di
DANILO CARUSO
I
testi che seguono sono tratti dal mio secondo saggio di critica letteraria
plathiana (“Sylvia Plath e l’utopia dell’essere”, “Sulla poesia di Sylvia
Plath”). Una critica di chiaro richiamo junghiano sul versante psicologico,
mentre sull’altro filosofico viaggiante lungo binari spiritualistici e
idealistici. Le tre poesie di Sylvia esaminate sono state scritte nella stessa
giornata: dieci giorni prima della sua prematura scomparsa. Per approfondimenti
generali sul mio sistema di analisi adottato consiglio la lettura integrale
delle mie due monografie dedicate alla Plath.
I. “WORDS”
“Words”,
lirica plathiana del primo febbraio ’63 mi dà l’impressione di elaborare e
presentare in fine modo figurato una lite verbale con Ted Hughes, risalente
credo a non molto prima della redazione nel corso del soggiorno londinese di
Sylvia.
I
diari della Plath dell’ultimo periodo inglese, durato poco più di un triennio
(dal ritorno dall’America, al termine del ’59, sino alla morte) sono scomparsi.
E il principale sospettato di questa perdita è Hughes: può darsi non sia giunto
alla materiale distruzione, e prima o poi ritorneranno alla luce. La prima
strofa della poesia mi pare celare uno scontro animato da grida, il quale è
motivo di tensione che si accumula e che si scarica in quelle lacrime di sfogo
che sembrano nascoste nella seconda strofa, le quali riportano una quiete (che
viene descritta).
I
«them» che lei incontra per caso in strada potrebbero essere Assia Wevill e
Ted: la poetessa è «senza cavaliere», in compagnia di «parole aride», martellanti
«un instancabile ticchettio di zoccoli». Lo «stagno (pool; legato da
paronomasia a “soul”)» è l’anima dell’autrice, le «stelle fisse» sono gli
archetipi junghiani e i complessi della psiche, che «governano una vita», la
sua.
II. “KINDNESS”
Altre
due liriche accompagnano “Words” nella data di creazioni di quel primo
febbraio: “Kindness” e “Mystic”. L’ordine presunto di redazione delle tre
poesie penso sia questo adottato nella mia analisi. Alla rielaborazione poetica
di quella lite segue la redazione di un testo di rilassamento, dove
l’attenzione mette da parte i precedenti termini fortemente negativi e fa
volgere lo sguardo poetico e umano della poetessa sulla sua famiglia (ormai
composta da lei e i figli).
Ciò
ha luogo con immagini positive: nella prima strofa compaiono il blu alchemico e
il rosso di rubedo. Dalla seconda il tono cambia un po’ tramite profondi
accenti esistenziali che creano un’atmosfera di colore. Possiamo percepire
l’animo di Sylvia in quella mattinata, in cui il sole non è ancora sorto,
assorta a pensare sul valore e sul significato della vita: l’essere umano ha
quid superiore (l’anima, «soul») rispetto agli animali da cui differisce, che
lei colora di vitalità autentica. «Il pianto di un bambino» cui accenna è un
segno di vita toccante, autentico, a lei familiare. Di quella vita di cui ella
coglie anche le sfaccettature pragmatiche.
Lo
«zucchero» che la «Gentilezza» personificata afferma panacea è la
gratificazione che a lei mancava (v. 10). «Sugar» non è solo “lusinga”, nello
slang americano indica anche il “denaro”. I vv. 14-15 riassumono la sua
condizione di allora le sue seriche creazioni letterarie rischiano di essere
rifiutate ed emarginate. Questi due versi hanno però un potere significanza
molto più ricco poiché rievocano altresì la sua rottura matrimoniale: la Plath
è una “japanese butterfly”, una “Madama butterfly”, una donna abbandonata. I
vv. 16-17 ci restituiscono Sylvia la quale fa colazione seduta davanti al suo
caldo tè fumante: è un’aggraziata e affettuosa immagine di interno familiare,
del ritiro notturno che va svanendo.
Il
testo al successivo v. 18 instaura un’analogia con la ferita al costato di Gesù
crocifisso di cui nel Vangelo di Giovanni: «Lo zampillo del sangue è poesia, /
non c’è come fermarla [preferisco collegare «it» a «poetry» che non a «jet»;
n.d.r.]». La lirica della Plath nasce da una lacerazione dell’animo, il quale
in potente poesia converte i suoi stati, i pensieri, i ricordi, le sue
esperienze. E tutto si chiude in “Kindness” con lo sguardo ai propri figli (v.
20), e con la mente alle preoccupazioni per loro («two roses»), le quali “Edge”
– ultimo componimento plathiano, posteriore di quattro giorni – affronterà con
spirito risolutivo.
III. “MYSTYC”
Il
titolo di “Mystyc” a primo impatto può sembrare incomprensibile. Se la parola
fosse un sostantivo indicherebbe il “mistico” in generale, cosa che non ha
grande pertinenza con il testo; meglio quindi intenderla nella veste di
aggettivo: mistico, misterioso, occulto, magico. Ma quale il concetto di cui si
predica?
Potrà
apparire più evidente dopo l’analisi della lirica, assunta una visione completa
dei suoi contenuti. La prima strofa della poesia mette in scena la Grande madre
negativa, connotata dal nero («black») della nigredo. Gli «ami (hooks)» del
«mulino» fenomenico servono a far abboccare meritevoli di morte spirituale. In
inglese esiste un proverbio che parla del mulino di Dio (God’s mill grinds slow
but sure) e una espressione arcaica legante Dio agli ami/uncini (to be off the
hooks: essere fuori della grazia di Dio). Questo “Dio/nevrosi collettiva”,
“mostro/ombra junghiana” è denunziato nella seconda e nella terza strofa.
«Qual
è il rimedio» a questo cosmico multiforme nefasto progetto di persecuzione a
danno del benessere che deriva dallo squilibrio? La risposta nella quarta e
quinta strofa. Non il rifugio fideistico ulteriore nella forma liturgica
cristiana (a cominciare dall’assunzione dell’ostia consacrata; vedi i vv.
16-17), né tanto meno mettersi a raccogliere briciole di speranza cristiana da
altri, mansueti animali consumatori di marxiano oppio soddisfatti nelle loro
bassezze e deformità spirituali dentro la gabbia della felicità degli idioti
(vedi i vv. 18-20). Gli ultimi versi della lirica indicano la via: la verità
sta nel profondo (vedi i vv. 25-27).
Nel
corso della redazione di tre poesie in quel primo febbraio ’63 è però giunta
l’alba (v. 25), il mondo ha preso a vivere il giorno (vv. 23-24), e il
travaglio creativo in siffatti pensieri è stato positivamente superato (v. 26).
L’aggettivo “Mystic” del titolo pertanto credo sia da riferirsi a un concetto
di itinerarium mentis come cammino di risoluzione. E da ciò è possibile
ricollegarsi agli interessi per l’occultismo di Sylvia Plath che costituiscono
una riprova di ritorno della mia interpretazione.