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venerdì 28 giugno 2019

CARTELLA CLINICA DI EMMA BOVARY: STORIA DI UN OMICIDIO ANNUNZIATO.

di DANILO CARUSO

“Madame Bovary. Mœurs de province [La signora Bovary. Costumi di provincia]” è il romanzo più celebrato di Gustave Flaubert, dal quale sono state tratte diverse trasposizioni cinematografiche. Ispirato a un caso reale negli spunti, fu pubblicato in Francia all’inizio su un periodico a puntate nel 1856. Trovandosi al tempo di Napoleone III, cui era caro il consenso dell’opinione pubblica cattolica, finì l’anno successivo in tribunale per questioni inerenti alla moralità: tuttavia ne uscì indenne, e venne prontamente offerto al pubblico in versione completa. Flaubert era figlio di un medico chirurgo, durante la sua vita soffrì di epilessia, risentì in negativo delle vicende legate ai suoi familiari e alla sua epoca storica, ed ebbe una tortuosa relazione con la scandalosa Louise Colet (1810-1876), una poetessa (la quale, oltre agli amanti, era già sposata). In questa mia analisi critica ho deciso di contaminare due livelli di scrittura: uno nella veste di analista psicologo e l’altro in quella di cronista investigatore, come del resto si è potuto intuire dal titolo. In apertura di romanzo lo scrittore francese descrive la formazione e il carattere di Charles Bovary: un volitivo vuoto di sostanza, pronto a scoppiare a guisa di una bolla di sapone davanti alla vita. Il primo incontro fra colui che è divenuto un medico senza qualità ed Emma avviene in casa di lei, dov’egli si era recato (essendo ancora viva la prima moglie) allo scopo di provvedere a un infortunio del padre di ella. In seguito la prima moglie del dottor Bovary scopre il recondito sottofondo delle visite del marito presso il di lui ex assistito. Flaubert la farà uscire di scena non molto dopo, facendola morire all’improvviso: un espediente redazionale che oggigiorno appare consumato nelle telenovelas (sovente un personaggio destinato a scomparire o parte per un viaggio lontano o muore, rimanendo vittima di un artifizio più vecchio a beneficio della costruzione narrativa). L’avvenuto matrimonio di Emma con Charles appare quasi un atto di compravendita, con tanto di cerimonia sovrastrutturale. Non c’è da stupirsi così tanto se lei insoddisfatta della propria vita metterà in moto tutta una serie (patologica) di personali comportamenti distruttivi. Flaubert delinea la dicotomia alla base del romanzo: “la delusa romantica” / “l’illuso incapace-di-vedere-oltre-la-superficie”. Se in principio Emma può essere compresa, in seguito il suo comportamento sarà irresponsabile. L’autore del romanzo chiarisce bene quale fosse l’indole adolescenziale di costei nel di lei periodo da educanda in convento. Emma, in termini junghiani, possiede una personalità sentimentale-percettiva: cioè incline a proiettare il suo interesse sul mondo circostante, quindi tendenzialmente da estroversa, in marcata maniera emozionale/passionale. Emma Bovary è nella sua programmazione genetica redazionale una dark lady decadente. Ella appena sposata va con la testa fra le nuvole, divenendo facilmente irritabile, e Flaubert ne dipinge la mente trasognata e turbata in varie scene. Anche il suo recente amico Léon subisce la stessa sorte, in fin dei conti non per caso percorrono cammini paralleli (di reciproco, per ora ignoto, interesse passionale) destinati alla complementarietà accidentale. Tuttavia in simile fase del romanzo lo scrittore opta a favore di una soluzione narrativa di rinvio. E la signora Bovary diventa dunque di riflesso apatica e abulica. Tramontato l’astro di Léon nell’orizzonte interiore di Emma, sorge nella narrazione un profittatore più scaltro da ella conosciuto a casa propria dove costui aveva accompagnato un contadino alle sue dipendenze dal dottor Bovary.
In occasione della giornata dei comizi agricoli Rodolphe Boulanger, liquidato nella folla un paio d’intralci, inizia a adescare (una non si sa quanto ingenua) Emma: l’equivocità delle sue parole appare già da subito più eloquente dei suoi pensieri precedenti. Le pagine che consacrano l’adescamento di Emma da parte di Rodolphe rappresentano una scenetta che sfocia nel grottesco dai suoi toni decadenti iniziali. Estratta in sé, è qualcosa di puramente comico. La seguente circostanza della cavalcata assieme di Emma e Rodolphe inaugura apertamente una relazione per lei fedifraga, nella quale ella si butta per intero con anima e corpo: un ingenuo impeto passionale che, forse, l’adescatore non immaginava nella misura reale. L’assuefazione da parte di Rodolphe nella tresca con Emma produce un di lui calo di intensità nella partecipazione, e delude di conseguenza lei, rimasta sempre costante nello slancio, lasciandola disorientata. Madame Bovary torna a sperare, interessandosi del marito, che l’occasione dell’infausto intervento su Hippolyte possa favorire lo spunto a favore di una svolta nella vita coniugale di famiglia grazie a un maggior prestigio sociale acquisito. Però l’insana idea partita dal farmacista Homais produce mali ulteriori in virtù del concorso attivo del dottor Bovary: Hippolyte subisce alla fine l’amputazione di parte della gamba per rimediare all’irresponsabilità di tutti quelli che avevano sostenuto quell’operazione pseudocorrettiva al suo arto. Emma rimane ancor di più frustrata nelle sue velleità e riprende il suo interesse verso l’amante, che nel frattempo aveva trascurato. Tuttavia l’andazzo precedente tra i due non muta di molto. Lei ha iniziato, tra l’altro, a indebitarsi anche allo scopo di fargli dei regali (non apprezzati), e vagheggia una fuga d’amore. La vagheggiata, e in fin dei conti insieme programmata, fuga amorosa di Emma e Rodolphe salta all’ultimo minuto (per non dire che era molto improbabile e quasi assurda da principio) a causa della determinazione della di lui precedente ipocrisia. Egli deciso ad allontanarsi pro tempore dal paese, manda così un messaggio a madame Bovary, la quale ne rimane profondamente traumatizzata. Nel decorso della sua patologia psicosomatica Emma fa impantanare il marito in quella situazione, e lei medesima deraglia alla volta di una mistica e contorta religiosità. Recupererà una migliore tenuta mentale, e in tale momento del romanzo il suo Ego si fermerà a metà strada tra gli atteggiamenti di una dama di carità (abito esterno) e di una fedifraga abbandonata (abito interno). Si può dunque concludere che la signora Bovary attraversa qui una fase di misticismo ipocrita, giacché al suo fondo la cenere dell’irrequietezza continua a covare. Emma finisce col riprendersi, torna in forma decente, e dismette comportamenti pseudoreligiosi che nel frattempo aveva assunti. A questo punto l’autore del romanzo rimette sulla bocca del farmacista Homais un altro consiglio fatale per il dottor Bovary: portare la moglie a teatro a Rouen. Tali passaggi del testo da un lato rievocano un po’ il clima socioculturale di quell’epoca, dall’altro mostrano l’uso della categoria descrittiva del “grottesco” usata da Flaubert a scapito di un Bovary spesso dipinto, a posteriori, o a priori in questo caso, come l’ingenuo incapace di vedere quanto gli accade attorno, e poco avveduto dunque nell’impedire alla moglie occasioni, spunti di sviamento rispetto al consolidamento di mature visione e gestione del mondo. A Rouen in teatro Emma, dove si era riempita la testa fantasticando con “Lucia di Lammermoor”, incontra accidentalmente Léon mediante il marito. L’incontro, iniziato in tarda mattinata dentro alla cattedrale di Rouen, fra Emma e Léon, nonostante il di lei tentativo di mantenere un distacco, inaugura la nuova relazione adulterina della signora Bovary.
In una situazione venata di toni quasi comici, varie volte adottati da Flaubert nel romanzo e che sembrano in generale finiti in retaggio a certa cinematografia italiana degli anni ‘70/’80 (la commedia sexy), Léon facendo uso di “modica vis” prende Emma e se la porta in una carrozza chiusa, dando istruzioni al guidatore di girare di qua e di là in continuazione. La moglie del dottor Bovary, benché avesse mostrato (apparente) repulsione al comportamento del pretendente inopportuno, ha finito col cedere all’amoroso assalto di Léon. E qui lo scrittore francese, con la sua maestria, riannoda un filo nella trama che aveva temporaneamente tagliato in precedenza programmandone il recupero nella parte conclusiva del testo. La passione travolge Léon ed Emma, i quali riescono a ottenere di vedersi una volta a settimana a Rouen, nascondendosi da tutti, con un sottile espediente nella cui attuazione Charles Bovary, incalzato dal solito Homais, dà la sua approvazione inconsapevole: Emma si recherà in città col pretesto di ricevere delle lezioni musicali. Flaubert condisce la narrazione con quell’usuale pizzico di ironia, dicendo che in breve ella ottenne il riconoscimento di essere migliorata al pianoforte. Il mercante Lheureux, incontrati assieme a Rouen per strada Emma e Léon, pensa di approfittarne mettendo lei sotto pressione psicologica con le sue proposte di affari. I suoi poco nobili intenti contribuiscono a far indebitare di più i coniugi Bovary: Emma dal canto suo, usufruendo della delega ad agire in luogo del marito, ha venduto una proprietà di costui al fine di recuperare denaro grazie agli interessati uffici di Lheureux, il quale ha fatto indebitare sempre peggio i due sprovveduti attraverso cambiali che lui cede invece scontate in banca. Il farmacista Homais, che nel romanzo è un motore prossimo a favore delle cadute di Emma, recandosi a Rouen intrattiene con sé Léon così tanto, nel giorno consueto dell’amoroso convegno di quelli, da far irritare la donna nei confronti del suo amante, la quale, rimasta a lungo da sola, invece avrebbe preferito avere costui presso di sé. La vita di divertimenti e debiti di Emma volge precipitosamente alla sua rovinosa parabola discendente: l’iter di recupero giudiziario coattivo delle somme dovute le concede solo 24 ore per versare il dovuto. Il primo a lavarsi le mani alla sua richiesta d’aiuto economico è il mercante Lheureux, la causa remota delle sue vicissitudini con la giustizia fiscale. All’insaputa del dottor Bovary i beni familiari vengono pignorati, ed Emma, nell’estremo tentativo di recuperare soldi sufficienti a bloccare l’azione giudiziaria, prima si rivolge a Léon, ottenendo in pratica un nulla di fatto, e poi al notaio Guillaumin, il quale cerca di abbordarla. Lascia un po’ disorientati i lettori attenti il fatto che Flaubert preveda un rifiuto nel personaggio della signora Bovary, la quale invece in precedenza ci aveva quasi provato con Lheureux. Questo sussulto d’orgoglio della protagonista del romanzo nel corso della sua corruzione è sotto il profilo narrativo anomalo. A Emma premeva salvarsi a tutti i costi, e concedersi al notaio come fosse una escort, rientrava nei parametri del suo profilo psicologico. Ella è paragonabile a Medea di Euripide, cui manca moderazione e buonsenso. Che Emma rifiuti l’unica chance concreta di salvezza costituisce qualcosa che non rientra nella logica redazionale flaubertiana di questo testo. L’autore, a mio avviso, non solo per via dello scopo di chiudere l’opera, ha qui costruito quanto in termini filosofici si definisce “aporia”. Un amante pro tempore di convenienza era nelle corde di madame Bovary. A questo punto, in relazione al finale, piuttosto che di suicidio parlerei di induzione da parte dell’autore al di lei suicidio, se non addirittura di narrativo flaubertiano femminicidio. Se a simili aporie rivolgiamo uno sguardo critico profondo, si può concludere che nell’omicidio/suicidio di Emma si trovi un quid di catartico a beneficio dell’autore francese.
Fu lui stesso ad affermare che la signora Bovary non era altro che una riproposizione di se medesimo. Nel farla morire, Flaubert celebra un olocausto autocatartico. Qualcosa di simile, nella forma, avviene con Mabel in “Lord of the World” di Robert Hugh Benson, romanzo distopico cui ho dedicato un saggio1. L’Emma flaubertiana è un archetipo (negativo), e lei alla fine sprofonda nell’“ombra junghiana”; come Medea, la quale rivolge il suo comportamento distruttivo verso l’esterno. Che madame Bovary, avente iniziale personalità, in termini di psicologia analitica, “sentimentale-percettiva” finisca col suicidarsi, rappresenta appunto un’aporia strutturale, comparsa all’improvviso. Flaubert la fa volentieri fuori: sulla base di motivi pratici editoriali, e seguendo motivi ideali nel voler mettere in atto una non limpida junghiana “funzione trascendente” nel tentativo di “purificarsi”. Come trottola impazzita, nel giorno della scadenza per il pagamento del debito, Emma gira di qua e di là sperando di trovare qualcuno che le possa dare del denaro, e alla fine si reca pure da Rodolphe. A conclusione del romanzo ella muore suicida con l’arsenico che si è procurata nella casa del farmacista. Le vicende che ruotano attorno alla di lei morte (cui fanno contorno la definitiva rovina del marito e della figlia) appaiono in verità discutibili sotto l’aspetto dell’obiettività. Poco verosimili, con Justin che non impedisce, e anzi agevola, il suicidio; quasi grottesche, con una mangiata nel corso della prolungata atroce agonia di madame Bovary; sembrano fatte a uso e consumo di una parte di pubblico con gusto da sciacalli. Mentre più apprezzabile nel costrutto narrativo sembra quella sorta di “sincronicità junghiana” in articulo mortis rappresentata dalla significativa canzone da Emma udita poco prima di spirare. Lo pseudofilosofico confronto, durante la veglia funebre di lei, tra il parroco e il farmacista, i quali poi se ne vanno a mangiare insieme, appare altresì privo di tatto in circostanze del genere. Tutti questi condimenti descrittivi poco gradevoli sembrano voler cercare il gradimento di un pubblico di lettori simpatizzante di dettagli simili: il grottesco nella tragedia. Il finale del testo si colora di esistenziali tinte distopiche con il trionfo pratico della perniciosa mediocrità di Homais. Della letteratura realista dell’Ottocento, mirando a fare un accostamento di opere e di personaggi, mi piace ricordare il racconto del 1865 “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Nikolaj Leskov e la protagonista Katherina: la quale di certo non compie un cammino identico a Emma, pur subendo entrambe precoce sofferta autodistruzione, ma ci propone una serie di comportamenti che Flaubert, forse non ha voluto addebitare alla sua protagonista, la quale non compie o è causa di uccisioni. Katherina, a differenza di Emma, morirà nell’annegamento della sua rivale in amore. A madame Bovary nell’impalcatura flaubertiana manca il torbido completo realismo pragmatico: non era da lei crollare in toto su se stessa. Avrebbe potuto uccidere Lheureux e il marito, e andarsene a Rouen con Léon. Flaubert ha però preferito ucciderla lui al posto di lasciarla condannare dalla giustizia secolare per duplice omicidio. E c’è da dire che Charles muore comunque a causa di Emma (come se l’avesse ammazzato direttamente). La signora Bovary rimane vittima del delitto perfetto: ecco il capolavoro flaubertiano. 


NOTE 

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici 

1 Per approfondimenti: