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sabato 2 giugno 2018

HEGEL E JUNG: DIALETTICA E INDIVIDUAZIONE

di DANILO CARUSO

Carl Gustav Jung è stato un grande studioso di psicologia. In origine allievo e amico di Freud, si distaccò da quella visione positivista e materialista della psiche umana che ragionava in termini di una fisiologia naturalistica. Il pensiero junghiano intraprese dunque una strada radicalmente diversa, inoltrandosi in un opposto ambito spiritualista. La visione metafisica junghiana si sviluppa lungo matrici filosofiche (non esclusive). Schopenhauer fu per tutti il vero padre della psicologia moderna: da lui deriva il concetto di “libido”, poi ripreso in vari modi (voluntas). Jung è stato colui che meglio ha valorizzato e sviluppato tale radice di riflessione, sulla quale nel corso dell’elaborazione delle sue analisi ha innestato innovativi spunti di originalità. Nelle mie riflessioni sopra i meccanismi della dialettica hegeliana e del “processo di individuazione” junghiano ho avuto modo di notare delle somiglianze. Nella psicologia analitica di Jung si parla di questo particolare iter di ampliamento coscienziale, consistente nell’allargamento della visione da parte dell’Io nei confronti dell’interiore sistema psichico personale. A ciascun Io di ogni psiche singolare, nel sistema junghiano, fa da contraltare una parte interna inconscia di carattere sessuale opposto: se uomo, “anima”; se donna, “animus”. Lo scopo del cammino individuante è quello di guadagnare la consapevolezza della personale controparte psichica, allo scopo di creare un assetto interiore equilibrato. Scavalcando quei due archetipi, uomini e donne dovrebbero rispettivamente raggiungerne altri due costituenti una meta dell’individuazione: l’archetipo della “vecchio saggio” e quello di “Madre Natura”. Jung ha spiegato l’esistenza di un impersonale inconscio universale, cumulativo di tutte le esperienze umane, e distinto da quello singolo di ognuno. Tale inconscio assoluto elabora dei modelli comportamentali proponendoli attraverso esempi simbolici a ogni essere umano: gli archetipi si esprimono mediante i simboli. Nel processo di individuazione, e durante tutta l’esistenza personale, l’inconscio collettivo incalza il singolo. Una tappa intermedia rispetto all’individuazione finale viene rappresentata dall’esperienza della “personalità mana”, allorché la psichica controparte sessuale apra a una sorta di magico invasamento. Come fossero porte, “anima” e “animus”, caduti nell’orbita coscienziale, aprono a uno speciale collegamento con l’inconscio impersonale. Il possesso del mana rende il detentore un soggetto dotato di poteri speciali, sovrannaturali agli occhi degli altri (la veggente, il mago, la personalità dominante). Per inciso: la psicologia junghiana indica col nome di “ombra” il lato oscuro negativo di qualsiasi livello psichico. L’iter individuante portato alla luce dallo studioso svizzero presenta delle analogie con lo schema triadico della dialettica hegeliana. Nel sistema idealistico di Hegel l’Assoluto segue un preciso percorso programmatico in ogni momento e dettaglio. Ciascun ente particolare (e lo stesso Assoluto in origine) si pone nella veste di qualcosa di astratto, di “in sé”, il quale mira alla volta di una maturazione, di un perfezionamento. Questo darsi di un ente (momento tetico) equivale a un negarsi a un’infinità di possibilità e a rovesciarsi in un’alterità di un secondo passaggio di sviluppo: l’antitesi del “negativo razionale”, del “fuori di sé”. L’Assoluto, dalla dimensione logica, passa all’oggettivazione nella Natura, per tornare infine “in sé e per sé” nello Spirito (dove si riconosce attraverso le manifestazioni più elevate della civiltà umana). In simile ultima tappa si chiude il ciclo, anche rispetto allo schema generico della dialettica hegeliana, nel “positivo razionale”. Le suddette esposizioni sintetiche della “processo di individuazione” e della dialettica hegeliana possono essere sovrapposte al fine di evidenziare le tangenze concettuali di Jung di marca hegeliana. Il complesso dell’Io, potenziale in relazione al processo di individuazione, è un soggetto tetico astratto nella propria psiche. Se entra in atto, a proposito dell’iter junghiano, questo nella fase di apertura offerta dalla controparte psichica sessuale (anima o animus) attraverserà una fase di esperienza paragonabile al “fuori di sé” hegeliano. E così, a un livello più alto, nel corso del possibile invasamento del mana. Il rientro “in sé” contemplato nella dialettica di Hegel equivarrebbe all’individuazione di Jung, dove nel parco psichico personale, il complesso dell’Io avrà guadagnato una visione più nitida di ciò che gli stava intorno e interno. I contributi tratti da Jung presso il pensiero filosofico, oltre che al periodo a lui immediatamente vicino, possono farsi risalire anche alla filosofia greca. Nell’idea di formazione dell’archetipo (all’interno dell’inconscio collettivo) agisce un principio aristotelico: l’ideale del raggiungimento, in ambito pratico, di una medietà che superi degli eccessi. L’archetipo (rappresentante un punto di equilibrio) è un sostanziale equivalente psicologico del “giusto mezzo”. Poi non è neanche da trascurare il fatto che gli archetipi costituiscano degli universali libidici, paralleli a quelli logici platonici (le Idee). Notiamo, alla fine, che la filosofia ha fornito interessanti e utili spunti alla formazione del pensiero junghiano.


NOTA

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Percorsi di analisi umanistiche (2018)”.
http://www.academia.edu/37182356/Percorsi_di_analisi_umanistiche