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lunedì 1 settembre 2014

IL DIO DEL TANAK NON È SOLO

di DANILO CARUSO

Indagando la fondazione e gli sviluppi della religione giudaica non si può fare a meno di tener presente la sua nascita dall’atonismo, il quale nell’Egitto del XIV sec. a.C. fu la prima dottrina teologica occidentale di un Dio universale (seppure venata di toni panteistici e in un regime ancora enoteistico). Le vicende del cosiddetto esodo degli Ebrei risalgono al secolo successivo, quando bandito l’eretico pensiero del faraone mistico Akenaton dal ritorno allo status quo, ai seguaci della sua dottrina non restò altro che cercare migliore sorte altrove ad ortum solis. Così Aton, nell’inserirsi in un contesto nuovo, fu sottoposto a un articolato processo intellettuale di adattamento, all’inizio di cui gli si sovrappose la figura esteriore di YHWH. Per inciso, riguardo al tetragramma, poiché la vocalizzazione masoretica non è univoca ed è frutto di un convenire non inerente alla corretta pronunzia del nome, chiarisco che lo riporterò da qui com’era nell’originario ebraico senza vocali: da varie fonti antiche siamo informati che YHWH suonasse qualcosa come “Iao”; nell’Ottocento Wilhelm Gesenius lo traslitterò vocalizzato in “Yahwèh” (lettura al momento di maggior successo). 
L’Ebraismo è sorto dall’incontro di due componenti: una egizio-atonista, emigrata dalla propria patria verso oriente alla ricerca della terra promessa, e una asiatica incontrata, incorporata e integratasi nel nascente gruppo etnico.
Questo processo di fusione di due schemi culturali mediò verso il basso, alla volta dell’imbarbarimento di un modello di società più progredito qual era quello egiziano. A testimonianza di questa duplice radice Israele assunse due padri: uno biologico, il Caldeo Abramo (soggiornato in Egitto), e uno spirituale, Mosè (nato in Egitto e formatosi alla corte del faraone). Dietro i teonimi Adon e Adonai si cela Aton (di cui Adon è variante diretta del nome).
La denominazione Elohiym del Dio ebraico invece potrebbe apparire nel Tanak masoretico superficialmente non chiara. Tale nome ha morfologia plurale (come testimonia la terminazione in -iym), il suo singolare è “Eloah” (rimasto nel giudaismo un appellativo divino). Le concordanze di tale termine all’interno dei testi biblici sono diverse. Elohiym in alcuni contesti designa dei (altri) ed è da volgere al plurale letterale, il singolare generico diventa “el” (dio, ma attenti parola riferita anche a YHWH Elohiym). Eloah è pur sempre usato in tal accezione generale, come ad esempio in Sal 18, 28-32 dove compaiono tre tipi di singolare differenti che indicano Dio; è Davide a parlare: «… YHWH mio Elohiym… per mezzo del mio Elohiym… Lo El (ha-El), la via di Lui… la parola di YHWH… Chi è Eloah [divinità suprema] all’infuori di YHWH e chi è roccia a eccezione del nostro Elohiym… Lo El (ha-El) me gingente abitualmente di forza…». O in Sal 114,7: «Alla presenza di Adon, trema terra, davanti all’Eloah di Giacobbe». Ecco alcuni casi in cui elohiym è traducibile al plurale: Gn 3,5 in cui compaiono un uso al singolare, «yodea (participio maschile singolare, qal) Elohiym… (Dio è uno che sa…)», e uno seguente al plurale «k-elohiym yodeey (participio costrutto maschile plurale, qal)… (come dei conoscitori di…)»; Es 12,12 (notevole perché è utilizzato il nome YHWH a parte); Es 20,3 che parla di «elohiym acherim (altri)»; Es 32,4 che concorda nel testo masoretico un dimostrativo al plurale (elleh eloey-ka); Es 32,23 che fa dire dagli Ebrei ad Aronne: «Che tu faccia elohiym che vadano (ieleku, 3a persona maschile plurale dell’imperfetto qal) di fronte a noi». 2 Cr 32,15 mette in bocca al re assiro Sennacherib un’interessante varietà di nomi e di usi: «Chi tra ognuno degli elohiym (be-kol-elohey, preposizione prefissa+nome maschile singolare costrutto+nome maschile plurale) delle nazioni… poiché nessun eloah (kiy-lo… kol-eloah) di nessuna nazione… per il fatto che il vostro elohiym (elohey-kem)».
La polivalenza semantica del termine indica la qualità del “complesso divino”: la sua estensione, ripartita fra «elohiym acherim», viene superata nel tempo dall’intensione del Dio giudaico (e poi cristiano). Perciò in senso diacronico l’estensione di questo concetto, da plurale e ripartita, in questa teologia procede verso l’assorbimento (sussunzione) degli “el”, finendo col restare individuata da un nome plurale (dato dalla pratica linguistica), però sotto il profilo del numero divenendo più compatta sino all’unità e all’unicità (teologica). Ad esempio il concorrente Baal, definito come uno che cavalca le nubi (lo stesso vedasi di YHWH in Dt 33,26 e Sal 68,5), fu, in un secondo momento, con violenza sui suoi sostenitori, sconfitto, cancellato e sussunto. Rilevante 1 Re 18,20-40 il quale narra la sfida, tutta dentro a Israele, lanciata da Elia ai profeti di Baal (e di Asherah) allo scopo di verificare chi tra questo e YHWH sia «l’Elohiym (18,24: ha-Elohiym, usato ben due volte, la prima in senso generale ristretto, la seconda in senso specifico puntuale)»: nella gara al miracolo «l’Elohiym [tra YHWH e Baal] che risponderà mediante il fuoco sarà divenuto l’Elohiym». Elia disse che la sua invocazione sarebbe stata attraverso il nome di YHWH, mentre ai rivali prima aveva esclamato (18,24): «Voi avrete invocato per mezzo del nome dell’Elohiym vostro (elohey-kem)… ». In seguito li sbeffeggiò affermando che Baal è “un elohiym” (sono presenti nel testo più riferimenti al singolare) impegnato in altre faccende (18,27). L’essere “Elohiym” appare distinto dall’essere “YHWH” o “Baal”, appare una qualifica e un’attribuzione, che celano nonostante tutto uno sfondo semantico di pluralità se così Elia si esprime in 1,36-37: «YHWH, Elohiym di Abramo, di Isacco, e di Giacobbe, in questo giorno sia noto che tu sei Elohiym in Israele… Conosca questa gente che tu YHWH sei l’Elohiym (ha-Elohiym)… ».
Il termine Elohiym sembra additare il Dio di appartenenza (etnica) e Baal può qualificarsi tale in questo scontro interno. Baal era stato un titolo zonale dato a divinità i cui seguaci si radicavano in maniera stabile in una zona. I baaliym furono diversi, e tra di loro lo stesso YHWH. Ben vedendo emerge la natura del monoteismo nazionale ebraico, il quale inquadrato inter nationes, inter gentes, diventa un enoteismo. Dalla Genesi si procede semanticamente a ritroso: dal punto di arrivo, dall’Elohiym uno che sistema l’universo, alle sfaccettature e al significato in principio plurale della parola. Gli Ebrei, in seguito alla teologica scrematura estensiva, chiamano Elohiym il solo loro Dio, ma a livello di linguaggio designano con la stessa parola anche altri dei. Apprezzabile questo brano di Genesi (35,1-7) che smonta, seziona la copertura semantica dei significati di Elohiym (il teonimo riferendosi a Dio concorda verbi al singolare e al plurale, il quale Dio è in aggiunta indicato dal nome “El”): «Elohiym disse a Giacobbe: “… Costruirai un altare al Dio (la-El) che era apparso a te durante la tua fuga da tuo fratello Esaù”. Giacobbe disse…: “Che facciate portar via gli elohiym (et-elohey, sostantivo costrutto) dello straniero… Farò là [a Betel] un altare al Dio (la-El)  che rispose a me…”… Diedero a Giacobbe tutti gli elohiym  (et kol-elohey, aggettivo+sostantivo costrutto) dello straniero… [Giacobbe] costruì lì un altare e chiamò quel posto El Beyt-El per il fatto che là gli Elohiym (ha-Elohiym) si erano rivelati (niglu, 3a persona plurale del perfetto nifal) a lui». Elohiym, al singolare e da solo, si alterna a tratti nei testi di Genesi al binomio «YHWH Elohiym» il quale compare la prima volta in Gn 2,4 (dopo aver completato il creato nel settimo giorno): l’espediente del binomio vuol mediare la religiosità di quella parte di provenienza non egizia, bensì vicinorientale, dell’ibrido gruppo etnico ebreo, da cui la figura di YHWH provenne (uno Yaw era figlio del dio semitico Baal e della compagna Asherah).
La tradizione elohista, filoegizia, è il collante di tutto, è più forte e più robusta di quella jahvista, che ha una dialettica di costruzione marcatamente più policentrica. In Gs 24,19 è spiegata la difficoltà di scegliere YHWH: «… Poiché gli elohiym [intesi tutti, YHWH compreso] sono da rispettare (qedoshiym, aggettivo maschile plurale predicato nominale della causale e non attributo), Egli [YHWH] è un Dio geloso (hu El-qanno, sequenza di termini tutta al maschile singolare)… ». La subordinata qui chiarisce il motivo della gelosia (geloso di chi? Degli altri elohiym) e mostra un sostrato di politeismo. D’altronde questo humus è reso noto in Gdc 2,11-13 laddove si afferma che gli Ebrei a YHWH preferivano i baaliym, diversi elohiym dei popoli circostanti, trasformandosi in adoratori di Baal e delle ashtarot (divinità femminili). Leggendo questo brano da Dt 32,3-21 – in cui parla Mosè – si nota che YHWH appare un El nella moltitudine, ancora distinguibile da Elyon (il quale gli è stato saldato sopra), e inoltre è chiamato Eloah: «… Proclamo il nome di YHWH, assegnate grandezza al nostro Elohiym (le-lohey-nu)… un Dio (El) di fedeltà… Nel far dare il possesso delle nazioni l’Altissimo (Elyon) fece fissare i confini… la parte di YHWH è il suo popolo, Giacobbe è il gruppo del suo possesso ereditario (chebel nachalat-o)… YHWH in solitudine lo fece guidare e con esso [popolo d’Israele] non era nessun el dello straniero… [Israele] ha abbandonato Eloah… Lo [a YHWH] fecero diventare geloso a causa di stranieri (be-zariym)… Loro sacrificarono a demoni (la-shediym) non essenti Eloah, i quali erano elohiym che non conoscevano… Hai dimenticato lo El che ti ha partorito (mecholele-ka, participio maschile singolare costrutto, polel)… YHWH vedeva… [parla adesso YHWH citato da Mosè]… Mi resero di solito geloso grazie a non el (be-lo-el)…». Qui è il caso di aggiungere che Elyon è il medesimo El di cui Melchisedek – incontrato da Abramo ritornato dall’Egitto – era sacerdote (Gn 14,18-19): «El Elyon possessore (qoneh: participio maschile singolare costrutto, qal) dei cieli e della terra». E in quella circostanza da Abramo subito associato a YHWH: «YHWH El Elyon possessore dei cieli e della terra (Gn 14,22)». Evidente è l’impressione che nell’esprimere il concetto del “divino” si parta da una pluralità di fondo (come sembra anche in Gn 1,26) di cui il nome Elohiym in taluni casi denota una puntualizzazione astraente (non solo nella forma singolare). È difficile stabilire la natura di questo “collegio divino”, tuttavia la stessa Gn (1,27) dà uno spunto laddove dice «l’adam» creato «attraverso (be-, preposizione prefissa locativa e strumentale) la sua immagine (-tsalm-o)… maschio e femmina»: potrebbe intendersi Elohiym, in queste circostanze, come “coppia divina primordiale dei principi maschile e femminile” più o meno differenziata nella sostanza interna a seconda del taglio speculativo che si voglia dare o dello stadio cronologico di sviluppo del testo (qua, ad esempio, c’è un correlarsi nel numero singolare).
Nella seconda metà degli anni ’70 nel Sinai settentrionale furono trovati dei reperti a Kuntillet Ajrud risalenti all’VIII sec. a.C. con epigrafi le quali parlano di YHWH legandolo territorialmente, ma soprattutto presentandolo – nonostante prospettive interpretative divergenti – in coppia con la dea Asherah (o figura mitologica personificata od oggetto sacro): YHWH e la sua Asherah. È possibile a livello popolare girasse un un culto di coppia sul tipo “Baal/Asherah”. Alcuni passi veterotestamentari menzionano un’origine sinaitica di YHWH (Dt 33,2) e una meridionale di Eloah (Ab 3,3). Sebbene il concetto di Elohiym avesse consentito a YHWH di assorbire altri el e relative funzioni – tra loro dei egizi, il cui portato nella cosmogonia della Genesi è fondamentale –, Egli rimase agli occhi degli Ebrei un Dio nazionale, al quale riconoscevano il primato assoluto, che però al proprio esterno ammetteva l’esistenza e la pluralità di el a Lui inferiori. Una visione enoteistica palese nella terminologia di Dn 11,36-38: «Il re [Antioco IV Epifane]… si magnificherà sopra ogni el e sopra lo El degli elohiym… E non distinguerà sopra gli elohiym dei suoi padri… e nessun Eloah… E all’Eloah delle fortezze farà dare onore, Eloah che i suoi padri non conoscevano…». Adesso siamo nelle migliori condizioni per capire cosa vuol dire, e come tradurre in conformità al sistema grammaticale e semantico ebraico, un versetto molto noto del Vecchio Testamento, Dt 6,4: «Shema Yisrael: YHWH Elohey-nu, YHWH echad». Tutto ruota attorno all’ultima parola: «echad». La quale è un numerale cardinale che si comporta, concordandosi, a guisa di un aggettivo: significa “uno”. Ma è da puntualizzarsi subito che tale numerale non può assumere il valore concettuale di “uno solo” o “unico”: il numerale “echad (maschile singolare)”, allo stesso modo di tutti gli altri cardinali, tiene computo di quantità discrete non aggiungendo al suo concetto che le unità indicate possano essere “uniche” nel loro genere. Il significato di “unico”, “solo” è espresso da uno specifico aggettivo: yachiyd. In Gn 22,2 quando Dio dice ad Abramo di prendere il suo unico figlio e di offrirglielo in sacrificio, gli dice di prelevare il figlio Isacco «et-yechiyd-ka (unico-di-te: particella introducente il complemento oggetto+aggettivo maschile singolare costrutto+suffisso pronominale della 2a persona maschile singolare)»: non è usato il numerale cardinale “echad”. Il quale però viene utilizzato poco dopo al fine di segnalare la montagna su cui Dio vuole che vadano: «al (preposizione) achad (numerale maschile singolare costrutto) he-hariym (articolo+nome maschile plurale)». Questi due usi nell’ambito di un medesimo versetto danno già sufficiente chiarezza. Successiva alla pars destruens è la pars costruens: la comprensione del valore grammaticale di “echad”. Questo numerale significa “uno”, ed essendo precisi “numero uno”.
Il suo utilizzo non sempre quantifica entità discrete, “echad” può altresì trovarsi precisante una posizione ordinale o gerarchica (la principale), ossia agisce da vero e proprio numerale ordinale. Non che il suo significato letterale venga stravolto, solo che da un conteggio di unità si passa al senso di un loro ordinamento. I numerali ordinali in ebraico antico esistono dal primo al decimo, per tutto il resto si usano i cardinali. Tuttavia nel Tanak in Aggeo 1,1 si trova l’esempio della sostituzione di “primo”e “secondo” con “uno” e “due”: i primi due cardinali al posto dei rispettivi ordinali. Ma la cosa consolidante tutto il ragionamento proviene dal fatto che venga adottato assieme a loro un esplicito ordinale: «Durante l’anno del (bi-shnat: preposizione prefissa+nome femminile singolare) numero due (shetayim: numerale cardinale femminile con valenza ordinale) riguardante il re Dario, nel mese (ba-chodesh: preposizione prefissa+nome maschile singolare) il sesto (ha-shishiy: articolo+numerale ordinale maschile singolare), nel giorno (be-yom: preposizione prefissa+nome maschile singolare) numero uno (echad: numerale cardinale maschile con valenza ordinale) in relazione al mese». Questo versetto di Aggeo ci conferma che i cardinali “uno e “due” possono assurgere al ruolo di ordinali precisando che si tratta di “numero uno” e “numero due” di rispettive serie. Pure in italiano si dice “essere il numero uno”, “tizio è il numero uno”, allo scopo di enunciare che qualcuno è il migliore in qualcosa o a capo di un organismo. Tale è il senso in Dt 6,4: «Ascolta Israele: YHWH è il nostro Elohiym, YHWH è il primo [il principale, il numero uno degli elohiym]». Predicare del soggetto YHWH che è uno di numero (quantità discreta) è tautologico (si sa che ogni soggetto singolare è uno), predicare che è unico (uno solo) è non corretto dal punto di vista semantico e costituisce un pregiudizio sintetico a priori. L’informazione qui presente, come del resto in Gn 22,2 (il numero uno, il primo dei monti) o in Gn 1,5, è di tipo ordinale. La scansione dei giorni della creazione si apre con echad: al giorno numero uno (yom echad) però seguono il secondo, il terzo… (yom sheniy, yom shelishiy…) fino al settimo. La primazia teologica ha cogente valore cultuale all’interno di Israele (monolatria), e questa non cancella il credo nell’esistenza di diversi dei (adorati da altre genti), neppur ritenendo gli Ebrei il loro Dio alla base dell’ordine universale. In Is 43,10-15 lo stesso YHWH è molto chiaro: «Voi siete un mio testimone… e un mio servo che io ho scelto… a) Di fronte a me (le-pana-y) non è stato modellato (lo-notsar) un el [idolo] b) e dietro di me (ve-achara-y) non c’era… A parte me non c’è nessuno che interviene in tuo favore… Nessun [el] estraneo era tra di voi e voi siete un mio testimone e io sono un El: c) anche [gam-] fuori del giorno [-mi-yyom, preposizione prefissa per il moto da luogo+nome: letteralmente lontano-dal giorno – opposto e complementare di layelah, notte – cioè:  24 ore su 24, anche al di là della fascia diurna oltre la quale il potere di una divinità solare – sul cui stampo il Dio giudaico è nato – sembra tramontare] io lo sono e non c’è uno che faccia prendere dalla mia mano; faccio e chi fa tornare indietro quella cosa?... Io sono YHWH, che tu devi rispettare (qedoshe-kem, aggettivo singolare costrutto+suffisso 2a persona plurale), chi ha formato (bore, participio singolare costrutto) Israele, il tuo re (malke-kem, nome singolare costrutto+suffisso 2a persona plurale)». Nel primo verso dei citati abbiamo l’immagine di un altarino su cui si ponevano la o le statuette di un dio, la quale vuol esprimere questo: a YHWH a) non è stato anteposto alcun dio (non è stato messo in secondo piano o scartato), b) né tanto meno YHWH è subentrato davanti a un altro lasciandoselo alle spalle (perché Israele è idealmente sorto accanto all’esclusivo patronato divino di YHWH su quel popolo prima del suo intervento inesistente). Nella prima metà a) compare un chiuso dato di fatto (perciò il modo verbale è il perfetto), nella seconda b) un ipotetico perdurare anteriore (quindi il modo imperfetto). Tutte le figurazioni di luogo a), b) e c) hanno sul piano temporale precisi significati. Tutto questo brano mostra da un lato lo schema sociale ebraico (una teocrazia integrale, una monarchia assoluta in cui il re era una sorta di “vicario di Dio”), dall’altro ancora come gli Ebrei pensassero esistenti e inferiori gli dei degli stranieri. In Is 45,18 Dio afferma di sé: «Io [sono] YHWH e non [sono uno] in aggiunta (od, avverbio)».


Per approfondimenti rinvio a miei lavori