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martedì 7 maggio 2024

LA DISTOPICA E CRIPTICA NAZIMISOGINIA DI KATHARINE BURDEKIN

di DANILO CARUSO
 
“Swastika Night” è un interessante romanzo distopico uscito nel 1937 di Katharine Burdekin (1896-1963), scrittrice inglese di orientamento ideologico progressista anticapitalista e non conservatore. In esso viene rappresentata una distopia femminile, e non tanto nazista, a dispetto del titolo. Con ciò non voglio assolutamente portare l’ideologia e l’esperienza storica naziste in secondo piano, giacché esse si sono macchiate di gravissimi indelebili crimini in pensieri e in opere. Voglio semplicemente far rilevare dettagli i quali nella struttura del romanzo (solamente al suo interno, in quanto non opera storica, inerente a un futuro immaginato) ci rendono l’idea di come negli anni ’30 la sua autrice abbia caricato sul nazismo una problematica più ampia, lasciandoci tuttavia intravedere l’evidenza di simile operazione costruttiva. Penso quindi alla fine ciò che spiegherò meglio appresso, e che cioè la facciata nazista, molto congeniale allo scopo vista la sua sostanziale generale negatività storica già al ’37 (a due anni dalle deprecabili leggi razziali antisemite tedesche) sia servita da idoneo contenuto di forma nel chiarire l’origine delle radici e il dominio di atteggiamenti misogini molto pesanti nella società occidentale sino alla contemporaneità di Katharine Burdekin. Anticipo che “Swastika Night” è sì una distopia femminile, ma criptocristiana e non tanto direttamente nazista. Molteplici elementi nella mia lettura del testo mi hanno fatto approdare a simile posizione di giudizio, dopo accurata ponderazione. Una prima cosa che posso dire riguarda la segnalazione nel testo in esame di aspetti orwelliani: la manipolazione e l’alterazione dell’esposizione della Storia a beneficio di un regime totalitario. A proposito di questo richiamo l’attenzione sopra un mio saggio dedicato a “1984”, dove ho spiegato la distopia di George Orwell alla luce della considerazione di Simone Weil che la Chiesa cattolica ha fornito alla Civiltà occidentale il modello più eccellente di sistema totalitaristico1. Quindi replicarmi che io sia andato fuori strada, per me non ha senso: un eventuale paragone fra “Swastika Night” e “1984” in direzione di analogie rafforza invece la mia posizione critica. È poi la stessa Burdekin nel finale del suo romanzo a svelare l’arcano costruttivo del suo pensiero. In questa parte conclusiva tutte le pecche antifemministe del nazismo distopico trovano un equivalente nel Cristianesimo giunto sino a quell’era futura. Quantunque in questo si possa vedere sottolineato un grado più lieve, poiché il dominio politico è nazista, le uguaglianze ideali nell’inquadramento antifemminista delle donne sono pressoché identiche. Questo nazismo del futuro possiede una misoginia patristica, e cristiana in generale delle epoche più buie, portata appunto in pratica e attuata sino a estremi distopici. E quello che ho notato è che sebbene il nefando nazionalsocialismo storico non valorizzasse la figura femminile nel modo più giusto (lacuna all’era della scrittrice inglese condivisa in varia guisa con tutto il resto del pianeta) non ha mostrato un estremistico e distruttivo disprezzo dell’universo delle donne coltivando l’isolante tradizionale modello della donna-madre (le donne americane e inglesi nei fatti non godevano tendenzialmente allora di una considerazione più emancipatrice). Katharine Burdekin nell’edificare un mondo occidentale venturo guidato dai nazisti vittoriosi sugli altri ha sostituito agli Ebrei il gentil sesso. Ciò salta agli occhi inequivocabilmente. Ripeto che non è mia intenzione alleviare la valutazione storica di tutte le imperdonabili responsabilità naziste, però tale regime nazionalsocialista di un domani più in là nei secoli è alquanto sui generis, e in dissonanza storica in alcuni suoi strutturali aspetti. L’autrice di “Swastika Night” ha previsto il molto tragico Olocausto. A questo dedica un riferimento incidentale, senza svilupparlo a fondo come meriterebbe la da sempre condannare discriminazione antisemita. Ha intuito la possibilità della Shoah, della grandissima tragedia, e si è soffermata sulla misoginia. A me qualcosa non ha quadrato sin dall’inizio della lettura di “Swastika Night”. Certamente il tema dell’antifemminismo nei secoli (pensiamo alla violenta caccia alle streghe o all’emarginazione delle donne, ad esempio) non è di minore importanza dell’antisemitismo e dello sterminio ebraico causato dal regime hitleriano, tuttavia io ritengo che nel 1937 quest’ultimo non doveva rimanere molto marginale in un libro a cui è stato dato il titolo di “Swastika Night”. Con ciò non intendo affatto bocciare il romanzo. Ipotizzo di aver capito le intenzioni della scrittrice inglese in ambito di femminismo, il quale è il tema che realmente le interessa anche a costo di avvalersi di una sorta di maschera distopica nazista poi accostata a un modello cristiano storicamente più pertinente. Indubbiamente non posso muovere nessun appunto all’immaginazione di Katharine Burdekin: se lei ha visto un nazionalsocialismo venturo accanito sulle donne al pari dei Giudei, per me, concettualmente e creativamente potrebbe starci dopo il distopico Olocausto indicato nel testo del ’37. La distopia in quanto tale non fa una grinza. Nella succitata chiusa si richiama l’origine cristiana dell’antisemitismo antico. Il collegamento evolutivo di questo, attraverso i tempi posteriori, all’antigiudaismo nazista non ha evidenza nella narrazione della Burdekin. Sono argomenti di cui io ho parlato in precedenza2, però nel romanzo non mi pare rilevabile una simile connessione. Se v’è appare molto oscura, molto larvata, al punto tale che mi sembra un volo pindarico. L’autrice inglese sembra aver accantonato parecchio il tema della violenza (nelle sue varie forme) a scapito degli Ebrei, a cui ha preferito le donne, le quali de facto negli anni Trenta non erano affatto un bersaglio notevole dei nazisti. Costoro non hanno disprezzato l’estetica femminile, tanto meno in uno stile tertullianeo. “Swastika Night” non ci fornisce l’idea che la cattolicissima Spagna rinascimentale e barocca grazie all’inquisizione (operante pure in America latina), all’odio verso il popolo giudaico, agli estatutos de limpieza de sangre, ai quemadores non aveva, a mio modesto valutare, gran che di differente sotto simili aspetti nella forma rispetto alla Germania nazista. È per questo motivo che, dalla mia ottica critica che guarda al 1937, il distopico nazismo burdekiniano non mi convince tanto, pur rispettando sempre la volontà creativa della scrittrice. Lei ha ricevuto influenze da “Brave New World” di Aldous Huxley, come chiarirò meglio di seguito. Ho scritto un altro saggio dedicato a questo romanzo pubblicato nel 1932, dove spiego quel Mondo Nuovo quale frutto di una degenerazione dell’attivismo protestante weberiano capitalistico3. Nel romanzo esaminato di Katharine Burdekin emerge un’idea, la quale sembra antidistopica, per cui ognuno dovrebbe reputarsi di essere appartenente per quanto lo riguarda alla categoria esistenziale migliore. Si fa l’esempio di maschi e femmine, e non di α, β, etc., e si postula, parallelamente, che da ciascuno dei due canti si debba avere una convinzione suprematista al fine di non cadere nel disprezzo dell’altra parte, disprezzo il quale costituisce sintomo di reale subordine della parte (nel caso di “Swastika Night” quella femminile) condizionata da insicurezza. Notiamo la guisa in cui un criterio distopico huxleyano venga volto tale e quale alla volta di una soluzione vestita di positività. Il romanzo della scrittrice inglese fa mantenere al suo distopico nazismo la caratteristica e spiccata vocazione suprematista razziale incentrata sulla purezza del sangue, e fa compiere a simile modello totalitario un percorso inverso a quello compiuto dal Brave New World. Qui una forma attivistica di natura protestante si evolve, mantenendo pur sempre le forme originarie, in un sistema edonistico in apparenza laicizzato. Là il nazismo futuro burdekiniano è diventato religione quasi a voler riscoprire le proprie fondamenta cristiano-luterane. Una religione che ricalca il Cristianesimo, e di cui replica e ripete gli stessi errori: la misoginia (non tipica del nazismo), l’antisemitismo (tragicamente tipico del nazismo). Riguardo a questi punti trattati possiamo notare in “Swastika Night”, qua e là qualche espressione di antipatia antinipponica, la quale lascia perplessi così come perplessi lascia l’ideale del nazionalsocialismo in detto romanzo di un analfabetismo generalizzato, e coltivato, nei domini tedeschi occidentali. A me, sinceramente, una cosa del genere si mostra assurda: come si possa mantenere un predominio politico su un consesso di analfabeti (pure quasi tutti i Tedeschi) per me resta un mistero, pure se siamo dentro un finzione letteraria. In quale modo può mai funzionare una macchina bellica, un sistema di ordine, con funzionari analfabeti? Con un analfabetismo dilagante dovrebbe esserci un bellum omnium contra omnes, non un saldissimo apparato totalitario. Questo aspetto del testo burdekiniano, in effetti, compromette un po’ tutta la tenuta creativa privandola di coesione e accettabilità da parte di un lettore avveduto. Non può esistere uno Stato senza Logos: si cadrebbe nella barbarie. Un’altra cosa che stona in “Swastika Night” è la maniera in cui siano sopravvissuti i cristiani a fronte di un Olocausto ebraico e davanti a un regime totalitario nazista occidentale il quale non ha tollerato dissensi. Questo costituisce un altro dettaglio della creatività burdekiniana mal innestato dietro il profilo di una coerenza costruttiva logica narrativa. Il Cristianesimo sopravvive, accomunato al nazismo dall’antifemminismo, per poter risultare in ultimo quale contraddittorio Deus ex machina antidistopico antinazista: qui la contraddizione si rivela rilevante al pari dell’altro deficit poco sopra evocato. Non metto in discussione la creatività di Katharine Burdekin: era liberissima di scrivere, però se il testo si impelaga in vicoli ciechi non si può far a meno di sottolinearlo, e parlo di intima struttura narrativa. L’esclusiva intenzione di mettere in piedi una distopia femminile ha per certi versi, i quali ho evidenziato, limitato la qualità di un romanzo che è figlio del suo tempo. Le idee dell’autrice inglese per quanto attiene al suo proposito femminista sono ottime, apprezzo la denuncia della misoginia. Tuttavia in generale non ha accolto un dettaglio molto importante in relazione al totalitarismo, a differenza di Huxley e di Orwell, e che cioè essi abbisognano necessariamente di organizzazione qualificata e che non si possono fondare sull’analfabetismo negli apparati di funzionamento. In “Swastika night” i nazisti hanno portato un gradino più avanti, con un movimento dialettico la situazione del Brave New world dove la famiglia era svanita a vantaggio di una promiscuità edonistica con ectogenesi della specie umana. L’idea burdekiniana di disintegrazione della famiglia in virtù della ghettizzazione della donne, alla stregua di Ebrei relegati in quartieri e aree di concentramento, in apparenza nazista, possiede la suddetta matrice remota di suggestione huxleyana. Il Mondo Nuovo, qua, dove esiste un diritto da parte dei Tedeschi maschi (e delle altre razze nei loro spazi) a poter usufruire del congresso carnale (in vista della sana prosecuzione della razza) a prescindere dal consenso dalla partner, ha fatto un salto sadico. Simile aspetto della distopia della scrittrice inglese assume notevole pregio letterario perché nella vocazione del sadismo pone una tangenza col nazionalsocialismo, le cui forme sadiche sono però state precipue in altri campi e non in quello dall’antifemminismo. Perciò, se v’è una tangenza ad hoc, rimane solo formale, poiché la sostanza si mostra forzata. Io ritengo che la contingenza storica abbia fornito l’occasione a Katharine Burdekin di dare un abito nazista al suo testo distopico, nelle intenzione di sfruttare uno specchietto per le allodole. Comunque ciò non vuol dire che io stia censurando il fatto di condannare il nazismo in “Swastika night”, tutt’altro. È che la cosa operata dalla scrittrice inglese mi pare attuata più in funzione di appoggio esterno alla sua visione distopica femminile che non in un quadro di migliore equilibrata omogeneità dei mattoni usati. Naturalmente non si dovevano e potevano sottacere denunzie dei gravi e pericolosi principi nazisti allora come oggi, ma a me sembra che in relazione a un preciso intento di monito calato nella quotidianità prebellica degli anni ’30 si vada fuori del seminato, e si coltivi invece il più spaziante tema, ugualmente importante pure allora, della misoginia. Il letterario burdekiniano diritto allo stuprum delle over 16, nella mia analisi scopre una radice huxleyana, la quale chiarisce meglio la condizione delle donne nel romanzo analizzato, ridotte a un grado di esistenza animale, non curate e per giunta con i capelli rasati, in questa immaginata futura società nazista. Non è stato tipico del nazismo il disprezzo dell’estetica femminile, e “Swastika night” rammenta che tale atteggiamento era tipico del Cristianesimo. La paura dell’attrazione verso le donne costituisce una nevrosi cristiana, non un principio nazista. Il sadismo in cui ci ritroviamo, con l’abbrutimento e l’abbruttimento femminili circoscritti al nazionalsocialismo, è concettualmente imprevisto, seppur sempre accettabile nel quadro narrativo quale momento di un tutto, poi predominante su di esso. Nel mio saggio su “Brave New World” ho spiegato che il facile concedersi sessualmente inter se di quel mondo possiede una dimensione agapica di ascendenza cristiana. In “Swastika night” viene trapiantata la forma di simile modello, con la differenza che la sostanza della parità edonistica muta. Qua il sadismo è la cifra del maschile, e il masochismo quella del femminile. Notiamo un nuovo scalino della degenerazione agapica sessuale. L’idea di rendere le donne meno attraenti, come Katharine Burdekin ricorda a conclusione del suo romanzo, è cristiana e già paolina. Paolo di Tarso nel suo biblico epistolario chiede alle donne, al contrario degli uomini, in segno di sottomissione di stare con la testa velata o di tagliarsi/radersi i capelli. Nell’antichità le teste rasate rappresentarono un segno di lutto. Ecco un brano del romanzo burdekiniano in cui un cristiano, di orientamento tertullianeo, sostiene di rimbalzo assurdità: «Ignoro il perché le vostre infedeli donne, le quali tenete rinchiuse in recinti al pari di donnacce arrapate, abbiano la testa rasata giacché un superficiale ossequio del beato Paolo, fratello di nostro Signore, non salverà nessuno di voi nel Giudizio. Ma le nostre donne sono rasate perché il beato Paolo disse: “I capelli di una donna sono la sua vergogna, perciò sia rasata”. E la verità di ciò è evidente nel fatto che i capelli di un uomo sono la sua gloria e la sua forza si trova in essi, come Sansone nella fossa dei leoni. [...] I capelli di una donna non possono crescere più in là della parte inferiore delle orecchie […]. Ma anche questo è un peccato per lei. Le donne sono senza capelli. Ebbene, se fossero destinate ad avere i capelli sulla loro testa, li avrebbero sul viso. Avete visto mai una donna con una barba simile alla mia?». A un fanatico di questi, il quale riconosce l’origine cristiana dell’ingresso dell’antisemitismo nella Storia, l’autrice inglese affida la speranza di un miglioramento. Visto che il Cristianesimo della nazidistopia burdekiniana ha mantenuto una parvenza di famiglia classica e una misoginia non viziata dall’estremismo sadico di questi nazisti a venire (o di quello dei vecchi cacciatori di streghe) si potrebbe dire che l’autrice del romanzo alla fine stia proponendo (come soluzione ottimale?) di passare dalla brace alla padella: fu vera distopia? Ai critici l’ardua sentenza. Non escludo la possibilità che essendo “Swastika night” de facto et in pectore una criptodistopia cristiana, quelli che ho rilevato quali difetti concettuali siano invece dei paraventi di un messaggio sotterraneo, e che l’obiettivo del lettore intelligente sia scoprire qualcosa di allora non agevolmente veicolabile al pubblico. Allorché questo fanatico dichiara: «Sono un uomo di Dio, però oltre a questo sono un uomo di intuizione, e non oscuro mai le mie naturali capacità mentali con la lettura e la scrittura», e il suo interlocutore pensa invece che: «Tu non puoi davvero aver fiducia in un uomo che è religioso. Se i tuoi interessi confliggono con la religione, l’uomo rompe fede alla sua parola e ti tradisce e pensa che ha fatto bene a compierlo», difficilmente si può credere che Katharine Burdekin stia affidando il rinascimento dell’Occidente in mani cristiane, a meno di non peccare di ingenua fideistica speranza. Potremmo dunque trovarci di fronte a due schemi distopici al prezzo di uno: uno usato come cavallo di Troia, l’altro venuto fuori del cavallo di Troia. La scrittrice inglese non mi sembra sprovveduta, nonostante o in forza delle crepe (dialettiche o deficienze?) nel suo romanzo. Tale Cristianesimo di era distopica nazista non riconosce alle donne un’anima (idest ancor peggio di quello storico, sic!) e riconosce a costoro nelle nascite il concorso di quella che può essere un’apparecchiatura incubatrice (qua ci avviciniamo di più al vecchio storico Cristianesimo). La distopia di “Swastika night” potrebbe concludersi pertanto con l’apertura di un’altra distopia, e non di una soluzione positiva. Se pensiamo che Katharine Burdekin era probabilmente bisessuale, e il suo nazismo distopico era non omofobo e tollerante, si comprende che l’analisi del testo non scorre lungo binari gran che agevoli: è tutto molto ingarbugliato e di non semplice dipanamento. Il ragionamento weiliano che ho rammentato a monte viene esplicitamente ricordato nel testo burdekiniano: «Chiesa e Stato costituiscono realmente una unità nell’Impero tedesco, e il Führer rappresenta un Papa». Le analogie fra il nazionalsocialismo distopico e il Cristianesimo storico sono poi qua e là chiaramente visibili: 1) abbiamo gli “estatutos de limpieza de sangre” («Questo è il nostro metro. Non potremmo sognare di concedere a un uomo di chiamarsi Tedesco eccetto che non sia Tedesco di nascita. Noi siamo il Sangue. Tutti voi siete il non-Sangue»); un equivalente dei sanbenitos («una speciale divisa rossa»; rosso è il colore della “lettera scarlatta”); 3) «l’idea posseduta dall’uomo della loro [femminile] inferiorità» (pensiamo a cosa dice Tommaso d’Aquino: «Quod sexus masculinus est nobilior quam femineus, ideo humanam naturam in masculino sexu assumpsit [filius Dei]»); 4) quest’ultimo pensiero trova sponda in un’altra affermazione del romanzo che pare pronunziata da Oddone di Cluny: «Una donna è di per sé nient’altro che un animale, solamente un assemblato di grembi e tette e fegati e occhi»; non manca poi uno spunto di sapore kierkegaardiano (rammento che a differenza dei due precedenti canonizzati cattolici, il noto teologo danese era luterano): «Le donne hanno sempre seguito il modello stabilito, quindi come possono mai aver avuto qualcosa in se stesse?». Simile nazismo burdekiniano sa molto di Cristianesimo storico. In “Swastika night” c’è nella prima parte notizia di un cruento femminicidio, un brano che a me ha riportato alla memoria l’uccisione di Ipazia di Alessandria da parte di fanatici cristiani (i parabalanoi) nell’Impero romano cattolico di inizio V sec., un brano che potrebbe essere l’enigma della Sfinge da risolvere, la chiave da adoperare per superare quei paraventi di cui sopra ho fatto cenno, alle spalle dei quali si muovono i veri attori concettuali cristiani e non le precedenti ombre cinesi naziste. «Era il corpo nudo di una donna, giovane, pensò, ma il volto era così straziato che a stento distingueva. Gli occhi erano stati strappati e le narici spaccate verso l’alto. I capelli erano stati tutti strappati, lasciando nient'altro che un’orrenda calotta cranica insanguinata. Il corpo era coperto da innumerabili coltellate e tagli i quali davano l’impressione di essere ststi prodottti con un coltellino tascabile. […] Era il corpo di una ragazza che aveva riso di una comitiva di nuove “Donne di von Wied”, una graziosa ragazza cui non importava che Hitler fosse Dio, ma che non poteva capire perché le donne dovessero essere brutte». Se lo scopo di Katharine Burdekin era quello di comunicarci un nesso di omogeneità alla base tra la misoginia distopica nazista da un lato e l’antifemminismo storico del Cristianesimo dall’altra c’è riuscita, anche se in oscura guisa. Accosto “Swastika night” a “The handmaid’s tale” di Margaret Atwood, dove il carattere saliente dello stuprum ha un’esplicita evocazione biblica cristiana. Notiamo come una simile linea concettuale ci porti lontano dall’epifenomeno nazista burdekiniano. Il di quest’ultimo non essere ben sviluppato nel romanzo della scrittrice inglese le merita da parte mia un significativo richiamo. Ribadisco l’apprezzamento della “distopia femminile”, poiché sono un sostenitore del femminismo, ma la “distopia nazista” possiede delle ombre le quali mi hanno lasciato perplesso e inquietato in rapporto a una doverosa e completa condanna del nazionalsocialismo. Katharine Burdekin dà alle stampe il testo nel 1937 e immagina un genocidio ebraico venturo, cioè la in seguito avvenuta grande tragedia umana della Shoah, e pone simile evento in secondo piano rispetto alla misoginia quando i due argomenti in quegli anni, cum grano salis, avrebbero meritato parità di evidenziazione. Invece “Swastika night” registra uno squilibrio nelle segnalazioni: qui al primo posto, nettamente, sta la sorte delle donne. Non ingiustamente, però il destino del popolo giudaico dovrebbe stare ex aequo pure sul primo gradino del romanzo. Tale rilevazione nell’analizzare il romanzo mi ha sconcertato non poco a proposito della percezione in Europa dell’antisemitismo nell’era delle Leggi di Norimberga. La mia impressione è che nell’antinazionalsocialismo della Burdekin il problema ebraico non pesasse giusto ma alleggerito dai tossici plurisecolari pregiudizi antisemiti (rinforzati dal razzismo biologico). Vale a dire, secondo me, che costei probabilmente vedeva ancora nell’Ebreo uno shakespeariano mercante; non avrebbe mai auspicato un genocidio giudaico, tuttavia non le interessava più di tanto il destino di tali ritenuti “immorali abili speculatori commerciali”. La forza di un pregiudizio inculcato nella mentalità comune congiunto a un punto di vista da sinistra (non dimentichiamo l’antisemitismo sovietico) ha prodotto il frutto marcio di un secondo piano. “Swastika night” contiene un passaggio, il quale non pare ascrivibile all’ambito delle postulazioni distopiche bensì alle riflessioni positive di controcanto, in cui si dichiara: «Gli Ebrei sempre sembrano aver avuto una buona volontà di essere Giudei, e pare che contengano nella loro Ebraicità qualcosa di molto minaccioso. Ma in tal caso loro erano una razza, non solo una religione, e forse il Sangue lo vuole manifestare». Sono le parole di un ravveduto nazista, il quale nel suo ravvedimento continua ancora a parlare di “caparbietà” e di “minaccia” ebraiche. Katharine Burdekin non mostra avere un perfetto rispetto dei Giudei, si preoccupa di più dell’avvenire inglese davanti al concreto pericolo tedesco della sua epoca prebellica. L’antisemitismo nel suo testo al mio esame si scioglie nel più ampio razzismo nazista distopico, e inoltre non dobbiamo dimenticare che nel ’37 l’antigiudaismo tedesco costituiva un gigantesco problema, e, anche se mimetizzato o dimenticato nel grigiore degli aviti pregiudizi, non poteva e non doveva essere assolutamente minimizzato in quanto espressione, persino in forme legislative, di intollerabili reazione di pensiero e regresso sociale. “Swastika night” ci dice: «I Giudei palestinesi furono uccisi, massacrati sino all’ultimo uomo e all’ultimo bambino, quando l’Esercito imperiale germanico prese Gerusalemme. Gli Ebrei tedeschi furono uccisi in vari pogrom sia durante che dopo la Guerra dei Vent’anni. I Giudei in altri Paesi furono perseguitati prima dagli autoritari governi di guerra antisemiti di quei Paesi, prima che la Germania li conquistasse, e furono numericamente molto ridotti e poi furono di nuovo presi di mira dagli eserciti germanici di occupazione. Ma il modo in cui gli ultimi sopravvissuti siano scomparsi non lo so». Quindi non solo Katharine Burdekin ammette l’esistenza storica di un antigiudaismo generalizzato a livello internazionale, ma poi nel complesso accantona il possibile per il suo tempo genocidio ebraico a opera dei Tedeschi con preoccupante leggerezza. Ritornando infine ancora una volta sul tema burdekiniano del nazionalsocialismo in chiave distopica futura, i casi storici di Irma Grese e Maria Mandle rappresentano degli exempla del modo in cui la diabolica ideologia nazista non avesse una reale voluntas di emarginare del tutto le donne e di abbrutirle esteriormente; se ne servì invece, nel culto di un’estetica positiva, all’interno della sua mostruosa macchina, come nei casi delle suddette sadiche dirigenti di campi di concentramento. La Storia dimostra che l’estremizzazione della dicotomia “maschile/femminile” all’interno del nefando nazismo non fu così pronunciata in direzione della distopia dell’autrice inglese. Il sadismo nazista escludeva le proprie donne in veste di oggetto passivo per conferire a loro pure un ruolo di soggetto attivo. La logica della razza, l’indottrinamento unisex, produssero storicamente tutt’al più delle Juliette naziste, non le Justine burdekiniane.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Ritorno critico”
 
1 Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
 
2 Circa la possibilità di approfondimenti anche più ampi legati alla mia trattazione indico una mia monografia avente un ricco corredo di note rinviante a ulteriori direzioni dove poter trovare altri miei lavori di analisi: Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023).
 
3 Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).