di
DANILO CARUSO
Il
racconto di “Genesi” sulla creazione dell’umanità appare sotto nuova luce se
sovrapposto a quello di Aristofane nel “Simposio” platonico. Platone fa dire al
commediografo che «in origine c’erano tre sessi umani, non due, maschio e
femmina soltanto, come ora, ma ce n’era un terzo, che partecipava dell’uno e
dell’altro e che, scomparso oggidì, sopravvive ancora nel nome. C’era allora un
terzo sesso, l’androgino, che di fatto e di nome aveva del maschio e della
femmina, e questo non esiste più, fuorché nel nome che suona un oltraggio.
Inoltre ogni uomo aveva una figura rotonda, dorso e fianchi tutt’intorno,
quattro braccia, gambe di numero pari alle braccia, su un collo cilindrico due visi,
perfettamente simili fra loro, un’unica testa su questi due visi, posti l’uno
in senso contrario all’altro, quattro orecchie, doppie pudende e tutto il resto
come si può supporre da ciò che si è detto». A questa descrizione dei
primordiali esseri umani con doppia connotazione somatica (maschio-maschio,
femmina-femmina, maschio-femmina) segue la spiegazione di come Zeus, per
punirli della loro volontà di sfidare gli dei, li avesse tagliati
simmetricamente in due. Il sovrano dell’Olimpo «venne segando gli uomini in
due, come quelli che tagliano le sorbe per metterle in conserva, o quelli che
dividono le uova con il filo di crine. E a misura che ne segava uno, ordinava
ad Apollo di girargli la faccia e la metà del collo dalla parte del taglio,
acciocché l’uomo, avendo sotto gli occhi il proprio taglio, fosse più modesto,
e medicargli le altre ferite. E Apollo girava a ciascuno la faccia in senso
opposto, e tirando d’ogni parte la pelle verso quello che ora chiamiamo ventre,
come le borse a nodo scorsoio, lasciandovi appena una boccuccia, la legava nel
mezzo del ventre, in quel punto preciso che chiamano ombelico. Spianava poi
tutte le altre grinze, che eran molte, e rassettava le costole, servendosi
d’uno strumento suppergiù simile a quello che adoperano i calzolai per spianare
sulla forma le rughe del cuoio; ma ne lasciò poche nel ventre e intorno
all’ombelico, ricordo dell’antica pena. Orbene, poiché la creatura umana fu
divisa in due, ciascuna metà presa dal desiderio dell’altra, le andava
incontro, e gettandole le braccia intorno e avviticchiandosi scambievolmente,
nella brama di rinsaldarsi in un unico corpo, morivano di fame e d’inerzia,
perché l’una non voleva far nulla senza dell’altra. E quando l’una delle metà
moriva e l’altra sopravviveva, quella che sopravviveva andava in cerca di
un’altra metà e le si avvinghiava, sia che s’imbattesse nella metà d’una donna
intera – quella che appunto ora chiamiamo donna – sia nella metà d’un uomo; e
così morivano. Mosso pertanto a compassione, Zeus ne escogita un’altra;
trasporta le loro pudende nella parte anteriore – fino a quel momento anche
queste le avevano avute al difuori, e generavano e partorivano non tra loro, ma
in terra, come le cicale… gliele trasportò dunque così, sul davanti e in questo
modo rese possibile la generazione fra loro, per mezzo del maschio nella
femmina, con questo fine, che nell’amplesso, ove un maschio s’incontrasse in
una femmina, generassero e si perpetuasse la specie; ma, ove invece un maschio
s’imbattesse in un maschio, provassero sazietà nello stare insieme e
smettessero e si volgessero a operare e attendessero agli altri doveri della
vita. Cosicché fin da quel momento l’amore vicendevole è innato negli uomini:
esso ci riconduce al nostro essere primitivo, si sforza di fare di due creature
una sola e di risanare così la natura umana». Questa procedura di scissione,
anche se circoscritta al solo androgino e con un impianto concettuale
differente, era già presente nell’anteriore narrazione della “Genesi” (il testo di riferimento è quello masoretico). Il
posteriore testo platonico ha una traduzione più chiara nella resa del pensiero
esposto. L’espediente analitico della sovrapposizione di due scritti elaborati
in contesti culturali distinti, comunque non necessario, non è fuor di luogo
nel momento in cui tale operazione mostra un fondo comune di base dottrinale
tra platonismo ed ebraismo che risulterebbe la sapienza egizia (gli dei
androgini dell’antico Egitto sono connessi al culto del sole)1.
Riguardo all’antropogonia ebraica Gn 1,26-27 comincia col raccontare che «Dio (Elohiym)
disse: “Produciamo (naaseh, qal imperfetto 1a
persona plurale) adam per mezzo della
nostra immagine (be-tsalme-nu) a nostra somiglianza (ki-dmute-nu)”… maschio e femmina (zakar
u-neqebah) produsse loro». Qui si dice che l’essere umano (adam) è stato prodotto
per mezzo di una statua (tselem), con connotati maschili e
femminili, poi 2,7-25 approfondisce e continua l’argomento. Gn 1,11 parla di
«albero di frutto che faccia
(produca: oseh, participio maschile
singolare del qal) frutto in relazione
alla sua specie (le-myn-o), il suo seme (zar-o-) mediante esso (-b-o) sulla terra». Gn 1,31 usa lo
stesso verbo, quando alla fine del sesto giorno della creazione «Elohiym vide
tutto ciò che aveva fatto (asah, participio maschile singolare del
qal)». Pertanto stando all’uso dei verbi: Elohiym
sta a tselem come albero di frutto sta a seme. Nel v. 2,7 appare esplicito che la
tselem di 1,27 è una statua con cui Dio «formava (-yyiytser, qal
imperfetto 3a persona maschile singolare: si faccia molta attenzione
al modo verbale che indica un’azione non completa, perdurante) l’adam, (che è) polvere dalla superficie della terra (apar min-haadamah)». In particolare la
parte finale di questo secondo brano riecheggia la divisione degli androgini di
cui parla Aristofane. Che «maschio e femmina» di 1,27 fossero attributi
riferiti a un singolo soggetto (e non a due generi individualmente
diversificati) lo credeva Filone Alessandrino, anche se poneva tale coppia di
qualità nel nucleo unitario di un’idea universale di umanità nella mente divina
(archetipo noetico poi servito nell’operazione di 2,7-25). Il secondo racconto
sull’origine umana contraddice però Filone Alessandrino sul modello ideale
perché Dio crea all’inizio solo l’adam e non pure la donna (creata in un
secondo momento): la mancanza di contemporaneità dimostra che il maschile e il femminile di cui si fa
cenno in 1,27 fossero concentrati in un unico essere androgino da cui è stata
successivamente separata la femminilità. Il senso di 1,27 va interpretato in
maniera distributiva unitaria (maschio-e-femmina).
Tale lettura supera l’impressione di ripetitività di 2,7-25, dove si narra in
effetti del modo in cui gli androgini – in principio unici esseri umani –
fossero stati diversificati (21-22). A confermare il passaggio della scissione
dell’androgino sono alcune interpretazioni midrashiche: l’adam primordiale
prodotto in Gn 1,26-27 era in pratica più o meno come uno dei tre tipi
androginici descritto da Aristofane nel “Simposio” (una creatura unica con
doppi connotati sessuali distinti di maschio e di femmina, di natura bifronte,
poi tagliata in due per costituire l’uomo e la donna individuali). La donna
prodotta dalla scissione dell’androgino è una sottospecie dell’adam maschio-e-femmina, è la causa di
questa sua mutilazione che lo degrada nella scala degli esseri viventi. Questo
adam androgino, in cui l’unione col femminile è il carattere della perfezione,
è nato con una vocazione maschilista. Dopo la nascita di Caino Eva, in Gn 4,1,
affermerà di aver ottenuto «un iysh (uomo) [che è] come il Signore (et-Yahweh)»: la particella et,
che introduce un complemento oggetto, compare già due volte in tale versetto, e
pare dunque corretto tradurre l’espressione «et-Yahweh», seguente il complemento oggetto «iysh», con un complemento predicativo dell’oggetto. È qui tra
l’altro una visione antropomorfa del divino. Per quanto concerne l’antropologia
veterotestamentaria, l’aver distinto sostanzialmente la femminilità in un
secondo tempo serve a giustificare la naturale esistenza dei generi sessuali,
ma al contempo a porre in subordine il ruolo della donna, nuova creatura
comparsa nella gerarchia tra l’adam menomato e gli animali. In Gn 2,18 Dio
constata «non buono l’essere dell’adam in
relazione alla separazione (le-badd-o)»,
perciò avrebbe prodotto «riguardo a lui un aiuto
(ezer: aiutante, supporto) a-somiglianza-di-fronte-a-lui (ke-negd-o)». A cosa si riferisca «le-badd-o» in questo versetto non è così
chiaro. Tale locuzione in generale interessa persona o ente che resta da una
separazione (per es. in Gn 30,40 / 32,17 / 32,25 / 42,38 / 44,20; Es 12,16 /
22,19 / 24,2; Dt 8,3 / 22,25). La non bontà di questo distacco potrebbe
concernere uno di due aspetti espliciti dopo: a) l’assenza di un aiutante, b)
la divisione in due creature dell’androgino. In entrambi i casi si può parlare
di un distacco non positivo poiché in a) viene a mancare un supporto e in b) si
originano l’uomo e la donna singoli e imperfetti. La solitudine androginica di
genere è comunque tema comune ad a) e b). Nell’eventualità di qualsiasi delle
due interpretazioni Dio cercherebbe, infruttuosamente, di trovare un aiuto
all’adam producendo degli animali (Gn 2,19-20) prima di procedere alla
scissione dell’androgino. Gn 2,21 attesta di un prelievo chirurgico di qualcosa da una zona angolare dell’adam,
non viene menzionata esplicitamente la
costola: il termine tsela vuol
dire lato (ad es. Es 26,26-27 / 26,35
/ 36,31-32; 1 Re 6,8 / Ez 41,5-6): Dio, mentre l’adam dormiva, «prendeva numero uno dai lati di lui (achat mi-tsalotay-v) e chiudeva la carne (basar) al di sotto di questo
(tachte-nnah)… e costruiva la tsela che aveva tratto dall’adam per [dare vita a] la donna (le-ishah:
complemento di fine)». Adesso l’adam è soddisfatto della nuova proposta di un ezer (Gn 2,23): presa da lui («osso dalle ossa di me e carne dalla carne di
me», dirà) la chiamò «ishah (donna) poiché dall’iysh (uomo) è stata
tratta». Gn 2,24 stabilisce uno scopo antropologico dicendo che l’uomo lascerà
la sua famiglia di provenienza per ripristinare una sorta di unità sullo stampo
dell’androgino: «si sarà unito (avvinghiato, attaccato; avrà aderito
strettamente: -dabaq, qal
perfetto 3a persona maschile singolare) nella donna di lui (be-isht-o)
e saranno diventati (-hayu, qal perfetto 3a persona
comune plurale) la creatura primigenia
(letteralmente la carne, il corpo numero uno: le-basar echad, in questa espressione di
termini – costituente nel testo masoretico un complemento di fine – echad
ha – considerati i risvolti dell’analisi – più un valore ordinale che cardinale)». Quando l’uomo
(iysh) avrà recuperato il lato (tsela) femminile (neqebah, ishah) si sarà innalzato di
nuovo alla completezza del primo adam. Ecco una fondazione ontologica del
pregiudizio discriminatorio contro le donne, di cui il seguito dei brani
contenuti nel terzo capitolo di “Genesi”, che parlano della tentazione e della
conseguente cacciata dall’Eden, è altra fondazione antropologica. L’esistenza
separata di un essere femminile non solo ha provocato una prima degradazione al
momento della separazione androginica, ma ha per giunta squalificato il genere
umano una seconda volta (Gn 3,16-19). Alla luce di questa ottica ermeneutica si
comprende Gn 5,1-3, un brano che non è ulteriormente ripetitivo rispetto a
1,26-27 e a 2,7-25, e che non fa una strana inversione nell’uso dei termini
quando usa tselem per il complemento
di paragone e dmuwth per il
complemento strumentale invertendo la logica espositiva di 1,26. Quando il
passo in esame asserisce che Dio «produsse
lui [l’adam] per mezzo della similitudine
di Elohiym (bi-dmut Elohiym asah oto)…
maschio e femmina (zakar u-neqebah) li produsse» e che
«Adam causava una nascita (-yyoled, hiphil imperfetto 3a
persona maschile singolare) grazie alla similarità di lui [di Adam] (bi-dmut-o: Eva), a
somiglianza della sua [di Adam] immagine
(ke-tsalm-o: la tselem androgina)» lega l’espressione «zakar u-neqebah» in senso predicativo binario (chi maschio e chi femmina) agli esseri umani sessualmente
differenziati, non più all’androgino come reso evidente laddove si parla di similitudine e non di immagine/statua:
«la
similarità di Elohiym» è il
risultato della separazione androginica (le due nuove creature fatte nella
costituzione del genere umano definitivo). «Per mezzo della somiglianza» è complemento correlato al concetto di
una produzione seguita alla scissione dell’androgino: creazione dell’uomo e
della donna (5,1-2), e nascita di un figlio di Adamo ed Eva (5,3). Gli esseri
umani provenuti dalla divisione dell’androgino poiché hanno perduto la completezza
iniziale sono imperfetti. Questo è il senso di Gn 2,25: Adamo ed Eva, nudi («arummiym»), non erano ancora consapevoli di tale status, la cui conoscenza si appaleserà in Gn 3,1-7. Da
detto momento mostrare la nudità
equivarrà a rendere visibile l’imperfezione
(che è motivo di vergogna), perciò
nell’episodio di Gn 9,20-28 Cam meriterà la maledizione di Noè (visto ubriaco
nudo). Nudo (eyrom, erom al singolare)
indica in ebraico una situazione di privazione e bisogno. Il verbo
corrispondente a questo aggettivo, cioè proveniente dalla stessa radice, ha tra
le sue sfumature di significato quelle di distruggere,
danneggiare, ledere, oltraggiare, ferire e di versare fuori. L’argomento dello sposalizio nella concezione socioreligiosa
ebraica è fondamentale: il matrimonio e l’unione sessuale (con la procreazione)
sono la via adatta a recuperare la dimensione di perfezione dell’androgino (una
formula per benedire gli sposi durante il rito definisce Dio artefice dell’adam, terminologia che non
ha luogo quando viene al mondo un neonato
imperfetto). L’esercizio della sessualità nell’ebraismo antico aveva un
concreto obiettivo procreativo a scopi demografici tendenti a rafforzare
l’esercito e la difesa della nazione, pertanto tutto quello che era deviazione
da questo funzionale comportamento era respinto e riprovato. La questione della
restaurazione androginica si è protratta sino ai Vangeli. In Matteo 22,23-30
l’ultimo versetto ribadisce che dopo la resurrezione non ci sarà più bisogno di
sposarsi perché gli esseri umani, prima uomini e donne nella sostanza separati,
avranno recuperato la completezza dell’androgino, paragonabile alla perfezione
angelica. L’apocrifo “Vangelo copto di Tomaso” si segnala oltre a questo motivo
per il carattere misogino. Al brano 22 viene prima detto che «Gesù vide dei bimbi
che succhiavano il latte. Disse ai suoi discepoli: “Questi bambini che prendono
il latte assomigliano a coloro che entreranno nel Regno”. Gli domandarono: “Se
noi saremo bambini, entreremo nel Regno?”. Gesù rispose loro: “Allorché di due
farete uno, allorché farete la parte interna come l’esterna, la parte esterna
come l’interna e la parte superiore come l’inferiore, allorché del maschio e
della femmina farete un unico essere sicché non vi sia più né maschio né
femmina, allorché farete occhi in luogo di un occhio, una mano in luogo di una
mano, un piede in luogo di un piede e un’immagine in luogo di un’immagine,
allora entrerete nel Regno”». Poi all’ultimo (il 114): «Simon Pietro disse
loro: “Maria deve andar via da noi! Perché le femmine non sono degne della
vita”. Gesù disse: “Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché
ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Poiché ogni femmina che si
fa maschio entrerà nel Regno dei cieli”». Riguardo alle venature misogine del
giudaismo va ricordato che una preghiera elaborata per i credenti di sesso
maschile rivolge un pensiero di sentita riconoscenza a Dio per il fatto di non
essere nati donne. Le trattazioni dell’androgino nella “Genesi” e nel
“Simposio” hanno una mira in comune: quella di prospettare il tema di
un’originaria unità fondante dei generi, unità ipotizzata a posteriori per spiegare la normalità
attuale e la cui bontà andrebbe riprodotta. La tradizione cristiana
medievale di antifemminismo, che trasse spunti dalla misoginia ebraica,
raggiunse uno degli estremi negativi della storia umana con la caccia alle streghe. La cultura greca
antica, pervasa da forti tratti discriminatori verso le donne2,
espresse invece la figura della sacerdotessa, recuperata poi da correnti
protestanti.
Note
1 Per approfondire
rinvio a miei lavori
https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana
http://danilocaruso.blogspot.it/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html
http://danilocaruso.blogspot.it/2014/10/lorigine-ideologica-del-cristianesimo.html
2 Come primo passo di
approfondimento su ciò consiglio la lettura del mio scritto “Antropologia del
diverso nell’antica Grecia”
contenuto
in un altro mio saggio intitolato “Donne della libertà”
Bibliografia dei brani volti da autore
diverso
Platone,
Simposio – Il dialogo dell’Eros, BIT 1995
Gesù /
Il racconto dei vangeli apocrifi (Volume X de “I grandi libri della
religione”), Mondadori
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Considerazioni letterarie”
https://www.academia.edu/8148720/Considerazioni_letterarie
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Considerazioni letterarie”
https://www.academia.edu/8148720/Considerazioni_letterarie