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sabato 2 novembre 2019

IL CAPITALISTICO “GIOCO DEI TRONI” IN EUROPA

di DANILO CARUSO
 
Una società giusta non dovrebbe garantire in primis lavoro ai suoi membri bensì benessere: il lavoro è un mezzo, non un fine. Il progresso tecnologico raggiunto su questo pianeta consentirebbe di offrire benessere a tutti, con una ridotta partecipazione oraria lavorativa di ciascuno. A impedirlo sembra l’inquinante sistema capitalistico e la sua imperfetta “mano invisibile”. Speculare su tutte le forme di disgrazie può rappresentare una remunerativa operazione economica. Se l’ordine, lasciato al caso, fosse gestito da un’entità statale mondiale federale con la sua superiore razionalità, gli interessi partigiani borghesi non intralcerebbero l’equilibrio sociale e la sanità ambientale. Il modello statale aristotelico prevede di evitare la persistenza di sacche di povertà e l’accumulo di un’eccessiva ricchezza nelle mani di pochi. La sopravvivenza di tali due degenerati poli è storicamente alla base del peggior capitalismo. Altresì, continuare ad allargare la contesa economica in termini nazionalistici non giova ad altro che al nevrotico e attivistico sistema capitalistico nei suoi fini reconditi. L’Occidente capitalista dominante insiste a sfruttare le risorse umane e materiali sulla Terra privo di un caritatevole logico riguardo. In questo inizio di nuovo secolo è pressoché scomparsa la generazione di chi visse l’ultima guerra mondiale, ultimo tratto della “peloponnesiaca” guerra intestina del capitalismo (allora euroamericano), iniziata con la Grande guerra. La formazione educativa e i media inducono a banalizzare la serietà dei problemi, come se il peggio dovesse accadere sempre lontano da noi. Una cosa che sta accadendo dentro il sistema occidentale è lo scontro radicale fra l’attivismo nevrotico protestante filocapitalista e la Chiesa cattolica (totalitario nevrotico misogino omofobo regime oppressivo da Teodosio all’Illuminismo), la quale non costituisce più un palliativo presso le masse, anzi persegue una sua antitetica strategia (dopo la perdita del comune nemico marxista). Scomparso il comunismo sovietico, l’Occidente pare cercherà di sbarazzarsi del Cristianesimo pseudoassistenzialistico cattolico a beneficio del Protestantesimo (il cui attivismo è più omogeneo). La conclusione che si può tirare, in breve, recita che il Cristianesimo sia stato alla base, e permane a esserlo, di uno squilibrato sviluppo del mondo occidentale. In prospettiva di un definitivo successo del protestante Dio denaro o del ritorno del cattolico Dio dell’Inquisizione (orizzonti distopici) occorre che la filosofia sappia reagire con la proposta di un nuovo umanesimo (utopia). Il recupero del pensiero antico della civiltà pagana, lo spirito illuministico più vicino, possono fornire quegli spunti a favore di una liberazione (soprattutto psicologica): l’umanità si salverà dagli scenari distruttivi nel momento in cui i soggetti più assennati, ragionevoli (filosofi e studiosi), saranno nelle condizioni di impedire al resto di nuocere. In mezzo ai futuri distopici possibili forse quello huxleyano di un capitalismo impazzito nel Brave New World sembra il più lieve, peggiore quello nello stile orwelliano di Oceania. Ma non dimentichiamo che Huxley dipinge l’anticamera della wellsiana dicotomia Eloi/Morlock. Per me la migliore utopia è rappresentata da quella visione del mondo, preoccupante distopia agli occhi di Monsignor Benson, delineata in atto in “Lord of the World”. Tuttavia, se non si potesse evitare il peggio, da persona di studio preferirei vivere in quel distopico regime (ir)razionalista descritto da Zamjatin: unicuique distopia. Chi definisce l’esperienza storica del fascismo italiano del 1922-1943 un regime totalitario, al pari della Germania nazista e dell’URSS (le quali invece lo furono), sembra non conosca bene la storia o voglia presentare una versione dei fatti distorta. Il caso delle Leggi razziali, il più eclatante, spesso evocato nei suoi aspetti esteriori al fine di appiccicare l’etichetta spregiativa di “fascista” in maniera anacronistica è l’esempio più utile per ricordare che in Italia allora c’era un Parlamento bicamerale con un Senato di intera nomina regia (a norma dello Statuto albertino del 1848), che le leggi necessitavano della promulgazione del Capo dello Stato (sempre a norma dello Statuto, il Re): perciò quando si parla di dittatura totalitaria si misconosce che i fascisti controllavano direttamente solo la Camera, l’unica ad aver sempre mantenuto, seppur in situazione di partito unico, un meccanismo elettivo (prima della nascita della Camera dei fasci e delle corporazioni ebbe diritto di voto, pro o contro la lista dei deputati fascisti presentata dal Gran consiglio, lo stesso elettorato attivo dell’Italia liberale precedente: dov’è il totalitarismo nella possibilità tecnica che avessero potuto bocciarla e procedere a una scelta dal basso secondo la legge elettorale al momento vigente?). Nella circostanza delle Leggi razziali, se la Monarchia sabauda avesse voluto respingerle, avrebbe avuto mezzi istituzionali a disposizione, così come li ebbe durante il corso di tutto il Ventennio per tutte le altre materie. Il governo del Regno inoltre poggiava sulla fiducia presso il monarca: il potere esecutivo, sempre in base allo Statuto, spettava al Re che lo delegava a un governo di cui nominava il responsabile e a cui poteva revocare l’incarico in qualsiasi momento. Chi parla di totalitarismo del fascismo italiano monarchico ignora l’architettura costituzionale dell’epoca e le convenienze monarchico-borghesi nel tenere in piedi quel governo: infatti quando l’ultima guerra non fu più conveniente, dopo l’ultimo Gran consiglio, il Re mise alle strette Mussolini e lo fece dimettere. Il fascismo ebbe aspetti dittatoriali, sì, ma definirlo sistema totalitario non è corretto da un punto di vista storiografico. Non va dimenticato che in Italia allora (come tuttora) c’era una significativa presenza della Chiesa cattolica: resuscitata dal fascismo nella dimensione statale e presente sul territorio con le sue organizzazioni, concorrenziali rispetto a quelle fasciste (ulteriore esempio che in Italia il fascismo, sebbene dittatura, non fu totalitario in senso stretto). Gli attori della politica italiana nel 1922-1943 erano tre: il fascismo, la monarchia (con la borghesia industriale e fondiaria), la Chiesa. Oggigiorno abusare dell’aggettivo “fascista” per un improprio uso non contribuisce a una seria conoscenza storica. Soprattutto nel momento in cui, parlando di rinascite fasciste, non si nota che le analogie sono maggiori con la Repubblica di Weimar e il nazismo. Ai nostri tempi assistiamo ad atteggiamenti neonazisti: chiamare le cose col loro nome è importante se si vogliono comprendere le dinamiche storiche in maniera scientifica. La xenofobia e la difesa del capitalismo nazionalistico furono aspetti precipui del nazismo, non del fascismo italiano. Infine, che il fascismo abbia avuto lati negativi, e molto negativi, questo è innegabile: tuttavia distorcere i fatti a uso e consumo di una storiografia interessata alla beatificazione della parte avversa dei vincitori della Seconda guerra mondiale non rappresenta un’operazione che a mio parere possa contribuire alla comprensione dei fatti. E tengo a precisare che a mio avviso all’orizzonte dell’Occidente appare qualcosa che assomiglia al “Tallone di ferro” di Jack London: un capitalismo veramente spinto nelle sue dimensioni nazionali ad assumere foggia totalitaria. Per questo nel caso europeo mi pare bene che i singoli interessi capitalistici nazionali si diluiscano in un contesto più ampio allo scopo di evitare tensioni continentali estreme e che parimenti il processo di unificazione politica dell’UE assuma connotati di solidarietà sociale migliore in luogo della deificazione del liberalcapitalismo. Il progetto dell’Euro, di una moneta comunitaria in Europa, è stato e rimane un disegno politico. Il fine di esso mira a evitare il ritorno della guerra nel continente fra opposte fazioni nazionalcapitalistiche. L’Euro ha unito il capitalismo europeo in un contenitore politico, il cui obiettivo consiste nell’unificazione federale statale della CE. Il difetto, se così si può definire, dell’organizzazione attuale sta nel fatto che gli Stati comunitari non possono stampare in maniera autonoma moneta. La massa di denaro interna dell’Euro risulta essere una quantità determinata a priori dalla BCE. Ciò comporta che quando sistemi nazionali socioeconomici poggianti sul clientelismo e sul parassitismo pubblico regaleranno perlopiù i soldi andranno in seguito in perdita: se una economia di un Paese comunitario non ha una guida politica che pianifica una reale e concreta crescita basata su una produzione vera e non fittizia, la ricchezza nazionale potenziale si sprecherà a beneficio di altri esterni che attrarranno la massa monetaria. Tale incapacità di evitare lo spreco interessato del denaro pubblico e l’aumento dei prezzi non dipendono dall’Euro in sé, né tanto meno dall’Unione europea. La quale, dal canto suo, quel rigore che predica tende a rendere omogenea la base socioeconomica dell’Europa federale auspicata. La macelleria sociale talvolta richiesta in alcune Nazioni è stata il malaugurato prezzo di malgoverni passati. Tuttavia se le riforme di risanamento sono state applicate senza sensibilità verso le categorie coinvolte, ciò non vuol dire che il peggio (presente o futuro) sia l’UE e l’Euro. L’impronta capitalista sregolata comunitaria si può sempre correggere: uno Stato federale europeo che tutelasse i cittadini meglio dei singoli Stati nazionali sarebbe l’ideale; tenendo conto soprattutto dello scenario alternativo senza UE, dove le economie isolate ritornerebbero a un clima bellico concreto (com’è accaduto nella prima metà del ’900, e prima). Un simile scenario sarebbe gradito ai capitalismi extraeuropei: la distruzione rappresenterebbe un mercato redditizio (in sede di vendita di armi e poi di ricostruzione), nonché forme di imperialismo a danno dell’Europa potrebbero trovare migliore spazio fatta fuori l’Unione europea. Il ritorno della guerra in Europa è una prospettiva pericolosa da quasi tutti ignorata. Qui non appare assurda l’eventualità di nemici della pace celati dietro a possibili realtà politiche nazionali e/o regionali antieuropeiste, la cui propaganda speculerebbe sulla suggestione xenofoba e sull’ignoranza dei fatti presso la gente comune. In un’Europa senza UE le spinte secessionistiche di macroaree economicamente sviluppate potrebbero cogliere successi a scapito di zone meno progredite a causa della cattiva politica. Se l’alternativa all’unificazione europea si mostra peggiore della situazione attuale delle cose, è bene riflettere con moltissima attenzione su quanto sia bene o male nel destino politico dell’Europa e dei suoi abitanti.

 
NOTA

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Studi critici (2019)”
https://www.academia.edu/41345317/Studi_critici