Nella giurisprudenza italiana in virtù della legge 248 del 18 agosto 2000 anche i testi pubblicati su internet godono della tutela del diritto d’autore già stabilito dalla precedente legge 633 del 22 aprile 1941. La loro riproduzione integrale o parziale è pertanto libera in presenza di scopi culturali e al di là di contesti di lucro, da questo lecito uso fuori del consenso dello scrittore si devono necessariamente poter evincere i seguenti dati: il link del testo, il titolo, l’autore e la data di pubblicazione; il link della homepage del suo contenitore web. Copiare non rispettando queste elementari norme rappresenta un illecito.

mercoledì 23 ottobre 2019

LO STRANIERO POSITIVO DI HERMANN HESSE

di DANILO CARUSO


La vita è sempre terribile.
Non ne abbiamo colpa
e siamo d’altronde responsabili.
Si è nati, e già si è colpevoli.1 

Hermann Hesse, “Il lupo della steppa”


“Il lupo della steppa (Der steppenwolf)” di Hermann Hesse (1877-1962) è un romanzo del 1927. Tale testo hessiano possiede una forte connotazione autobiografica, e in maniera caratteristica si configura alla volta di soddisfare la “funzione trascendente” junghiana. Vale a dire che lo scrittore ha trasposto la sua inquietudine esistenziale in un elaborato redazionale allo scopo di raggiungere un livello di alleggerimento della tensione psichica. Non è un caso che nell’opera, e proprio nella parte iniziale, si faccia cenno a: suicidio, disturbi psicosomatici, depressione e ansia. In parole povere, Hesse (che vinse il Premio Nobel nel 1946) nel descrivere questo scenario sintomatologico ha preso spunto da sé, dal suo malessere a dal suo mancato tentativo di uccidersi da giovane. Nel romanzo permane un costante orizzonte junghiano: l’autore fu paziente nella sua vita del fondatore della psicologia analitica. Protagonista di “Der steppenwolf” è Harry Haller, un uomo benestante e pacifista che vive una condizione di disagio nelle sue interrelazioni nel mondo. Respinto dalla moglie, ha iniziato a girare. E dopo aver preso dimora affittando temporaneamente una stanza, ha lasciato qui un memoriale in cui narra delle sue recenti vicende e della sua vita. L’esperienza del tentato suicidio da parte dell’autore del romanzo emerge nel suo ripensamento in taluni passaggi de “Il lupo della steppa”. Rappresenta uno dei più intensi spunti autobiografici (il quale sarà meglio chiarito nel memoriale incorporato di Haller), giacché lo scrittore non manca di rimarcare la vocazione alla ricerca della libertà, alla liberazione dal peso della sovrastruttura sociale della borghesia a beneficio di una libido dunque meno compressa. Hesse presenta un’amletica dicotomia in relazione al suo alter ego (Harry Haller): borghese/autentico. E sottolinea l’aspetto della funzione trascendente junghiana. Tale dicotomia produce un conflitto psicosomatico: l’uomo e il lupo, la ragione e il sentimento (facoltà personali dell’asse razionale nella concezione di Jung) possono infatti entrare in conflitto. L’incapacità di trovare un equilibrio (il quale non esclude preponderanza di uno o dell’altro di simili fattori caratteriali), un’oscillazione inquieta dall’uno all’altro polo senza padronanza producono delle conseguenze (dal somatico allo psichico). Nel vivere il disagio, suo e del protagonista, il creatore di “Der steppenwolf” ha individuato due precise coordinate: in aggiunta all’Io, la società borghese in una sua fase di transizione, di crisi, di instabilità, le quali colpiscono gli animi più sensibili e acuti; quindi i richiami testuali a Nietzsche. Anche Hesse aspira al superamento dell’ipocrisia borghese del suo tempo, causa di malessere. La figura di Haller si manifesta nel suo essere-lupo-della-steppa come, o quasi, fosse un archetipo junghiano, nella sua propensione a voler sciogliere le tensioni che lo affliggono, mirando alla meta di un equilibrio interiore. In generale nel romanzo hessiano la questione junghiana del “processo di individuazione” rimane costantemente presente. L’Io del protagonista va alla ricerca di un posizionamento nella interiore personale psiche il quale non dia più adito a oscillazioni fra contrastanti caratteri. Da ciò nel testo scaturisce il sottofondo di falsariga concettuale con radici nel pensiero di Jung. Si vede uno spirito antiborghese mirante alla ricerca del significato dell’esistenza umana accompagnato da un’irrequietezza che sarà tipica di Goldmund (Boccadoro). Ne “Il lupo della steppa” si nota come l’autore tematizzi in modo nitido la contrapposizione tra le facoltà razionali individuali (ragione e sentimento). Siffatta dinamica, a volte patologica (se radicale), a volte fisiologica (se dosata), nel testo hessiano riprende categorie provenienti da Jung, e fra le altre quella degli archetipi. Parlando della dicotomia “Madre Natura / Dio” infatti Hesse esplicita meglio l’altra testé ricordata. Da un lato si pone l’archetipo della Grande Madre, femminile, il quale prospetta un ritorno al naturale originario, alla volta del sentimentale. Dall’altro l’archetipo del vecchio saggio, maschile, il quale invece indica la strada di un approdo in direzione della razionalità. Nel romanzo non manca il chiarimento che il numero degli archetipi possibilmente agenti nell’esistenza di ciascuno è indefinito, e dunque molteplice. Accanto alla struttura portante junghiana in “Der steppenwolf” lo scrittore inserisce richiami più espliciti alla cultura buddista, di cui è simpatizzante, laddove questa si propone di conseguire la pacificazione psichica (l’ideale del nirvana).
Nel corso delle vicende descritte da Harry Haller nel suo memoriale, capita al protagonista la circostanza di essere invitato a una cena borghese durante la quale a causa della sua indole matura uno sgradevole confronto di idee che lo induce, allontanatosi in seguito a ciò, a cercare un liberatorio suicidio dalla sua costante situazione di disaccordo con l’apparato sociale e i di esso canoni standardizzati. Egli finisce, dopo aver girato con gran travaglio attorno all’idea di darsi la morte, in un locale pubblico di divertimento denominato «Zum schwarzen Adler (All’aquila nera)». E qui Hesse inizia a mettere in scena un chiaro ciclo alchemico-junghiano: la rinascita spirituale dalla nigredo (depressione) alla rubedo, dalla morte spirituale (tentativo di suicidio fallito) a nuova vita. Dal nero (nigredo) dell’aquila, nel testo, si passa alla comparsa dell’albedo grazie all’intervento di «ein hübsches bleiches Mädchen (una graziosa ragazza pallida)», adornata in testa di una camelia (fiore di possibili colorazioni: bianco, rosa, rosso). Si può evincere l’evidenza di un ciclo alchemico da un altro dettaglio allegorico: quella ragazza, di nome Hermine (Erminia), pulisce gli occhiali di Harry allo scopo di consentirgli di vedere meglio; una cosa nella sua valenza accostabile a un miracolo evangelico di Gesù che ridona la vista. Simile momento di “disvelamento alchemico” a beneficio di Haller allude, più in generale nell’ambito delle sue fasi di rinascita, alla presenza di un iter di svolgimento di “nozze alchemiche”: “parlare di ballo / imparare a ballare” ne è metafora. In parole meno figurate, meno criptiche, tale ballerina incontrata dal protagonista, e che si intrattiene con lui, facendo amicizia simboleggia l’“anima junghiana”, cioè per un uomo la psichica controparte sessuale davanti all’Io (“animus” per una donna). Questa è la componente femminile del ciclo alchemico, il quale assume come obiettivo psicologico per Jung “l’individuazione”: per tutti, il conseguimento del Sé (ossia la lucida presa di consapevolezza del proprio assetto psichico; momento della rubedo, della pacificazione interiore). Nel ciclo alchemico di Harry Haller, legato a Hermine, Hesse, fra le varie figurazioni, inserisce un sogno del protagonista in cui questo incontra Goethe. Detto passaggio di “Der steppenwolf” rivela l’ulteriore pregnanza junghiana nel suo mostrarsi allegoria dello scontro generazionale genitori/figli, qui culminante con una sua sdrammatizzazione. In tutta questa faccenda della rinascita spirituale di Haller compare qualcosa che potremmo definire un piccolo percorso dantesco avente suoi precisi elementi: l’idea di suicidio / la selva oscura; Goethe/Virgilio; Erminia/Beatrice. Hermine parla a Harry, e lo ammaestra, proprio come farebbe Beatrice con Dante. La prima riprende connotazioni concettuali più congeniali a Hesse attraverso personaggi religiosi. Quando Haller si accomiata dalla ragazza, al suo primo accidentale incontro, nel suo memoriale usa un’espressione verbale in accezione esistenziale che mi ha fatto notare una singolare coincidenza plathiana: «trübe Glasglocke (opaca campana di vetro)». In “Narciso e Boccadoro” esistono diverse tangenze letterarie con Silvia Plath (al di là di quelle di carattere biografico), le quali ho messo in luce in altra sede2. Qui ne “Il lupo della steppa” oltre a rintracciare tale analogia col titolo del famoso romanzo plathiano (a questo punto ipotizzo una suggestione hessiana), al principio del memoriale del protagonista si presenta la scena di un bagno nell’acqua calda in vasca: una cosa che ha un parallelo all’inizio di “The bell jar”. La vasca è simbolo del rifugio offerto nel grembo della Grande Madre positiva3: l’ennesimo concetto junghiano. Allorché Erminia anticipa a Harry la di lei richiesta finale della loro amicizia, si può rimanere disorientati a sentirle chiedere che, dopo averlo fatto innamorare di lei, egli la uccida. Si tratta nel nostro caso nuovamente di qualcosa di simbolico: pensiamo a Jung, il quale nel “Liber novus” ammazza Sigfrido. Una simile pretesa va interpretata in termini di psicologia analitica: nel “processo di individuazione” la controparte psichica sessuale deve cedere il passo, aperto un canale di collegamento diretto con l’inconscio collettivo, alla auspicata tappa definitiva (dove l’Io liberatosi dall’influsso negativo di altri possibili complessi si adegua in modo genuino a un archetipo). Quindi “uccidere Hermine” vuol dire per Haller: “individuarsi”. Hesse rammenta, sulla scia di Jung, che non è benefico concedere a un determinato tono della personalità il dominio esclusivo e respingente della funzione opposta, poiché l’effetto collaterale sarà traumatico: ciò che di naturale viene soffocato verrà a galla all’improvviso e in maniera disordinata. È bene mantenere degli equilibri più dosati. Infatti in ciascuno operano sempre le quattro funzioni caratteriali: proviene da un loro errato dosaggio la provocazione di uno stato patologico. Perciò in Haller sorge questo conflitto interiore: non ha saputo sanare il rapporto tra la dimensione del “logico” e del “sentimentale”. Erminia, essendo immagine narrativa dell’“anima junghiana” (il “femminile” richiamante il “sentimentale”), si propone il compito di essere foriera di un nuovo assetto nel comportamento e nei pensieri del protagonista, un assetto il quale non generi più il meccanismo del temporaneo rovesciamento radicale nell’opposto escluso. L’autore del testo torna a rievocare la possibile molteplicità degli archetipi agenti nell’esistenza di ognuno in una guisa che anticipa spunti della psicologia analitica di Hilmann; ritorna anche a prendere la dicotomia iniziale della sua opera in esame, “borghese/autentico”, ricollocando il tratto “razionale” di Haller sotto l’etichetta del primo termine: pure lui non ha mancato di assumere aspetti di vita conformisti. Tra gli aspetti di contorno in “Der steppenwolf” ne emergono un paio.
A Hesse è cara la figura del titkisser, Boccadoro praticherà il titkissing. Poi, così come ne “Le affinità elettive” Goethe ha teorizzato gli scambi di coppia, ne “Il lupo della steppa” lo scrittore vincitore del Premio Nobel, dal canto suo, affronta il tema del poliamore: nel caso di Maria, la ragazza che, mandata presso Harry da Hermine, egli incontra più volte; una ragazza la quale ha diversi amanti, e del resto il protagonista ne aveva già una (benché distante). I fili del romanzo, da Maria in avanti si vanno riannodando: Harry va via via prendendo consapevolezza della sua “costellazione psichica interiore”, un passo senza cui non si dà “individuazione junghiana”. E la dicotomia spirito/corpo assume in lui uno forma meno rigida nella linea di demarcazione. Il cammino del protagonista verso l’“individuazione junghiana” ricorda la dialettica erotica del “Simposio” platonico nel momento in cui Erminia si trasforma in una sorta di Diotima al cospetto di Harry, e spiega a costui che il quotidiano vivere borghese non potrà mai essere il loro spazio. Per loro, spiriti usciti dalla caverna, l’eros uranico non può aver altro premio che in una dimensione iperurania. In simili tratti del romanzo affiora la visione spiritualista del mondo di Hermann Hesse, il quale da giovane ricevette una rigida educazione religiosa pietista (fra le motrici principali del suo disagio). Nella parte conclusiva di “Der steppenwolf” le premesse junghiane inerenti all’“individuazione” trovano la loro ideale evoluzione. La festa di ballo in maschera rappresenta la “coniunctio mystica” dischiudente il momento della “rubedo”. Come simbolica era la richiesta di Erminia a Harry di ucciderla, ancor più evidente è la simbolicità del suicidio richiesto a Haller da parte di Pablo: si tratta di un suicidio alchemico paragonabile a un battesimo per immersione. Il teatro che si apre davanti al protagonista è quello della sua psiche, la quale si decostruisce nitidamente nel culmine dell’“individuazione”, dove egli prende coscienza delle sfaccettature della propria personalità. Alle riflessioni prossime all’aspetto caratteriale di Haller, Hesse fa seguire nella fase della “rubedo junghiana” considerazioni di natura ideologica, motivi problematici già sollevati in apertura del romanzo. Il rapporto “ordine /anarchia” è un tema nevralgico non solo nel pensiero hessiano. Qui, nell’opera, si toccano dettagli molto acuti. L’opposizione tecnologica moderna “macchina/Natura” viene esaminata nel suo profilo borghese: l’aggressiva urbanizzazione appare dunque elemento di un processo espansivo di dominio, i cui strumenti producono come inevitabile conseguenza altresì la guerra (la quale si qualifica come prodotto sociale di una precisa classe dominante). Hesse indica il ruolo sovrastrutturale di certa religione nel panorama borghese capitalistico moderno, però lo fa in una guisa che si mostra di taglio ibrido weberiano-marxiano: la religione in parte può essere movente (ad esempio mediante la mentalità attivistica), in parte facciata (ad esempio nel contesto estetico di richiamo dei proseliti). Simili due lati non si escluderebbero inter se, ma si mescolerebbero. È da notare che l’immaginifico messo in scena dall’autor nella chiusura de “Il lupo della steppa” abbia somiglianze strutturali catartiche con sezioni de “Il libro rosso” di Jung. Nel finale del romanzo hesse dà corpo a tutte le esigenze previste da un sano “processo di individuazione”, e le tratteggia in sottili e pertinenti figurazioni, le quali consentono il passaggio dal “potenziale” di inizio del romanzo all’“attuale”, sempre letterario, della chiusura dell’opera. Non voglia sembrare strano l’epilogo di “Der steppenwolf”, a causa della superficialmente ambigua uccisione di Erminia: essa non vuol dire altro che Harry si è inoltrato in modo definitivo nel cambiamento esistenziale (ricordiamo il caso Jung/Sigfrido del “Liber novus”). Soltanto che qui Hesse lascia la questione ancora aperta (perdurante piuttosto che conclusa), attraversando toni molto danteschi: pure Dante alla fine della “Divina Commedia” ritorna alla mondanità senza Beatrice. Harry Haller è rinato, ma non si è, per così dire, “santificato”. L’autore del romanzo è sì un figlio dei suoi tempi, tuttavia va detto, e apprezzato, come egli abbia costruito un “percorso terapeutico” che apre la porta del “teatro magico dell’individuazione junghiana” a ciascuno.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici

1 Das Leben ist immer furchtbar. Wir können nichts dafür und sind doch verantwortlich. Man wird geboren, und schon ist man schuldig.