di DANILO CARUSO
Il testo che segue è un estratto
del mio saggio “Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano”
pubblicato nel settembre del 2023 in formato cartaceo e in pdf (ebook),
disponibile per intero online qua (possibile il download):
Nel blog è stato ripresentato in
quattro sezioni tematiche, il link della parte successiva viene indicato in
calce.
Prosegue da qui
Tertulliano esordisce nel “De cultu feminarum” spiegando alle
donne cui si rivolge che la venuta del Messia Gesù Cristo ha portato a queste
la coscienza della loro colpa edenica (feminae
condicio), colpa trasmessasi senza scampo all’intero genere femminile, vale
a dire di quod de Eva trahit, ignominia primi delicti. A seguito di
tale consapevolezza della portata del peccato originale, che l’autore latino
carica teologicamente e antropologicamente soltanto sulle donne, costoro
dovrebbero, per così dire, vestirsi a lutto, allo scopo di mostrare
ravvedimento, rammarico, dispiacere per il loro essere causa di siffatta grande
colpa, la quale per loro è rimasta ontologica negativa prerogativa. Tertulliano
rammenta a sostegno delle sue idee Gn 3,16. Ma ignorava che la comune voltura
dall’ebraico, voltura giuntaci sino a oggi, potrebbe essere sbagliata. Ad hoc
riporto un mio brano di spiegazione da un precedente mio saggio7
(piuttosto che farne una inutile parafrasi).
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Nel procedere del mio esame si rivela utilissimo ritrovare
l’impulso sessuale menzionato in Gn 3,16: «… ve-el-iyshe-k teshuqate-k ve-hu
ymshal-ba-k»; «… e verso l’uomo di te [sarà] l’impulso di te e lui ? ? te». Ho
lasciato per il momento la mia traduzione parziale giacché voglio far vedere
come quelle comuni mi appaiano inadeguate in relazione alla lettera. Osserviamo
innanzitutto l’analisi grammaticale degli ultimi tre elementi del versetto
legati fra di loro in singola parola: a) verbo qal imperfetto, 3a
persona singolare; b) preposizione “be”: in, sopra (complemento di luogo), con
(complemento di unione-compagnia), per mezzo di (complemento di
mezzo-strumento); c) pronome suffisso, 2a persona femminile
singolare. Dove sta il problema? Il verbo usato non è unico, ha un gemello di
significato altro. I traduttori fra i due optano a vantaggio di quello avente
significato: governare, reggere; dominare; vincere. A mio avviso non esistono i
presupposti per appesantire il versetto in direzione cristiano-patristica e
tradurre con toni simili: «egli ti dominerà». Non ne vedo la fondatezza
grammaticale, né quella logica nel discorso in cui si inserisce Gn 3,16.
Valutiamo l’aspetto grammaticale: il pronome femminile suffisso non è un
complemento oggetto poiché retto dalla preposizione “be”, quindi la donna non subisce
l’azione espressa dal verbo. La preposizione esprime l’idea di un “concorso
nell’azione” cui non si addice il verbo di 1). Il verbo clone significa 2)
assomigliare, parlare in parabola. Sulla base dei miei passati lavori, tenendo
anche conto che in Gn 3,16 si tratta della gestazione e del parto, ritengo che
il verbo corretto da usare nella traduzione sia “assomigliare”. L’idea di
“somiglianza” in “Genesi” apparirà più chiara leggendo il versetto 1,26: «Adam
causava una nascita grazie alla similarità di lui [ossia Eva], a somiglianza
della sua immagine [la tselem androgina]». Ho approfondito il discorso in un
mio precedente studio, qua ricordo semplicemente che «per mezzo della
somiglianza» premette il procreare esseri umani sessualmente specificati e non
androgini. Pertanto allorché traduco alla lettera «e lui assomiglierà grazie a
te» il significato è: «lui avrà figli/progenie [“somiglianti”: maschi e/o
femmine] grazie al tuo concorso [nel congresso carnale]». Non mi sembra il caso
di mettere misoginia laddove i concetti non la tirano in ballo in modo
esplicito. La Bibbia è un libro misogino, tuttavia Gn 3,16 non è strutturato
come Ct 7,11, anzi là l’impulso sessuale viene indicato quale uguale e
speculare nell’attrazione a quello di qui.
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Voglio citare un piccolo brano dell’apertura del “De cultu
feminarum” poiché costituisce l’indice dell’aberrazione misogina dell’intero
Cristianesimo premoderno. Riporto il segmento (la mia traduzione nell’esergo):
«Vivit sententia Dei super sexum istum in hoc saeculo: vivat et reatus necesse
est. Tu es diaboli ianua; tu es arboris illius resignatrix; tu es divinae legis
prima desertrix; tu es quae eum suasisti, quem diabolus aggredi non valuit; tu
imaginem Dei, hominem, tam facile elisisti; propter tuum meritum, id est
mortem, etiam filius Dei mori habuit: et adornari tibi in mente est super
pelliceas tuas tunicas?». Simile patrimonio di caustiche idee misogine ha
rappresentato una delle distopiche novità del Cristianesimo sin da subito.
Siamo nel III sec. e questo ferocissimo antifemminismo non appartiene solo a
Tertulliano, costituisce l’atteggiamento standard della nuova religione nei
confronti delle donne. Esisteva sì già una misoginia greca e romana, ma era più
moderata e isolati gli estremismi8. Queste sconcertanti e aberranti
parole tertullianee, che non erano all’ordine del giorno nella società
grecoromana, turbano ancora oggi giacché sappiamo che tale irrazionalistica e
nevrotica misoginia si salderà appunto nel pensiero teologico cristiano a venire,
portando con sé oltre alla produzione letteraria e artistica di ispirazione
religiosa antifemminista il crimine contro l’umanità rappresentato dalla caccia
alle streghe. Quelle torture e quelle uccisioni in epoche in cui i livelli di
popolazione erano molto più bassi rispetto a oggi, sebbene numericamente
possano dare l’erronea impressione di essere stati “pochi casi”, in termini di
percentuale (i quali non ho visto evocati) non lo sono affatto. minimizzare e
cercare di nascondere la portata di fenomeni storici con espedienti alla fine
inefficaci non giova all’accertamento della verità, dell’ampiezza e delle
cause. In genere il Cristianesimo moderno, quello addociltosi sempre meglio
dopo l’urto con l’Illuminismo, non ama la profonda e puntuale autocritica, e
preferisce l’oblio orwelliano e la diluizione nell’ignoranza della massa delle
proprie responsabilità storiche. A mio avviso si rivela importante rileggere un
pensatore psicopatico quale Tertulliano perché i suoi difetti transiteranno in
toto nella nascente teologia cattolica. Di lì a poco si metterà mano a sadica
violenza, da quando il Cristianesimo diverrà religione unica imperiale romana.
Dall’era agostiniana inizieranno i “legali” roghi di omosessuali, e di quel
tempo è il cruento “illegale (ancora)” femminicidio di Ipazia di Alessandria.
La visione distopica tertullianea costituisce un simbolo di radici cristiane e
crea quel raccordo fra atteggiamenti di intolleranza precristiani e presenti
nel mondo pagano grecoromano e in quello giudaico, alla volta di un pensiero
unificato e unico post-teodosiano, il quale ha il suo campione in Agostino
d’Ippona9. L’autore del “De cultu feminarum”, proseguendo il suo
discorso, chiarisce che l’introduzione di deprecabili monili femminili deriva
da un portato degli angeli ribelli cacciati in origine dal cielo, angeli poi
qualificati “diavoli”, i quali si unirono a donne terrestri. A questi diavoli
lui fa risalire gli «herbarum ingenia», le «vires incantationum». Cioè
Tertulliano viveva in un mondo fantasy distopico, come meglio puntualizza
sostenendo che «peculiariter feminis instrumentum istud muliebris gloriae»
essere un dono diabolico. Rimango senza parole di fronte a simili asserzioni,
le quali hanno gettato le basi, essendo state ben assorbite dalle radici cristiane,
della persecuzione delle streghe. Già Tertulliano sta inquadrando abilità
curative femminili graze a prodotti naturali come una forma di stregoneria: è
semplicemente assurda una cosa del genere, e non si può trascurare il fatto che
tale plurisecolare tragica misoginia sia fra le novità del Cristianesimo. Se
qualcuno pensa che quello premoderno sia stato uno spirito religioso cristiano
mal capito e quindi mal praticato di conseguenza, a mio modestissimo sentire, e
vedere, si sta sbagliando: è lui che capisce male o ignora. Lo studio, serio e
approfondito, scevro di pregiudiziali, dimostra che il Cristianesimo, prima
della sua metamorfosi, è stato perlopiù una favola nera dalle sue origini. Io
perlomeno riscontro che è nato così. Un altrui giudizio storiografico che
postulasse errori alla luce di una più avanzata sensibilità non lo reputo
sostenibile. I Padri della Chiesa dalla loro ottica di fondazione non
sbagliavano: erano antifemministi, omofobi, antisemiti, intolleranti, per
convinzione e fede. Per quanto li riguardava, costruirono convintamente una
nuova religione con quei requisiti, ritenendo che la loro distopica morale
fosse buona e giusta. la Storia ha fatto evolvere, però molto tardi, quel
Cristianesimo divenuto dominante in Occidente con metodi illiberali. Io vedo e
valuto la storia cristiana a questo modo, basandomi con obiettività sugli
eventi e sui prodotti culturali in maniera contestuale: le cose sono state quel
che sono state. Girarci attorno danzando non le cambia. Personale potrà essere
il mio giudizio storiografico, tuttavia non mi giudico persona estranea
all’umanità, e quindi, giacché in morale sono kantiano, miro all’universalità
di metro, e perciò alla ponderatezza delle mie valutazioni, le quali ambiscono
alla razionale ampia accettazione. Il “De cultu feminarum” affronta fra i suoi
temi quello della lussuriosa accoppiata donne e diavoli quale motivo di enorme
contrarietà da parte di Dio. L’autore del testo dunque passa a parlarci di
abbigliamento femminile e di estetica (stricto sensu quest’ultima): cultus e ornatus. E ci propone un privo di moderno tatto gioco di parole
“mundus/immundus”, “eleganza/lordura”: «Habitus feminae duplicem speciem
circumfert, cultum et ornatum. Cultum dicimus quem mundum muliebrem
vocant, ornatum quem immundum muliebrem convenit dici». Immediatamente dopo
queste parole puntualizza che la cura femminile dell’abbigliamento e
dell’abbellimento rappresenta per lui un crimen
(usa un termine giuridico molto pesante), un “motivo d’accusa / delitto”,
connesso all’ostentazione e alla prostituzione: «Alteri ambitionis crimen
intendimus, alteri prostitutionis». Tertulliano spiega alle donne che «scilicet
humilitatis et castitatis». Egli condanna il valore assegnato a oro, argento e
pietre preziose. E qua sono d’accordo con lui: pure nell’altrui più ottenebrata
follia si può trovare qualche spunto corretto. Personalmente non sono mai stato
amante di ferraglie varie, però ognuno rimane ovviamente per me libero di
indossare quello che gli piace e vuole (io, nel caso delle donne, apprezzo
comunque gli orecchini di varia foggia, meno le collane, le mani plurianellate
e artigliate da unghia finte, e i bracciali). In ogni caso, de gustibus non est
disputandum, e Tertulliano lo fa, violando la libertà personale, e per giunta
su cose irrilevanti che la sua religione fa diventare importantissime. A lui
non interessa l’uso della ricchezza per destinazioni inutili (il che
rappresenta il perno del mio punto di vista), a lui interessa colpire il genere
femminile mediante idee illiberali e assurde di marca misogina, per lui neanche
una donna sobriamente ornata andrebbe bene (come io suggerirei quale opzione
normalmente gradita e gradevole erga omnes). Tertulliano condanna tutte le
donne curate e ricercate, da quelle equilibrate a quelle esagerate (le quali
ultime, ribadisco, rimangono per me liberissime). Nessuno può criticare
abbigliamento e ornamento altrui, di donne e uomini, al di là di un ragionevole
fondato motivo, stabilito da un sano dettato legislativo. Può tutt’al più
esprimere un semplice giudizio personale di gusto extra legem nel rispetto
sempre della persona, sulla mia falsariga, e dire ciò che piace e ciò che no, e
la cosa finisce lì. Tertulliano, che aveva smesso di indossare la toga romana a
beneficio del tipico pallio greco dei filosofi, si spinge invece molto oltre, è
un estremista religioso le cui idee rimarranno inapplicabili al 100% del genere
femminile. La misoginia di Tertulliano si rivela essere quella di fondo del
Cristianesimo. Quest’ultimo non ha avuto il potere di prendere le donne a una a
una e di conformarle al proprio distopico schema; è riuscito, purtroppo, in
alternativa a manipolare le donne religiose consacrate (costringendole a un
vestiario tertullianeo), e a perseguitarne un altro gruppo sadicamente torturandole
e uccidendole con il pretesto psicopatico che fossero streghe. Tali femminicidi
erano utili coram populo a scopo di deterrenza, in aggiunta all’ipotizzato da
me soddisfacimento di pulsioni sadiche da parte degli autori10.
L’obiettivo esterno era quello di indurre tutti alla stabile ortodossia
nevrotica della religione. Tuttavia la Storia, e la crescita demografica
occidentale, sono riuscite a smarcarsi dalla fine del Medioevo da simili
ambizioni. L’Impero romano aveva ai tempi della prima apologetica cristiana sui
sessanta milioni di abitanti (una popolazione paragonabile a quella italiana di
oggigiorno e dell’Europa rinascimentale). A causa del tasso di mortalità era
auspicabile che ogni donna romana desse alla luce non pochi figli per impedire
la decrescita demografica. Durante il secolo cristiano di Costantino e Teodosio
la popolazione risulterà ridotta di un terzo. In parole povere la morale
sessuofobica cristiana aprì le porte alle invasioni barbariche a causa del calo
demografico. La civiltà umanistico-rinascimentale11 rappresenta un
regno dell’assurdo: da un lato v’è, e non solo, una feroce caccia alle streghe;
dall’altro v’è la presenza di inclinazioni edonistico-capitalistiche
antitetiche. Il capitalismo post-illuministico vincerà quel confronto
dialettico mettendo la parola fine all’esperienza distopica cristiana. Il
Cattolicesimo fu dunque costretto a adeguarsi per sopravvivere, compiendo non
poche capriole ideologiche dall’Ottocento in poi. All’epoca di Tertulliano il
“De cultu feminarum” affermava che le donne erano omogenee e associate alla
seducente e sviante attrattiva dell’oro: «Auro lenocinium mutuum praestant».
Alla fine del primo libro di quest’opera in esame il suo autore precorre un
concetto frommiano, quello di “avere esistenziale”. Tertulliano parla di
“immoderate habere”. Lui e Fromm condannano la brama di acquisizione
proprietaria12. Un’altra volta nello scrittore cristiano esce fuori
un’idea per me giusta. Tuttavia in questo apologista del Cristianesimo rimane
annegata nel mare della follia religiosa. Comunque mi piace riportare le sue
parole in merito, una circoscritta frommiana ante litteram richiesta di limite:
«Etsi forte habendum sit, modus tamen debetur». L’apertura del secondo libro
del “De cultu feminarum” ricalca il primo nel contenere un’espressione
teologica la quale mi sembra molto significativa nell’ottica della costruenda
religione cristiana. Tertulliano parla di “Deus vivus”, riferendosi a un
precisando meglio dalla teologia cristiana novella Dio neotestamentario. La mia
impressione è che lui risenta ancora della concezione ebraico-semitica della
mortalità degli Dei: il fatto che fosse originario di Cartagine potrebbe
entrarci qualcosa. Tale idea di ampio raggio orientale potrebbe aver avuto
nell’apologetica tertullianea bisogno di una precisione semantica non
esornativa. Davanti al suo pubblico, allorché si è introdotto un Dio morto e
risorto, lui usa, secondo me, l’aggettivo “vivus” incalzato da un’esigenza
teologica: quella di sostenere che il Dio cristiano è morto sulla terra per la
remissione dei peccati umani, ma che contrariamente a una prospettiva di
cancellazione greca a questo è seguita una resurrezione (un osirideo ritorno).
“Vivus” in questi primi tempi dell’elaborazione teologica cristiana non
rappresenta un aggettivo a beneficio di una esclusiva espressione enfatica,
bensì pure a vantaggio di una teologia che annienterà tutti gli altri sistemi
mitologici. Nel regime unico religioso a venire la massa si ritroverà al
cospetto di un unico Dio, non ne conoscerà altri, e il “Deus vivus” rimarrà
soltanto “Deus” dagli attributi ontologici parmenidei, incarnatosi in una delle
sue trinitarie Persone, morto unicamente in questa e risorto. Il dogma della
Trinità sarà una dottrina senza rivali mitologici pagani, e in questo secondo
momento sì dire “Deus vivus” sarà espressione enfatica. Tertulliano è uno che è
rimasto ancora alla presocratica concezione semitica della materialità
dell’essere. In ciò un’ascendenza che lo lega all’ontologia
veterotestamentaria. Egli in questo secondo libro chiarisce alle donne che al
di là di un abbigliamento mirato a non dare nell’occhio occorre un largo
esercizio di “pudicitia”, di virtù, e bisogna evitare d’altro canto che alla
corretta condotta casta si accompagni un vestiario inadeguato. Per lui la
castità deve abitare in un abbigliamento non appariscente le cui forme non
siano provocanti. I vestiti aderenti femminili secondo l’autore latino non
vanno bene. Se pensiamo alla statuaria sacra greca ci rendiamo conto di quale
abisso di oscurantismo sia pervaso il pensiero tertullianeo e di quanto sia
distopico il Cristianesimo animato da sessuofobia e disprezzo nei riguardi del
corpo umano. Persino lavarsi nel Medioevo diverrà un “problema”. Simili
imbeccate nevrotiche spingeranno religiosi cristiani radicali al masochismo e
all’anoressia. Tertulliano considera un male molto grave che le donne possano
curare il loro aspetto al fine di rendersi attraenti: lo studium placendi è naturaliter
invitator libidinis. Vale a dire che nella sua mentalità cristiana il
freudiano principio di realtà costituisce una fragilissima barriera sfondabile
facilmente dal peccato. Tale concezione è palesemente patologica, nonché nella
sua stessa sede contraddittoria. Dov’è andata a finire quella superiorità
maschile, quell’esercizio di continenza e di razionalità che dovrebbe connotare
gli uomini? Pare che l’autore latino li tratti alla stregua di bestie che non
possano vedere una donna senza saltarle addosso. Il radicalismo misogino
tertullianeo qua oscilla tra il comico e il tragico, è umoristico
pirandelliano. Ai nostri giorni viviamo nell’era marcusiana della
desublimazione repressiva, e Tertulliano prepara le basi di una involuzione di
segno opposto per la sua epoca. Oscurare il corpo femminile ha rappresentato una
delle novità del Cristianesimo, a scapito della più sana e avanzata visione
antropologica e artistica greca. La capitalistica avversaria edonistica civiltà
umanistico-rinascimentale cambierà in parte il corso della Storia e della
repressione antifemminista. Un’icona di tale svolta progressista si rintraccia
nella “Nascita di Venere” del Botticelli13. Per Tertulliano anche se
una donna non ricerca di piacere agli uomini e appare comunque attraente nella
sua semplicità naturale, la cosa resta sempre molto preoccupante. È facilissimo
indurre i maschi a peccare non esclusivamente in opere ma altresì in pensieri.
Nella mente tertullianea (malata, poiché il mondo circostante pagano era
moderatissimo in ciò) “bellezza femminile = sprone alla lussuria”: «Ubi pudicitia,
ibi vacua pulchritudo, quia proprie usus et fructus pulchritudinis corporis
luxuria». L’autore latino ci comunica in tutte le salse una “verità” portata
avanti dal Cristianesimo per secoli (rafforzata dal rilancio agostianiano): il
corpo femminile è un oggetto edonistico, un sex toy, disapprovato da Dio; il
corpo femminile va dunque censurato. Prima lo scrittore dice: «Solis maritis
vestris placere debetis». e poi mantiene il recinto sessuofobico e
antiedonistico: «Omnis maritus castitatis exactor est». Contrariamente ai Greci
in Tertulliano la bellezza non costituisce virtù. Lo scrittore cristiano
puntualizza alle destinatarie delle sue precedenti osservazioni (oscurantiste!)
che ovviamente non sta chiedendo alle donne di abbandonarsi alla totale incuria:
un basilare regime di cura personale rimane necessario. C’è un confine
stabilito da Dio, a dir di lui, il quale sta davanti a estetica e cosmesi. Le
donne che lo superano «in illum [Deum] enim delinquunt». Un Dio avverso a
simili cose non è stato molto amato dalle vocazioni commercial-capitalistiche,
le quali lo sostituiranno alla lunga col Dio luterano-calvinista. Tertulliano
disapprova l’estetica e la cosmesi giacché andrebbero a modificare l’assetto
naturale voluto da Dio. Tutti i prodotti estetici e cosmetici risultano
strumenti satanici inventati dal Diavolo contro Dio. La satanizzazione dei
cosmetici, e della donna in generale (quantunque creatura divina, ma divenuta diaboli ianua), si rivela aberrazione
attraverso cui il Cristianesimo ha recato vulnera alla Civiltà. Da un
atteggiamento nevrotico del genere, in base a cui non si deve mutare la
disposizione naturale, determinata da Dio, emergerà fra alcuni cristiani
un’inclinazione molto inopportuna e pericolosa: non curare le malattie poiché
appartenenti al corso umano stabilito da Dio, con i suoi premi e i suoi
castighi; le malattie resterebbero perciò solamente curabili da Dio e non dalla
medicina umana. Lo scopo cristiano di non rivoltarsi contro il presunto ordine
divino del reale non ha rappresentato un buon principio dentro la Società
occidentale. Notiamo come ab ovo l’autore del “De cultu feminarum” esprima le
basi di vari tipici difetti della cultura oscurantista cristiana nel periodo
distopico premoderno. E accanto ai cosmetici nella sua assurda esposizione egli
mette altresì le tinture per capelli e le parrucche. Tertulliano professa la
sua fede-nevrosi cristiana pensando che al Cristianesimo e ai cristiani spetti
il compito di correggere questo mondo. Purtroppo più che miglioramenti hanno portato,
e messo in pratica, raggiunto il potere politico, posizioni estremistiche
irrazionali e illiberali, per lungo tempo. Dalla furia tertullianea nel “De
cultu feminarum” si sono salvati i pettini, fortunatamente ritenuti opera
divina. Riprende tuttavia nel finale di questo testo la follia religiosa
delirante, e il suo autore sostiene che le donne non dovrebbero uscire da casa
se non per visitare un parente malato o per partecipare alla liturgia o alla
propaganda cristiane. Per il resto dissocia l’universo femminile da qualsiasi
tipo di svago o di attività non religiosa fuori di casa. In parole povere mette
le donne agli arresti domiciliari con una piccolissima possibilità di libertà
vigilata, cosicché non le veda nessun uomo, e quindi nessuno di questi possa
essere indotto alla lussuria. Peccato che Tertulliano non ci abbia spiegato
come siano tranquillamente sopravvissuti nell’antica Creta. L’assurdità
psicopatica misogina del neonato Cristianesimo si è spinta sino a distopiche
richieste. Il fatto che Ipazia d’Alessandria sia stata uccisa mentre si trovava
in strada non appare tanto casuale. Naturalmente quel femminicidio così
efferato ebbe specifiche più profonde, inaccettabili parimenti, motivazioni
presso gli uccisori, però c’è un sinistro messaggio di contorno: le donne
devono stare in casa e non andare in giro al di là delle tertullianee
concessioni. Tertulliano distingue fra “diaboli ancillae” e “Dei ancillae”. E
puntualizza che le donne debbono magnificare
Deum in corpore per pudicitiam. La donna dev’essere una sacerdos pudicitiae. Lo scrittore latino
sta qui fornendo a Dante il modello della di costui Beatrice nella “Divina
Commedia”: una theological Barbie doll14, un “non-sex toy”. Ma c’è
un altro aspetto non solo tertullianeo che passando attraverso la cultura
cristiana giunge all’Alighieri: la misoginia evidente nella semantica. Ne “De
cultu feminarum” per denotare la donna Tertulliano usa perlopiù il sostantivo
“femina”, in senso comune e spregiativo; quando vuol riferirsi alla donna con
accezione migliore usa il sostantivo “mulier”. Identico fenomeno semantico
accade nella “Divina Commedia”: i termini “donna” e “femmina” sono adoperati
con analogo criterio antifemmnista15. “Donna” è Beatrice, sacerdos pudicitiae e Dei ancillae. Mentre la «femmina balba»
rappresenta il simbolo dantesco della diaboli
ancilla. Da Tertulliano in poi lo schema misogino si è infiltrato per bene
nella teologia e nella letteratura medievale. Agli occhi dello scrittore latino
costituisce un pericolo l’effeminare
virtutem fidei. Come sono cambiati i tempi dalle cose che si sentivano e si
leggevano prima del Cristianesimo moderno addolcito! Il Protestantesimo è
arrivato persino a sfatare il tabù del sacerdozio femminile. Ma Tertulliano
volendo plagiare l’universo femminile, che aveva già trovate le porte aperte
del Giardino epicureo16 e la benevolenza di Platone (il campione
filosofico della Chiesa sarà il misogino e schiavista Aristotele17),
chiede in maniera distopica sottomissione agli uomini e di piantare i piedi in
casa: «Caput maritis subicite et satis ornatae eritis; manus lanis occupate,
pedes domi figite et plus quam in auro placebitis». Più di mille anni dopo il
cattolico Thomas More, nella sua “Utopia”18, riproporrà quale ideale
e ottimale il modello antifemminista di subordinazione del genere femminile a
quello maschile, un modello che ha una sua pietra miliare in Tommaso d’Aquino19.
Continua qui
NOTE
7 Radici occidentali (2021),
l’estratto proviene dalla sezione intitolata Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1.
8 Al fine di un approfondimento consiglio di leggere una mia
analisi, dentro alla mia opera Percorsi
Critici (2020), recante il titolo I
protopatristici Aristofane e Giovenale.
9 A questo teologo e filosofo ho dedicato un mio studio: Nevrosi e irrazionalismo in Agostino
d’Ippona nella mia monografia Teologia
analitica (2020).
10 Ne ho parlato in un mio lavoro, L’irrazionalismo
nevrotico di Kierkegaard,
contenuto nella mia pubblicazione Filosofie sadiche (2021).
11 A chi volesse approfondire il mio
punto di vista indico un mio scritto pertinente: La genesi dell’umanesimo italiano nel mio saggio di nota 5.
12 Ritroveremo quest’atteggiamento
ostile all’arricchimento nel cattolico medievale Dante, per un approfondimento
del quale segnalo il mio saggio Parricidio
dantesco (2021).
13 Un altro esempio artistico, molto
significativo, di tale impulso edonistico, a mio avviso, è rappresentato da “La
Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean Fouquet, alla quale ho dedicato
una analisi che si trova nella mia pubblicazione Note di studio (2016) e intitolata La Madonna “pneumatica” e Lenina Crowne.
14 A proposito di approfondimenti
danteschi vedasi nota 12.
15 Si veda la nota precedente.
16 Circa la per me evidente superiorità
morale e scientifica dell’epicureismo in relazione al Cristianesimo neonato interessante
una mia analisi: Riflessioni sopra il “De
rerum natura” lucreziano presente nella mia opera Analisi letterarie e filosofiche (2023).
17 Alle affinità ideologiche tra
Cattolicesimo e sistema filosofico aristotelico ho destinato attenzione in un
mio lavoro contenuto nella mia monografia di nota 9, nel segmento intitolato Aristotele e il pericoloso regno di Dio.
18 A tale opera ho dedicato un mio
studio: Cristianesimo razionale e
nazional-socialismo in Thomas More dentro la mia opera di nota 9.
19 Sull’antifemminismo di questo
teologo e filosofo suggerisco di leggere la sezione recante il titolo L’irrazionale misoginia tomista
all’interno del mio saggio della nota 9.