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sabato 4 gennaio 2020

ABRAMO O DELLA CONTRADDIZIONE TEOLOGICA

di DANILO CARUSO

(un dipinto
di Wayne Forte)
Attraverso la simbolica figura veterotestamentaria di Abramo è possibile notare degli aspetti teologici di Santa Romana Chiesa che appaiono mostrarsi condizionati da un “relativismo finalizzato all’adeguamento” cui l’istituzione pare venir sottoposta, e a scopo presumibile di sopravvivenza politico-sociale essa percorre in ultimo cammini che sembrano contraddittori con la dottrina a monte nelle Scritture. Il ritenuto patriarca biologico degli Ebrei e le sue vicende sono legati a problematiche etiche molto profonde, le quali tradiscono la presenza più che altro di un machiavellismo socioreligioso. Nelle modalità che lo connettono ai suoi figli Isacco e Ismaele è assente un positivo fondo etico: tutto è funzionale alla totale e indiscussa obbedienza a Dio, di cui costruire il suo terreno Regno politico-militare. Che sia difficile dire il contrario, senza con ciò voler avallare esecrabili posizioni di antisemitismo (che respingo in qualsiasi loro forma), lo dimostra l’esistenza dello Stato d’Israele. Il Dio dell’Antico testamento è divinità di uno specifico gruppo umano, la cui teologia lo ha posto al di sopra di altri dei (enoteismo). Il Dio cristiano è nuovo e diverso, ma lo schema teocratico totalitario è rimasto. Il Cristianesimo ha preteso e pretende di assorbire nel suo seno tutta l’umanità, e questo da Teodosio all’Illuminismo è stato perseguito anche in maniera violenta. Ogni 27 gennaio si commemora l’opportuna e giusta “Giornata della memoria” inerente alla Shoah. Purtroppo altri simili, e, dai più, dimenticati, tragici fatti storici non vengono ricordati in ugual maniera. Distanti, nel tempo e nello spazio, ad esempio, la quasi totale scomparsa delle popolazioni precolombiane a causa degli Europei conquistatori cristiani e le altre vittime provocate dall’intolleranza del Cristianesimo (streghe, eretici, omosessuali) non hanno particolare ricordo se non in sedi circoscritte. La storia non è mai, e in nessun caso, acqua passata; né è un bene la distrazione verso ciò che accade sul nostro pianeta in epoche molto più vicine a noi: quanto succede non rappresenta mai una pagina da voltare, prima o poi, soltanto perché non coinvolge pesantemente la società in cui si vive. È necessario ribadire che la storia è sempre fatta di esseri umani; e che, in ogni circostanza, quelli del passato, o di ora, non perdono il loro sostanziale diritto al rispetto, e a un’adeguata considerazione che non li tramuti in tristi e negative note storiche, o di cronaca (come se si trattasse di una forma pseudocatartica della responsabilità). Bisogna saper analizzare gli eventi e le cose in maniera che si possano rintracciare le costituenti genetiche concettuali: solo a quella profondità troveremo l’obiettività del vero. Vediamo Abramo e Isacco. Tempo addietro la Chiesa di Roma ha modificato il testo della traduzione italiana del “Pater noster”; e ha reso quel «ne nos inducas in tentationem» cambiandolo da «non ci indurre in tentazione» con «non abbandonarci alla tentazione». La voltura latina proviene a sua volta dal testo base in greco antico: «μὴ [non] εἰσενέγκῃς [portare] ἡμᾶς [noi] εἰς [verso] πειρασμόν [prova]». A mio modesto avviso la forma assunta dalla nuova versione devia la sostanza concettuale degli originali, giacché il latino e il greco dicono (in una traduzione secondo me più obiettiva): “non ci mettere alla prova”. È infatti il Dio cattolico il soggetto grammaticale e logico dell’azione descritta (compaiono dei congiuntivi esortativi proibitivi): nella nuova voltura proposta il protagonista diverrebbe l’essere umano concupiscente, il quale pregherebbe la divinità cristiana di non lasciarlo in balia della concupiscenza. Ma il senso dei testi di partenza parla di una messa-alla-prova nel modo, per fare un pertinente esempio, in cui Dio chiese ad Abramo di sacrificargli il figlio Isacco (mettendolo appunto alla prova). Non vi è un riferimento teologico alla debolezza umana se non nel fatto di chiedere a Dio di non portarla a galla in un’eventuale verifica: rimane sempre quest’ultimo in tale passaggio della succitata preghiera il fulcro teologico della “tentatio”, non è l’uomo a cercarla: è semmai la divinità a prospettarla (al pari del caso di Abramo). Adesso concentriamo l’attenzione su Abramo e Ismaele. Nella questione del cosiddetto “utero in affitto”, per quanto attiene alla problematica della maternità surrogata, la posizione della Chiesa cattolica è orientata nettamente verso una condanna della pratica. Però, osservando, in termini di pura analisi, a me sembra che un esempio, ante litteram, di simile prassi provenga proprio dalla Bibbia, e là abbia l’approvazione del Dio giudaicocristiano. Genesi 16,1-2 (edizione Antoniana, 1984): «Sarai, moglie di Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sarai disse ad Abram: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abram ascoltò la voce di Sarai». Si potrebbe rispondere che questo sia un caso una tantum; tuttavia, volendo esprimere in generale un mio giudizio personale a sfavore di detto espediente, sottolineo come per tutte le coppie che si avvalessero di simile prassi (nella moderna versione medico-ospedaliera) sarebbe in linea di massima una faccenda considerabile una tantum. Un celebre romanzo distopico di Margaret Atwood è stato dedicato a questo tema nella sua dimensione veteroebraica. E poi lo stesso concepimento di Gesù è oggigiorno giuridicamente valutabile a metà strada tra “utero in affitto” e “stupro”, un concetto ibrido: donna rimasta incinta senza aver dato assenso alla cosa (una forma di violenza), la quale dà un posteriore consenso a condurla in porto (quasi fosse una cavia di laboratorio teologico: l’incubatrice-di-Dio, proclamata assunta al cielo post mortem in anima e corpo quando quasi ovunque fu riconosciuto il diritto di suffragio alle donne). L’arcangelo Gabriele notifica a Maria che il suo grembo è stato preso in gestione da Dio, sulla falsariga di Agar. Ai nostri tempi al Dio biblico si è sostituito il Dio scienza (in maniera non tanto dissimile dallo huxleyano Mondo Nuovo): con la differenza che la donna che offre il suo utero può, in contesti di normalità sociale, scegliere liberamente. Noi ignoriamo se Agar e Maria interrogate preliminarmente al fine di scegliere in libertà avrebbero detto di sì a chi de facto ha abusato di loro.


NOTE

Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note umanistiche (2020)”
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche

In passato ho dedicato parecchio tempo a studi teologici, e nel tempo ho pubblicato dei lavori in cui spiego, da un punto di vista strettamente grammaticale e letterario, come traduzioni bibliche cristiane di brani nevralgici siano piegate verso aderenze concettuali che gli originali non comportano. Così, conducendo delle personali traduzioni, mi sono reso consapevole di cose che tutto sommato non erano nuove per gli intellettuali raffinati: il Dio veterotestamentario produce l’universo come il demiurgo platonico (non “crea ex nihilo”), produce l’androgino che taglia in due (da cui Eva), non è la sola divinità esistente (ma quella giudicata la più importante), etc. A chi volesse approfondire la problematica ermeneutica e filosofica indico i link di questi miei testi.

1 - IL  DIO DEL TANAK NON È SOLO

2 - RADICI EGIZIE NELLA COSMOGONIA EBRAICA

3 - ANTROPOGONIA E ANDROGINIA NEL SIMPOSIO E NELLA GENESI

4 - RADICI SUMERE DI EBRAISMO E CAPITALISMO

5 - SIMONE WEIL / FILANTROPIA E FEDE DI UNA FILOSOFA

6 - CRISTIANESIMO E VERITÀ IN SIMONE WEIL

7 - L’ORIGINE IDEOLOGICA DEL CRISTIANESIMO