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giovedì 26 aprile 2018

DE AMORE ET AMICITIA IN IUVENTUTE ET MATURITATE

di DANILO CARUSO

To love léghetai pollakόs: éros, storgé, filίa, agápe.


Quando avevo 26 anni nel 1999 ebbi la ventura di essere relatore in un convegno giovanile discutendo della “problematica antropologica dell’amore nei giovani”. Soffermarmi adesso a trattare l’argomento del rapporto fra amicizia e amore mi ha offerto l’opportunità di poter redigere una rinnovata riflessione abbracciando una gamma di analisi più vasta. Durante la mia maturità, da una posizione in campo psicologico a metà strada tra Freud e Adler, sono diventato junghiano. Reputo che un simile orientamento non sia facilmente conseguibile in un’età di studio molto giovane di propria iniziativa (giacché la prima gioventù è il periodo connotato da uno spiccato individualismo). Jung distingue due fasi generali possibili nell’esistenza umana: quella “naturale” e quella “culturale”. Siffatta ultima dovrebbe rappresentare agli occhi di ognuno il momento di una crescita spirituale grazie al guadagno di un punto di vista personale più maturo. In tale nuovo periodo della vita, il quale non ciascuno inaugura, tutte le esperienze del passato (da quelle pratiche a quelle intellettuali) ci appaiono sotto una nuova più intensa luce, la quale schiarisce quanto prima, nel corso dell’epoca naturale, poteva apparire oscuro o carico di un significato superficiale. Di certo non tutto il vissuto pregresso è avvolto da impenetrabili veli d’incomprensibilità. Ogni storia umana costituisce un caso a sé: rimane assodato però che la giovanile età naturale rappresenti un momento di acquisizioni, le quale poi, in un successivo periodo, dovrebbero essere sottoposte a riesame. Parlare di un tema abbastanza simile a quello da me affrontato parecchio tempo fa, apre interessanti spunti di confronto con allora. Una preliminare riflessione conduce a puntualizzare ancora che il periodo culturale non è alla portata di ciascuno nella veste di una consuetudinaria evoluzione della persona: non per niente Jung ha usato nel denominare detta fase un aggettivo denotante l’attività intellettuale. Solo soggetti dediti a questa pratica vi possono accedere; gli altri rimangono ancorati a topoi giovanili sino alla vecchiaia, poiché hanno chiuso la porta alla crescita spirituale rimanendo legati alla dimensione naturale. Tale ragionamento fa intuire come le idee di amore e di amicizia possano avere diversi contenuti a seconda dello stadio evolutivo individuale. È normale che da giovanissimi l’aspetto estetico nell’eros e quello cameratesco nella filia abbiano il sopravvento. Nessun ragazzo è un adulto maturo. L’esteriorità mantiene il predominio sin quando non interviene il pensiero, che riconduce l’Io in interiore homine, alla scoperta di quel percorso junghiano definito “processo di individuazione”. Amore e amicizia mirano sempre a costruire relazioni: il primo di carattere esclusivo, la seconda più articolate. Il lessico greco antico distingueva quattro piani semantici di loving: eros, storgé, filia, agape. Si tratta di una discriminazione concettuale più raffinata che distingue la copertura emotiva: dalla singolarità, alla dualità, alla particolarità, all’universalità. Con il termine amore mi riferirò all’eros greco, con amicizia all’altro di filia. Le altre due forme menzionate di amore, precisate meglio nella Grecità antica, riguardavano l’affetto verso i genitori e il dono gratuito di sé al prossimo. L’impostazione junghiana data a questa analisi accantona un poco tali ultime due sfumature. Nella visione psicoanalitica di Jung, all’interno di ogni psiche individuale si trova il complesso dell’Io (l’asse della coscienza soggettiva). L’Io ha di fronte a sé, nascosta, una controparte (di natura psichica) sessuale: è rappresentata da ciò, che a seconda dell’essere uomo o donna nella sede della coscienza individuale, Jung denomina “anima” o “animus”. Un eterosessuale avrà coincidenza fra l’Io e la sua natura fisiologica, per un omosessuale non sempre è così (comunque non essendo questo l’argomento da esaminare, poiché sono eterosessuale, proseguirò, precisando che non sono omofobo, da un’ottica di coppia formata da un uomo e una donna). Il processo di individuazione junghiano consiste nel prendere consapevolezza del messaggio che gli archetipi (modelli universali dell’inconscio collettivo transpersonale) dell’anima e dell’animus portano a beneficio dell’interiore equilibrio psichico della persona. Nella fase naturale della vita non si ha spontanea coscienza di siffatta dinamica, la quale per i più resta qualcosa di occulto. Molti si legano a partner o a degli amici assumendo criteri pragmatici vincolati a dettagli esteriori: l’attrazione fisica o l’utilità di una molteplice compagnia a fini di svago. Quest’eros e questa filia della gioventù possono essere leciti nella misura in cui non precludono l’evoluzione spirituale. Un ventenne è un soggetto naturale per disposizione strutturale; ma il fatto che un quarantenne non sia ancora culturale rappresenta un grave deficit personale. Il tempo serve allo scopo di maturare grazie alle esperienze e allo studio. E il vissuto dell’epoca naturale rappresenta una sorta di negativo razionale, dicendola con Hegel, da rimuovere e superare a vantaggio del positivo razionale. Le esperienze di amore e amicizia nei giovani sono cariche di una percezione di illusorio fatalismo: pensiamo al Werther goethiano come esempio di tale forma mentis. L’eros giovanile ha poco in comune con la filia: incalza l’aspetto sessuale in maniera esclusiva nei confronti di tutto. L’asciutta fulminazione estetica (imprinting) non è amore (in senso lato e spirituale): l’amore non è un incastro della Natura. Nella filia, dove il lato fisiologico si rivela meno rilevante, esiste più spazio per il logos. Logos ed eros nella fase naturale sono sbilanciati. Il circolo delle amicizie di un giovane funge da cassa di metabolizzazione erotica. La gioventù che si chiude nell’idolatria di un partner, senza frequentazioni parallele, è nevrotica. In siffatta degenerazione si priva del contatto logico, assente in un legame a due immaturo. Nei confronti di tutti i ragazzi sono importanti le amicizie, miranti a un apprendimento del buonsenso: e non è qui da trascurare il ruolo dei genitori. Sono gli adulti che devono aiutare i giovani. Però, in ogni caso, adulti che ne siano in grado. È scontato che soggetti naturali avanzati non possano essere molto di sostegno. Le idealità giovanili spesse volte finiscono infrante nella delusione: i naturali diventano ipocriti, mantengono bene o male le vecchie amicizie, possono separarsi dal partner e trovarne uno nuovo; i culturali invece entrano in un mondo nuovo. Eros e filia vengono rivoluzionati nella mente di queste personalità. La ontologica ricerca di un partner diventa prosecuzione del processo di individuazione. Anima e animus si proiettano su una persona reale in senso pieno. Dalla dimensione pulsionale erotica freudiana, l’eros si trasforma in qualcosa di più ampio (libido junghiana): l’epoca naturale (animale) viene superata. L’aspetto del congresso carnale non rimane unico momento qualificante. E dunque si scopre che la filia erotica col partner rappresenta il momento culminante del processo di individuazione junghiano. La coppia rappresenta un campo esclusivo di filia psichica. Tale è l’idea chiave del “Simposio” platonico, là illustrata nella versione omoerotica. La Paideia greca classica, in riduttiva maniera (mal tagliata), proponeva già un equilibrio fra logos ed eros. A questa materia è dedicato il celeberrimo dialogo di Platone (cui ho dedicato uno studio1). L’eros è un momento della filia. I soggetti naturali non l’hanno capito. La filia ingloba gli altri tre concetti greci antichi di loving. La filia migliore è quella che promuove l’individuazione junghiana: esclusiva, erotica. Non si parla ovviamente di un reciproco rapporto utilitaristico. Non è l’Io che conquista il partner, ma il partner che si consegna nelle braccia dell’altro Io (visto quale un’aristotelica causa finale). Questo è amore (agape completa in senso intensivo): non sussiste prigionia. Il partner è l’incarnazione reale dell’anima o dell’animus (vero partner e vero eros, parafrasando la teologia). In una coppia cementata da un’attrazione sentimentale ci sono due persone, ma una sola sostanza psichica (l’originario androgino; parlerei altresì di circuminsessione). In un altro dialogo platonico, il “Liside”, il filosofo ateniese descrive in modo aporetico la gamma concettuale dell’amicizia. Essa è alla base di un rapporto tra persone aventi delle cose in comune, le quali però d’altro canto possiedono altresì aspetti tali da costituire integrazione presso l’altro. Non esiste niente di più completo di quel campo psichico individuato (in accezione junghiana) sopra descritto, dove il maschile e il femminile si incontrano (non soltanto dietro una spinta fisiologica). Quasi tutti gli esseri umani purtroppo restano prigionieri della libido freudiana. Alla luce di tutti questi ragionamenti emerge dunque la difficoltà di cosa intendere in generale con i termini amore e amicizia. Simili categorie dello spirito umano assumono i possibili significati su descritti in base al contesto d’uso. Parafrasando Wittgenstein potremmo parlare di “giochi psicologici”. Il “Simposio”, il “Liside” descrivono scenari del genere. Un altro exemplum, di natura non limpida, bensì machiavellica, proviene invece dal “Laelius” ciceroniano. Un testo che in effetti costituisce un manifesto del pragmatismo umano (con risvolti politici). L’ipocrita solidarietà di specie proposta da Cicerone non bada alla sostanza interiore degli individui, ma ricerca un’utilitaristica vicinanza promossa da secondi fini materiali. In linea di massima, amori e amicizie consumistici non sono autentici perché durano sin quando c’è appagamento esteriore: quindi si capisce che l’apprezzamento non era della persona, ma dei suoi averi. I giovani sono perlopiù idealisti, e un simile utilitarismo è prerogativa di chi abbia ricevuto un’esplicita formazione spregevole. Presso gli adulti il modello della comitiva utilitaristica rimane più diffuso: si ritrovano quasi esclusivamente in circostanze dove c’è un soddisfacimento fisiologico di natura sessuale o alimentare (due note pulsioni freudiane). Stare assieme con uno sfondo intellettuale (in senso lato, opposto a bestiale) è una rarità, la cui assenza viene respinta persino dallo stesso Cicerone. Acta copulandi e mangiare assieme rappresentano mezzi (media amandi), non fini (amor mediorum). La modalità di esistenza della fase naturale, prorogata indebitamente avanti, adotta il metro di giudizio del “dare/avere”: i partner scelti con parametri economici ed estetici si possono cestinare; i genitori anziani possono trasformarsi in pesi da cui liberarsi; gli amici di scarsa solidarietà materiale rischiano l’emarginazione nell’oblio; a tutti gli altri spetta un possibile ruolo di fantasmi nella quotidianità. Machiavelli dichiarava di trovare autentici amici dentro i libri. Una solidarietà animale non ha molto di umano: pure le bestie mangiano e praticano un’attività sessuale. Se questi sono i fattori distintivi dell’amicizia e dell’amore al di là dello strutturale idealismo giovanile, l’essere umano diventa sul serio una scimmia nuda. Cosicché di molti si può dire che discendano dalle scimmie, di altri pochi che siano creature divine con una vocazione uranica. I sodalizi umani costruiti con eros, storgé, filia, agape del livello naturale sono consacrati all’instabilità, al disordine: specchio di instabilità e disordine interiori. Un individuo inoltrato nella fase culturale mira a un ordine, a una misura universali, sconosciuti in genere al meccanismo di relazionarsi del periodo naturale. Costui ambisce a un’utopia, a una sorta di repubblica platonica, dove l’equilibrio individuale sia modello da imitare nella vita dello Stato. Le lezioni platoniche a proposito di amicizia nel dialogo aporetico “Liside” e di eros nel “Convito” rimangono ancora attuali poiché la realtà non è riuscita a proporre di meglio, né tanto meno il pensiero filosofico. A questo punto sembra non solo curioso rileggere quel mio testo cui facevo cenno in apertura. Io stesso l’ho riletto (con piacere), a distanza di un ventennio, dopo essere giunto alla conclusione di queste annotazioni. Trasparirà dal confronto il passaggio dalla fase naturale a quella culturale: da Freud sono passato a Jung. L’ordine di priorità 1) eros, 2) filia comunque era già molto pregiudicato. Si rileverà in nuce il periodo culturale, dove eros e filia giacciono sullo stesso piano psichico (scisso in due livelli di importanza nella pregressa epoca naturale). Mi mancava allora lo studio della psicologia analitica, ma col tempo ci sono arrivato.



Dagli atti del convegno “Giovani insieme”, tenutosi il 10 luglio 1999, e pubblicati nel marzo del 2000.


La problematica antropologica dell’amore nei giovani d’oggi

di Danilo Caruso

Il tema che mi sono proposto di svilup­pare e analizzare potrà sembrare ir­rilevante ed eccessivamente romanticheggiante rispetto ad altri problemi ma­teriali e più pratici che quotidianamente vive la società industriale avanzata. Ma sono d’altro canto sicuro che se chiedessimo all’universo giovanile qual è il valore umano nel quale più crede, la risposta sarebbe l’amore nelle sue diverse sfaccettature. E poiché una società veramente civile fatta dagli uomini non può che fon­darsi su valori spirituali non transeunti, ho deciso di discutere della condizione giovanile nel suo ideale più nobile, che come tutti gli altri ideali si scontra con la realtà.
Un primo approccio al tema ci mo­stra come l’amore venga vissuto sotto due prospettive da parte dei giovani: una mistica e ideale, l’altra conformistica e pratica.
Se è vero che l’uomo non dovrebbe vivere in funzione di qualcosa, non è falso che potrebbe vivere in funzione di un’altra persona. Quest’ultimo aspetto è ciò con cui il mondo giovanile si imbatte in ogni tempo, e non sembri problema di poco conto: è una questione che potrebbe valere una vita intera. La famiglia è un istituto naturale – affermazione che va da Aristotele alle Sacre Scritture – ed è quindi scontato aspettarsi che i giovani abbiano la volontà di costituirne prima o poi una: sia lo scopo quello proclamato dalla Chiesa di avere figli, sia quello di stare insieme.
Il contrasto sopra accennato, tra realtà e idealità, sorge non appena i giovanissimi accorgendosi in maniera diver­sa di una persona dell’altro sesso devono fare i conti con i conformismi societari. La società ha in passato prima impedito, come onnipresente Leviatano, con i suoi pregiudizi di casta che i giovani si incontrassero liberamente – ora in un generale livellamento sociale i pregiudizi o scompaiono o sono meno evidenti –, poi li ha resi atomi vaganti nel vuoto privi dei mez­zi aggregativi. Non è un mistero che la mancanza di lavoro, come ricordava Giovanni Paolo II, rappresenti un ostacolo insormontabile di fronte al progetto di creare una famiglia.
Queste difficoltà, sin qui brevemente richiamate, non sono le uniche, e forse le più incalzanti che i ragazzi incontrano: ai problemi esteriori e ambientali si oppone un parco di problemi interiori che ogni adolescente affronta. Il passaggio all’età adulta e alla maturità sessuale è un’impresa.
Platone nel suo dialogo intitolato Simposio fa raccontare al commedio­grafo Aristofane un mito.
In origine la specie umana era formata da individui uniti a coppia per le spalle formanti un unico essere: questi avevano tutti i caratteri somatici raddoppiati. Poiché sfidarono gli dei, Zeus per punizione li segò in due e Apollo torse il loro volto dalla parte del taglio. «Orbene, poiché la creatura umana fu divisa in due, ciascuna metà presa dal desiderio dell’altra, le andava incontro, e gettandole le braccia intorno e avviticchiandosi scambievolmente, nella brama di rinsaldarsi in un unico corpo, morivano di fame e d’inerzia». Zeus mosso a compassione trasportò i loro organi sessuali sul davan­ti, «in questo modo rese possibile la gene­razione fra loro, per mezzo del maschio nella femmina, con questo fine, che nell’amplesso, ove un maschio s’incontrasse in una femmina, generassero e si perpetuasse la specie. [...] Ognu­no di noi, in conclusione, è una contro­marca d’uomo, in quanto che è tagliato come le sogliole, è due di uno; e perciò cerca sempre la propria contromarca».
Quando l’adolescente risveglia questo desiderio e scopre l’attrazione sessuale, è già iniziata una fase di mutamenti somatici che si accompagnano a quelli psichici.
È l’età delle infatuazioni, dove domina l’interesse verso l’altro sesso. Gli innamoramenti giovanili hanno una dinamica che rifiuta la casualità a loro imputata. I canoni estetici si formano nei primissimi anni di vita sulla base delle esperienze di quel periodo. In un certo qual modo successivamente non si è libe­ri di scegliere chi ci piacerà. A questa preformazione di modelli segue nell’età della maturazione il fenomeno dell’imprinting (dal verbo inglese imprint: stampare, imprimere): quasi tutti i giovani vengono colpiti come dal bagliore di una folgore da chi mette in azione quelle categorie di piacimento. Accade qualcosa di analogo nei neonati degli animali che vanno appresso al primo che vedono. Ma l’uomo non è un animale, perché a differenza di questo appercepisce. Il fatto di avere una coscienza lo rende un essere morale, il che significa che nei momenti di crescita è opportuna una adeguata preparazione al futuro. Il contagio venereo dell’AIDS, il misconoscimento dei metodi contraccetti­vi – che causano effetti non tenuti prima inconsapevolmente nel debito conto – vanno a braccetto con l’ignoranza.
Il sistema sociale per la sua natura commerciale e le sue finalità economiche contribuisce a confondere le idee dei ragazzi, considerandoli esseri asessuati e snaturando le loro peculiarità.
La Scrittura in Genesi ci racconta: «Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”». Quindi creò da una costola di Adamo la donna: «per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e i due saranno una sola carne».
Il progetto divino e il fine di un felice stare insieme non vengono agevolati. La psicoanalisi freudiana denomina l’energia della psiche che anima la pulsione sessuale libido. La libido, che spinge verso un altro polo umano, come nel mito platonico, viene repressa. I giovani divengono automi, vittime degli effetti collaterali del sistema. Sono isolati in compartimenti quasi a tenuta stagna, dove alimentarsi di surrogati di diversa natura. La nostra società scoraggia la capacità di emozionarsi e di nutrire liberi sentimenti. La fame di emozioni viene soddisfatta con pensieri inculcati dall’esterno. Ma così facendo il giovane non attua il proprio essere. Egli deve riconoscersi in un’altra metà secondo lo spirito dell’amore-identificazione che nasce dalla sintonia di un dialogo in cui l’aspetto sessuale è mezzo e non fine.
L’incontro tra i ragazzi sulla base di status symbol non è autentico, perché è un’attrazione imperniata su aspetti contingenti e finti: si ama qualcuno per quel che è, non per quel che ha. L’amore è un incontro di anime, non di scarpe o di jeans. Nel gioco degli accoppiamenti una comunicazione di tal genere ha pur sempre un suo ruolo, purché ciò non diventi momento esclusivo del piacere che sca­turisce dallo stare assieme. L’aumento del fenomeno dei single testimonia la frantumazione dei valori. Cresce la sfiducia sull’autenticità degli altri.
Nei giovani l’attrazione reciproca spinge alla formazione della coppia sotto l’egida del binomio sessualità/amore: I’actus copulandi è caratteristica di una amicizia particolare. Questo binomio è l’anima dei giovani, ma anche il manifesto della loro crisi data dal fatto di gestire i due momenti in maniera disarmonica e disordinata.
Ciò ha come conseguenza un vasto corollario di fenomeni patologici: anoressia, bulimia, droga, fumo, alcool, solitudine, malattia, suicidio. Il disagio sconfigge l’amore ideale eterno, fatto di parole sussurrate, baci e abbracci. Alla spontaneità vengono prediletti la finzione e inutili or­pelli, quasi fossero pezzi della carrozzeria di un’automobile. A questo punto voglio raggruppare gli spunti di questa piccola e non certamente esaustiva analisi della problematica dell’amore nei giovani in una cornice, nell’allegoria fornita dalla tragedia di Romeo e Giulietta – tragedia dei giovani e del loro amore – i quali han­no vissuto il conflitto fra reale e ideale.
Mentre Romeo si trova sotto il bal­cone di Giulietta, ella sussurra: «O Romeo, Romeo, ma perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre, rinuncia al tuo nome; e se non vuoi farlo, basta che tu giuri d’essere il mio amore perché io non sia più una Capuleti». Al che Romeo risponde: «Ti prendo in parola: chiamami “amo­re” e sarò ribattezzato. Da questo istante non sarò più Romeo».
È un drammatico paradosso: rinnegare se stessi per essere veramente se stessi.
Nella società del benessere tecnologico i giovani vivono la difficoltà di ama­re perché soffrono una crisi di identità: non sanno chi sono, dove vanno e cosa vogliono.
Se smarriranno la capacità di amare – quella potenza divina che sorregge l’esistenza – tutto questo potrebbe essere l’anticamera della barbarie.
Per questo motivo spetta a loro stessi il compito di realizzare la più grande e la più nobile delle imprese: risanare la frattura fra il mondo delle idee e il mondo dei fenomeni.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Percorsi di analisi umanistiche (2018)”.
http://www.academia.edu/37182356/Percorsi_di_analisi_umanistiche

1 “Eros e la libido junghiana nel Simposio” all’interno del mio saggio “Note di critica (2017)”.


Bibliografia dei brani citati

Platone, Simposio – Il dialogo dell’Eros, BIT 1995
La Sacra Bibbia, CEI 1984
William Shakespeare, Romeo e Giulietta, Newton 1993