di DANILO CARUSO
“Swastika
Night” è un
interessante romanzo distopico uscito nel 1937 di Katharine
Burdekin (1896-1963), scrittrice inglese di orientamento ideologico
progressista anticapitalista e non conservatore. In esso viene rappresentata
una distopia femminile, e non tanto nazista, a dispetto del titolo. Con ciò non
voglio assolutamente portare l’ideologia e l’esperienza storica naziste in
secondo piano, giacché esse si sono macchiate di gravissimi indelebili crimini
in pensieri e in opere. Voglio semplicemente far rilevare dettagli i quali
nella struttura del romanzo (solamente al suo interno, in quanto non opera
storica, inerente a un futuro immaginato) ci rendono l’idea di come negli anni
’30 la sua autrice abbia caricato sul nazismo una problematica più ampia,
lasciandoci tuttavia intravedere l’evidenza di simile operazione costruttiva.
Penso quindi alla fine ciò che spiegherò meglio appresso, e che cioè la
facciata nazista, molto congeniale allo scopo vista la sua sostanziale generale
negatività storica già al ’37 (a due anni dalle deprecabili leggi razziali
antisemite tedesche) sia servita da idoneo contenuto di forma nel chiarire
l’origine delle radici e il dominio di atteggiamenti misogini molto pesanti
nella società occidentale sino alla contemporaneità di Katharine Burdekin.
Anticipo che “Swastika Night” è sì una distopia femminile, ma criptocristiana e
non tanto direttamente nazista. Molteplici elementi nella mia lettura del testo
mi hanno fatto approdare a simile posizione di giudizio, dopo accurata
ponderazione. Una prima cosa che posso dire riguarda la segnalazione nel testo
in esame di aspetti orwelliani: la manipolazione e l’alterazione
dell’esposizione della Storia a beneficio di un regime totalitario. A proposito
di questo richiamo l’attenzione sopra un mio saggio dedicato a “1984”, dove ho
spiegato la distopia di George Orwell alla luce della considerazione di Simone
Weil che la Chiesa cattolica ha fornito alla Civiltà occidentale il modello più
eccellente di sistema totalitaristico1. Quindi replicarmi che io sia
andato fuori strada, per me non ha senso: un eventuale paragone fra “Swastika
Night” e “1984” in direzione di analogie rafforza invece la mia posizione
critica. È poi la stessa Burdekin nel finale del suo romanzo a svelare l’arcano
costruttivo del suo pensiero. In questa parte conclusiva tutte le pecche
antifemministe del nazismo distopico trovano un equivalente nel Cristianesimo
giunto sino a quell’era futura. Quantunque in questo si possa vedere
sottolineato un grado più lieve, poiché il dominio politico è nazista, le
uguaglianze ideali nell’inquadramento antifemminista delle donne sono pressoché
identiche. Questo nazismo del futuro possiede una misoginia patristica, e cristiana
in generale delle epoche più buie, portata appunto in pratica e attuata sino a
estremi distopici. E quello che ho notato è che sebbene il nefando
nazionalsocialismo storico non valorizzasse la figura femminile nel modo più
giusto (lacuna all’era della scrittrice inglese condivisa in varia guisa con
tutto il resto del pianeta) non ha mostrato un estremistico e distruttivo
disprezzo dell’universo delle donne coltivando l’isolante tradizionale modello
della donna-madre (le donne americane e inglesi nei fatti non godevano
tendenzialmente allora di una considerazione più emancipatrice). Katharine
Burdekin nell’edificare un mondo occidentale venturo guidato dai nazisti
vittoriosi sugli altri ha sostituito agli Ebrei il gentil sesso. Ciò salta agli
occhi inequivocabilmente. Ripeto che non è mia intenzione alleviare la
valutazione storica di tutte le imperdonabili responsabilità naziste, però tale
regime nazionalsocialista di un domani più in là nei secoli è alquanto sui
generis, e in dissonanza storica in alcuni suoi strutturali aspetti. L’autrice
di “Swastika Night” ha previsto il molto tragico Olocausto. A questo dedica un
riferimento incidentale, senza svilupparlo a fondo come meriterebbe la da
sempre condannare discriminazione antisemita. Ha intuito la possibilità della
Shoah, della grandissima tragedia, e si è soffermata sulla misoginia. A me
qualcosa non ha quadrato sin dall’inizio della lettura di “Swastika Night”.
Certamente il tema dell’antifemminismo nei secoli (pensiamo alla violenta
caccia alle streghe o all’emarginazione delle donne, ad esempio) non è di
minore importanza dell’antisemitismo e dello sterminio ebraico causato dal
regime hitleriano, tuttavia io ritengo che nel 1937 quest’ultimo non doveva
rimanere molto marginale in un libro a cui è stato dato il titolo di “Swastika
Night”. Con ciò non intendo affatto bocciare il romanzo. Ipotizzo di aver
capito le intenzioni della scrittrice inglese in ambito di femminismo, il quale
è il tema che realmente le interessa anche a costo di avvalersi di una sorta di
maschera distopica nazista poi accostata a un modello cristiano storicamente
più pertinente. Indubbiamente non posso muovere nessun appunto
all’immaginazione di Katharine Burdekin: se lei ha visto un nazionalsocialismo
venturo accanito sulle donne al pari dei Giudei, per me, concettualmente e
creativamente potrebbe starci dopo il distopico Olocausto indicato nel testo
del ’37. La distopia in quanto tale non fa una grinza. Nella succitata chiusa
si richiama l’origine cristiana dell’antisemitismo antico. Il collegamento
evolutivo di questo, attraverso i tempi posteriori, all’antigiudaismo nazista
non ha evidenza nella narrazione della Burdekin. Sono argomenti di cui io ho
parlato in precedenza2, però nel romanzo non mi pare rilevabile una
simile connessione. Se v’è appare molto oscura, molto larvata, al punto tale
che mi sembra un volo pindarico. L’autrice inglese sembra aver accantonato
parecchio il tema della violenza (nelle sue varie forme) a scapito degli Ebrei,
a cui ha preferito le donne, le quali de facto negli anni Trenta non erano
affatto un bersaglio notevole dei nazisti. Costoro non hanno disprezzato
l’estetica femminile, tanto meno in uno stile tertullianeo. “Swastika Night”
non ci fornisce l’idea che la cattolicissima Spagna rinascimentale e barocca
grazie all’inquisizione (operante pure in America latina), all’odio verso il
popolo giudaico, agli estatutos de limpieza de sangre, ai quemadores non aveva,
a mio modesto valutare, gran che di differente sotto simili aspetti nella forma
rispetto alla Germania nazista. È per questo motivo che, dalla mia ottica
critica che guarda al 1937, il distopico nazismo burdekiniano non mi convince
tanto, pur rispettando sempre la volontà creativa della scrittrice. Lei ha
ricevuto influenze da “Brave New World” di Aldous Huxley, come chiarirò meglio
di seguito. Ho scritto un altro saggio dedicato a questo romanzo pubblicato nel
1932, dove spiego quel Mondo Nuovo quale frutto di una degenerazione
dell’attivismo protestante weberiano capitalistico3. Nel romanzo
esaminato di Katharine Burdekin emerge un’idea, la quale sembra antidistopica,
per cui ognuno dovrebbe reputarsi di essere appartenente per quanto lo riguarda
alla categoria esistenziale migliore. Si fa l’esempio di maschi e femmine, e
non di α, β, etc., e si postula, parallelamente, che da ciascuno dei due canti
si debba avere una convinzione suprematista al fine di non cadere nel disprezzo
dell’altra parte, disprezzo il quale costituisce sintomo di reale subordine
della parte (nel caso di “Swastika Night” quella femminile) condizionata da
insicurezza. Notiamo la guisa in cui un criterio distopico huxleyano venga
volto tale e quale alla volta di una soluzione vestita di positività. Il
romanzo della scrittrice inglese fa mantenere al suo distopico nazismo la
caratteristica e spiccata vocazione suprematista razziale incentrata sulla
purezza del sangue, e fa compiere a simile modello totalitario un percorso
inverso a quello compiuto dal Brave New World. Qui una forma attivistica di
natura protestante si evolve, mantenendo pur sempre le forme originarie, in un
sistema edonistico in apparenza laicizzato. Là il nazismo futuro burdekiniano è
diventato religione quasi a voler riscoprire le proprie fondamenta
cristiano-luterane. Una religione che ricalca il Cristianesimo, e di cui
replica e ripete gli stessi errori: la misoginia (non tipica del nazismo),
l’antisemitismo (tragicamente tipico del nazismo). Riguardo a questi punti
trattati possiamo notare in “Swastika Night”, qua e là qualche espressione di antipatia
antinipponica, la quale lascia perplessi così come perplessi lascia l’ideale del
nazionalsocialismo in detto romanzo di un analfabetismo generalizzato, e
coltivato, nei domini tedeschi occidentali. A me, sinceramente, una cosa del
genere si mostra assurda: come si possa mantenere un predominio politico su un
consesso di analfabeti (pure quasi tutti i Tedeschi) per me resta un mistero,
pure se siamo dentro un finzione letteraria. In quale modo può mai funzionare
una macchina bellica, un sistema di ordine, con funzionari analfabeti? Con un
analfabetismo dilagante dovrebbe esserci un bellum omnium contra omnes, non un
saldissimo apparato totalitario. Questo aspetto del testo burdekiniano, in
effetti, compromette un po’ tutta la tenuta creativa privandola di coesione e
accettabilità da parte di un lettore avveduto. Non può esistere uno Stato senza
Logos: si cadrebbe nella barbarie. Un’altra cosa che stona in “Swastika Night” è
la maniera in cui siano sopravvissuti i cristiani a fronte di un Olocausto ebraico
e davanti a un regime totalitario nazista occidentale il quale non ha tollerato
dissensi. Questo costituisce un altro dettaglio della creatività burdekiniana
mal innestato dietro il profilo di una coerenza costruttiva logica narrativa.
Il Cristianesimo sopravvive, accomunato al nazismo dall’antifemminismo, per
poter risultare in ultimo quale contraddittorio Deus ex machina antidistopico
antinazista: qui la contraddizione si rivela rilevante al pari dell’altro
deficit poco sopra evocato. Non metto in discussione la creatività di Katharine
Burdekin: era liberissima di scrivere, però se il testo si impelaga in vicoli
ciechi non si può far a meno di sottolinearlo, e parlo di intima struttura
narrativa. L’esclusiva intenzione di mettere in piedi una distopia femminile ha
per certi versi, i quali ho evidenziato, limitato la qualità di un romanzo che
è figlio del suo tempo. Le idee dell’autrice inglese per quanto attiene al suo
proposito femminista sono ottime, apprezzo la denuncia della misoginia.
Tuttavia in generale non ha accolto un dettaglio molto importante in relazione
al totalitarismo, a differenza di Huxley e di Orwell, e che cioè essi
abbisognano necessariamente di organizzazione qualificata e che non si possono
fondare sull’analfabetismo negli apparati di funzionamento. In “Swastika night”
i nazisti hanno portato un gradino più avanti, con un movimento dialettico la
situazione del Brave New world dove la famiglia era svanita a vantaggio di una
promiscuità edonistica con ectogenesi della specie umana. L’idea burdekiniana
di disintegrazione della famiglia in virtù della ghettizzazione della donne,
alla stregua di Ebrei relegati in quartieri e aree di concentramento, in
apparenza nazista, possiede la suddetta matrice remota di suggestione
huxleyana. Il Mondo Nuovo, qua, dove esiste un diritto da parte dei Tedeschi
maschi (e delle altre razze nei loro spazi) a poter usufruire del congresso
carnale (in vista della sana prosecuzione della razza) a prescindere dal
consenso dalla partner, ha fatto un salto sadico. Simile aspetto della distopia
della scrittrice inglese assume notevole pregio letterario perché nella
vocazione del sadismo pone una tangenza col nazionalsocialismo, le cui forme
sadiche sono però state precipue in altri campi e non in quello dall’antifemminismo.
Perciò, se v’è una tangenza ad hoc, rimane solo formale, poiché la sostanza si
mostra forzata. Io ritengo che la contingenza storica abbia fornito l’occasione
a Katharine Burdekin di dare un abito nazista al suo testo distopico, nelle
intenzione di sfruttare uno specchietto per le allodole. Comunque ciò non vuol
dire che io stia censurando il fatto di condannare il nazismo in “Swastika
night”, tutt’altro. È che la cosa operata dalla scrittrice inglese mi pare
attuata più in funzione di appoggio esterno alla sua visione distopica
femminile che non in un quadro di migliore equilibrata omogeneità dei mattoni
usati. Naturalmente non si dovevano e potevano sottacere denunzie dei gravi e
pericolosi principi nazisti allora come oggi, ma a me sembra che in relazione a
un preciso intento di monito calato nella quotidianità prebellica degli anni
’30 si vada fuori del seminato, e si coltivi invece il più spaziante tema,
ugualmente importante pure allora, della misoginia. Il letterario burdekiniano
diritto allo stuprum delle over 16, nella mia analisi scopre una radice
huxleyana, la quale chiarisce meglio la condizione delle donne nel romanzo
analizzato, ridotte a un grado di esistenza animale, non curate e per giunta
con i capelli rasati, in questa immaginata futura società nazista. Non è stato
tipico del nazismo il disprezzo dell’estetica femminile, e “Swastika night”
rammenta che tale atteggiamento era tipico del Cristianesimo. La paura
dell’attrazione verso le donne costituisce una nevrosi cristiana, non un principio
nazista. Il sadismo in cui ci ritroviamo, con l’abbrutimento e l’abbruttimento
femminili circoscritti al nazionalsocialismo, è concettualmente imprevisto,
seppur sempre accettabile nel quadro narrativo quale momento di un tutto, poi
predominante su di esso. Nel mio saggio su “Brave New World” ho spiegato che il
facile concedersi sessualmente inter se di quel mondo possiede una dimensione
agapica di ascendenza cristiana. In “Swastika night” viene trapiantata la forma
di simile modello, con la differenza che la sostanza della parità edonistica
muta. Qua il sadismo è la cifra del maschile, e il masochismo quella del
femminile. Notiamo un nuovo scalino della degenerazione agapica sessuale.
L’idea di rendere le donne meno attraenti, come Katharine Burdekin ricorda a
conclusione del suo romanzo, è cristiana e già paolina. Paolo di Tarso nel suo
biblico epistolario chiede alle donne, al contrario degli uomini, in segno di
sottomissione di stare con la testa velata o di tagliarsi/radersi i capelli.
Nell’antichità le teste rasate rappresentarono un segno di lutto. Ecco un brano
del romanzo burdekiniano in cui un cristiano, di orientamento tertullianeo,
sostiene di rimbalzo assurdità: «Ignoro il perché le vostre infedeli donne, le
quali tenete rinchiuse in recinti al pari di donnacce arrapate, abbiano la
testa rasata giacché un superficiale ossequio del beato Paolo, fratello di
nostro Signore, non salverà nessuno di voi nel Giudizio. Ma le nostre donne
sono rasate perché il beato Paolo disse: “I capelli di una donna sono la sua
vergogna, perciò sia rasata”. E la verità di ciò è evidente nel fatto che i
capelli di un uomo sono la sua gloria e la sua forza si trova in essi, come
Sansone nella fossa dei leoni. [...] I capelli di una donna non possono
crescere più in là della parte inferiore delle orecchie […]. Ma anche questo è
un peccato per lei. Le donne sono senza capelli. Ebbene, se fossero destinate
ad avere i capelli sulla loro testa, li avrebbero sul viso. Avete visto mai una
donna con una barba simile alla mia?». A un fanatico di questi, il quale
riconosce l’origine cristiana dell’ingresso dell’antisemitismo nella Storia,
l’autrice inglese affida la speranza di un miglioramento. Visto che il
Cristianesimo della nazidistopia burdekiniana ha mantenuto una parvenza di
famiglia classica e una misoginia non viziata dall’estremismo sadico di questi
nazisti a venire (o di quello dei vecchi cacciatori di streghe) si potrebbe
dire che l’autrice del romanzo alla fine stia proponendo (come soluzione
ottimale?) di passare dalla brace alla padella: fu vera distopia? Ai critici
l’ardua sentenza. Non escludo la possibilità che essendo “Swastika night” de
facto et in pectore una criptodistopia cristiana, quelli che ho rilevato quali
difetti concettuali siano invece dei paraventi di un messaggio sotterraneo, e
che l’obiettivo del lettore intelligente sia scoprire qualcosa di allora non
agevolmente veicolabile al pubblico. Allorché questo fanatico dichiara: «Sono
un uomo di Dio, però oltre a questo sono un uomo di intuizione, e non oscuro
mai le mie naturali capacità mentali con la lettura e la scrittura», e il suo
interlocutore pensa invece che: «Tu non puoi davvero aver fiducia in un uomo
che è religioso. Se i tuoi interessi confliggono con la religione, l’uomo rompe
fede alla sua parola e ti tradisce e pensa che ha fatto bene a compierlo»,
difficilmente si può credere che Katharine Burdekin stia affidando il
rinascimento dell’Occidente in mani cristiane, a meno di non peccare di ingenua
fideistica speranza. Potremmo dunque trovarci di fronte a due schemi distopici
al prezzo di uno: uno usato come cavallo di Troia, l’altro venuto fuori del
cavallo di Troia. La scrittrice inglese non mi sembra sprovveduta, nonostante o
in forza delle crepe (dialettiche o deficienze?) nel suo romanzo. Tale
Cristianesimo di era distopica nazista non riconosce alle donne un’anima (idest
ancor peggio di quello storico, sic!) e riconosce a costoro nelle nascite il
concorso di quella che può essere un’apparecchiatura incubatrice (qua ci
avviciniamo di più al vecchio storico Cristianesimo). La distopia di “Swastika
night” potrebbe concludersi pertanto con l’apertura di un’altra distopia, e non
di una soluzione positiva. Se pensiamo che Katharine Burdekin era probabilmente
bisessuale, e il suo nazismo distopico era non omofobo e tollerante, si
comprende che l’analisi del testo non scorre lungo binari gran che agevoli: è
tutto molto ingarbugliato e di non semplice dipanamento. Il ragionamento
weiliano che ho rammentato a monte viene esplicitamente ricordato nel testo
burdekiniano: «Chiesa e Stato costituiscono realmente una unità nell’Impero
tedesco, e il Führer rappresenta un Papa». Le analogie fra il
nazionalsocialismo distopico e il Cristianesimo storico sono poi qua e là
chiaramente visibili: 1) abbiamo gli “estatutos de limpieza de sangre” («Questo
è il nostro metro. Non potremmo sognare di concedere a un uomo di chiamarsi
Tedesco eccetto che non sia Tedesco di nascita. Noi siamo il Sangue. Tutti voi
siete il non-Sangue»); un equivalente dei sanbenitos («una speciale divisa
rossa»; rosso è il colore della “lettera scarlatta”); 3) «l’idea posseduta
dall’uomo della loro [femminile] inferiorità» (pensiamo a cosa dice Tommaso
d’Aquino: «Quod sexus masculinus est nobilior quam femineus, ideo
humanam naturam in
masculino sexu assumpsit [filius Dei]»); 4) quest’ultimo pensiero trova sponda
in un’altra affermazione del romanzo che pare pronunziata da Oddone di Cluny: «Una
donna è di per sé nient’altro che un animale, solamente un assemblato di grembi
e tette e fegati e occhi»; non manca poi uno spunto di sapore kierkegaardiano
(rammento che a differenza dei due precedenti canonizzati cattolici, il noto
teologo danese era luterano): «Le donne hanno sempre seguito il modello
stabilito, quindi come possono mai aver avuto qualcosa in se stesse?». Simile
nazismo burdekiniano sa molto di Cristianesimo storico. In “Swastika night” c’è
nella prima parte notizia di un cruento femminicidio, un brano che a me ha
riportato alla memoria l’uccisione di Ipazia di Alessandria da parte di
fanatici cristiani (i parabalanoi) nell’Impero romano cattolico di inizio V
sec., un brano che potrebbe essere l’enigma della Sfinge da risolvere, la
chiave da adoperare per superare quei paraventi di cui sopra ho fatto cenno,
alle spalle dei quali si muovono i veri attori concettuali cristiani e non le
precedenti ombre cinesi naziste. «Era il corpo nudo di una donna, giovane,
pensò, ma il volto era così straziato che a stento distingueva. Gli occhi erano
stati strappati e le narici spaccate verso l’alto. I capelli erano stati tutti
strappati, lasciando nient'altro che un’orrenda calotta cranica insanguinata.
Il corpo era coperto da innumerabili coltellate e tagli i quali davano
l’impressione di essere ststi prodottti con un coltellino tascabile. […] Era il
corpo di una ragazza che aveva riso di una comitiva di nuove “Donne di von
Wied”, una graziosa ragazza cui non importava che Hitler fosse Dio, ma che non
poteva capire perché le donne dovessero essere brutte». Se lo scopo di
Katharine Burdekin era quello di comunicarci un nesso di omogeneità alla base
tra la misoginia distopica nazista da un lato e l’antifemminismo storico del
Cristianesimo dall’altra c’è riuscita, anche se in oscura guisa. Accosto
“Swastika night” a “The handmaid’s tale” di Margaret Atwood, dove il carattere
saliente dello stuprum ha un’esplicita evocazione biblica cristiana. Notiamo
come una simile linea concettuale ci porti lontano dall’epifenomeno nazista
burdekiniano. Il di quest’ultimo non essere ben sviluppato nel romanzo della scrittrice
inglese le merita da parte mia un significativo richiamo. Ribadisco
l’apprezzamento della “distopia femminile”, poiché sono un sostenitore del
femminismo, ma la “distopia nazista” possiede delle ombre le quali mi hanno
lasciato perplesso e inquietato in rapporto a una doverosa e completa condanna
del nazionalsocialismo. Katharine Burdekin dà alle stampe il testo nel 1937 e
immagina un genocidio ebraico venturo, cioè la in seguito avvenuta grande tragedia
umana della Shoah, e pone simile evento in secondo piano rispetto alla
misoginia quando i due argomenti in quegli anni, cum grano salis, avrebbero
meritato parità di evidenziazione. Invece “Swastika night” registra uno squilibrio
nelle segnalazioni: qui al primo posto, nettamente, sta la sorte delle donne.
Non ingiustamente, però il destino del popolo giudaico dovrebbe stare ex aequo
pure sul primo gradino del romanzo. Tale rilevazione nell’analizzare il romanzo
mi ha sconcertato non poco a proposito della percezione in Europa
dell’antisemitismo nell’era delle Leggi di Norimberga. La mia impressione è che
nell’antinazionalsocialismo della Burdekin il problema ebraico non pesasse
giusto ma alleggerito dai tossici plurisecolari pregiudizi antisemiti
(rinforzati dal razzismo biologico). Vale a dire, secondo me, che costei
probabilmente vedeva ancora nell’Ebreo uno shakespeariano mercante; non avrebbe
mai auspicato un genocidio giudaico, tuttavia non le interessava più di tanto
il destino di tali ritenuti “immorali abili speculatori commerciali”. La forza di
un pregiudizio inculcato nella mentalità comune congiunto a un punto di vista
da sinistra (non dimentichiamo l’antisemitismo sovietico) ha prodotto il frutto
marcio di un secondo piano. “Swastika night” contiene un passaggio, il quale
non pare ascrivibile all’ambito delle postulazioni distopiche bensì alle
riflessioni positive di controcanto, in cui si dichiara: «Gli Ebrei sempre
sembrano aver avuto una buona volontà di essere Giudei, e pare che contengano
nella loro Ebraicità qualcosa di molto minaccioso. Ma in tal caso loro erano
una razza, non solo una religione, e forse il Sangue lo vuole manifestare».
Sono le parole di un ravveduto nazista, il quale nel suo ravvedimento continua
ancora a parlare di “caparbietà” e di “minaccia” ebraiche. Katharine Burdekin
non mostra avere un perfetto rispetto dei Giudei, si preoccupa di più
dell’avvenire inglese davanti al concreto pericolo tedesco della sua epoca
prebellica. L’antisemitismo nel suo testo al mio esame si scioglie nel più
ampio razzismo nazista distopico, e inoltre non dobbiamo dimenticare che nel
’37 l’antigiudaismo tedesco costituiva un gigantesco problema, e, anche se
mimetizzato o dimenticato nel grigiore degli aviti pregiudizi, non poteva e non
doveva essere assolutamente minimizzato in quanto espressione, persino in forme
legislative, di intollerabili reazione di pensiero e regresso sociale.
“Swastika night” ci dice: «I Giudei palestinesi furono uccisi, massacrati sino
all’ultimo uomo e all’ultimo bambino, quando l’Esercito imperiale germanico prese
Gerusalemme. Gli Ebrei tedeschi furono uccisi in vari pogrom sia durante che
dopo la Guerra dei Vent’anni. I Giudei in altri Paesi furono perseguitati prima
dagli autoritari governi di guerra antisemiti di quei Paesi, prima che la
Germania li conquistasse, e furono numericamente molto ridotti e poi furono di
nuovo presi di mira dagli eserciti germanici di occupazione. Ma il modo in cui
gli ultimi sopravvissuti siano scomparsi non lo so». Quindi non solo Katharine
Burdekin ammette l’esistenza storica di un antigiudaismo generalizzato a
livello internazionale, ma poi nel complesso accantona il possibile per il suo
tempo genocidio ebraico a opera dei Tedeschi con preoccupante leggerezza.
Ritornando infine ancora una volta sul tema burdekiniano del nazionalsocialismo
in chiave distopica futura, i casi storici di Irma Grese e Maria Mandle
rappresentano degli exempla del modo in cui la diabolica ideologia nazista non
avesse una reale voluntas di emarginare del tutto le donne e di abbrutirle
esteriormente; se ne servì invece, nel culto di un’estetica positiva,
all’interno della sua mostruosa macchina, come nei casi delle suddette sadiche
dirigenti di campi di concentramento. La Storia dimostra che l’estremizzazione
della dicotomia “maschile/femminile” all’interno del nefando nazismo non fu
così pronunciata in direzione della distopia dell’autrice inglese. Il sadismo
nazista escludeva le proprie donne in veste di oggetto passivo per conferire a
loro pure un ruolo di soggetto attivo. La logica della razza, l’indottrinamento
unisex, produssero storicamente tutt’al più delle Juliette naziste, non le
Justine burdekiniane.
NOTE
Questo scritto fa
parte del mio saggio intitolato “Ritorno critico”
1 Il Medioevo futuro di George Orwell (2015).
2 Circa la possibilità di
approfondimenti anche più ampi legati alla mia trattazione indico una mia
monografia avente un ricco corredo di note rinviante a ulteriori direzioni dove
poter trovare altri miei lavori di analisi: Oscurantismo
e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023).
3 Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).