò tale appellativo si
riflesse sul figlio Dioniso (Gesù scese agli inferi). Dioniso e Gesù hanno familiarità
con l’elemento acqueo-marino: entrambi hanno a che fare con la navigazione e le
imbarcazioni. Se Gesù seda una tempesta stando sopra una barca, Dioniso ha una
sua epifania sempre su un’imbarcazione. La mitologia dionisiaca intravede in
questo un Zeus-figlio complementare di un Zeus-padre, e lo fa in un’ottica
unitaria padre-figlio. In particolare il padre si indirizza al pubblico
maschile, il figlio a quello femminile (il Gesù evangelico ha avuto contatti
con varie donne). Nella prima parte della mia analisi ho parlato del mito
orfico riguardante l’uccisione di Dioniso ora possiamo riprenderlo allo scopo
di ricollegarlo meglio a Gesù. I Titani fecero a pezzi il corpo del Dio greco
al fine di mangiarlo, un corpo che la mitologia greca trasfigura nell’immagine
di un agnello/capretto. I Titani ne consumarono e furono poi inceneriti da
Zeus, con la conseguente antropogonia già rammentata sopra. Ritornati a Gv 1,9
siamo nelle condizioni di poter ulteriormente chiarire i passaggi evangelici
riguardanti l’ultima cena e l’istituzione della liturgia eucaristica. Essa
possiede un’origine dionisiaca. La scena di Gesù che comanda di prendere e
mangiare del pane rappresentante il proprio corpo ricalca in guisa dinamica,
non statica, il mito di Dioniso e la passione pagana dionisia trapiantatasi
assieme al corredo dell’immagine del vino nel nuovo culto cristiano (il vino
inerisce a uno dei due momenti del rito cristiano menzionato). Gesù e Dioniso
sono Agnus Dei. Il consumo della carne, simbolico o meno, nella liturgia
eucaristica e nel rito dionisiaco serve a garantire il contatto col divino.
Dioniso è legato alla vite, ai tralci, all’uva. Tant’è che gli orfici lo
chiamavano pure Eno (=vino). È consequenziale che nel consumo simbolico di
carne divina del rito cristiano ci si accompagni altresì al consumo di vino. Si
tratta delle due facce della medaglia dionisia. Che il Vangelo non sinottico si
apra col miracolo di Cana non è casuale. Il vino e la coppa di vino dionisiaci
indicano l’esigenza di uno stadio mentale esaltato, eccitato, una follia, una
militanza obbediente e irrazionalistica, la quale ritorna nell’epistolario
paolino: i folli per Cristo. La follia erasmiana costituisce una moderna
teorizzazione di quell’ideale cristiano di fanatismo. L’antica festa ateniese
delle Antesterie dedicata al culto dionisiaco è servita da modello per
elaborare il Triduo pasquale cristiano. Si svolgevano a fine dell’inverno nel
corso di Antesterione (mese lunare corrispondente a un periodo tra febbraio e
marzo) e avevano
la durata di tre giorni. I Greci pensavano che in quel terzo giorno i defunti
potessero tornare pro tempore in mezzo ai viventi. Le analogie sono evidenti.
Dioniso rappresenta un Dio che risorge al pari di Gesù. L’iconografia cristiana
e quella dionisia rappresentano entrambi con la barba. Il tema della “maschera”
fa parte del corredo immaginifico di Dioniso, e “maschere” saranno nella
teologia cristiana di lingua greca le “personae” trinitarie. Ulteriormente
dionisia si mostra di nuovo una particolare devozione, quella al Sacro Cuore di
Gesù. Il cuore di Dioniso non fu né mangiato né incenerito bensì recuperato da
Atena. Kerényi fa notare che la radice κραδ- è etimologicamente ambigua giacché
indica sia il concetto di “cuore” che quello di “albero-di-fico”, e di tale
legno era il fallo divino collocato all’interno di ceste, a loro volta poste
sul capo durante le processioni dionisiache. Qua si chiude un altro cerchio.
Gesù nei vangeli sinottici maledice un fico sterile: non è un episodio privo di
profondo significato. Nel Vangelo di Giovanni sostiene di essere la vite e che
altri fungano da tralci. Tutte queste immagini hanno provenienza dionisia.
Costituiscono un portato orfico. Altresì, il tema del membrum virile si
riallaccia alla sponda egizio-osiridea. Già in passato vidi collegati Osiride e
Gesù in simile dettaglio che ritroviamo nel culto dionisio. Si rileva così alla
fine accanto alla stratificazione egizia una stratificazione greca pertinente:
il perizoma di Gesù crocifisso nasconde motivi osiridei e dionisiaci. Il
membrum virile di Osiride ucciso ricompare nella stella cometa dei magi (i
quali nient’altro sarebbero che maghi), riguardo a Dioniso si tratta di un
simbolo adottato – come detto – nella celebrazione della divinità (il perizoma
di Gesù parrebbe una sorta di evocativo “tabernacolo” ad hoc). Nella figura
evangelica di Gesù compaiono diverse stratificazioni, le quali soltanto un buon
analista, un ottimo medico legale dell’ermeneutica letteraria, può
dissotterrare. A distanza di molti secoli pochissimi sono in grado di
percepire il neopaganesimo del Cristianesimo, e di avere la sensazione di
entrare in un tempio pagano mettendo piede in una chiesa (a me ormai capita
così). Un’attenzione molto particolare e un pregresso studio molto approfondito
(che io ho condotto anni fa11) merita il discorso neotestamentario
di “Gesù come nuovo Adamo”. Se non si capisce che cosa era l’Adamo
veterotestamentario, non si comprenderà mai quest’altra sottile analogia con
Dioniso. L’Adamo originario è un androgino, poi diviso in due, da cui Adamo ed
Eva sessualmente differenziati. Anche Dioniso era androgino o quantomeno
effeminato. L’orfismo riguardo all’argomento del nuovo Adamo offriva l’aggancio
con Fanete (=colui-che-brilla), mostruosa creatura primigenia ermafrodita, altresì
denominata Dioniso. Comprendiamo benissimo, arrivati alla fine, che il Gesù
costruito quasi due millenni fa non sia più genuinamente riproponibile a
società dove orfismo e stoicismo non esistono più quali fenomeni socioculturali
in atto. Sono rimasti però forme attivistiche cristiano-protestanti e il
diffuso ingenuo desiderio della massa di affidarsi a qualcosa di rassicurante.
Il Cristianesimo cattolico di oggi possiede un volto ufficiale diverso da
quello della sua naturale sostanza storica, la quale è finita gradualmente nell’ombra al cospetto della gente in seguito all’emancipazione illuministica. Sicché misoginia, omofobia, intolleranza sono state sfumate per diventare pressoché non più visibili. È
il Messia evangelico a definire “cani e porci” coloro che non si uniformano a
lui. La parola κύων in greco antico costituisce un termine fortemente
spregiativo se riferito a persone, e in particolar modo era destinato alle
donne. Infatti, a mio avviso, il “τοῖς κυσίν” al Vangelo di Matteo 7,6 è al
femminile e non al maschile. Risulta molto probabile per me che Gesù abbia
usato un’espressione generale utilizzando i due generi distinti: “alle cagne e
ai porci” copre meglio l’estensione semantica di riferimento con superiore
qualità retorica. In verità anche “τῶν χοίρων” potrebbe essere tecnicamente al
femminile, però tutta l’idea così suonerebbe ferocemente misogina, parlando di
“cagne e troie”. Adotto la traduzione di mezzo: cagne e porci. Infine è di
nuovo il Redentore a sostenere di non aver portato quiete e tranquillità bensì
disordine e divisione di matrice religiosa (Mt 10, 34-39)12.
NOTE Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Partita a scacchi”
https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi
1 Si vedano i seguenti
miei lavori: 1) Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 nel mio saggio Radici occidentali (2021); 2) nella mia
opera Teologia analitica (2020) la
parte intitolata L’acqua e il Dio biblico;
3) Radici sumere di Ebraismo e
capitalismo all’interno della mia pubblicazione Note di critica (2017); 4) e anche per vari argomenti qui trattati
la mia monografia Ermeneutica religiosa
weiliana (2013).
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html
https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana
2 In Note di studio (2016): Iside e
Osiride, Cristo e la Madonna. Nel suddetto saggio si trovano altre sezioni
rilevanti in relazione all’argomento affrontato nell’analisi generale: L’origine
del male; Novità contraddittorie del messaggio evangelico; Il
centurione romano: uno stratagemma mediatico. Un altro mio scritto
pertinente, a parte, è L’origine ideologica del Cristianesimo, dentro la
mia opera Considerazioni critiche (2014).
http://danilocaruso.blogspot.com/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html
3 Per approfondimenti
si veda il terzo lavoro indicato nella nota 1.
4 A tal riguardo
suggerisco la lettura di alcuni miei saggi: quello indicato nel punto 2) di
nota 1 e di altri due recanti i titoli L’apologia dell’irragionevole di
Robert Hugh Benson (2017) e Parricidio dantesco (2021).
https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica
https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco
https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson
5 Su questo dettaglio
un approfondimento a pag. 13 della monografia indicata al punto 4) della nota
1.
6 Allo scopo di
approfondire suggerisco di leggere la sezione Radici egizie del mio saggio menzionato al punto 4) di nota 1, là
già sottintesa.
http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html
7 Al fine di un
approfondimento indico il segmento intitolato La nascita della filosofia nella mia pubblicazione Percorsi critici (2020).
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/la-nascita-della-filosofia.html
8 A tal proposito
consiglio di leggere il mio studio I
protopatristici Aristofane e Giovenale contenuto nel saggio ricordato nella
nota precedente.
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html
9 Si legga il mio
saggio Il Medioevo futuro di George
Orwell (2015).
https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell
10 In mie
pubblicazioni: dentro la mia monografia Letture
critiche (2019), Il machiavellico
disegno della “follia” erasmiana; all’interno del saggio al punto 2) della
nota 1, Cristianesimo razionale e
nazional-socialismo in Thomas More.
http://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html
11 Antropogonia e
androginia nel Simposio e nella Genesi, nella mia opera Considerazioni letterarie (2014).
12 Si veda meglio nel
mio studio intitolato Un inquietante
brano neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo nudismo, contenuto all’interno
del mio saggio indicato nel punto 1 di nota 1.
https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html
Le mie ricerche e i miei
approfondimenti sui testi biblici mi hanno consentito negli anni, attraverso
analisi non alla portata di tutti, di conquistare personalmente quelle
conoscenze sull'autentica natura di contenuti che ho via via esaminato. Ciò non
vuol dire che altri non sapessero quanto ho fatto emergere, ma di spiegazioni
simili alle mie non ne ho incontrate. Tant'è che diverse scoperte ai miei occhi
sono risultate novità assolute. Cosicché, proseguendo pressoché da solo nel
deserto degli approfondimenti, ho continuato nella mia “ermeneutica
contestuale” a recuperare i mattoni concettuali di quelle costruzioni
letterarie bibliche che mi sono parse bisognose di procedure analitiche non
ideologizzate al fine di impiantare in quella desertificazione personale i
moventi culturali e concettuali che sfuggono ai più poiché non interessati di
storia della filosofia, delle religioni e delle mitologie coeve alla redazione
dei libri della “Bibbia”. Quanto ho praticato nel corso dei miei articolati
lavori d'analisi, spinto inoltre dal fatto di non aver trovato in precedenza
filosofica soddisfazione concettuale, è stato armarmi di buona volontà
scientifica e scavare allo scopo di portare alla luce il background di pensiero
dell'epoca soggiacente. Quindi ho capito che l'Ebraismo e il Cristianesimo non
sono altro che costruzioni religiose umane non avulse dalle meccaniche storiche
dei tempi in cui si sono sviluppati. Recuperate quelle dimensioni mediante
fatiche intellettuali personali ho dunque presentato i miei risultati. Nel
complesso, di esami approfonditi sulla mia scia ermeneutica non ne ho trovati.
È possibile che in Italia o all'estero abbiano pubblicato larghi lavori di
ermeneutica contestuale applicata ai testi biblici, però non mi è giunta
notizia né tanto meno la sostanza di ciò a cui possa pormi alla fine accanto.
Parlando dei miei studi, sono pervenuto a conclusioni definitive sulla
cosmogonia esposta in “Genesi”1.In seguito a questa ottima base ho
rivisto il prologo del “Vangelo di Giovanni”, di cui avevo parlato nel mio
saggio del 2013 “Ermeneutica religiosa weiliana”. Allora dissi cose
interessanti alle quali ne aggiungo di nuove adesso, e alle integrazioni
accompagno degli emendamenti alla traduzione. Addietro mi adeguai all'analisi
logica comunemente proposta con la canonica voltura, pur sempre cogliendo la
natura concettuale del Logos giovanneo. A quel tempo mi fermai al versante
culturale egizio-alessandrino mediato dall'Ebraismo filoniano. In altro saggio
ricordai – e ciò era risaputo – la clonazione di Osiride e Iside nelle figure
di Gesù e della Madonna2. Nella presente analisi recupererò un
versante neotestamentario al quale ancora non avevo messo mano: quello
culturale greco. Al pari dell'altro mitologico egizio non costituisce una mia
scoperta la presenza di analogie fra Gesù e Dioniso. Ho voluto approfondire con
migliore ampiezza non trovata simile aspetto, e altresì giacché c'entrava il
prologo di Giovanni, a mio modo di vedere, ho avuto l'occasione nella
rivisitazione del suddetto brano, alla luce della chiara conoscenza della
cosmogonia ebraica, di scoprire tutta una serie di puntuali presenze
concettuali stoiche. Affronterò i temi prospettati in dettaglio e con ordine.
Pertanto mi pare il caso di riportare le molle che hanno fatto scattare la
nuova indagine. Leggendo sopra il teatro greco e Dioniso mi sono documentato
meglio sul suo mito (si vedrà meglio avanti). Lui viene ucciso e mangiato da
Titani, Zeus incenerisce gli assassini e dalle loro ceneri, contaminate dal
consumo precedente delle carni di Dioniso, si svilupperà una fuliggine da cui
trarrà origine l'umanità. Gli uomini quindi nascono a priori con un elemento
dionisiaco positivo da quel che resta della negativa materia titanica. Dov'è nei
vangeli riportato tale concetto? Nel prologo di Giovanni. Ma qui bisogna fare
molta attenzione: Gv 1,9 di solito viene pure secondo me mal tradotto, come
ebbi modo di rammentare grazie alla lezione weiliana. Il participio presente
“veniente” (erkómenon) è da riferirsi ad ánthropon e non a fos. È
all'accusativo, non al nominativo: “la luce che illumina ciascun uomo che nasce
(veniente al mondo)”, non “la luce che illumina ogni uomo era veniente nel
mondo”. Dirò del lato dionisio del personaggio di Gesù dopo aver ripercorso
tutto il prologo giovanneo alla luce di tutti i miei nuovi elementi: la citata
perfetta visione cosmogonica ebraica e la rilevazione di presenze concettuali
stoiche. Sia dunque lampante la guisa in cui è stato edificato il Gesù
letterario neotestamentario. Dentro a tale personaggio si trova mitologia
egizia, mitologia greca, filosofia greca. Se vuoi costruire una religione
universale (ossia cattolica) devi preparare la macedonia giusta. E simile
macedonia concettuale, dalla precisa architettura dinamica, doveva sposarsi con
lo stoicismo grecoromano (filosofia-manifesto dell'attivismo piuttosto laico
dello Stato romano). Il caso volle che Ebraismo e stoicismo fossero fratelli,
figli di una semitica nevrosi attivistica risalente ai Sumeri3. La cosmogonia
e la cosmologia stoiche sono formalmente identiche alla cosmogonia e alla
pertinente teologia ebraiche veterotestamentarie. Il Cristianesimo costituisce
per mezzo del momento neotestamentario le nozze romane tra i due fratelli. E
l'incesto partorì il mostro torturatore e uccisore di streghe, omosessuali,
Giudei, eretici, non cattolici. Ma questa è un'altra storia rispetto alla
materia qui presa in considerazione. Qua voglio, tra l'altro, farvi notare gli
elementi stoici del prologo di Giovanni a fianco dell'infiltrazione dionisiaca
di 1,9. Spiegherò altresì le menzionate analogie fra stoicismo e Giudaismo, le
quali offriranno migliore comprensione di ciò che dico. È questo il momento di
indicare la “molla stoica” che mi ha condotto a smontare il prologo del Vangelo
non sinottico ancor meglio del passato. È stata la preposizione “pros” di 1,1.
Pros+accusativo rende un complemento di moto a luogo, l'idea di “... in
direzione di...”. Vale a dire che là c'è scritto che “il Logos stava in
direzione del Dio”. Dalla constatazione di un movimento ho rivisto pure “en
archè”. I traduttori lo volgono quale un complemento di tempo determinato, ma a
me è risultato che “en” sia preposizione temporale per il “tempo continuato”,
non per quello “determinato”: nel corso di, durante. Oltre a ciò ho pensato che
l'archè nella cultura greca è il “principio” nel senso di “causa”. Non possiedo
perciò validi motivi per affidarmi al complemento di tempo determinato. Traduco
allora con un complemento di stato in luogo, e più precisamente di moto entro
luogo circoscritto: “dentro l'elemento primordiale”. La coppia di dettagli
evidenziati mi ha spalancato le porte di una nuova visione, e sinceramente più
congeniale, più contestuale delle trinitarie posteriori elucubrazioni teologiche.
Mi sono ricordato del mio profondo studio su Genesi 1,1 e ho riportato quei
risultati al riguardo del prologo giovanneo. Siamo in un contesto culturale di
impronta ancestrale semitica sia nell'Ebraismo che nello stoicismo del I-II
sec. d.C. Dunque la cosmogonia e la cosmologia giovannee non possono e non
devono entrare in contrasto inconciliabile. Chi mirava a creare la religione
universale (=cattolica) partendo dal Giudaismo sapeva che la filosofia di Stato
stoica era geneticamente compatibile in funzione di quello che si è rivelato un
funesto matrimonio, la cui prima vittima è stata l'Impero romano, caduto da lì
a breve a causa di un calo demografico cui diede una bella mano la sessuofobia
cristiana. Ma torniamo all'assetto cosmologico dell'incipit del Vangelo non
sinottico al fine di inquadrarlo nel dettaglio culturale semitico. L'elemento
primordiale dentro cui si trovava il Logos (1,1) è l'acqua-disordine-tenebre di
Gn 1,1 (né “bereshit” là svolge il ruolo di avverbio di tempo bensì di
soggetto, né qui “archè” sta in un complemento di tempo ma di luogo). Come in
apertura di “Genesi” vien fuori la divinità (elohiym), nel prologo di Giovanni
si trova il theòs. Il Dio stoico è fuoco, quello ebraico è il Sole. Vale a dire
lo stesso soggetto concettuale visto, interpretato e sviluppato in due diverse
maniere, una filosofica e una religiosa. Il movimento del
venir-fuori-dal-disordine-acqueo da parte dell'elemento igneo è suggerito dal
movimento proprio del Logos “in direzione del Dio”. In origine “dentro l'archè”
si passò dal disordine all'ordine. Il discorso di “Genesi” rispecchia tale
cliché. Mentre qua causa efficiente e causa formale rimangono indistinte,
Giovanni introduce la distinzione maturata nella riflessione stoica. La
struttura della realtà ha avuto un esplicito progetto, il quale la regolamenta
e la tiene in piedi: si chiama “Logos”. Il movimento di questa causa formale,
di cui tuttavia esiste l'equivalente veterotestamentario nella figura della
Sapienza divina tirata fuori dall'abisso a opera di Dio, può intendersi quale
momento logico, concettuale, al modo hegeliano dell'Idea che si volta
all'attuazione. Hegel possiede radici religiose e filosofiche non casuali, non
dimentichiamo che il suo ispiratore generale, Spinoza, era Giudeo. L'immanentismo
stoico ha caratteri protohegeliani, i quali tuttavia non si possono allargare
al prologo giovanneo. Ho parlato di isolato movimento logico. Il Cristianesimo
si svilupperà sulla base delle comunanze tra stoicismo e religione ebraica. E,
a quanto la storia ha mostrato, sulla base dei peggiori contenuti (misoginia,
omofobia, intolleranza) predisposti a sadica esaltazione nevrotica. Nel
pensiero cristiano lo spirito filosofico greco è morto, dopo essere stato
imprigionato e soppresso. Dicevo dell’incontro giovanneo fra Theos e Logos. Il
Vangelo non sinottico rappresenta la chiave di volta della costruenda
architettura teologica stoico-cristiana. Perché mettere qualcosa nel canone
evangelico che non si tiene in linea con i primi tre, qualcosa appunto di “non
sinottico”? Semplice, poiché gli altri vangeli non offrono una simile
prospettiva filosofica. Il testo di Giovanni costituisce una sorta di anello
nuziale fra Ebraismo alessandrino e stoicismo romano. Togliendo il “non
sinottico” la teologia cristiana non può celebrare l’abbraccio col potere
politico dominante di matrice stoica. Il prologo di Giovanni recupera gli
elementi centrali della vecchia cosmogonia giudaica veterotestamentaria e
l’arricchisce in immagini e concetti. In aggiunta a quanto detto in questa
sede, oltre che a quello esposto nel mio saggio “Ermeneutica religiosa
weiliana” (contenuti che non ripeterò ora), va rilevata la radicalizzazione
luce/tenebra, ordine/disordine. Ciò che viene definito come “bene” è un porre
sotto il dominio dell’ordine, della luce, scacciando le tenebre provenienti
dall’acqueo disordine. Tale nevrotica impostazione svela corollari: il
maschile-fuoco impersona il positivo, il femminile-acqueo il negativo. Da
assurde dicotomie del genere è emersa la misoginia cristiana, e si tratta di
roba strutturale di quella teologia, non di errori di un Cristianesimo mal
interpretato e mal attuato4. Bruciare le streghe equivale a
sanificare il mondo. Ho anticipato sopra l’infiltrazione dionisia ad hoc nel
prologo. Il quale assieme al pensiero cosmologico stoico è allusivo, nella
seconda metà del brano, di passione-morte-resurrezione di Dioniso. Più avanti
delineerò i tratti dionisiaci evangelici del non sinottico, giacché tale
Vangelo mirava a far presa nell’ambito di credenza, a suo tempo nutrita,
orfico-dionisia. Adesso debbo puntualizzare il dettaglio di un’altra
infiltrazione filosofica. Il prologo parla di “figlio-unico del Padre” allorché
il Logos si è incarnato. Si tratta
di derivazioni dal “Timeo” di Platone, il quale chiama “padre” una causa
efficiente, “figlio” il prodotto, “madre” la causa materiale. La paternità
divina su Gesù non prende le mosse dalla biologia normale. Il Theòs diventa
Padre nel momento in cui delibera l’incarnazione del Logos, e nell’accezione
platonica (la quale di conseguenza squalifica il “femminle”; che Gesù sia
alquanto, per noi, maleducato nel rispondere alla madre Maria alle nozze di
Cana, dove compie un dionisiaco miracolo, non è un caso: le ha proprio detto
che essendo una donna non era in grado di esprimere un giudizio accettabile!).
Le eresie trinitarie e cristologiche sono poi in seguito sorte poiché il
prologo di Giovanni è soltanto allusivo delle dinamiche stoiche, non le disegna
nitidamente. Infatti sono io il primo a non capire se qui Theòs e Logos fossero
in origne sostanzialmente separati, o se fossero uniti e il movimento di cui
sopra detto fosse figurato passaggio dal Logos-potenza al Theòs-atto
produttivo. Allorché Giovanni afferma che “una divinità Figlio” ha reso
visibile in qualche modo un Dio invisibile, si parla sempre in termini
platonici non chiarificatori. Il fatto che asserisca che il Logos si trovi
“nell’insenatura del Padre”, nel kólpos (cavità marina), mi suggerisce di aver
letto bene “arché” di 1,1, però ciò non rende comprensibile la struttura
gerarchica e la relazione tra i due con estrema chiarezza. Saranno appunto i
teologi a dire tutto e il contrario di tutto, dove probabilmente la via di
comprensione più sensata, e concettualmente accettabile, è quella derivante da
una genuina lettura stoica. La quale andrebbe più verso l’immanentismo
panteistico stoico, che hanno decisamente rifiutato di percorrere a vantaggio
di invenzioni teologiche in lotta inter se (la guerra dell’aria fritta!). Per
quanto concerne il sistema filosofico stoico possiamo dire quanto segue,
rilevando le analogie del caso. Zenone di Cizio, il caposcuola, di origine e di
mentalità semitiche, attribuisce la corporeità a Dio. Il che non è estraneo al
“Tanak” dove la divinità giudaca passeggia e combatte in guerra (è evidente che
gli attribuivano un corpo). E al pari degli Ebrei il Dio zenoniano è il “numero
uno”5 cosmico, meglio definito quale ragione universale e attività
originaria: il Dio che produce il cosmo ordinato e lo sostiene nella di esso
esistenza (in virtù dell’ordine dato). Il “mio Signore e mio Dio” di Tommaso è
espressione stoico-filoniana, richiamante l’ebraismo alessandrino (di ciò
parlai nella mia monografia sopra rammentata), espressione la quale si
riallaccia non a caso allo stoicismo. Gli intrecci giovannei mostrano le
sfaccettature di un progetto teologico-religioso la cui sintesi doveva coprire
tutti i principali lati culturali, ideologici, mitologici dell’Impero romano di
quell’era. Potremmo altresì definirla un’operazione di “adescamento universale”
in relazione al suo scopo emergente. Il nuovo contenitore cattolico proviene da
un disegno di natura distopica e totalitaria e non per niente monoteistico (per
la precisione, il giudaismo è enoteistico). Il Dio-Sole ebraico, di derivazione
atonista6, ha il suo equivalente filosofico nel Dio-fuoco zenoniano
di derivazione eraclitea. La congenialità semitica spinse Zenone di Cizio a
simpatizzare per Eraclito. Il fuoco rappresenta il principio attivo, la causa
determinante, la ragionevolezza ordinatrice (Logos). Il Dio veterotestamentario
si manifesta attraverso la potenza solare, è de facto egli il Sole, è fattore
che determina e ordina dopo essere uscito dall’acqua-oscurità-disordine la
materia cosmica. A lui si contrappone la Natura, l’Universo. Gli stoici
rispetto agli Ebrei svilupparono la dimensione panteistica, e proprio in virtù
del Logos, al quid divino di progettuale che si riporta nelle cose (sarebbe la
metessi platonica trasfusa nelle stoiche “ragioni seminali”). Lo stoicismo ha
portato nel Cristianesimo l’idea di Logos, a sua volta poi diversamente
sviluppata. Senza Zenone di Cizio non ci sarebbe stato nessun Verbo di Dio
incarnato. Il Logos stoico è 1) fondamento veritativo-logico, 2) progetto e
causa determinante della realtà, 3) traduttore di norme comportamentali. Detto
con parole di Gesù: 3) la via, 1), la verità, 2) la vita. Ritengo opportuno
dire a proposito del punto 3) che l’etica del dovere semitica (dell’ubbidienza
al Dio di riferimento, al Logos) nei Giudei si codificò nella Torah, negli
stoici in un’etica più laica, però pur sempre nevrotizzante, in quanto
costruzione razionalistica estremistica. Il razionalismo stoico costituisce
l’espressione di un maschilismo7, di cui la tradizione
giudaicocristiana rappresenta la manifestazione socioreligiosa. L’attivismo
degli stoici e quello degli Ebrei sono fratelli gemeli, poi cresciuti in case
diverse. Il Logos di Zenone è un momento intermedio nella cosmogonia giudaica
fra il Dio “numero uno”, principio determinante, e la materia disordinata alla
volta di cui si dirige il soffio divino (ruach), il veicolo di determinazione
attuante. Simile dimensione di intermediazione sarà introdotta nell’Ebraismo
alessandrino da Filone, da cui il recupero del ponte concettuale
cristiano-stoico. È una sorta di giro attorno alle stesse cose per poi saldarle
nell’esaltazione messianica del Verbo incarnato, il Mediatore tra Dio e gli
uomini. La nuova religione universale (cattolica) nasce da salse concettuali
semitiche e si lega alla parallela (più moderata) misoginia grecoromana8,
portando però odio e ostilità verso gli eccessi che la Storia plurisecolare ci
ha mostrato. Tengo a far notare che l’imperativo comportamentale (nevrotico)
che porta Abramo a ubbidire a Dio quando costui gli comanda di sacrificargli il
figlio Isacco è lo stesso, nella forma (nevrotizzante), che agli stoici
comandava il suicidio (o altro di esagerato): che in un caso sia
dovere-religioso e nell’altro dovere-politico non fa differenza, sempre di
dovere semitico si tratta (correlato a forme attivistiche: la provvidenziale
elezione storica dei Romani, l’elezione divina d’Israele; il Cristianesimo
puntò sui primi, a cui diede un abbraccio mortale accelerando la crisi sociale
imperiale in direzione della catastrofe la quale spalancò le porte
all’oscurantismo medievale). Quando Simone Weil afferma che la Chiesa cattolica
è stata la madre di tutti i totalitarismi moderni, e quando io porto alla luce
simile verità nel testo orwelliano di “1984”9, non siamo usciti
fuori del seminato, bensì abbiamo ben rilevato il meccanismo mentale semitico
“dovere-ubbidienza”, declinabile in vari modi. Il poliedro semitico del
cristianesimo nelle sue facce stoiche ci mostra illuminanti contenuti i quali
ci fanno ben comprendere che la religione di Gesù è una invenzione a tavolino,
e che lo stesso evangelico Messia risulta un quasi totale personaggio
letterario, il quale, contaminato di non poche ascendenze contemporanee, rimane
distinto dal presunto Gesù storico (l’attivista politico-religioso radicale).
Il suo essere Verbo divino incarnato, Figlio-Logos, originario medium
produttivo cosmico, costituisce una serie di idee precedenti lui e consolidate
a posteriori sopra di lui. La persona storica di Gesù fu accidentale. Più che
altro la sua morte (storicamente vera o falsa) si prestò al di lui inserimento
nella nuova teologia universale ebraico-stoico-romana. Questa andò a riprendere
motivi filosofici, religiosi, mitologici omogenei al progetto di una religione
unificatrice per tutto l’Impero romano. Cosicché ad esempio ritroviamo il
Zenone che afferma il Logos presente nella nostra anima in Gv 1,9. Ritroviamo
altresì la dicotomia ontologica stoica agire/patire nell’idea di Passione di
Gesù Cristo (la quale, come meglio vedremo, riprende evidenti tratti dionisiaci).
Per “patire” Dio doveva incarnarsi in un Figlio corporeo giacché la sola
materia-corpo rappresenta la parte passiva della realtà. Dio sta all’opposto.
Un’idea rilevante degli stoici, che ci ricollega alla cosmogonia ebraica, è
quella per cui il principio supremo, visto nella veste di divinità-logica, si
serva nell’atto determinante-reggente di uno pneuma, di un soffio-caldo: vale a
dire, tradotto in termini veterotestamentari, della ruach (lo spirito, soffio
animante). Il trinitario Spirito Santo “che è Signore e dà la vita” esce da
suddette cose (gli gnostici pensavano lo Spirito santo al femminile). E
dobbiamo inoltre dire che la Trinità cristiana ha il suo modello stoico nella
triade dell’inno di Cleante: Zeus, Logos e Pneuma; cioè la prototrinità pagana
già predisposta a beneficio del neopagano distopico Cristianesimo. Nel momento
in cui parlo di distopia totalitaria non esagero, non costituisce ovviamente
una mia scoperta (da studioso ho indagato per bene vari segmenti nei miei
lavori), né tanto meno dico non per tutti delle novità. L’ideale di libertà
autentica (esagerato d’altro canto nel nevrotico attivismo protestante
liberista) dentro lo stoicismo e il Cristianesimo ha subito forti restrizioni:
gli stoici insegnavano che l’uomo sapiente e coscienzioso si sarebbe dovuto
adeguare “liberamente”, idest spontaneamente, al Fato, al destino (il prodotto
della razionalità del Logos il quale ha già hegelianamente preordinato i corsi
storici). Ebbene, non troverete nessuno più stoico di Giobbe, il precursore dei
praticanti l’etica stoica. Giobbe si adegua spontaneamente, “stoicamente”, alla
volontà divina, ossia alle deliberazioni del Dio-Logos. Alla fine verrà
premiato in virtù della sua attivistica caparbietà di condotta, ma nel
frattempo una vera libertà umana, un’autonomia morale kantiana, è stata
cancellata alla radice. Nel Cristianesimo esiste una sola Verità di cui hanno
nella storia pagato il prezzo non poche persone all’interno di un regime
sociale illiberale durato secoli. La tradizione giudaicocristiana ha proposto
di sacrificare la propria libertà a vantaggio di contenuti nevrotici (si vedano
ad esempio Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro10). Arrivati a questo
punto possiamo rivolgere lo sguardo al panorama religioso-mitologico greco, il
quale avevo rammentato in apertura di disamina. Sarà possibile dunque vedere
quanto di mitologia greca si è infiltrato nella tetrade evangelica, soprattutto
nel non sinottico, inerente a temi orfico-dionisiaci. Diciamo che l’orfismo
rappresenta il lievito del formantesi Cristianesimo. Dalla di quello esaltata
inquietudine spuntano le radici popolari cristiane. Al di là di quell’ingenuo
slancio, tuttavia non torbido nell’orfismo, non si sarebbe sviluppata una
dimensione fideistica di massa. Il Cristianesimo è intervenuto su un terreno
fertile: questa è stata la sua astuzia costruttiva, questa è stata la sua
fortuna nell’allargarsi presso la credulità dei più. Ritroviamo idee orfiche
basilari poi centrali nella visione cristiana. Una è l’idea di passione, del
martirio, i quali purificano (si pensi al “battesimo di sangue”), facendo
recuperare l’elemento divino dionisio (illustrato più sopra) in sé. L’orfismo
assume una dicotomia corpo/spirito analoga a quella stoica: da simili contenuti
le concezioni cristiane sessuofobiche e di disprezzo generale della corporeità
(le cosiddete “sante anoressiche” costituiscono tristi exempla di tali
principi, già nevrotici, elevati a più distruttiva nevrosi). Quel che conta è
il divino nell’uomo, al punto tale che gli orfici sono i teorici della
successiva dicotomia cristiana anima/corpo: sono loro a dire che esiste
un’anima immortale. E l’orfismo è esistito quantomeno dal VI sec. a.C.
L’esistenza umana nella mentalità orfica servirebbe a pagare le colpe
all’interno di uno schema metempsicotico. I Cristiani sostituirono alla
rincarnazione punitiva il temibilissimo inferno. La visione degli orfici
raffigura concettualmente Zeus nei tre moment di causa originaria, causa
strumentale e causa finale in relazione alla realtà, realtà la quale assorbe in
maniera panica (una tangenza stoica, non sviluppata in direzione
panteistica da parte del Cristianesimo, il quale si limitò a postulare soltanto
l’ubiquità di Dio). La teogonia orfica culminava con le vicende dei Titani
uccisori di Dioniso, una sequenza che distaccava dalla tradizione veicolata da
Esiodo. E giunti a Dioniso dobbiamo allora approfondire i legami fra di lui e
il Gesù evangelico. Nel momento in cui ho focalizzato meglio tali aspetti ho
ottenuto una più nitida e più definita cornice sull’origine del Cristianesimo,
al quale ho dedicato la mia attenzione da una vita essendo nato in una società
cristianizzata da secoli. Cominciamo col dire che Dioniso nacque in una grotta
e il suo destino era quello di succedere a Zeus nella signoria cosmica. Il piccolo,
a detta del mito, venne al mondo con delle corna. Gesù Bambino non le ha, però
ha il bue cornuto del presepio. Il toro è un animale correlato all’immaginario
dionisio: il bue cornuto del presepio suggerisce l’evidente inconsapevole
prosecuzione di un topos neopagano. E lo fa assieme all’asinello, a sua volta
associato a Dioniso e all’uccisore di Osiride (Seth/Tifone). Allorché nacque il
Cristianesimo, in ambito culturale pagano si diceva che i fedeli adorassero una
divinità teriomorfa dalla testa di asino. Ho visto su un libro la foto di
un’antica rappresentazione di ciò, e la mia ipotesi è che non si trattasse di
una presa in giro volta al disprezzo da parte dei Romani, ma che invece i primi
Cristiani tendessero a rendere più percepibile il sostrato della nuova
religione, in particolar modo il sostrato orfico-dionisiaco. Cioè quello a
livello popolare di maggior diffusione, il quale costituì la base del successo
presso la massa ingenua disposta alla credulità nei confronti di un’abile
costruzione propagandistica. Venne tenuta, non a lungo, in epoca medievale,
ogni primo dell’anno una “festa degli stolti” nella quale veniva ricordato
l’asino dell’entrata a Gerusalemme di cui Gesù si servì: in questo contesto
festoso nel momento in cui si pregava la preghiera era chiusa da un raglio in
luogo del consueto canonico “amen”. Sia Dioniso che Gesù appena venuti al mondo
ricevono l’omaggio di altri intervenuti all’evento. Suddetto Dio grecopagano
nella cultura cretese, la quale non era di radice aria, si manifesta come Dio
bambino che è destinato alla morte (nel mito muore giovanissimo). I Cretesi
avevano stabilito dove fosse stato il suo sepolcro isolano. Dioniso, figlio di
una donna comune, viene elevato al rango divino tempo dopo la nascita. Nelle
sue vicende non manca un’ascensione finale in cielo (ennesima tangenza con
Gesù). Nell’orfismo Dioniso rappresenta colui che è nato tre volte: nel grembo
materno, nella coscia di Zeus in funzione di incubatrice (dopo che la madre
morì precocemente prima di partorirlo correttamente), nella resurrezione post
mortem. Gesù mostra un percorso parallelo: alla coscia di Zeus sostituisce il
battesimo con la discesa dello Spirito Santo. Non sempre la madre di Dioniso è
stata identificata dal mito con una donna semplice: Persefone poteva comparire
sua madre. Da ciò la familiarità di detto Dio con l’elemento infero. Ade marito
di Persefone era pure chiamato Zeus sotteraneo, perciò tale appellativo si
riflesse sul figlio Dioniso (Gesù scese agli inferi). Dioniso e Gesù hanno familiarità
con l’elemento acqueo-marino: entrambi hanno a che fare con la navigazione e le
imbarcazioni. Se Gesù seda una tempesta stando sopra una barca, Dioniso ha una
sua epifania sempre su un’imbarcazione. La mitologia dionisiaca intravede in
questo un Zeus-figlio complementare di un Zeus-padre, e lo fa in un’ottica
unitaria padre-figlio. In particolare il padre si indirizza al pubblico
maschile, il figlio a quello femminile (il Gesù evangelico ha avuto contatti
con varie donne). Nella prima parte della mia analisi ho parlato del mito
orfico riguardante l’uccisione di Dioniso ora possiamo riprenderlo allo scopo
di ricollegarlo meglio a Gesù. I Titani fecero a pezzi il corpo del Dio greco
al fine di mangiarlo, un corpo che la mitologia greca trasfigura nell’immagine
di un agnello/capretto. I Titani ne consumarono e furono poi inceneriti da
Zeus, con la conseguente antropogonia già rammentata sopra. Ritornati a Gv 1,9
siamo nelle condizioni di poter ulteriormente chiarire i passaggi evangelici
riguardanti l’ultima cena e l’istituzione della liturgia eucaristica. Essa
possiede un’origine dionisiaca. La scena di Gesù che comanda di prendere e
mangiare del pane rappresentante il proprio corpo ricalca in guisa dinamica,
non statica, il mito di Dioniso e la passione pagana dionisia trapiantatasi
assieme al corredo dell’immagine del vino nel nuovo culto cristiano (il vino
inerisce a uno dei due momenti del rito cristiano menzionato). Gesù e Dioniso
sono Agnus Dei. Il consumo della carne, simbolico o meno, nella liturgia
eucaristica e nel rito dionisiaco serve a garantire il contatto col divino.
Dioniso è legato alla vite, ai tralci, all’uva. Tant’è che gli orfici lo
chiamavano pure Eno (=vino). È consequenziale che nel consumo simbolico di
carne divina del rito cristiano ci si accompagni altresì al consumo di vino. Si
tratta delle due facce della medaglia dionisia. Che il Vangelo non sinottico si
apra col miracolo di Cana non è casuale. Il vino e la coppa di vino dionisiaci
indicano l’esigenza di uno stadio mentale esaltato, eccitato, una follia, una
militanza obbediente e irrazionalistica, la quale ritorna nell’epistolario
paolino: i folli per Cristo. La follia erasmiana costituisce una moderna
teorizzazione di quell’ideale cristiano di fanatismo. L’antica festa ateniese
delle Antesterie dedicata al culto dionisiaco è servita da modello per
elaborare il Triduo pasquale cristiano. Si svolgevano a fine dell’inverno nel
corso di Antesterione (mese lunare corrispondente a un periodo tra febbraio e
marzo) e avevano
la durata di tre giorni. I Greci pensavano che in quel terzo giorno i defunti
potessero tornare pro tempore in mezzo ai viventi. Le analogie sono evidenti.
Dioniso rappresenta un Dio che risorge al pari di Gesù. L’iconografia cristiana
e quella dionisia rappresentano entrambi con la barba. Il tema della “maschera”
fa parte del corredo immaginifico di Dioniso, e “maschere” saranno nella
teologia cristiana di lingua greca le “personae” trinitarie. Ulteriormente
dionisia si mostra di nuovo una particolare devozione, quella al Sacro Cuore di
Gesù. Il cuore di Dioniso non fu né mangiato né incenerito bensì recuperato da
Atena. Kerényi fa notare che la radice κραδ- è etimologicamente ambigua giacché
indica sia il concetto di “cuore” che quello di “albero-di-fico”, e di tale
legno era il fallo divino collocato all’interno di ceste, a loro volta poste
sul capo durante le processioni dionisiache. Qua si chiude un altro cerchio.
Gesù nei vangeli sinottici maledice un fico sterile: non è un episodio privo di
profondo significato. Nel Vangelo di Giovanni sostiene di essere la vite e che
altri fungano da tralci. Tutte queste immagini hanno provenienza dionisia.
Costituiscono un portato orfico. Altresì, il tema del membrum virile si
riallaccia alla sponda egizio-osiridea. Già in passato vidi collegati Osiride e
Gesù in simile dettaglio che ritroviamo nel culto dionisio. Si rileva così alla
fine accanto alla stratificazione egizia una stratificazione greca pertinente:
il perizoma di Gesù crocifisso nasconde motivi osiridei e dionisiaci. Il
membrum virile di Osiride ucciso ricompare nella stella cometa dei magi (i
quali nient’altro sarebbero che maghi), riguardo a Dioniso si tratta di un
simbolo adottato – come detto – nella celebrazione della divinità (il perizoma
di Gesù parrebbe una sorta di evocativo “tabernacolo” ad hoc). Nella figura
evangelica di Gesù compaiono diverse stratificazioni, le quali soltanto un buon
analista, un ottimo medico legale dell’ermeneutica letteraria, può
dissotterrare. A distanza di molti secoli pochissimi sono in grado di
percepire il neopaganesimo del Cristianesimo, e di avere la sensazione di
entrare in un tempio pagano mettendo piede in una chiesa (a me ormai capita
così). Un’attenzione molto particolare e un pregresso studio molto approfondito
(che io ho condotto anni fa11) merita il discorso neotestamentario
di “Gesù come nuovo Adamo”. Se non si capisce che cosa era l’Adamo
veterotestamentario, non si comprenderà mai quest’altra sottile analogia con
Dioniso. L’Adamo originario è un androgino, poi diviso in due, da cui Adamo ed
Eva sessualmente differenziati. Anche Dioniso era androgino o quantomeno
effeminato. L’orfismo riguardo all’argomento del nuovo Adamo offriva l’aggancio
con Fanete (=colui-che-brilla), mostruosa creatura primigenia ermafrodita, altresì
denominata Dioniso. Comprendiamo benissimo, arrivati alla fine, che il Gesù
costruito quasi due millenni fa non sia più genuinamente riproponibile a
società dove orfismo e stoicismo non esistono più quali fenomeni socioculturali
in atto. Sono rimasti però forme attivistiche cristiano-protestanti e il
diffuso ingenuo desiderio della massa di affidarsi a qualcosa di rassicurante.
Il Cristianesimo cattolico di oggi possiede un volto ufficiale diverso da
quello della sua naturale sostanza storica, la quale è finita gradualmente nell’ombra al cospetto della gente in seguito all’emancipazione illuministica. Sicché misoginia, omofobia, intolleranza sono state sfumate per diventare pressoché non più visibili. È
il Messia evangelico a definire “cani e porci” coloro che non si uniformano a
lui. La parola κύων in greco antico costituisce un termine fortemente
spregiativo se riferito a persone, e in particolar modo era destinato alle
donne. Infatti, a mio avviso, il “τοῖς κυσίν” al Vangelo di Matteo 7,6 è al
femminile e non al maschile. Risulta molto probabile per me che Gesù abbia
usato un’espressione generale utilizzando i due generi distinti: “alle cagne e
ai porci” copre meglio l’estensione semantica di riferimento con superiore
qualità retorica. In verità anche “τῶν χοίρων” potrebbe essere tecnicamente al
femminile, però tutta l’idea così suonerebbe ferocemente misogina, parlando di
“cagne e troie”. Adotto la traduzione di mezzo: cagne e porci. Infine è di
nuovo il Redentore a sostenere di non aver portato quiete e tranquillità bensì
disordine e divisione di matrice religiosa (Mt 10, 34-39)12.
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Partita a scacchi”
https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi
1 Si vedano i seguenti miei lavori: 1) Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 nel mio saggio Radici occidentali (2021); 2) nella mia opera Teologia analitica (2020) la parte intitolata L’acqua e il Dio biblico; 3) Radici sumere di Ebraismo e capitalismo all’interno della mia pubblicazione Note di critica (2017); 4) e anche per vari argomenti qui trattati la mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013).
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html
https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana
https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi
1 Si vedano i seguenti miei lavori: 1) Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 nel mio saggio Radici occidentali (2021); 2) nella mia opera Teologia analitica (2020) la parte intitolata L’acqua e il Dio biblico; 3) Radici sumere di Ebraismo e capitalismo all’interno della mia pubblicazione Note di critica (2017); 4) e anche per vari argomenti qui trattati la mia monografia Ermeneutica religiosa weiliana (2013).
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html
https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana
2 In Note di studio (2016): Iside e Osiride, Cristo e la Madonna. Nel suddetto saggio si trovano altre sezioni rilevanti in relazione all’argomento affrontato nell’analisi generale: L’origine del male; Novità contraddittorie del messaggio evangelico; Il centurione romano: uno stratagemma mediatico. Un altro mio scritto pertinente, a parte, è L’origine ideologica del Cristianesimo, dentro la mia opera Considerazioni critiche (2014).
http://danilocaruso.blogspot.com/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html
3 Per approfondimenti si veda il terzo lavoro indicato nella nota 1.
4 A tal riguardo suggerisco la lettura di alcuni miei saggi: quello indicato nel punto 2) di nota 1 e di altri due recanti i titoli L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017) e Parricidio dantesco (2021).
https://www.academia.edu/43625458/Teologia_analitica
https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco
https://www.academia.edu/33666516/L_apologia_dell_irragionevole_di_Robert_Hugh_Benson
5 Su questo dettaglio un approfondimento a pag. 13 della monografia indicata al punto 4) della nota 1.
6 Allo scopo di approfondire suggerisco di leggere la sezione Radici egizie del mio saggio menzionato al punto 4) di nota 1, là già sottintesa.
http://danilocaruso.blogspot.com/2014/09/radici-egizie-nella-cosmogonia-ebraica.html
7 Al fine di un approfondimento indico il segmento intitolato La nascita della filosofia nella mia pubblicazione Percorsi critici (2020).
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/la-nascita-della-filosofia.html
8 A tal proposito consiglio di leggere il mio studio I protopatristici Aristofane e Giovenale contenuto nel saggio ricordato nella nota precedente.
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/08/i-protopatristici-aristofane-e-giovenale.html
9 Si legga il mio saggio Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
https://www.academia.edu/11340638/Il_Medioevo_futuro_di_George_Orwell
10 In mie pubblicazioni: dentro la mia monografia Letture critiche (2019), Il machiavellico disegno della “follia” erasmiana; all’interno del saggio al punto 2) della nota 1, Cristianesimo razionale e nazional-socialismo in Thomas More.
http://danilocaruso.blogspot.com/2018/08/il-machiavellico-disegno-della-follia_29.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/cristianesimo-razionale-e-nazional.html
11 Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi, nella mia opera Considerazioni letterarie (2014).
12 Si veda meglio nel mio studio intitolato Un inquietante brano neotestamentario: evangelismo armato e ambiguo nudismo, contenuto all’interno del mio saggio indicato nel punto 1 di nota 1.
https://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/un-inquietante-brano-neotestamentario.html