UN
NON LUOGO FUTURO DELL’IRRAZIONALITÀ
di
DANILO CARUSO
“L’antipanlogismo
di Evgenij Zamjatin” è un mio saggio che conduce un’analisi letteraria sul
romanzo “Noi” (1924). Il cammino analitico di questo testo di critica riporta
alla radice hegeliana la struttura dello Stato distopico zamjatiniano, che
d’altro canto è trasposizione antiutopica della giovanissima URSS. Le
componenti filosofiche provenienti da Hegel e
Marx accompagnano l’interpretazione di quella società negativa e la
comprensione della sua genesi ideologica. Tutto il percorso segue la linea
tematica del panlogismo collegata all’ideale evolversi dello Stato etico. Le
personali vicende dei protagonisti sono inquadrate, e lette, nel significativo
quadro concettuale voluto da Zamjatin – un difensore della libertà – nella
creazione di uno tra i più pregevoli prodotti della letteratura mondiale: un
capolavoro che offre un monito per il futuro dell’umanità. In questo scritto
riporto una riduzione del mio lavoro, una riduzione più imperniata sulla trama
del romanzo zamjatiniano che non sugli aspetti analitici portanti del mio
saggio, in relazione a cui peraltro non mancano cenni (i quali il lettore più
interessato potrà approfondire attraverso la diretta e integrale lettura del
mio studio pubblicato nel 2015). Nell’opera di Zamjatin, dopo una fase dialettica di guerra durata due
secoli, tra i fautori dell’industrializzato inurbamento umano e i nostalgici
del tradizionale sistema sociale (basato sull’agricoltura), la quale provocò la
scomparsa di gran parte dell’umanità, nacque lo «Stato Unico». Il pianeta Terra
è stato ridotto dentro il suo solo governo, il quale garantisce la (presunta)
compiutezza nel raggiungimento del benessere ai suoi componenti. Quindi deve
essere magnificato nella produzione letteraria da tutti quelli che abbiano
capacità di farlo: paragonato da D-503 a un asintoto – retta simbolo di
un’avveduta progressione logica provvidenziale – deve attrarre a sé qualsiasi
curva (ossia, fuor di metafora, soggetti e contesti non ancora conformatisi su
altri pianeti). In tale mondo trovare le soluzioni di esercizi matematici può
essere un rilassante passatempo. Le persone sono chiamate «numeri», in giro si
cammina in file per quattro. Nelle scuole gli insegnanti sono stati sostituiti
da macchine sonore recitanti le lezioni. Ciò che è ragionevole/razionale è portatore
di bene. Il grado di felicità di questa società, ritenuto ineguagliabile,
merita perciò di essere esportato a tutti, in un cogente obbligo a carico di chi
agisce verso tale meta da un lato e dall’altro di chi deve condividerlo
(volente o nolente). D-503, nel racconto scaturente dalle sue annotazioni, ci
informa che sta lavorando al progetto dell’Integrale – l’astronave che porterà
il verbo razionale dello Stato Unico
nell’universo – con un grande trasporto d’animo, infondendo sé in un oggetto da
consegnare in mano statale. Egli tesse un elogio del taylorismo, la teoria sulla produzione industriale che suggerisce
nella scomposizione delle mansioni del processo un espediente mirante a
velocizzarlo e a renderlo più fecondo: la catena settoriale lavorativa però fa
perdere professionalità al lavoratore che, intrappolato in una specifica e
singola fase, smarrisce altresì la percezione dell’intero ciclo produttivo. Lo
stesso D-503 non mancherà di osservare nella 15a annotazione che,
così facendo, tra macchinario e lavoratore scompaiono le differenze
(reificazione della persona). Nella nota 5a viene affrontato il tema
del trattamento della libido da parte dello Stato
Unico. D-503 ricorda che sono le pulsioni libidiche a condizionare il corso
della vita, e che pertanto al fine di un controllo razionale su di essa è
necessario che queste siano tenute in pugno. L’approvvigionamento alimentare
non è più un problema, né tanto meno la pulsione erotica. Una «Lex sexualis»
infatti garantisce una forma di desublimazione
repressiva marcusiana: ogni individuo è libero di richiedere i partners
sessuali desiderati, i quali gli vengono offerti rispettando un formale
calendario di incontri pianificato a monte da un apposito ufficio pubblico
sulla base di un esame ormonale che stabilisce la misura dell’esigenza. Al
principio della 2a nota D-503 fa presente il rischio per la
riflessione razionale proveniente dalla contemplazione della natura, tuttavia
non può fare a meno di essa, benché si meravigli dell’ingenuità della poesia
antica. Nella partecipazione alla marcia/passeggiata descritta in detta 2a
annotazione di D-503, il protagonista cattura l’attenzione di I-330, la
protagonista femminile del romanzo. La conversazione con lei lo colpisce perché
ella coglie l’analogia, di una sua precedente riflessione, fra passato e
presente: gli esseri umani non sono dissimili in linea diacronica. Al rammarico
di I-330 a causa di questa verità, D-503 replica con un sussulto di fanatismo
scientista sulle capacità di miglioramento per l’uomo fornite dal progresso: la
reazione di chi vuol apparire razionalista allorché I-330 introduceva – cosa di
cui lui si rende conto, alla conclusione del dialogo, ricevuta da lei una
richiesta di rivedersi – un elemento, non razionale, di disordine nella sua
mente. Gli esseri umani dell’epoca di D-503 vivono al di qua del «Muro verde»: le
vicende della civiltà terrestre sottolinea lui sono state caratterizzate da un
transitare verso stili di vita sempre più stabili sul territorio con la
sparizione del nomadismo. La vita di questa società è scandita dai ritmi
indicati da una precisa normativa delle ore, un piano per le attività
quotidiane il quale sincronizza tutti i suoi appartenenti verso lo stesso
comportamento, con l’eccezione di due soli buchi di autonomia (un’ora
pomeridiana e una serale). D-503 dice esplicitamente di sentirsi un momento di un ente superiore. A lui sembra assurdo un genere di vita molto libero
simile a quello passato, che non aveva un’etica impostata matematicamente, in
cui la verifica della bontà non fosse il risultato di qualcosa equiparabile a
un’operazione di calcolo. Un genere che lasciava troppa libertà al caso e non
pianificava il dettaglio in modo universale. La felicità è paragonata da lui,
nella 5a annotazione, a un rapporto frazionario: gioia/invidia; se
l’invidia è 0, il risultato è ∞. Il poeta R-13 stima, senza entusiasmo, gli
esseri umani nel suo mondo una «gioiosa media aritmetica». I bambini, che una
volta erano «proprietà privata», adesso non hanno più una primaria posizione di
partenza, nella crescita personale inquadrata all’interno di un ambiente familiare, ritenuto pericoloso per
l’omogeneità sociale. I sogni inoltre, con il loro corredo simbolico inconscio
tendente a sfuggire alla razionalizzazione, sono giudicati una patologia della
psiche. All’esecuzione musicale di I-330 nell’auditorium (v. nota 4a),
tenuta allo scopo di dimostrare l’arretratezza e l’inciviltà delle società precedenti,
D-503 è colpito da uno straniamento di fronte a quell’indottrinamento dello Stato Unico. Nel contesto della 9a
annotazione D-503 definisce il bello
quel che è «razionale e utile». Egli dipinge alla fine della nota 5a
la sua società informata dalla nitida operatività logica, la quale ha un potere
purificatorio sulla realtà che impronta: la qualifica un «potere divino» che
tutti dovrebbero assecondare appieno. Tuttavia, sebbene gli imprevisti siano
studiati in anticipo e tenuti preventivamente in considerazione, non tutto fila
liscio secondo ragione: lo stesso D-503 nella sua riflessione avverte un quid
di incertezza. L’inquisizione della Ragione nello Stato Unico è rappresentata dall’«Ufficio dei Guardiani». Ogni cosa
deve essere pianificata, e le due ore di libertà quotidiana sono viste da D-503
di mal occhio. D-503 rifiuta la vecchia società in cui la fantasia e i fattori
occasionali erano importanti e a volte decisivi, predilige questo nuovo mondo
in cui si può volgere (quasi) tutto in termini matematici, il che è simile a
riportare la realtà sugli assi cartesiani, razionalizzata in una funzione di
cui si possono conoscere tranquillamente le coordinate di ogni punto: mentre i
punti della vecchia società generavano una linea in buona parte imprevedibile (risultato
di una logica libera e fantasiosa aperta a sviluppi casuali non prestabiliti a
priori: si vedano le sue parole alla conclusione della 25a annotazione
in occasione della protesta contro il Benefattore). Nello Stato Unico – specchio del fondamentalismo della Ragione – fumo e
bevande alcoliche sono proibite. Inoltre non esiste segreto di corrispondenza:
le lettere sono prima esaminate dall’Ufficio
dei Guardiani, e poi giungono al destinatario. Anche le conversazioni in
spazi pubblici vengono sottoposte al controllo dei Guardiani, dopo essere state
registrate. Tutte le costruzioni di tale società descritta da Zamjatin
(abitazioni, mobilio, etc.) sono fatte di materiale trasparente, non esiste
nessuna privacy se non per gli appuntamenti sessuali, durante i quali si può
schermare la propria casa dagli sguardi altrui. Quest’ultima circostanza di
mancata trasparenza pare a D-503 una
causa del superato atomismo sociale. Egli spiega che in rapporto all’uomo la
facoltà di compiere un illecito è legata alla sua libertà personale, quindi privato della libertà l’individuo è
razionalizzato dalla categoria superiore (l’entità statale): egli agirà allora
assecondando il meglio in questa nuova libertà che – si presume – lo trovi
compiaciuto; per lui una libertà sui generis, qualcosa che si avvicina di più a
un destino di elezione, una predestinazione. Nella nota 20a D-503
valuta la punizione inflitta dalla giustizia statale un «diritto», e nella 22a
dice che il colpevole «non era più un numero, era solo una creatura umana, che
esisteva solamente come sostanza metafisica di un’offesa rivolta allo Stato
Unico». Nella 11a nota dice che tra
una conoscenza che si ritiene infallibile e un sentimento di fede non esiste
differenza. Lo Stato Unico porta
sino in fondo qualcosa che sembra una nevrosi – piuttosto che una saggia
ragione – e converte la disciplina della razionalità in una lucreziana nefasta religio. La felicità matematica è un’illusione
postulata a chiare lettere da D-503 per esempio in due passaggi nelle note 20a
e 22a. D-503 equipara nella 20a annotazione la giustizia
praticata dallo Stato Unico a quella
della Chiesa cattolica: la persecuzione e la repressione di eretici e apostati,
antichi e moderni, è una necessità etica matematica. Nella 22a nota
menzionerà i Cristiani: precursori imperfetti dell’etica statale, la quale vede
nell’individualità non subordinata un male e nella collettività il positivo
dell’aggregato sociale. Ancor prima aveva riconosciuto che l’esecuzione
capitale nella sua società si colora di un tono religioso – alla vecchia
maniera – quando questa appare un rito espiatorio e catartico (e non è da
trascurare la presenza del benefattore in persona col suo atteggiamento solenne
di «pontefice»). Inoltre nell’opera zamjatiniana l’educazione civica è
qualificata un razionale catechismo
giuridico. L’inizio della 9a annotazione rievoca la linea di
pensiero filosofico (totalitario) che da Rousseau culmina in Marx attraverso
l’idealismo tedesco: 1) compare il marxiano rifiuto di un Dio (cristiano)
trascendente, rifiuto 2) che sfruttando il significato della tappa
fenomenologica hegeliana della “coscienza infelice”, respinge l’amore agapico
(in fin dei conti la religione in Marx è droga
nei confronti della moltitudine) 3) per inchinarsi a adorare l’entità statale
(per Hegel la più alta manifestazione storico-sociale: Dio-nel-mondo); quello Stato Unico prodotto dello Spirito e
adorato nella liturgia razionale in cui si trasforma la propria vita
commemorante così il primato guadagnato dalla rousseauiana “volontà generale”
nell’ultima, menzionata in precedenza, guerra. Ognuno deve adeguarsi al cammino
indicato dalla benefica ragione, offrendo sé in una riformata e
concettualizzata agàpe a favore della collettività nello spontaneo olocausto
del valore della persona allo Stato Unico
(tutti per l’unità, dunque; l’unità per le parti è principio poco
idealistico). Nella 8a annotazione viene riportato il dibattito fra
il poeta R-13 e il matematico D-503: il primo osserva che la scienza è un
tentativo poco nobile di catturare l’Assoluto; il secondo replica che il limite
(e quindi la mediazione) costituisce la base su cui si muove la coscienza (e
pertanto la conoscenza). Entrambi si avvalgono della metafora del «muro»: il
che gioca a vantaggio del poeta R-13 che vuol dar dignità a un contenuto della
coscienza non esclusivamente concettuale, non razionale, che poco prima viene
simboleggiato nell’incipiente contrasto interiore di D-503 dall’irrazionalità
di √-1 . L’immagine del muro per
D-503 è quella del già citato Muro verde
che esclude il disordine naturale. Di R-13 è rilevante nella 11a
nota l’esposizione, tenuta a D-503, del contenuto di un poema che lui scriverà
in onore dell’astronave Integrale. Contenuto che non fa altro che riproporre la
concezione dell’evoluzione storica di Fichte (presentata ne “I fondamentali
tratti caratteristici dell’età presente”): in una rousseauiana condizione
edenica gli esseri umani (Adamo ed Eva) vivevano felici, a guisa di anime
belle, un istintivo rapporto di
libertà con la razionalità (il
cui progressivo e infinito incedere di governo sull’universo è senza deroga);
l’equilibrio felicità/libertà/Ragione,
tenuto in piedi dalla spontaneità
(istinto), si spezza all’atto del peccato, che fa perdere lo status primordiale
di purezza (la scelta della libertà
diminuisce il grado di felicità poiché altera la razionalità che si converte in
un potere alienato e repressivo); la peccaminosità
spinge l’umanità a rivoltarsi contro siffatta Ragione; tuttavia la scienza restituirà agli uomini la giusta dimensione della razionalità
soppiantando una libertà nociva alla felicità. Così R-13 giunge alla
magnificazione dello Stato Unico,
nuovo paradiso terrestre. Diversa è la posizione di I-330. Quando nella 6a
nota ella si comporta con D-503 con atteggiamento conformista, ciò
insospettisce egli e lo urta: sentirsi dire che l’amore è «un irragionevole e
imprudente spreco di energia umana» anziché compiacerlo – giacché lui da
razionalista lo crede – lo fa arrabbiare dentro di sé perché non comprende
altri segni espressivi del volto di I-330. Nella 10a annotazione,
allorché I-330 sceglie D-503 come partner sessuale, l’anima bella razionalista che operava in lui crolla («angelo caduto»
lo appellerà lei – v. la 13a nota – dopo la consumazione di un non autorizzato congresso carnale. All’esordio
dell’annotazione successiva D-503 si trova davanti al dilemma di due io
personali scaturiti dall’azione che I-330
ha azionato: il represso e il liberato (una statuetta di Buddha si trovava alla
Casa antica, luogo del loro primo
incontro confidenziale, la quale piangente poi lui turbato la notte sognò). La
nota 12a offre un protagonista che vuol riprendersi dal trauma, e
che si dichiara avviato a superare lo smarrimento causatogli da questa strana Beatrice (I-330), la quale più che volerlo fuori dell’inferno ce lo vuol far passare di
proposito. A tale esperienza dialettica esistenziale egli preferirebbe (?) il
suo incantato mondo matematico, che imprigiona l’infinito grazie al concetto di
limite nel calcolo differenziale. La
13a annotazione del romanzo riporta una svolta nel percorso di
D-503: egli opta in favore della via che porta all’inferno (fuori del paradiso panlogistico). Se D-503 si smarca dal
razionalismo panlogistico dello Stato
Unico, egli – in quell’ottica – regredisce, e la sua immaginazione si
colloca sul piano dell’arte un passo indietro riguardo a quella concettuale
interiore pienamente razionale dello Stato
Unico, si pone cioè per forma mentis nel periodo successivo alla romantica,
nell’arte concettuale interiore inconscia. D-503 ritorna dunque all’era di
Zamjatin, e diviene un sovversivo: un malato di immaginazione – la facoltà
rappresentativa svincolata dalla percezione obiettiva del reale – la quale ora
– nel romanzo – si poteva estirpare grazie a un recentissimo progresso della
medicina (scienza che il Benefattore controllava di persona). Dalla nota 14a
egli comincia ad agire seguendo principi pratici che non hanno la loro genesi
nella sostanza etica dello Stato Unico,
ma che si fondano sull’autonomia di giudizio ispirata da un senso del dovere
universale. Il problema di salute (mentale) diagnosticatogli da un medico è la
comparsa dell’anima (umana): l’essenza dell’uomo. Al principio della 17a
annotazione, quando il protagonista del romanzo si reca alla Casa antica in una passeggiata
solitaria, di fronte alla natura al di là del Muro verde, è investito dal sentimento del sublime; però al posto
di riscoprire del tutto la libertà della
sua anima ripiega di nuovo sulle idee del limite e della mediazione. D-503
continua a tradurre freudianamente la sua dialettica interiore ES / SUPER EGO
nel sogno (v. inizi delle note 7a e 18a; e avanti nella
21a troverà la cosa persino normale e gradevole). Svegliatosi,
dopo aver sognato I-330, si mette a riflettere sulla rappresentabilità delle
espressioni matematiche degli enti e sulla rappresentazione di tali enti in
dette formulazioni. Rimane molto turbato allorché richiama il dilemma di √-1 : qualcosa del genere è l’indicazione di un dato matematico che non si
può cogliere in modo razionale, è un concetto di un quid sfuggente alla
dimensione teoretica, il quale tuttavia è dato. Il suo oggetto è oltre la
capacità di rappresentazione dell’intelletto. D-503 si accorge del mondo
noumenico, cui √-1 rimanda, e
collega il suo male – la comparsa dell’anima – a esso (passa dal teoretico limitato
al più agibile pratico): comincia a pensare autonomamente, vale a dire su un
piano di possibilità non dettate dalla sostanza etica statale la quale determina
in maniera prescrittiva. È ancora un sentimento del sublime, quello noumenico
contenuto in √-1 , a spronarlo, a scuoterlo dal suo inquadramento
logico-matematico. In questa fase del romanzo D-503 è molto confuso: intravede
un orizzonte nuovo dischiuso dal ridurre la desublimazione repressiva con
I-330, e tuttavia desidera (?) ritornare alla sua cosiddetta normalità. Verso la fine della nota egli si abbandona a
una vaga visione della sera la quale è il preludio alla notizia che
l’innamorata afflitta O-90, sentendosi tradita, non lo chiederà in futuro come
partner sessuale. A un incontro con O-90 (v. 19a annotazione), la
quale voleva un figlio da D-503 (e che gli strappa una non autorizzata gravidanza,
punibile con la morte), fa seguito da parte del protagonista un rituale –
stavolta alquanto solenne – proclama di rientro nella normalità razionale. Nel
testo zamjatianiano D-503 giudica la «pietà» grottesca e patrimonio di culture
non regolate dalla matematica, e il diritto migliore quello basato sul «potere»
del soggetto etico più forte (lo Stato). Nella nota 21a egli
mostrerà il suo assenso all’affermazione in base a cui «la forma più difficile
e sublime dell’amore è la crudeltà». Il colpo di scena della 22a
annotazione, quando D-503 si stacca dal gruppo di passeggio pubblico temendo
che fosse I-330 la persona indirizzatasi a protestare contro un drappello di
guardie le quali conducevano dei prigionieri è testimonianza del suo
altalenante equilibrio. Egli si preoccupa che I-330 possa essere in pericolo, e
si muove d’impulso. D-503 ha per lei un interesse di non esclusivo stampo
sessuale, e la cosa è reciproca. Il loro love affair si distacca dal
comunitario postribolo reso possibile dallo Stato Unico. Lui ha incontrato una
compagnia di interlocuzione esistenziale e sentimentale, squalificata dalle
possibilità di vita ammesse. I-330 porta D-503 fuori della desublimazione
repressiva, e questo è realizzabile soltanto avendo coscienza di sé. Nella 24a
annotazione D-503 cerca di ricondurre una sua esperienza estatica dentro
parametri di stretta razionalità, che dapprima assenti gli sembrano poi
inefficaci: quel suo tendere verso I-330 adesso gli mostra dunque la
prospettiva di fondo, che è l’autodistruzione cui parrebbe spingerlo l’eros,
tuttavia lui non rifiuta questa tensione.
D-503 non ha raggiunto una via d’equilibrio. Oscilla tra due estremi nel campo
esistenziale. La seconda parte (serale) di questa nota 24a cambia
argomento e ci introduce a un evento dello Stato
Unico: la «Giornata dell’Unanimità». Nuovamente, parlando di aspetti della
sua società, D-503 fa paragoni di natura religiosa, e accosta tale
manifestazione (festa razionale) alla «Pasqua». Si tratta del giorno in cui la
massa, la quale egli ulteriormente paragona al concetto evangelico di «Chiesa»,
in un rito politico plebiscitario,
scontato, previsto dalla Ragione, dà al Benefattore un potere assoluto. Perciò
tradurrei i termini del testo di Zamjatin corrispondenti all’espressione volta
di solito da traduttori italiani e stranieri con «Giornata dell’Unanimità»
volgendoli con «Giorno della volontà generale», facendo esplicito richiamo al
pensiero rousseauiano e riallacciandomi a quanto ho detto in precedenza
riguardo al filo che va da Rousseau a Marx e che giunge fino allo Stato Unico zamjatiniano. D-503 scredita
alla radice il significato di libere e plurali elezioni democratiche: il voto cantado è garanzia di omogeneità
della volontà generale. Nel Giorno della volontà generale (v. 25a
annotazione) egli prosegue nel solco delle similitudini religiose: il
Benefattore, che presiede l’evento, scende dal cielo, accomunato ora al Dio
veterotestamentario. Nello spazio di là del Muro
Verde ha luogo la riunione, cui partecipa D-503 portatovi da I-330, dei dissenzienti
carbonari della città e dei Mefi (i
quasi ignoti sopravvissuti del bicentenario conflitto vinto dalla società
urbanizzata, emarginati e nascosti, i quali abitavano in quella zona
extraurbana). Attraverso una porta, che a D-503 parrebbe infernale, grazie a
I-330 entra in contatto diretto con la Natura libera. È dunque lecito definire
i Mefi, a cui I-330 appartiene, “pagani”, cioè abitanti di centri non
urbanizzati e persone non legate alla tradizione di pensiero
giudaico-cristiana, la quale diede vita alla Chiesa cattolica, madre del
totalitarismo occidentale (come sostenuto da Simone Weil): lo Stato
fondamentalista zamjatiniano, quantunque laico, ha radici religiose (del resto
in Hegel la filosofia e la religione proclamavano l’identica cosa: il primato
totalitario dell’Assoluto). Esso è lo Stato pontificio della ragione. Fra le
suggestioni fondanti lo Stato Unico
rientrano le dottrine del cosmismo
sovietico il quale innalzava il marxismo al rango di infallibile religione
scientifica che sarebbe dovuta essere in grado, col tempo richiesto dagli
studi, di resuscitare i morti, dare agli uomini l’immortalità, esplorare
l’universo al fine di trovare aree per l’insediamento umano. La 30a
annotazione riporta il dialogo tra I-330 e D-503 in cui lei muove la sensata
obiezione alla credenza che la dialettica storica possa arrestarsi in modo
naturale a uno stadio uniformante i termini antitetici in una sintesi
paradisiaca. La discussione verte sul tema della rivolta contro lo Stato Unico, il quale D-503 pretenderebbe
essere quell’ultimo livello di paradiso. Però I-330 replica di nuovo che la
vita è confronto, è azione. Accettati i termini del
complotto per impossessarsi dell’Integrale, egli, tornando indietro dalla Casa Antica, si immerge, nelle conclusive
righe di detta nota, in pensieri amletici nell’indecisione se farsi trasportare
dagli eventi o se intervenire spontaneamente. L’annotazione successiva continua
l’altalena del suo animo; e alla fine, malgrado si fosse voluto sottoporre
all’intervento medico mirante a estirpare l’immaginazione, per amore di I-330
decide di continuare a dare il contributo da lei richiesto nella lotta contro
il regime assoluto della Ragione. E nell’ulteriore successiva nota 32a,
quando vede O-90, decide di aiutarla nella sua gravidanza (la farà portare da
I-330 nella terra dei Mefi). D-503, dopo la scoperta della congiura e il
fallimento del colpo di mano, nella 36a annotazione narra del suo
faccia a faccia col Benefattore, il quale l’ha convocato. Nel finale del
romanzo l’animo travagliato di D-503, che in precedenza avrebbe voluto uccidere
chi ha fatto la spia (v. nota 35a), e ricongiungersi con I-330 (v.
nota 37a), è adesso in preda al dubbio – infusogli dal Benefattore –
se I-330 si sia servita di lui a scopi sovversivi. Un che di tragico,
avvolgente tutta la storia di D-503 e I-330, si coglie nella 39a
annotazione, la quale racconta di un loro incontro: non è colpa di nessuno dei
due il fatto che il love affair finirà male per via dell’imprevisto disguido
(del tradimento) e dei reciproci fraintendimenti. La morale distopica di “Noi”
tocca l’anticamera dell’apice alla fine della 39a annotazione, allorché
D-503, in preda allo sconforto provocatogli dal crollo di ogni sua sicurezza
matematica, si imbatte in un alter Hegel
il quale gli spiega che il “cattivo”
infinito non esiste, che il cosmo è “finito”, e chiuso dentro una logica
scientifica. Entrambi, D-503 e l’alter
Hegel, subiranno l’inibizione medica dell’immaginazione. I-330 viene infine,
alla distaccata fredda presenza di D-503, rinato dall’acqua dello Stato unico e dallo spirito della
Ragione, torturata e destinata alla condanna capitale (con gli altri rivoltosi):
tantum malorum potuit suadere ratio.