di DANILO CARUSO
Il romanzo utopico negativo
più famoso riguardante la religione cristiana è “Il racconto dell’ancella” di
Margaret Atwood (da cui ha tratto ispirazione una serie televisiva giunta alla
terza stagione). Nel 2018 è uscita una distopia letteraria del genere, opera
della scrittrice Christina Dalcher, dal titolo “VOX”. Ho letto il romanzo, su cui
esprimo un giudizio positivo: prima o poi, credo, ne trarranno un film (o una
serie). Descriverò l’ambiente sociale instauratosi nello scenario del testo, collocato
negli USA contemporanei, dove un movimento integralista cristiano è riuscito a
raggiungere i vertici del potere politico. Vittime designate del nuovo assetto
le donne, a causa dell’applicazione del discriminatorio spirito paolino. La
subordinazione femminile prospettata da parte di Paolo di Tarso nel Nuovo
Testamento, in tal caso in linea col Vecchio, produce una serie di particolari
provvedimenti. Innanzitutto le donne vengono estromesse da tutte le attività
lavorative non casalinghe; a loro si prospetta una condizione di minorità
giuridica in virtù della quale debbono avere un “capo”, un responsabile; possono
scegliere tra due futuri: essere destinate a svolgere mansioni di meretricio in
appositi locali, oppure sposarsi e occuparsi della famiglia. Sessualità
rigorosamente agostiniana: tutto ciò che non è ordinato alla procreazione viene
rigorosamente condannato, da varie pratiche eterosessuali sino all’omosessualità.
I gay vengono internati in campi di concentramento e inseriti in celle a coppie
etero, a scopo rieducativo. Ma la misura più tecnologicamente avanzata, che
ispira il titolo del libro, è un braccialetto fisso al polso delle donne il
quale consente a loro di poter dire solo 100 parole al giorno: in caso di
infrazione si mette in moto un meccanismo eventualmente progressivo di scariche
elettriche (alla fine mortale). A chi sembra simile scenario un futuro
possibile negativo parto di una fantasia diabolica o malata, suggerisco di documentarsi
sulle tecniche di tortura e di morte adottate dalle varie inquisizioni
cristiane nei secoli scorsi. L’ignoranza o la distanza temporale non cancellano
quei crimini contro l’umanità a danno di donne e uomini: streghe, eretici,
omosessuali, non cristiani (il loro numero, imprecisato, va comunque valutato
in termini di percentuale rispetto ai bassi valori demografici delle loro
epoche, non in assoluto: allora non c’era molta gente in giro). Buttando la
storia nel dimenticatoio, si può dire per assurdo ad esempio che tra cinque
secoli non si parlerà più di Shoah: tanto sarà acqua passata, errori umani di
chissà quando. Mentre a me pare che ci sia il rischio che dalla fogna della
storia riemergano proprio quelle cose sommerse e dimenticate, in un vichiano
possibile ricorso di ciò che non è stato materia di catarsi lucida attraverso
la conoscenza. Nell’opera dalcheriana non mancano prassi di mortificazione e
maltrattamento: alle donne ree vengono rasati i capelli al fine di produrre
segmenti televisivi informativi in cui vengono mostrate, e quelle condannate
definitivamente finiscono ai lavori forzati con braccialetti al polso sinistro
che impediscono di parlare completamente (pena una pesante scarica elettrica).
Oggigiorno le distopie hanno preso il luogo della catartica tragedia greca
antica, nell’auspicio che nella mente del fruitore generico maturi un’idea
particolare di monito nell’agire, sia singolo che sociale. Qualcosa di simile
traspare anche dal genere fantasy, basti pensare al significato profondo di
opere come “Il Signore degli Anelli” di Tolkien. Nel 2019 si è conclusa la
serie televisiva de “Il trono di spade”, la quale ha tratto spunto da un ciclo
di romanzi di George Martin, un ciclo tuttora in itinere, di cui ignoriamo il
finale (che la serie in TV dal canto suo ha avuto dopo 73 puntate e otto
stagioni). Mi limiterò a parlare della sola versione sceneggiata sul ciclo
martiniano intitolato “Le Cronache del ghiaccio e del fuoco”. Vorrei indicare
alcuni concetti junghiani non di rado presenti nei fantasy, sia scritti che
messi in scena per la televisione o il cinema. Un primo aspetto generale che si
nota nel nostro caso è il contrasto fra le inclinazioni deteriori umane
(“ombra”) e gli archetipi guida sani (“il saggio”, “la madre”). Alcuni protagonisti
sono combattuti interiormente e oscillano fra i due poli. A Tyrion Lannister,
più volte primo cavaliere della corona (primo ministro, per dirla in termini
non fantasy), viene concesso di raggiungere una saggezza archetipica.
Diversamente dal fratello Jaime, il quale alla fine, nonostante progressi di
responsabilità comportamentale, morirà con la sorella Cersei (con la quale
teneva un’incestuosa relazione, da cui erano nati due re, presunti figli di un
altro sovrano precedente: ecco un particolare tema di attinenza psicanalitica).
Argomento molto junghiano è quello inerente alla “personalità mana”, cioè alla
figura di chi esercita un potere “sovrannaturale”, di fronte agli altri esseri
umani, in virtù di un legame privilegiato con l’inconscio collettivo. Qui
finiranno per urtarsi due protagonisti: Daenerys Targaryen e Brandon Stark (“lo
spezzato”, rimasto paralizzato alle gambe per opera di Jaime Lannister). Questi
due rappresentano i due archetipi all’inizio ricordati: Madre Natura e vecchio
saggio. Non per niente Daenerys è “madre” dei draghi, e ha facoltà da
“personalità mana”, similmente a Brandon (Bran), ma in modo diverso. Infatti
quest’ultimo, il “corvo con tre occhi”, possiede un mana di altra sostanza con
poteri di veggenza, mentre la prima è una condottiera carismatica. Nel finale
della serie televisiva Daenerys, dopo la presa di Approdo del re, viene uccisa
a causa dei suoi eccessi distruttivi, vale a dire di una sua propensione in
direzione dell’“ombra”, e Bran “lo spezzato” salirà al trono. L’ambito sedile
materiale costruito con spade fuse assieme è stato distrutto da un drago subito
dopo la morte di Daenerys: la meta dell’“ombra”, il potere politico, subisce
una catarsi nella forma della sua assunzione non solo in maniera allegorica
poiché il titolo di re finirà appunto a Bran, personificazione dell’archetipo
del saggio. Il deragliamento della madre dei draghi alla volta di un
comportamento non assennato, sarà il motivo del suo fallimento conclusivo;
benché il di lei mana si sia schierato contro l’esercito degli “estranei”
(zombi invasori), significativa rappresentazione generale e impersonale
dell’“ombra” junghiana.