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sabato 10 marzo 2018

UNA GIORNATA POETICA DI SYLVIA PLATH

di DANILO CARUSO

I testi che seguono sono tratti dal mio secondo saggio di critica letteraria plathiana (“Sylvia Plath e l’utopia dell’essere”, “Sulla poesia di Sylvia Plath”). Una critica di chiaro richiamo junghiano sul versante psicologico, mentre sull’altro filosofico viaggiante lungo binari spiritualistici e idealistici. Le tre poesie di Sylvia esaminate sono state scritte nella stessa giornata: dieci giorni prima della sua prematura scomparsa. Per approfondimenti generali sul mio sistema di analisi adottato consiglio la lettura integrale delle mie due monografie dedicate alla Plath.


I. “WORDS”

“Words”, lirica plathiana del primo febbraio ’63 mi dà l’impressione di elaborare e presentare in fine modo figurato una lite verbale con Ted Hughes, risalente credo a non molto prima della redazione nel corso del soggiorno londinese di Sylvia.
I diari della Plath dell’ultimo periodo inglese, durato poco più di un triennio (dal ritorno dall’America, al termine del ’59, sino alla morte) sono scomparsi. E il principale sospettato di questa perdita è Hughes: può darsi non sia giunto alla materiale distruzione, e prima o poi ritorneranno alla luce. La prima strofa della poesia mi pare celare uno scontro animato da grida, il quale è motivo di tensione che si accumula e che si scarica in quelle lacrime di sfogo che sembrano nascoste nella seconda strofa, le quali riportano una quiete (che viene descritta).
I «them» che lei incontra per caso in strada potrebbero essere Assia Wevill e Ted: la poetessa è «senza cavaliere», in compagnia di «parole aride», martellanti «un instancabile ticchettio di zoccoli». Lo «stagno (pool; legato da paronomasia a “soul”)» è l’anima dell’autrice, le «stelle fisse» sono gli archetipi junghiani e i complessi della psiche, che «governano una vita», la sua.


II. “KINDNESS”

Altre due liriche accompagnano “Words” nella data di creazioni di quel primo febbraio: “Kindness” e “Mystic”. L’ordine presunto di redazione delle tre poesie penso sia questo adottato nella mia analisi. Alla rielaborazione poetica di quella lite segue la redazione di un testo di rilassamento, dove l’attenzione mette da parte i precedenti termini fortemente negativi e fa volgere lo sguardo poetico e umano della poetessa sulla sua famiglia (ormai composta da lei e i figli).
Ciò ha luogo con immagini positive: nella prima strofa compaiono il blu alchemico e il rosso di rubedo. Dalla seconda il tono cambia un po’ tramite profondi accenti esistenziali che creano un’atmosfera di colore. Possiamo percepire l’animo di Sylvia in quella mattinata, in cui il sole non è ancora sorto, assorta a pensare sul valore e sul significato della vita: l’essere umano ha quid superiore (l’anima, «soul») rispetto agli animali da cui differisce, che lei colora di vitalità autentica. «Il pianto di un bambino» cui accenna è un segno di vita toccante, autentico, a lei familiare. Di quella vita di cui ella coglie anche le sfaccettature pragmatiche.
Lo «zucchero» che la «Gentilezza» personificata afferma panacea è la gratificazione che a lei mancava (v. 10). «Sugar» non è solo “lusinga”, nello slang americano indica anche il “denaro”. I vv. 14-15 riassumono la sua condizione di allora le sue seriche creazioni letterarie rischiano di essere rifiutate ed emarginate. Questi due versi hanno però un potere significanza molto più ricco poiché rievocano altresì la sua rottura matrimoniale: la Plath è una “japanese butterfly”, una “Madama butterfly”, una donna abbandonata. I vv. 16-17 ci restituiscono Sylvia la quale fa colazione seduta davanti al suo caldo tè fumante: è un’aggraziata e affettuosa immagine di interno familiare, del ritiro notturno che va svanendo.
Il testo al successivo v. 18 instaura un’analogia con la ferita al costato di Gesù crocifisso di cui nel Vangelo di Giovanni: «Lo zampillo del sangue è poesia, / non c’è come fermarla [preferisco collegare «it» a «poetry» che non a «jet»; n.d.r.]». La lirica della Plath nasce da una lacerazione dell’animo, il quale in potente poesia converte i suoi stati, i pensieri, i ricordi, le sue esperienze. E tutto si chiude in “Kindness” con lo sguardo ai propri figli (v. 20), e con la mente alle preoccupazioni per loro («two roses»), le quali “Edge” – ultimo componimento plathiano, posteriore di quattro giorni – affronterà con spirito risolutivo.


III. “MYSTYC”

Il titolo di “Mystyc” a primo impatto può sembrare incomprensibile. Se la parola fosse un sostantivo indicherebbe il “mistico” in generale, cosa che non ha grande pertinenza con il testo; meglio quindi intenderla nella veste di aggettivo: mistico, misterioso, occulto, magico. Ma quale il concetto di cui si predica?
Potrà apparire più evidente dopo l’analisi della lirica, assunta una visione completa dei suoi contenuti. La prima strofa della poesia mette in scena la Grande madre negativa, connotata dal nero («black») della nigredo. Gli «ami (hooks)» del «mulino» fenomenico servono a far abboccare meritevoli di morte spirituale. In inglese esiste un proverbio che parla del mulino di Dio (God’s mill grinds slow but sure) e una espressione arcaica legante Dio agli ami/uncini (to be off the hooks: essere fuori della grazia di Dio). Questo “Dio/nevrosi collettiva”, “mostro/ombra junghiana” è denunziato nella seconda e nella terza strofa.
«Qual è il rimedio» a questo cosmico multiforme nefasto progetto di persecuzione a danno del benessere che deriva dallo squilibrio? La risposta nella quarta e quinta strofa. Non il rifugio fideistico ulteriore nella forma liturgica cristiana (a cominciare dall’assunzione dell’ostia consacrata; vedi i vv. 16-17), né tanto meno mettersi a raccogliere briciole di speranza cristiana da altri, mansueti animali consumatori di marxiano oppio soddisfatti nelle loro bassezze e deformità spirituali dentro la gabbia della felicità degli idioti (vedi i vv. 18-20). Gli ultimi versi della lirica indicano la via: la verità sta nel profondo (vedi i vv. 25-27).
Nel corso della redazione di tre poesie in quel primo febbraio ’63 è però giunta l’alba (v. 25), il mondo ha preso a vivere il giorno (vv. 23-24), e il travaglio creativo in siffatti pensieri è stato positivamente superato (v. 26). L’aggettivo “Mystic” del titolo pertanto credo sia da riferirsi a un concetto di itinerarium mentis come cammino di risoluzione. E da ciò è possibile ricollegarsi agli interessi per l’occultismo di Sylvia Plath che costituiscono una riprova di ritorno della mia interpretazione.