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martedì 8 settembre 2015

CRONOTOPONOMASTICON LERCARESE

di DANILO CARUSO

Un mio studio condotto anni addietro, terminato nel 2006 e allora pubblicato in un saggio (infatti le informazioni sono aggiornate sino a quell’anno) mi ha consentito di ricostruire una storia delle intestazioni delle vie di Lercara Friddi e delle loro variazioni dall’Unità d’Italia fino a oggi.
Quattro sono i periodi di riferimento in relazione ai predomini amministrativi locali:
1) la Lercara dei Nicolosi (vista intorno al 1870);
2) quella dei Sartorio Scarlata (vista all’inizio del Novecento);
3) il periodo fascista (i cui non numerosi atti noti d’intitolazione sono riportati nella colonna OGGI);
4) e la Lercara contemporanea.
Non ho avuto l’opportunità di fornire un elaborato completo al cento per cento: di quelle vie di cui ero al corrente della data precisa d’intitolazione ho riportato tale dato, al di là dell’inquadramento cronologico testé esposto; di alcune è stato possibile individuare dei momenti a quo e/o ad quem sull’atto d’istituirle (presumibilmente prossimi alla realtà), o ante quem sulla loro esistenza.
È verosimile pensare che le vie parallele Camerina, Zanclea, Agrigento, Ortigia, Enna, Segesta, Selinunte, Imera, Gela, siano state intestate (più o meno) contemporaneamente; e non escludo che per il loro richiamo fortemente regionalistico possano risalire al periodo borbonico.

lunedì 7 settembre 2015

FRANCESCO CALÌ

di DANILO CARUSO

La nuova Caserma dei Carabinieri di Lercara Friddi– dal 1908 al 1955 ebbe sede nella villa inglese del paese (Villa Lisetta) – fu intitolata a un giovane carabiniere lercarese, Francesco Calì, scomparso tragicamente nell’esercizio del suo dovere all’età di ventitré anni.
Era nato il 7 gennaio 1915 a Lercara Friddi. Mortogli il padre da bambino in una sciagura mineraria si era arruolato nell’Arma dei Carabinieri e prestava servizio in Puglia.
La sera del 4 maggio 1938 si trovava con il compagno Antonio Lorusso (un Pugliese nato ad Andria l’uno gennaio 1906) ad attendere sulla spiaggia in località Pizzone che dei ladri tentassero di recuperare una bobina metallica, ivi nascosta, illecitamente sottratta dal vicino Arsenale militare marittimo di Taranto (in cui entrambi svolgevano attività di sorveglianza da un paio d’anni).
Tre criminali giunsero con una barca dal mare intorno alle 20:00, ma vistisi scoperti si diedero tutti alla fuga senza refurtiva dopo che appena uno di loro era sceso a riva.
Presili di mira infruttuosamente con le proprie armi Calì e Lorusso si gettarono in mare con sprezzo del pericolo alla volta della loro imbarcazione per catturarli.
Calì, essendosi aggrappato con una mano alla prua, perso il suo punto d’aggancio morì come Lorusso che stando in acqua, afferrato alla poppa, era riuscito a uccidere uno dei tre inseguiti.
I cadaveri furono recuperati (gli altri due delinquenti superstiti furono arrestati e condannati).
Il loro gesto gli valse la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria conferitagli con regio decreto il 19 maggio 1939.
Lercara ha ricordato Francesco Calì prima inserendo il suo nome, con quelli presenti, nella parte frontale del Monumento ai Caduti nel ’15-’18, e poi, quando su iniziativa dell’on. G. Germanà, la caserma si trasferì in un edificio che era stato sede del magazzino del Consorzio generale della Sicilia (ristrutturato nel 1949-54), intitolandogliela con cerimonia ufficiale il 21 novembre 1955.
Il complesso fu realizzato in due lotti di lavori dall’impresa Manto (nov. ’49-mag. ’53 per L 12.427.000) e dall’impresa Loriano (feb. ’52-mar. ’54 per L 15.350.000 relative alla sopraelevazione).
Il Comune vi fece apporre all’ingresso nel ’56 una lapide commemorativa della medaglia d’oro, temporaneamente rimossa all’inizio degli anni Ottanta.
Una via dell’abitato è pure dedicata a lui.
Anche Palermo ricorda Francesco Calì: l’Istituto del nastro azzurro fece erigere una stele in sua memoria nel Giardino inglese.


Francesco Calì

[da ALBO D’ORO DEI CARABINIERI, ENTE EDITORIALE PER L’ARMA DEI CARABINIERI (1979)]

«Con altro carabiniere, sorpresi in flagrante tentativo di furto tre pericolosi pregiudicati, che con una barca avevano raggiunto la riva di un Regio arsenale militare marittimo e che, al fermo da essi intimato, cercavano di riguadagnare il mare, non esitava a slanciarsi in acqua completamente vestito allo scopo di assicurarli alla giustizia. Riuscito ad afferrare un bordo della barca, tentava, sino all'estremo delle sue forze, di imporre ai malviventi il rispetto della legge; ma sopraffatto da essi, trovava in mare morte gloriosa. Nobile esempio del dovere e di alto spirito di sacrificio.»


Antonio Lorusso

[da ALBO D’ORO DEI CARABINIERI, ENTE EDITORIALE PER L’ARMA DEI CARABINIERI (1979)]

«Di notte, in un Regio arsenale militare marittimo, per assicurare alla giustizia tre pericolosi malfattori che, sorpresi in flagrante tentativo di furto, cercavano scampo a bordo di un battello, pure essendo inesperto del nuoto e conscio del grave pericolo, cui andava incontro, si slanciava in mare, riuscendo ad aggrapparsi all'imbarcazione. Stando immerso sosteneva disperata lotta contro i malfattori, abbattendone uno con gli ultimi colpi della sua pistola, sino a che, sopraffatto dal numero e dal furore degli avversari, trovava morte gloriosa nel mare. Fulgida espressione di virtù militare, educata al culto di una tradizione secolare.»

LA CARESTIA A LERCARA VISTA DALL’ARCIPRETE PETTA

di DANILO CARUSO

Ho analizzato una vecchia memoria, scritta nel 1793 dall’Arciprete Stefano Lorenzo Petta, custodita nell’Archivio parrocchiale (registro dei battezzati 1789/96), e di questa rivisitazione ho fatto una sintesi (che non è né copiato né stralcio).
L’Arciprete Petta ha voluto che non si perdesse il ricordo di ciò che aveva visto, descritto qui sotto da me in una forma riassuntiva in qualche punto integrata con spunti storici esterni.
Una versione “soft” di questo capitolo di storia lercarese è in “G. Canale / LERCARA FRIDDI / Palermo 1965, pag. 97” dove è riportato un brano dal manoscritto di Marcello Furitano (1828-92).
L’Arciprete Petta che invece ha vissuto in prima persona quegli eventi ce ne parla più profondamente.
Nel 1789 in Sicilia iniziò la carestia.
Ben presto il fenomeno si fece sentire anche a Lercara: qui i raccolti infatti nel 1790 e nel ’91 furono modesti.
Ma il peggio per i Lercaresi doveva ancora arrivare: nel maggio 1792 la carestia si manifestò interamente nel suo potere distruttivo.
Le moribonde coltivazioni cominciarono a non generare più i prodotti della terra, e quello che si poteva raccogliere era gravemente insufficiente a soddisfare i bisogni alimentari della popolazione locale.
I primi due mesi furono terribili, e i meno abbienti per sfamarsi furono costretti  a vendere le non molte cose di cui disponevano.
Intervenne il governo borbonico per trovare una soluzione al problema più generale che attanagliava il regno, e venne introdotto un calmiere per i prodotti agricoli.
Per il 1793 il re Ferdinando III dispose un rilevamento di tutta la produzione nel settore dell’agricoltura, e a marzo mandò in Sicilia due commissari con poteri di espropriazione (naturalmente remunerata ai produttori), poteri finalizzati all’approvvigionamento alimentare delle aree maggiormente disagiate: ogni centro abitato ebbe una commissione ad acta.
Purtroppo queste misure fecero lievitare di molto il costo del frumento (la coltivazione più diffusa in paese), peggiorando la situazione.
Durante il periodo di carestia chi poté conseguire facili guadagni o condurre fruttuose speculazioni non ebbe riguardo per nessuno.
Per Lercara usare espressioni ardite non sarebbe stato un eufemismo retorico: i poveri arrivarono a mangiare qualsiasi cosa, pure la vegetazione spontanea che si trovava per le vie; crusca e farina d’orzo vennero considerate inestimabili; nei casi più disgraziati c’era chi stramazzava al suolo morendo abbandonato a causa dell’inedia.
La visione dei bambini denutriti giunse a creare lo sconforto delle lacrime nell’animo dell’Arciprete Petta.
Lo stato delle cose cambiò solamente dopo il giugno 1793: per il raccolto di quell’anno mancò l’acqua nelle zone d’altura; Lercara ebbe analoga sorte.
Tuttavia nel momento in cui nella regione di Messina ci fu una ripresa della produzione la devastante tendenza negativa mutò.
La difficile situazione nel complesso perdurò sino a inizio ’800.

Don Stefano Lorenzo Petta (1736–1820), fu: professore di teologia, procommissario della santa inquisizione; arciprete a Lercara Friddi nel 1788/1820.
Il quadro, da cui è tratta l’immagine, è custodito nel Duomo di Lercara.

LUDOVICO GERMANÀ

di DANILO CARUSO

Ludovico Germanà
[Donazione Germanà,
Biblioteca comunale
di Lercara Friddi]
Ludovico Germanà nacque a Lercara Friddi il 16 dicembre 1872 (alle ore 8,00), da Gioacchino (n. 1838, un ex garibaldino) e da Isabella Amonelli: venne battezzato il giorno successivo in casa dall’arciprete Giacomo Paci (padrini Onofrio e Carmela Amonelli Sarpa).
Studiò giurisprudenza e divenne avvocato.
Unitosi in matrimonio con Rosina Nicolosi ebbe nove figli (quattro femmine e cinque maschi, tra cui il ben noto Gioacchino).
Fu un esponente politico liberale dell’ala sinistra.
A Lercara ricoprì la carica di consigliere comunale e di assessore.
Entrò in consiglio nel 1895 come rappresentante della minoranza avversa ai Sartorio Scarlata, e infatti il 28 luglio espresse un parere negativo sull’elezione del sindaco Giuseppe Scarlata, esponente di un gruppo – a suo dire – che non voleva rimuovere le partigianerie e a cui imputava come conseguenza della propria condotta i tragici eventi del 24/25 dicembre 1893.
Rimase all’opposizione sino alle elezioni comunali del 15 ottobre 1911, quando un’alleanza tra le diverse anime liberali (allora divise) sconfisse lo schieramento cattolico.
Il 21 ottobre il consiglio comunale elesse il sindaco (Giulio Sartorio) e la giunta (tra gli assessori Ludovico Germanà).
Nel 1913, poiché si era trasferito a Palermo, rassegnò le dimissioni da assessore con questa lettera al sindaco.
«Per ragioni speciali che sono da qualche tempo sorte a ostacolare l’esplicazione della mia personale attività politica, rassegno le mie dimissioni da assessore e decisamente fermo nella presa determinazione prego la S. V. Ill.ma a che voglia degnarsi di farmene prendere atto senz’altro come di competenza.»
Le quali dimissioni però furono respinte dal consiglio, ma ribadite con un telegramma.
«Apprendo sospensione adottata riguardo mie dimissioni, ringrazio delicato pensiero e dichiaro insistervi.»
Alla fine furono accolte dal consiglio comunale che nella stessa seduta del 27 aprile 1913 lo rimpiazzò con il consigliere Rosolino Scianna.
Il 22 agosto 1913 per mezzo di una missiva si dimise anche da consigliere comunale, dimissione che il consiglio discusse il 31 respingendole, ma l’otto novembre in seguito ad altra lettera le accolse.
«Ill.mo Signor Sindaco del Comune di Lercara. Ho preso nota dell’atto deferente e cortese compiuto a mio riguardo dall’on. Consiglio comunale nella tornata del 31 agosto u. s. e per tale atto prego la S. V. Ill.ma perché voglia degnarsi di rendersi interprete presso il Consiglio medesimo dei sensi di mia doverosa riconoscenza. Però debbo nel tempo istesso e mio malgrado comunicarle che date le ragioni cui sono dovute le mie dimissioni, da Assessore prima e da Consigliere dopo, non posso, né intendo recedere dalla presa determinazione.»
Il 21 giugno 1914 Ludovico Germanà fu candidato al consiglio provinciale di Palermo, assieme all’altro lercarese Calcedonio Mavaro.
Finita la prima guerra mondiale aderì allo schieramento di Vittorio Emanuele Orlando (Unione Nazionale), dopo aver lasciato quello di Eugenio Rossi (Partito democratico del lavoro): e ritornò a fare il consigliere comunale a Lercara dopo le elezioni del 12 settembre 1920.
Nella seduta consiliare del 29 settembre, dall’opposizione, mostrò la disponibilità a sostenere l’attività amministrativa del sindaco avv. Rosolino Scianna, sollecitando una maggiore attenzione al settore dell’annona e a quello del pubblico servizio locale che, a causa dell’indisciplina, non soddisfaceva i cittadini.
Nella seconda metà del 1921 aderì al fascismo (la sezione fascista lercarese era nata l’anno prima).
Il 5 agosto 1923 il consiglio comunale, presieduto dal sindaco fascista avv. Francesco Salerno, dopo essersi riunito si recò a casa del consigliere Germanà, di cui si era appreso uno stato di malattia, per esprimergli i migliori auguri di rimettersi in salute quanto prima.
Tempo dopo si ebbe notizia della gravità del male, e il consiglio comunale rinnovò anche a nome del paese gli auguri.
Ludovico Germanà morì il 13 maggio 1925.
Il 24 giugno 1925 il commissario prefettizio al comune di Lercara, Francesco Matranga, dietro richiesta di molti, data la ventennale partecipazione del Germanà nel novero dei consiglieri comunali, determinò di intestargli l’allora via Friddi (attuale via Ludovico Germanà).

ANDREA FINOCCHIARO APRILE

di DANILO CARUSO

Lercara Friddi è stata anche il paese di Andrea Finocchiaro Aprile: il padre Camillo, più volte ministro del regno (tra il 1892 e il 1914), aveva infatti sposato Giovanna Sartorio, sorella di Giulio Sartorio. Andrea era nato a Palermo nel 1878. Laureatosi in giurisprudenza, come il padre, interagirà con la vita politica lercarese determinandone l’indirizzo. Dopo la morte di questi (1916) Andrea Finocchiaro ne prese il posto nella leadership della corrente dei nittiani in Sicilia. Negli anni ’10 e ’20, anni in cui venne eletto tre volte consecutive alla Camera dei deputati nel collegio di Corleone (1913-1924), fu con Vittorio Emanuele Orlando uno dei maggiori esponenti liberali nell’isola, collocati rispettivamente nel partito alla sinistra e alla destra interna. Fu sottosegretario alla guerra e al tesoro (governo Nitti, 1919) e professore di storia del diritto all’università di Ferrara e di diritto ecclesiastico a Pisa.
Durante le competizioni elettorali ricercò il sostegno che potevano fornire enti di ambienti non propriamente liberali, cattolici e socialisti, casse rurali e cooperative, alle quali prestava il suo interesse politico. All’avvento del fascismo i liberali siciliani si divisero: la destra di Orlando (in una prima fase) con Mussolini, i radicali guidati da Finocchiaro all’opposizione. Andrea Finocchiaro terrà questo atteggiamento, ma in tono ridotto, date le circostanze, durante tutto il ventennio, connotandolo con rivendicazioni di giustizialismo storico per la Sicilia di fronte al resto dell’Italia unitaria, atteggiamento che assumerà il suo clamore separatista negli anni ’40 dopo la caduta del fascismo. I fautori di queste idee si raccolsero attorno alla Società degli agricoltori siciliani, un raggruppamento dei latifondisti il cui principale rappresentante era il barone Lucio Tasca di Bordonaro.
A Lercara il fascismo si era costituito in forma organizzata a partire dal 1920, il 28 agosto 1921 il consiglio elesse un sindaco fascista. Nel paese all’opposizione rimase la Lega democratica di Finocchiaro: alle politiche del ’21 fecero il pieno i liberali di Orlando (1357 voti su 1894 votanti), la Lega democratica di Andrea Finocchiaro, sostenuta dai Sartorio Scarlata, si dovette accontentare di 436 voti, ma egli fu eletto; alle successive del ’24 il partito di Finocchiaro si rifece, risultò primo con 728 voti (53%) contro i 694 (43%) della Lista nazionale (l’alleanza degli orlandiani e dei fascisti, sostenuta anche da Gioacchino Germanà), ma stavolta non fu rieletto alla Camera. Il raggruppamento di Finocchiaro a Lercara dette filo da torcere ai fascisti, i quali però alle amministrative del 6 dicembre 1925 risultarono vincitori ed elessero sindaco Simone Teresi.
Sotto il fascismo Andrea Finocchiaro esercitò la professione forense nel suo studio romano. Dopo la vittoria nella guerra d’Africa del 1935-36 incoraggiò la traslazione della salma del padre, avvenuta il 5 aprile 1938, da Roma alla chiesa di san Domenico a Palermo (dove riposano i Siciliani illustri), poiché questo, dopo l’eccidio di Dogali (1887) e la sconfitta di Adua (1896) aveva mostrato una reazione fieramente nazionale. Questo gesto servì al Finocchiaro per attenuare i sospetti che il fascismo nutriva su di lui e la sua attività politica. Nel periodo 1939-41 iniziò a trattare con il governo inglese una secessione dell’isola. Le prime avvisaglie di separatismo si ebbero nel 1942 col barone Lucio Tasca (che, nel settembre 1943, sarà scelto dagli Alleati come sindaco pro tempore di Palermo).
Finocchiaro Aprile aveva lasciato Roma per Palermo, prima che gli Americani vi giungessero, costituendo il nucleo del movimento indipendentista. Dopo lo sbarco degli Alleati, quando questi giunsero a Palermo (23 luglio ’43), fece loro pervenire le richieste di indipendenza dell’isola. Questi intanto istituirono per amministrare la Sicilia (agosto ’43-febbraio ’44) l’AMGOT (allied military government occupied territories), con sede a Palermo e a capo Lord Rennel e il colonnello Charles Poletti. Finocchiaro era amico d’entrambi, tant’è che dei 76 sindaci che questi nominarono in provincia di Palermo, 67 erano indipendentisti. Il 10 gennaio 1944 gli Alleati revocarono l’ordine di divieto alle manifestazioni politiche, e Finocchiaro Aprile il 16 tenne a Palermo il suo primo comizio separatista, primo di una lunga serie.
L’undici febbraio fu anche revocato lo stato di occupazione militare in Sicilia e l’isola fu di pertinenza amministrativa del governo del regno del sud. Il 1944 fu per il MIS l’anno del boom: 480.000 iscritti contro i 110.000 degli altri partiti. Dal canto loro le forze politiche di levatura nazionale si ricostituirono apertamente: nel giorno del natale di Roma e della festa dei lavoratori del ’45, manifestanti rispettivamente di destra e di sinistra distruggeranno le sedi del MIS di Palermo e Catania. Il 27 maggio 1944 a Regalbuto, durante un comizio, Finocchiaro scampò a un attentato. In quest’anno nel giorno della vigilia dell’anniversario della caduta del fascismo rinnovò le istanze d’indipendenza attraverso le Nazioni Unite.
Il MIS terrà nella sua breve ma intensa vita tre congressi: a Taormina nell’ottobre del ’44, a Palermo il 14-16 aprile 1945, nuovamente a Taormina il 31 gennaio 1947.
All’inizio del ’45 si cominciò a parlare di autonomia regionale e l’alto commissario per la regione Sicilia, figura impiantata nel marzo del ’44, istituì una commissione per l’elaborazione dello statuto: la cosa non piacque agli indipendentisti che rinnovarono agli Alleati le loro richieste di secessione e di repubblica, o in alternativa il ritorno dello stato di occupazione militare. Nel dibattito politico di allora si fantasticavano diverse ipotesi di risoluzione del problema Sicilia: due corone unite nella persona del monarca sabaudo, una Sicilia indipendente federata al resto della penisola o agli USA. Il disinteresse degli Alleati stimolò la formazione dell’EVIS (esercito volontario per l’indipendenza siciliana, fondato dal professore catanese Antonio Canepa ucciso in uno scontro con i carabinieri il 17 giugno 1945, che aveva il comando generale a Palermo e che operò tra la fine del ’44 e il ’45) i cui componenti, considerati dei fuorilegge - già le sedi del MIS erano state chiuse per disposizione dell’alto commissario Aldisio, notoriamente antiseparatista - furono braccati dalle forze di polizia, con cui ci saranno diversi conflitti a fuoco provocando purtroppo diverse vittime. Andrea Finocchiaro fu arrestato a Palermo il 2 ottobre, tradotto all’isola di Ponza, e liberato cinque mesi dopo a marzo.
Dopo le dimissioni di Aldisio, che aveva sostituito Francesco Musotto, all’inizio del ’46 da alto commissario, i leaders del separatismo incontrarono a Roma alla fine di marzo il ministro per gli affari interni Romita a cui Finocchiaro Aprile, recentemente scarcerato, ribadì le canoniche richieste.  Ritornato a Palermo fu accolto trionfalmente: tenne due comizi, davanti a una marea di gente, a Boccadifalco e a piazza Castelnuovo (Politeama), e in serata si rivolse ai Siciliani alla radio. Per le elezioni alla costituente gli indipendentisti, che appoggeranno la monarchia, dopo aver abbandonato le posizioni repubblicane nella speranza di trovare un interlocutore ben disposto, poterono tornare alla luce. Lo statuto autonomistico fu concesso alla Sicilia prima del voto istituzionale (referendum e costituente). A quest’ultima risultarono eletti 4 indipendentisti: nella Sicilia occidentale Andrea Finocchiaro Aprile (34.068 voti), Antonino Varvaro (18.520); in quella orientale Concetto Gallo (14.749), Attilio Castrogiovanni (10.514: subentrato ad Andrea Finocchiaro Aprile, 12.867). Gallo e Castrogiovanni erano in stato di reclusione al momento dell’elezione in seguito alla quale furono scarcerati. Dopo la vittoria della repubblica nel referendum la dirigenza del MIS diramò un comunicato stampa: «[…] Il Referendum del 2 giugno 1946, decidendo, in difformità dalla maggioranza del popolo siciliano, la eliminazione di quella dinastia che, pel Plebiscito del 1860, costituì il vincolo di unione della Sicilia, col Regno di Savoja, ha sciolto di diritto il vincolo medesimo. Conseguenza di ciò è che il popolo siciliano, con la caduta della Monarchia di Savoja, ha riacquistato la propria sovranità […]. E pertanto spetta al popolo siciliano il diritto a un Plebiscito affinché, liberamente e sovranamente, si pronunzi su i termini e sulla forma di una nuova unione con i popoli italiani.». Il quartetto alla costituente subì la defezione di Varvaro, fino a quel momento segretario del movimento, condizionato dalle pressioni della sinistra, avversa alla concessione delle larghe autonomie contenute nello statuto, nella discussione sul coordinamento con la nuova costituzione repubblicana. Finocchiaro Aprile denunciò a Montecitorio lo stato di segregazione e di emarginazione e l’ostilità con cui erano stati trattati gli indipendentisti; numerosi i suoi interventi durante i quali attaccò anche la DC per il suo monopolio del potere, rischiando di essere assalito dai democristiani durante il dibattito. Quando Varvaro abbandonò l’ufficio di segretario del MIS gli subentrò temporaneamente Antonino Di Matteo, il quale per riordinare il partito diede due mandati: al triumvirato Gioacchino Germanà - De Simone - Zalapì per Sicilia occidentale, e all’on. Castrogiovanni per la Sicilia orientale. Il triumvirato dal capoluogo il 3 novembre dichiarò decadute, a eccezione di quella di Finocchiaro Aprile, tutte le cariche nel MIS, e programmò un congresso per il 17-18 novembre a Palermo, che saltò per via delle imminenti elezioni amministrative. I tre avevano proclamato: «Reputiamo traditore della nostra santa causa chi, in seno al M.I.S., agita questioni istituzionali o sociali o politiche che, essendo per noi siciliani indipendentisti assolutamente premature, mirano soltanto a indebolire le nostre forze».
I nuovi incarichi furono conferiti a fine mese dal comitato nazionale del partito: Andrea Finocchiaro Aprile, presidente; Attilio Castrogiovanni, segretario; Gioacchino Germanà, vicesegretario. Le precedenti elezioni amministrative a Lercara, materna roccaforte di Finocchiaro, avevano visto al consiglio comunale la candidatura di Gioacchino Germanà, che divenne poi sindaco.
All’inizio del ’47 Varvaro fu espulso dal MIS che avrebbe voluto trasformare in MISDR (movimento per l’indipendenza della Sicilia democratico repubblicano), di indirizzo appunto repubblicano e appoggiato alla sinistra, mentre il MIS finocchiariano flirtava con i monarchici. Alle elezioni regionali del 20 maggio 1947 la lista del MIS per il collegio unico regionale, che attribuiva una parte dei seggi all’ARS utilizzando i resti di ogni lista nelle circoscrizioni, era composta da nove elementi, uno in rappresentanza di ogni provincia: Palermo, Gioacchino Germanà; Trapani, Michele Bono; Agrigento, Salvatore Fallea; Caltanissetta, Michele Sanfilippo; Ragusa, Gabriello Cannata; Siracusa, Michele Bonanno; Enna, Giuseppe Salemi; Catania, Concetto Gallo; Messina, Gaetano Drago. Il MIS ottenne 171.470 voti e otto deputati: Andrea Finocchiaro Aprile, Gioacchino Germanà, Concetto Gallo, Attilio Castrogiovanni, Giuseppe Caltabiano, Rosario Cacopardo, Gaetano Drago, Pietro Landolina. Varvaro col MISDR nessun deputato e appena 19.542 voti. Alla fine del 1947 la Costituente stabilì che i deputati che avessero alla spalle quantomeno tre legislature fossero nominati automaticamente membri del senato repubblicano: Andrea Finocchiaro fieramente rifiutò, poiché preferiva la competizione aperta e democratica. Ma alle politiche del 18 aprile del ’48 il MIS non ottenne nessun seggio e Andrea Finocchiaro lasciò la presidenza del partito. Già si era dimesso dall’ARS il 2 marzo (gli era subentrato Vincenzo Bongiorno). Nel 1951 all’ARS non fu eletto nessun indipendentista (fu adottata nell’imminenza del voto una legge che aboliva il collegio unico regionale e lasciava solamente le nove circoscrizioni provinciali). Andrea Finocchiaro fu nell’ultimo tratto della sua carriera politica anche membro effettivo dell’Alta Corte per la Regione siciliana (artt. 24-30 dello Statuto). Morì a Palermo nel 1964, dove fu anche docente di diritto.


I dati elettorali dell’indipendentismo a Lercara e in provincia
http://www.scribd.com/doc/130184148/Gioacchino-Germana#page=23”