di DANILO CARUSO
Reputo che Hegel sia stato
prima che filosofo un raffinatissimo psicologo e sociologo. Nelle sue
riflessioni ha raccolto molte dinamiche dell’azione umana, le quali
montate assieme offrono la Verità cui mirava il suo sistema idealistico. Non si
tratta di contenuti fissati né tanto meno di figure (hegeliane) stabilite
definitivamente. La storia va avanti, e nel pensiero di ogni epoca c’è una
sorta di psicoterapia accanto alla ricerca scientifica, la quale dà risposta
alle esigenze spirituali del momento. In questo senso la conoscenza della
Verità è un sapere di tipo storico, poiché avviene tramite una conoscenza che
si prolunga nel tempo. Ma dietro questo palcoscenico della temporalità si
celano dinamiche soggettive e intersoggettive (psicologiche e sociologiche) che
ci conducono alla volta di un piano d’analisi astrattivo dove il mero fluire
del giorno si scioglie a guisa di neve al sole. Il mondo della psiche,
dell’inconscio (individuale e collettivo) apre le porte a una magmatica verità
atemporale di raccolta e di elaborazione immensa di dati di coscienza. È lo
junghiano inconscio collettivo, dove abitano gli archetipi, i quali sono
risultati di quest’attività di sottofondo psichico, i prodotti di mediazione
tra tensioni. Essi affiorano alla coscienza come simboli miranti
all’addomesticamento e alla stabilizzazione di agitati e irrequieti contenuti
sedimentati dietro all’archetipo che funge per noi da mediatore formale, e a
cui la fantasia appiccica una facciata di sicurezza (il simbolo appunto).
L’archetipo appare prodotto sintetico alla maniera hegeliana (risultato di una
dialettica di contrapposizione): è un razionale
positivo il simbolo nel suo ruolo di guida verso l’equilibrio. L’elemento
simbolico in mano alla coscienza diventa medium
negativo nel tentativo di calarci nel retrostante all’archetipo, e di
aggiustare ciò che non va nella vita quotidiana. Le figure della “Fenomenologia
dello Spirito” sono archetipi junghiani, sono modelli astratti di un’area
altrove simbolica indicante analoghi comportamenti umani: nuove epoche possono
presentare archetipi, simboli, figure nuove nel progresso di crescita dell’umanità.
Uno schema di psicologia evolutiva molto profondo è quello vichiano, il quale
distingue (partendo dalla singola natura dell’uomo) tre stadi di un meccanismo
storico progressivo, e ciclico nel suo impianto generale che si ripete lungo
una scala in salita e in direzione di una maturità più elevata. Vico chiama le
tre fasi età 1) degli dei, 2) degli eroi, 3) degli uomini. A ognuna corrisponde
una qualità precipua dell’evoluzione individuale (nella concezione vichiana la
società e la storia sono dimensioni di un corpus unico che cresce, allo stesso
modo di Hegel): 1) la fantasia, 2) il coraggio, 3) la razionalità. Il
presentarsi di archetipi junghiani si manifesta subito nella persona e
nell’intero genere umano giacché la fantasia è la prima attività. A questa
corrisponde uno stadio di ingenuità; di astrattezza tetica, se vogliamo dirla
con Hegel: è la condizione di natura rousseauiana, è lo status dell’anima bella
romantica. Detti ultimi due casi sono riproposizioni teoriche in un grado del
prospetto vichiano che si è già ripetuto. All’astrattezza segue un fuori-di-sé,
un prendere contatto, dominio della realtà esteriore in funzione di specchio
che restituisca l’immagine dell’uomo: il coraggio di intervenire nel mondo gli
riflette il suo ruolo (dialettica hegeliana signore-servo). Allorché il coraggio resta fermo all’esterno davanti
al razionale e assorbe i contenuti della sfera religiosa (di per sé di tendenza
pacifica) dell’età degli dei sorgono
fenomeni religiosi nocivi: nascita di religioni illiberali e persecuzioni.
L’attivismo protestante alla base del capitalismo (Weber) fornisce un ulteriore
esempio di simile insania, al pari del terrorismo di richiamo religioso. Questi
ultimi sono naturalmente collocati in fasi triadiche vichiane avanzate (puntualizzo
che non dobbiamo pensarle attribuite in maniera netta e omogenea nelle varie
vicende umane, similmente alle figure hegeliane e agli archetipi junghiani). La
religione traslatasi nell’età degli eroi rappresenta
un passaggio hegeliano negativo razionale.
Nella terna dello Spirito Assoluto (coscienza in sé e per sé, ossia piena e
completa) la religiosità ha il compito di medium
negativo, la religione armoniosa dell’età
degli dei era l’arte (specchio del continuum uomo-natura, di un’astrattezza
tetica che si perderà a mano a mano che gli esseri umani aggrediranno e
controlleranno la natura, con gran rimpianto di Rousseau). L’arte è un luogo
simbolico-archetipico junghiano: se l’età
degli eroi non guadagna quella degli
uomini, il blocco di fronte all’ingresso del razionale genera disturbi
psichici (i più vari: da quelli meno evidenti a un occhio comune, a quelli
purtroppo noti). Una manifestazione sociale positiva dell’era antica è stata
l’Olimpiade: evento sportivo e religioso (non il solo) in grado di fermare una
guerra. Fondeva bene l’età degli dei (arte,
religione, fantasia) ed età degli eroi (valore, intraprendenza, senso dell’onore), e una bella fetta di razionalità (età degli uomini), dato che aveva la
capacità di far sospendere un conflitto in nome di qualcosa di ideale
superiore all’ombra junghiana. Oggi
rischia di succedere il contrario. Hegel dice che la religione è un
fuori-di-sé, che è un quid intersoggettivo, liturgia sociale: ciò era
l’Olimpiade antica. Una religiosità che perde tale ethos e si trasforma in
nevrosi, impantanandosi davanti al sagrato della razionalità, senza entrare nel
razionale positivo hegeliano e nell’età degli uomini vichiana, contempla un
io in balia di pericolosissimi complessi. Le religioni vengono costruite di
miti, i quali ripropongono simboli rievocanti archetipi. Laddove ci sono
modelli comportamentali giudicabili illeciti c’è una religiosità malata:
pensiamo alla caccia e all’uccisione delle streghe. Le religioni sono favole
per adulti. Come le fiabe, relegate però all’età infantile, rispondono col loro
linguaggio simbolico a bisogni della psiche individuale o del corpus sociale.
Cosicché, ad esempio, nei contesti in cui prevale letale misoginia è lecito –
in senso relativo contingente – al nevrotico adottare tutta quella impalcatura
concettuale autorizzante e legittimante il disprezzo. Una lucreziana religio è
disturbo mentale. Certe forme (pseudo)religiose sono rappresentazioni di
disagio interiore. L’essere umano, la società che si elevano all’età degli
uomini, al terzo gradino dello Spirito Assoluto (la filosofia) hanno la
possibilità di osservare il mondo dall’alto (in basso). Tutto ciò non equivale
ad abolire la religione in senso marxista. Marx faceva notare cose in gran
parte sensate. Le religioni sono le filosofie degli ignoranti: di chi su larga
scala, purtroppo, è stato costretto a rimanere nell’ignoranza, e di a chi piace
questo huxleyano soma (rassicurante
sin quando il negativo della dialettica hegeliana in generale non si presenterà
sotto il suo naso). In relazione a elaborati come le favole Jung distingue uno spirito del tempo e uno spirito del profondo. Quest’ultimo fornisce il senso di una
fiaba elaborato nel sostrato inconscio collettivo: l’allegoria autentica di cui
lo spirito del tempo vede quanto gli occorre e quanto la sua abilità di lettura
gli consente. Riguardo allo spirito del
tempo gli uomini differiscono: ognuno vive secondo le sue abilità, e la più
diffusa connota l’epoca. La nostra era è quella di nevrotici di acculturazione
scadente: la perfetta irrazionalità sottratta di quel che basta al principio di realtà (vale a dire alla
conservazione di una società bestiale nella sostanza e ipocrita nell’apparenza
di ordine controllato). Uno spirito del
tempo legato a dei soggetti da educare meglio, da curare, va a pescare
simboli negativi, comportamenti distruttivi, in qualsiasi stagione. Lo scontro
violento cui assistiamo oggi vede contendenti due modelli di irrazionalità:
quella capitalistica occidentale e quella antipauperistica filoterzomondista.
Solo la ragione può salvare il mondo. La ratio non può essere offesa dal suo
interno: viene attaccata, limitata, isolata da fuori. Una qualsivoglia condotta
nevrotica, anche la meno percettibile, è il frutto di una privazione di
razionalità. Proviene dall’investire libido male nell’età degli eroi, nel fuori-di-sé dove si intreccia
l’intersoggettività mitico-liturgica. In un telaio di fili nevrotici in modo
molto difficile si possono tessere fili buoni. Ci vuole l’intervento di una vis
sana a supporto della ratio. Pensiamo al mito della biga alata del “Fedro”
platonico: la componente razionale umana (auriga) ha bisogno del cavallo bianco
(componente emotiva) allo scopo di dominare il cavallo nero (la parte
passionale, torbida, l’ombra junghiana).
La vichiana età degli uomini prospetta il punto di sanità nella vita dell’uomo
e dell’umanità: è costituito dal vertice della filosofia nell’hegeliano Spirito Assoluto, dall’archetipo dell’individuazione nella
psicologia junghiana. La libido (materia) si coniuga con la ragione (forma) in
un sapere liberatorio e in un libero agire creativo: essere e non avere, per
dirla con Fromm. Si comprende che alcuni esseri umani, disponendo della forza
opportuna, possono migliorare la realtà. Basta mettere ognuno al proprio posto
come nella repubblica platonica, dove la milizia a tutela dell’ordine e del
benessere è il braccio al servizio di un’aristocrazia intellettuale.
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Critica
dell’irrazionalismo occidentale”