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venerdì 7 ottobre 2022

INDUISMO E OCCIDENTE

di DANILO CARUSO

Il sistema religioso induista contiene tutte le grandi possibilità della filosofia occidentale. Spiegherò simile affermazione in dettaglio, superando la radicale forma dicotomica Occidente/Oriente. Per evitare un fraintendimento a monte preciso che non si tratta di equiparare bensì di collegare. Parto da una considerazione cui sono giunto a conclusione rispetto all’impressione e alla riflessione di partenza. Essendo junghiano, dopo aver visto che la filosofia greca antica altro non ha fatto che ripensare l’Induismo in maniera razionalistica ottenendo varie differenti direzioni di pensiero speculativo conseguenti, ho pensato di avvalermi dello schema di Jung relativo alla struttura caratteriale umana che distingue: due facoltà razionali (la ragione in senso stretto e il sentimento) e due irrazionali (la percezione e l’intuizione). Nel consueto cerchio quadripartito derivante ho collocato l’Induismo nella posizione dell’intuizione. Detta religiosità infatti ha sviluppato tale dimensione. Non si è espressa in guisa razionalistica al pari dei Greci, ha usato argomentazioni residenti sul piano del mito (alla stregua di Platone). E là è rimasta pur formulando principi molto profondi e molto pregni di ricchezza concettuale. L’Induismo ha colto intuizioni, e tali le ha lasciate nella fissazione delle sue verità. Non ha argomentato alla maniera filosofica occidentale, ha assunto un’apparenza dogmatica, la quale in virtù però della propria profondità retrostante non offre un dogma vuoto. L’Induismo presenta una forma di idealismo non costruito con canoni razionalistici. Qui ritornano Jung e la facoltà intuitiva quale modalità non razionale. Gli induisti hanno percorso simile direzione con notevolissimi risultati. E la riprova di ciò si recupera nel fatto che la razionalità junghiana è contigua all’intuizione, e nella veste di filosofia greca ha rielaborato contenuti di una pregressa e poi contemporanea fase intuitiva induista. In parole povere abbiamo un pilastro idealistico in comune visto, descritto, e concepito nelle speculazioni da due punti di vista collegati, ma separati nel loro porsi alla mente umana. L’Induismo coglie una verità, la intuisce, cioè la trova al di fuori di una procedura e di un cammino razionalistici, e quindi la offre. La filosofia greca, in quanto momento valorizzante la Ragione, il logos, coltiva la trattazione sul percorso che porta a una verità proposta. Direi che ci sono due modi mediante i quali una stessa cosa è stata detta. E mi riferisco al pilastro verso cui i filosofi sono stati dialettici, vale a dire che vi si sono relazionati in termini analogici vari o di contrasto sempre differenziati in rapporto all’autore. L’Induismo parla di un Brahman universale e totalizzante da cui deriverebbe la molteplicità di atman, gli Io che diventano empirici incarnandosi e paragonabili all’“Io penso” kantiano. Nell’emanazione fenomenica del mondo compaiono i quattro elementi greci e l’etere (il contenitore, la spazialità, la chora platonica). Platone possiede un impianto molto induista. Oltre a una cosmologia fenomenistica la quale squalifica la realtà sensibile, mirando a proiettarci alla volta del metasensibile (Brahman), pensiamo alla proposta politica principale del grande filosofo ateniese che tripartisce la società in tre categorie le quali ritroviamo uguali nella società indiana induista. Il più importante allievo di Socrate rivela altresì la presenza dei tre “guna” nel suo pensiero, cioè i tre caratteri specifici di ognuna di quelle tre classi sociali, i quali poi sono qualità individuali operanti in interiore homine: da un lato sapienza/coraggio/continenza, dall’altro virtù/passione/ignoranza. Ogni sistema ha colto sfumature di cose analoghe. Platone e l’Induismo sono concettualmente imparentati. Rammentiamo anche il tema della metempsicosi. Colgo lo spunto delle analogie platoniche allo scopo di aprire un nuovo versante della mia analisi. Riguarda la teologia emersa dal pensiero cristiano: il Dio unico e creatore di tutto. Questa non è la tesi originale biblica veterotestamentaria1. In “Genesi” gli Dei vengono fuori dal Caos, e poi un demiurgico Dio platonico ordina e monta il cosmo da una materia a lui parallela e non creata. L’idea che Dio sia “uno” proviene dagli antichi Veda, l’idea che non esista una indipendente materia separata dalla sostanza divina è di matrice induista. Mi pare che la teologia cristiana delle origini abbia preso spunti dal pilastro orientale. L’incarnazione divina stessa nel Messia ci riporta pure al concetto di avatàr. Ritornando alla Grecità, l’intellettualismo etico di Socrate, per cui colui che ha raggiunto la conoscenza non può più compiere il male inconsapevolmente (e dunque non dovrebbe metterlo in atto), rappresenta nuova tangenza induista. Nell’Induismo la “virtù” sopra accennata costituisce “conoscenza”: conoscenza che tutto si rivela transeunte e non merita attaccamento. Perciò, come in Socrate, il sapiente saprebbe infallibilmente che cosa è bene e che cosa è male. Del resto in Aristotele il sapere sommo rimane fine a se stesso, e il medesimo Dio aristotelico si mostra “atto puro” e “causa finale”: simili aspetti evocano il Brahman e il relazionarsi a esso. Nella filosofia greca tale tendenza intellettualistica dell’etica è culminata negli stoici. Il vivere-secondo-Ragione costituisce per loro il massimo, e tale posizione è scaturita da conoscenza. Analoga si manifesta la mentalità induista la quale ovviamente presenta la cosa nella forma del vivere-secondo-le-intuizioni-illuminanti partite con i Veda. Le ellenistiche atarassia e aponia possiedono equivalenti postulazioni nell’intuizionismo induista. A proposito dello stoicismo e al suo concetto di “fato” pensiamo altresì al parallelo concetto di Dharma, il quale a sua volta ci rammenta la rincarnazione esposta nel “Fedro” di Platone. Stoici e induisti poi condividono la visione ciclica di generazione/distruzione/rigenerazione dell’universo. Volendo chiudere questa serie di cenni alle tangenze voglio richiamare l’ontologia eleatica, Pirrone di Elide, Plotino. Quest’ultimo nella cosmogonia parte da un Uno il quale emana una realtà discendente in direzione della materialità similmente al Brahman. E pure Plotino sostiene che il compito da perseguire sia il ritorno a una realtà immateriale. Successivamente la filosofia occidentale ha ripreso la parentela ontologica induista con più marcata evidenza attraverso Spinoza, Berkeley, Kant, l’idealismo tedesco, e in modo particolare attraverso Schopenhauer. L’Induismo e la filosofia, così come li ho descritti sopra lo sfondo junghiano, appaiono delle macrofasi concettuali e cronologiche: all’Induismo orientale ha fatto seguito la filosofia greca e occidentale. Se guardiamo lo schema caratteriale di Jung da me ricordato all’inizio, vediamo che dopo la ragione (in senso rotatorio) troviamo la percezione. Che cosa mettere in questa casella? Io metto il capitalismo, il quale è fondato su un’ideologia ponente la sua produzione commerciale nel campo della percezione. Lo spirito capitalistico gioca tutta la sua esistenza sfruttando i lati della sensibilità e della sensualità. Da questa parte siamo sull’asse delle facoltà junghiane irrazionali in antitesi rispetto all’Induismo, il quale predica la rinuncia, il distacco riguardo al sensibile e a una materialità giudicati impermanenti (panta rhei), non sede di felicità. Il capitalismo realizza la felicità umana dentro la chora, l’Induismo fuori del fenomenico. Per tale motivo simili due visioni del mondo, seppur accomunate dal concetto di “predestinazione weberiana”, sono antitetiche, e la seconda mantiene una vicinanza migliore col Cattolicesimo e il suo risanante e beatifico paradiso. L’ultima casella junghiana sarebbe contemporaneamente rappresentante dell’optimum di partenza e della meta ideale da raggiungere e recuperare. Siamo nel “sentimentale” e nel “femminile”. Io ci metto il matriarcato originario. Diotima che spiega a Socrate: ecco l’immagine emblematica e chiave per capire la mia individuazione di simili quattro macrofasi. Come ci fa intendere Platone nel “Simposio”, se la filosofia si declina perlopiù al maschile, la religione dovrebbe declinarsi perlopiù al femminile. Altrove ho spiegato perché ritengo che l’umanità sia giunta sulla Terra da altri pianeti2. A questo punto credo che l’Induismo abbia mantenuto memoria di un sentimento anticapitalistico in quanto l’industrializzazione sregolata (penso a Venere) possa aver distrutto, sostenuta da brama di arricchimento, diverse civiltà planetarie nel nostro sistema solare (aggiungo Marte e Fetonte). Mi spiego così l’incisivo appello induista a non legarsi alle cose. Poi la mentalità capitalistica ha ripreso via via a diventare sulla Terra di nuovo dominante a partire dai Sumeri3. L’Occidente ha comunque mantenuto nel suo DNA tratti induisti. A conclusione di questo scritto si può comprendere meglio quell’affermazione di Simone Weil per cui «chaque religion est seule vraie». Dall’Occidente all’Induismo esiste un unico solco all’interno del quale sono fiorite diverse piantine alimentate da un solo tipo di terra: ambienti differenti e distanze hanno creato specificazioni varie. L’analisi che ho sviluppato ha fatto emergere elementi di filosofia della storia cui debbo sommare la mia teoria degenerativa delineata nella mia monografia “Letteratura e psicostoria” (2022). Anche in un altro mio saggio, “Critica dell’irrazionalismo occidentale” (2016), avevo affrontato temi storiografici e di filosofia della storia inerenti al passato e al futuro. Colloco l’ipotetica linea distopica della prima pubblicazione fra i punti cardinali junghiani della percezione (capitalismo) e del sentimento (matriarcato). Dunque, alla degenerazione dovrebbe seguire una positiva rinascita per mezzo di quei passaggi futuri che ho descritto nella seconda mia opera citata, nelle sezioni intitolate “La lancia di Atena”4 e “La nuova Sparta”5. Appare pertanto possibile nel contesto della mia filosofia della storia raggiungere forme di equilibrio e di benessere universali.




LA CRONOGRAFIA DISTOPICA DELLA MIA TEORIA DEGENERATIVA STORICA RIPORTATA IN “LETTERATURA E PSICOSTORIA






 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Partita a scacchi”
https://www.academia.edu/88052996/Partita_a_scacchi
 
1 Nel mio saggio Radici occidentali (2021) si veda la sezione intitolata Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1:
https://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html
 
2 Per approfondire rinvio qui (altra sezione di “Partita a scacchi”):
https://danilocaruso.blogspot.com/2022/05/scoperte-stellari.html
 
3 Nella mia pubblicazione Note di critica (2017) si trova una parte grazie a cui poter condurre approfondimento: Radici sumere di Ebraismo e capitalismo:
http://danilocaruso.blogspot.com/2017/11/radici-sumere-di-ebraismo-e-capitalismo.html