di
DANILO CARUSO
Chi studia la Civiltà occidentale e la storia umana su questo
pianeta in maniera seria e approfondita non può fare a meno di fare i conti con
la figura e la produzione letteraria di Donatien
Alphonse François de Sade (1740-1814). Notissimo l’aggettivo “sadico” che da
lui prende origine. Egli si considerò un “filosofo”, e simile qualifica, a mio
meditato avviso, nonostante tutto quello che ha descritto nelle sue opere, non
gli si può negare. De Sade ha sviluppato nella sua creazione letteraria dei
determinati principi, sfocianti nell’irrazionalismo, partendo da una base
razionalistica e illuministica. Che le conclusioni a cui è approdato siano
totalmente inaccettabili da una persona sana di mente non impedisce di
comprendere l’“iter filosofico” su cui lui le ha poggiate. È del tutto fuor di
luogo immaginare l’ipotesi di liceità della violenza da lui proposta. Tale
punto è inappellabile nell’approccio scientifico alla redazione sadiana e al
suo autore. L’associazione di sesso, maltrattamenti, torture e uccisioni in un
unicum rilevabile nei suoi romanzi non rappresenta ovviamente un fenomeno
patologico mentale e comportamentale inventato da simile inquietante scrittore
francese. Esisteva prima di lui, non tematizzato con pari insistenza, e non
noto con il nome di “sadismo”. L’autore de Sade ci pone di fronte a uno
sconcertante orizzonte, il quale chi vuol conoscere bene la realtà non può
ignorare. Non è facile guardarlo e scrutarlo a fondo con facilità, non rimane
ingiustificato il lettore che rimanesse traumatizzato dal contatto con la
produzione sadiana. Quelle forme di inaudita violenza, i modi esagerati e la
loro coniugazione a un’attività sessuale non sono storie all’ordine quotidiano.
Tuttavia de Sade ci ha obbligati a tenerne conto quantomeno in ambito di
studio. Ed essendo quel che egli ci ha presentato un caso limite, non si può
ignorare il pensiero sadiano senza pregiudicare la visione dell’intero cui
ambisce la filosofia. Con tale spirito ne ho affrontato un esame, il quale si è
riallacciato al mio modello analitico di conoscenza della Civiltà occidentale.
Parlando da junghiano, sono d’accordo con chi ha visto in de Sade un precursore
sui generis di Freud. Qua debbo spiegare per chiarezza che per me la libido
freudiana rappresenta un grado inferiore della libido junghiana, vale a dire
che l’animalità non esaurisce in toto la qualità dell’energia vitale, ma essa
può essere vissuta in gradi diversi (di cui uno superiore più intellettuale,
più spirituale per Natura e non sublimato). Chi vive secondo una libido
freudiana, nella mia ottica, resta sottoposto a un sacrificio libidico
(“principio di realtà”, e “sublimazione” nei casi di produzione intellettuale
ed estetica). Chi si è elevato alla libido junghiana, abbandonando la “fase
naturale” e passando alla “fase culturale”, non vive in guisa negativa i
contenuti altrimenti imposti dal “principio di realtà”: questi ora diventano
“naturali” in conformità alla Ragione (tra essi ad esempio lo Stato nella
concezione aristotelica). Riprendendo il filo sadiano, sarà adesso semplice
capire il piano sopra il quale colloco la mia analisi. De Sade ha scoperto l’Es
e e le sue pulsioni, e ha trattato della dicotomia freudiana “Es / Super Ego”,
delegittimando la facoltà di crescita spirituale alla volta di una maturità
junghiana, nel modo in cui io l’ho testé intesa. Comprendere il perché il
filosofo francese faccia così apre le porte a una visione lineare in quel
torbido magma. Ch’egli fosse sadico nella sua condotta giovanile lo testimonia
la sua biografia, che non lo fosse stato nella guisa radicale dipinta nelle sue
opere lo affermò poi in futuro quando fu più volte incarcerato a causa di
simile sua patologica inclinazione. Non possiamo però scartare l’idea che se
non fosse stato detenuto e posto sotto vigilanza, sarebbe potuto peggiorare
sulla falsariga della sua elaborazione scritturale. Ciò non è comunque
possibile sostenerlo. Che durante il periodo rivoluzionario francese si
mostrasse moderato nella sua attività politica di sostegno al nuovo corso, non
dice poi molto se dalla sua testa scaturivano le scene e le idee inserite nelle
sue pagine. Che si voglia dare la colpa della genesi della sua creazione
letteraria alla carcerazione prolungata, ugualmente non dice gran che. Nessuno
ci può garantire che quella produzione sia stata figlia dell’isolamento, e non
invece un surrogato forzato. Mi sento di sostenere che “catarsi” ci sia
soltanto nel suo lettore il quale non sia disturbato. Le cose descritte da de
Sade farebbero passare la voglia di uccidere anche una mosca. Costui ha ben
compreso le pulsioni poi teorizzate da Freud in ambito psicanalitico: quelle
positive, miranti a un benessere personale e di specie, collegate a cibo e
sesso; e altresì quella distruttiva che si manifesta nelle forme aggressive e
violente. Inoltre lo scrittore francese le ha messe assieme esplicitamente
delineando la “patologia sadica”. Questa di per sé scaturisce in soggetti
ancorati o regrediti a uno stadio di sviluppo psichico personale vincolato da
un lato a un grado di libido animale, i quali commettono il gravissimo errore,
mentale e comportamentale, di associare alle pulsioni relazionate al cibo e al
sesso quella inducente a distruggere. Cosicché si crea un torbido connubio in
cui mangiare e svolgere attività sessuale si snaturano dalla loro positiva
forma naturale. Premetto qui un dettaglio conclusivo: il sadismo costituisce
una forma di tanatolatria. Essa rappresenta il significato ultimo del sistema
filosofico sadiano. De Sade è di forma mentis illuministica, subisce l’influsso
di Rousseau, è materialista. Come quest’ultimo, il primo ritiene che ci sia
un’“ottima condizione di Natura”, però l’analogia di impostazione rimane solo
formale. Mentre l’uomo naturale rousseauiano è buono e pacifico, quello sadiano
è ispirato alla visione hobbesiana. Questo è l’individuo sottoposto al
freudiano “principio di realtà”. De Sade teorizza il primato dell’Es a scapito
del Super Ego, lo fa in modo lucido e consapevole, ed è questo a far di lui un
“filosofo”. Il suo “razionale irrazionalismo” ci spinge a un confronto
intellettuale molto duro con lui e abbiamo obiettivamente difficoltà a
demolirlo se non attraversiamo la prova equipaggiati a dovere di strumenti
concettuali adeguati e opportuni. Lui ci rinfaccia con Hobbes e ante litteram
con Freud: l’Es è la Natura originaria, la stratificazione psichica autentica.
E con Rousseau ci ribadisce: quello è l’essere umano vero, non quello
intrappolato nella sovrastruttura sociale. Il problema è molto serio, tant’è
che lo ritroviamo già elaborato nitidamente in Platone, cioè nel più importante
filosofo di ogni tempo senza il quale la filosofia non sarebbe stata poi quella
che si è rivelata. Nel mito della biga alata del “Fedro” (con i due cavalli rappresentanti
da un canto le passioni e dall’altro emozioni e sentimenti equilibrati, e a
parte l’auriga simboleggiante la Ragione) è già presente il dilemma sadiano
appena evocato: le pulsioni freudiane pure definiscono l’essere umano? Il primo
a rispondere no è proprio Platone. Seguito da Aristotele, con la sua etica
della medietà e con la sua definizione di essere umano: animale munito di
Logos. Nella concezione sadiana il Logos dell’uomo viene ridotto ai minimi
termini, quanto basta all’organizzazione e al godimento della nefandezza. Agli
occhi di de Sade l’uomo è un animale, in senso pieno, mancato: feroce,
libidinoso, senza limiti. Lo scrittore francese sovverte appunto l’ideale della
Grecità antica, quello della “moderazione”, variamente messo in scena in quel
teatro (si pensi alla catarsi aristotelica). Lo slancio dell’Es nei deprecabili
protagonisti sadiani non trova un freno, non ottiene un appagamento in guisa
serena. Noi possiamo comprendere il meccanismo sadista non indagando il come
della sostanza, bensì il perché della forma. La sostanza costituisce il
continuo ripetersi di “una” forma di base. La ripetizione che Freud definisce
“coazione a ripetere” rappresenta una vocazione di morte, di immaterialità
inorganica, in particolare una proiezione verso lo stadio prenatale di
inesistenza. Ecco la tanatolatria cui più sopra facevo accenno. Il sadismo
costituisce un culto della Morte. La Natura in de Sade si configura in modo
esclusivo quale Grande Madre negativa: il male raffigura la cifra dell’Essere.
Pertanto al fine di rendere felice, il soggetto umano deve essere liberato
dalle catene sovrastrutturali morali e giuridiche. I più forti, i più abili
godranno; gli altri saranno per Natura o sottoposti a costoro o comparse
inutili da eliminare. La cosa che più turba deriva dalla coerenza interna del
sistema sadiano, perciò bisogna entrarci allo scopo di demolirlo. La
caratteristica distintiva universale dell’essere “umano” proviene dalla
Ragione, l’auriga della biga platonica; ed essa non subisce sperequazioni di
genere. Quantunque il filosofo francese non faccia formale discriminazione di
genere nel votarsi alla mala condotta, sono nei suoi scritti di più gli uomini
protagonisti negativi e le donne le vittime. Dunque de facto di Sade avalla
l’antifemminismo, vede nelle donne soltanto oggetti di piacere illecito. Una
simile generale impostazione sadista non può essere tollerata giacché se esiste
il Logos ed esso è discriminante dell’umanità, a questo va il primato, non
all’Es. Platone mediante il suo mito ricordato ci indica come ottenere la
vittoria concettuale sul filosofo francese (il quale possiede alcune coloriture
sofistiche), tuttavia ci chiarisce che far vincere la Ragione non è appunto
impresa da poco in un mondo dove vengono privilegiati gli aspetti passionali.
La tanatolatria sadiana mostra un significativo sintomo nella coprofagia,
rappresenta questa un segno del culto del non organico: chi la pratica
partecipa di un rito evocante la Grande Madre negativa. Essa produce male e
morte quali mete ideali. Le pratiche coprofagiche costituiscono una sorta di
partecipazione simbolica all’inorganico prenatale (della coazione a ripetere di
cui detto sopra). Non poche cose nella redazione sadiana possiedono un
connotato aberrante, vomitevole, iperbolico. Solo attraverso l’uso arbitrario e
irrazionale della Vis, come sostiene de Sade, potrebbero essere imposte: la
Civiltà umana le rifiuta quali estranee alla propria specificità, e le giudica
illecite altresì in assoluto poiché la Natura non è esclusivamente Grande Madre
negativa. Essa possiede un duplice volto, di cui il più importante è quello
creativo e conservativo nel benessere. Un approfondimento ulteriore in termini
freudiani consente di capire ancora meglio la natura del pensiero e della
letteratura sadiani. Freud, come ha ricordato Lou Andreas-Salomé, ha associato
il sadismo all’erotismo anale sottolineando come già presso gli animali possano
comparire forme parascatolatriche. La von Salomé prosegue dicendo che una
disposizione erotico-scatolatrica compare nei gruppi umani arretrati, al di
fuori della civilizzazione, dove la sessualità possiede una libertà epifanica
animale. Patologica si rivela la regressione nel seno della civiltà. La morbosa
attenzione alla sfera anale sotto il profilo scatologico costituisce sintomo
caratteristico di un disturbo psichico nell’uomo che non ha raggiunto la
maturità mentale sessuale. Il “carattere anale” in Freud appartiene a
determinati soggetti i quali non hanno raggiunto la fase del primato genitale.
Loro sono connotati, nella tipologia integrale, da avarizia e ostinazione. Di
fronte a costoro il mondo rappresenta un campo estraneo da sfruttare a
vantaggio di un edonismo personale solitario, dove il proprio esclusivo
benessere rappresenta ciò che conta. La studiosa freudiana rammenta che il
richiamo della fase di sviluppo sessuale anale costituisce in maniera simbolica
un’evocazione di tutto quanto sia riconducibile alla Morte. Alla tanatolatria
sadiana è riconducibile l’“insistenza” sadista all’anal sex. E preciso: l’“insistenza”,
non la pratica la quale rimane possibile e libera in un armonioso rapporto di
coppia etero o omosex (anzi in quest’ultimo caso si mostra il principale tipo
di congresso carnale fra maschi). Il protagonista sadico è un edonista sotto
l’insegna della Morte, il suo circuito è questo: sesso-violenza-uccisione. Egli
rappresenta il campione dell’Ombra junghiana. La quale scaturisce dalla
tensione in ambito libidico freudiano fra Es e Super Ego. Sebbene la
“possibilità” sia “libertà”, tutto ciò che è immaginabile non è lecito.
Smarrire la guida della Ragione per adeguarsi alle “necessità” dell’Es vuol
dire perdere la libertà e comportarsi da animali in preda a istinti. Socrate
non aveva molto torto a sostenere che gli uomini si comportano male a causa di
ignoranza (intellettualismo etico). Se ad esempio i ragazzi studiassero le
nefandezze sadiche sotto opportuno insegnamento, da adulti potrebbero essere
stati vaccinati contro l’Ombra, e inibiti a perseguire irrazionale smodatezza
grazie a una catarsi pedagogica. La fusione sadiana delle primordiali pulsioni
freudiane (verso sesso, cibo, distruzione) può configurarsi come “volontà di
potenza” nietzschiana: sono d’accordo con chi ha maturato questa riflessione.
Aggiungo, per quanto attiene al mio pensiero, che questa sia più ancestrale del
volontarismo luterano (nell’ambito occidentale della forme di attivismo
nevrotico). E chi ha visto nel nazionalsocialismo l’esercizio esplicito di modi
sadici, a mio avviso, non sbaglierebbe. Secondo me esiste un particolare filo
attivistico che attraversa la cultura tedesca nei secoli e i cui estremi sono
rappresentati da Lutero e dal fenomeno nazista. Ritengo in generale che il
sadismo quale patologia comportamentale non abbia direttamente bisogno di una
violenza sessuale in termini di stupro, giacché torturare e seviziare nella
mente di simili soggetti molto gravemente deviati appare attività provocante
soddisfazione libidica sessuale. In parole povere le pulsioni freudiane si
identificano e possono dismettere alcune caratteristiche specifiche
nell’esercizio sadico. Io giudico il fenomeno delle persecuzioni condotte
dall’Inquisizione nel loro aspetto pratico un caso di sadismo più evidente sul
piano psicanalitico rispetto alle violenze naziste, ma colloco naturalmente entrambe
sullo stesso livello nella qualità di crimini contro l’umanità. Il sadico può
surrogare l’attività sessuale nella violenza (in seguito a pregressa
repressione formativa o altro). Nelle persecuzioni cristiane esiste una
fortissima connotazione sessuale (sessuofobica nevrotica) come testimoniato dai
target (donne e omosessuali, accanto ad altri). Il Cristianesimo esordisce con
un clamoroso femminicidio sadico, quello di Ipazia di Alessandria, per poi
proseguire con tutto il resto in merito obiettivamente rintracciabile nella
storia. L’operato dell’Inquisizione non manca di essere ricordato nelle pagine
di de Sade, e per giunta con apprezzamento (il che sconcerta e disorienta se
teniamo in conto che l’autore francese è un accanito materialista anticlericale).
La tipologia del “carattere anale” freudiano associabile al tipo sadico, in
virtù delle sue connotazioni integrali (avarizia, ostinazione), mi consente di
compiere un salto nell’ambito sociologico e di intravedere le qualità del
sadico nella figura del capitalista sregolato. Simile operazione non appaia
arbitraria. Il capitalista mira all’appagamento di un desiderio illimitato di
accumulazione pecuniaria, con avarizia e ostinazione (ci si ricordi di Freud).
Violenta la Natura (stupro della Grande Madre), e soprattutto esercita un
potere di dominio sui propri subalterni salariati, quest’ultima una cosa che
secondo me si rivela una forma di sfruttamento particolare. I salariati
affittano il proprio corpo allo scopo di prestare la manodopera (manuale o intellettuale)
al datore di lavoro (il privato o lo Stato borghese), e in tale rapporto nella
società borghese intravedo una specie di “prostituzione forzata”. Pasolini nel
trasporre sul piano filmico “Le 120 giornate di Sodoma”, mostruoso romanzo
sadiano (sia per i contenuti che per la mole narrativa progettata), ha colto
nella sua operazione tale valenza. E in particolare ha unificato nella
pellicola più livelli richiamati nella mia analisi. Il nazismo ha difeso gli
interessi del capitalismo tedesco, si è manifestato quale epifenomeno politico
della germanica “volontà di potenza”, è stato feroce sterminatore degli
avversari: la sadica “volontà di potenza” celebrata nel mito della superiorità
della razza ariana ha avuto le sue vittime in modo speciale negli Ebrei. Il
film di Pasolini ingloba la libidica freudiana voluntas capitalistica, quale
suo connotato. In questo momento di esso mi interessa questo aspetto perché il
mondo auspicato dalla visione filosofica sadiana mi appare la possibilità di
una degenerazione della società capitalistica. Il liberalcapitalista smodato,
al pari del libertino sadico, promuove la riduzione ai minimi termini del
controllo statale, auspica la “massima libertà”, giacché una “mano invisibile”
super homines aggiusterebbe tutto alla volta del meglio. Ne viene
sostanzialmente fuori invece il primato della sopraffazione pratica da parte
del più abile e più forte. Tale stadio così standardizzato nella sua idealità
negativa non lo ritengo però immediato. In passato studiando i classici della
letteratura distopica chiarii che il Brave New World huxleyano era intermedio
rispetto alla nostra società e al mondo wellsiano dei Morlock e degli Eloi.
Adesso sono nella condizione di poter aggiungere un altro stadio intermedio a
quelle due eventuali degenerazioni future: il sistema sociale sadista. Se la
nostra società occidentale impazzisse radicalmente vedo tra le distopie
prossima quella huxleyana del libertinaggio soft. Un dettaglio del Mondo Nuovo
che a suo tempo collegai con la posteriore, in relazione alla pubblicazione del
libro, esperienza nazista proviene dalla cremazione dei cadaveri e dal loro uso
a scopi produttivi. La realtà sadista del libertinaggio sregolato costituirebbe
un livello successivo alla distopia huxleyana. E anche qui, in aggiunta a tutti
i dettagli sinora sottolineati, voglio rammentarne uno nuovo preciso: il
cannibalismo. In un romanzo sadiano, “Aline e Valcour”, viene descritto il
regno di Butua i cui abitanti sono cannibali. Cannibali sono i Morlock
wellsiani. Quel mondo in cui il time traveller arriva potrebbe dunque
costituire ennesima degenerazione: in effetti noi non sappiamo se i Morlock
possano aver mantenuto altre inclinazioni sadiche, Wells non ci dice che siano
stupratori e torturatori, ma neanche afferma il contrario. Probabilmente sono
rimasti solo cannibali, e quel cannibalismo wellsiano riproduce il modello,
degno del darwinismo sociale, della lotta fra classi (in senso lato, anche in
una prospettiva sadiana: i più forti contro i più deboli). Non trascuriamo il fatto
che de Sade è stato un pensatore liberale illuministico, e che il liberalismo e
il liberismo forniscono l’ideologia di riferimento al capitalismo. Il filosofo
francese compie una precisa costruzione intellettuale mettendo al primo posto
l’Es, diversamente da Platone il quale riconosce primo il Logos indistinto nei
sessi, e prospettando de facto un maschilistico primato. Le donne nel disegno
di de Sade rimangono subalterne, e non rimane a loro che essere vittime o
complici. A tal proposito mi sembra rilevante la dicotomia di personaggi
letterari Justine/Juliette; le due sorelle indicano due archetipi sadiani, due
tipi chiave all’interno del sistema sadista, i quali nella mia analisi si
riallacciano ad altre figure esterne. Lenina Crowne, l’edonista idiota del
Brave New World, costituisce l’antenata di Juliette, l’edonista spregevole.
Justine rappresenta l’antenata di Weena, probabile vittima dei Morlock.
L’autore francese nella sua scrittura offre alla letteratura universale quanto
di peggio si possa trovare, è iperbolico e surreale. Tali qualità mi paiono
assumere la veste di un’“aberrazione di protesta”. La sua formazione scolastica
superiore fu presso gesuiti, e non è da escludere che quel clima religioso
integralista abbia traumatizzato una mente sensibile e predisposta alle humanae
litterarae. In ogni caso questo scrittore rappresenta un problema critico e
filosofico da cui non si può prescindere nella conoscenza dell’intero. Il
marchese de Sade è stato accostato a Giacomo Leopardi (1798-1837) per quanto
concerne il tema della Natura matrigna (Grande Madre negativa). Altresì in tal
caso sono d’accordo con chi ha intravisto l’analogia a monte. Entrambi partono
dal medesimo principio: la Natura è Male. Però ciascuno di loro due poi segue
una via diversa nello sviluppare il personale sistema filosofico. Importante e
da non trascurare è che il Francese viene cronologicamente prima dell’Italiano,
e che non si può dire che de Sade sia un leopardiano impazzito, bensì si
potrebbe sostenere che Leopardi sia un sadiano represso (anche se in assoluto,
a livello critico, possiamo porre le due definizioni sullo stesso piano di
studio). Un dettaglio che mi ha colpito osservando questi due scrittori, alla
ricerca di elementi in comune lungo il canale condiviso sopra evocato, proviene
dall’immagine del vulcano quale simbolo della Grande Madre negativa. Di
Leopardi notissimo lo «sterminator Vesevo» che incombe sulla ginestra. Del
filosofo francese a questo proposito molto interessante mi si è rivelato un
brano de “La nouvelle Justine ou les malheurs de la vertu” (romanzo molto
lungo, edito nel 1791). Jérôme, uno dei repellenti protagonisti sadici,
trovandosi in Sicilia rivolge una singolare preghiera all’Etna: «Un jour,
examinant l’Etna, dont le sein vomissait des flammes, je désirais être ce
célèbre volcan. Bouche des enfers,
m’écriai-je en le considérant, si comme toi je pouvais engloutir toutes les
villes qui m’environnent, que de larmes je ferais couler! [Un giorno,
esaminando l’Etna di cui il seno vomitava delle fiamme, desideravo essere
questo celebre vulcano. Bocca degli inferi, esclamai osservandolo, se come te
potessi inghiottire tutte le città che mi circondano che lacrime farei
colare!]». All’accoppiata Etna/Vesuvio si aggiunge un altro spunto analitico
proprio subito dopo nel testo sadiano. Jérôme incontra nell’Isola celebrata da
Goethe lo scienziato sadico e zoofilo Almani, il quale gli rivolge un
ragionamento sulla Natura matrigna di sostanza schiettamente leopardiana (pare
di leggere in quella sezione teorica qualcosa scritto da Leopardi!). Almani
possiede conoscenze fantascientifiche tali da poter causare un devastante
terremoto in tutta la Sicilia. Così i due sadici trovano patologica
soddisfazione nel compiere un criminale disegno di morte e di terrore. De Sade
cita la sola città di Messina in simile episodio. Il 28 dicembre 1908 un
violentissimo terremoto colpì nella realtà quella città siciliana. Jérôme
esprime parole di odio per l’Isola (che ospitò Platone, il quale cercò di
costruirvi infruttuosamente la sua repubblica ideale). L’espressione di
siffatta ostile tensione non appare al mio sguardo casuale. Nella sua vita de
Sade fu in Italia e non andò più a sud della Campania: avrebbe potuto situare
Jérôme davanti al Vesuvio e ambientare il terremoto in quelle zone, ma ha
scelto l’Etna contrariamente a Leopardi. Perché? La differenza tra il Francese
e l’Italiano sta nel fatto che questo attende e teme il Male; quello lo
asseconda, lo promuove, lo produce. Il Vesuvio è quiescente, mentre l’Etna è
più attivo. De Sade vede l’Etna quale simbolo della Grande Madre (positiva e
negativa), Leopardi vede il Vesuvio soltanto quale potenziale Grande Madre
negativa. Perciò il primo, avendo colto, seppur a distanza, la bellezza
metafisica dell’Isola (si pensi a “Teoria della Sicilia” di Manlio Sgalambro),
ha bisogno di un malefico intervento umano che conferisca il segno negativo. Lo
scrittore francese ha voluto in ossequio al suo sistema di pensiero sfregiare
“sadicamente” l’estetica positiva espressa dalla Sicilia, la quale ha
individuato come un simbolico campo di scontro intellettuale e di civiltà. De
Sade denota in generale l’orgasmo mediante il verbo “décharger”, il quale
risulta molto preciso sotto il profilo psicanalitico. Lui ha presente la
“carica libidica” proveniente dall’Es. La sua acutezza nel riconoscere simile
aspetto gli deriva dalla mentalità illuministica e lo collega al positivismo
freudiano (il Positivismo fu la resurrezione post-romantica dell’Illuminismo).
“Scaricare” nel senso di “liberare”, tale il significato del sadismo: liberare
l’Es grazie a una prassi in sommo grado distruttiva. Una simile idea non può
essere ammessa senza perdere l’“umanità” e senza cadere in direzione di
un’intollerabile tangenza con le bestie prive di Logos.
Un’illustrazione
di fine ’700 per “Aline e Valcour” dove inquisitori spagnoli torturano una
donna
NOTE
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Filosofie sadiche”
https://www.academia.edu/45301442/Filosofie_sadiche
1 Ho preso in
esame tangenzialmente il problema del sadismo all’interno del Cristianesimo in
una mia analisi dedicata alla figura di Kierkegaard:
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/12/lirrazionalismo-nevrotico-di-kierkegaard.html
2 Allo scopo di
approfondire, riguardo ai temi affrontati nell’ultimo tratto, rinvio a miei
altri studi:
https://www.academia.edu/29344784/Critica_dell_irrazionalismo_occidentale
https://www.academia.edu/14615660/Il_capitalismo_impazzito_di_Aldous_Huxley
https://danilocaruso.blogspot.com/2016/11/la-terribile-distopia-di-h-g-wells.html