di DANILO CARUSO
(un dipinto
di Wayne Forte)
|
Attraverso la simbolica figura veterotestamentaria
di Abramo è possibile notare degli aspetti teologici di Santa Romana Chiesa che
appaiono mostrarsi condizionati da un “relativismo finalizzato all’adeguamento”
cui l’istituzione pare venir sottoposta, e a scopo presumibile di sopravvivenza
politico-sociale essa percorre in ultimo cammini che sembrano contraddittori
con la dottrina a monte nelle Scritture. Il ritenuto patriarca biologico degli
Ebrei e le sue vicende sono legati a problematiche etiche molto profonde, le
quali tradiscono la presenza più che altro di un machiavellismo socioreligioso.
Nelle modalità che lo connettono ai suoi figli Isacco e Ismaele è assente un
positivo fondo etico: tutto è funzionale alla totale e indiscussa obbedienza a
Dio, di cui costruire il suo terreno Regno politico-militare. Che sia difficile
dire il contrario, senza con ciò voler avallare esecrabili posizioni di
antisemitismo (che respingo in qualsiasi loro forma), lo dimostra l’esistenza
dello Stato d’Israele. Il Dio dell’Antico testamento è divinità di uno
specifico gruppo umano, la cui teologia lo ha posto al di sopra di altri dei
(enoteismo). Il Dio cristiano è nuovo e diverso, ma lo schema teocratico
totalitario è rimasto. Il Cristianesimo ha preteso e pretende di assorbire nel
suo seno tutta l’umanità, e questo da Teodosio all’Illuminismo è stato
perseguito anche in maniera violenta. Ogni 27 gennaio si commemora l’opportuna
e giusta “Giornata della memoria” inerente alla Shoah. Purtroppo altri simili,
e, dai più, dimenticati, tragici fatti storici non vengono ricordati in ugual
maniera. Distanti, nel tempo e nello spazio, ad esempio, la quasi totale
scomparsa delle popolazioni precolombiane a causa degli Europei conquistatori
cristiani e le altre vittime provocate dall’intolleranza del Cristianesimo
(streghe, eretici, omosessuali) non hanno particolare ricordo se non in sedi
circoscritte. La storia non è mai, e in nessun caso, acqua passata; né è un
bene la distrazione verso ciò che accade sul nostro pianeta in epoche molto più
vicine a noi: quanto succede non rappresenta mai una pagina da voltare, prima o
poi, soltanto perché non coinvolge pesantemente la società in cui si vive. È
necessario ribadire che la storia è sempre fatta di esseri umani; e che, in
ogni circostanza, quelli del passato, o di ora, non perdono il loro sostanziale
diritto al rispetto, e a un’adeguata considerazione che non li tramuti in
tristi e negative note storiche, o di cronaca (come se si trattasse di una
forma pseudocatartica della responsabilità). Bisogna saper analizzare gli
eventi e le cose in maniera che si possano rintracciare le costituenti
genetiche concettuali: solo a quella profondità troveremo l’obiettività del
vero. Vediamo Abramo e Isacco. Tempo addietro la Chiesa di Roma ha modificato
il testo della traduzione italiana del “Pater noster”; e ha reso quel «ne nos
inducas in tentationem» cambiandolo da «non ci indurre in tentazione» con «non
abbandonarci alla tentazione». La voltura latina proviene a sua volta dal testo
base in greco antico: «μὴ [non] εἰσενέγκῃς [portare] ἡμᾶς [noi] εἰς [verso]
πειρασμόν [prova]». A mio modesto avviso la forma assunta dalla nuova versione
devia la sostanza concettuale degli originali, giacché il latino e il greco
dicono (in una traduzione secondo me più obiettiva): “non ci mettere alla
prova”. È infatti il Dio cattolico il soggetto grammaticale e logico
dell’azione descritta (compaiono dei congiuntivi esortativi proibitivi): nella
nuova voltura proposta il protagonista diverrebbe l’essere umano concupiscente,
il quale pregherebbe la divinità cristiana di non lasciarlo in balia della
concupiscenza. Ma il senso dei testi di partenza parla di una messa-alla-prova
nel modo, per fare un pertinente esempio, in cui Dio chiese ad Abramo di
sacrificargli il figlio Isacco (mettendolo appunto alla prova). Non vi è un
riferimento teologico alla debolezza umana se non nel fatto di chiedere a Dio
di non portarla a galla in un’eventuale verifica: rimane sempre quest’ultimo in
tale passaggio della succitata preghiera il fulcro teologico della “tentatio”,
non è l’uomo a cercarla: è semmai la divinità a prospettarla (al pari del caso
di Abramo). Adesso concentriamo l’attenzione su Abramo e Ismaele. Nella
questione del cosiddetto “utero in affitto”, per quanto attiene alla problematica
della maternità surrogata, la posizione della Chiesa cattolica è orientata
nettamente verso una condanna della pratica. Però, osservando, in termini di
pura analisi, a me sembra che un esempio, ante litteram, di simile prassi
provenga proprio dalla Bibbia, e là abbia l’approvazione del Dio
giudaicocristiano. Genesi 16,1-2 (edizione Antoniana, 1984): «Sarai, moglie di
Abram, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata
Agar, Sarai disse ad Abram: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole;
unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abram ascoltò la
voce di Sarai». Si potrebbe rispondere che questo sia un caso una tantum;
tuttavia, volendo esprimere in generale un mio giudizio personale a sfavore di
detto espediente, sottolineo come per tutte le coppie che si avvalessero di
simile prassi (nella moderna versione medico-ospedaliera) sarebbe in linea di
massima una faccenda considerabile una tantum. Un celebre romanzo distopico di
Margaret Atwood è stato dedicato a questo tema nella sua dimensione
veteroebraica. E poi lo stesso concepimento di Gesù è oggigiorno giuridicamente
valutabile a metà strada tra “utero in affitto” e “stupro”, un concetto ibrido:
donna rimasta incinta senza aver dato assenso alla cosa (una forma di
violenza), la quale dà un posteriore consenso a condurla in porto (quasi fosse
una cavia di laboratorio teologico: l’incubatrice-di-Dio, proclamata assunta al
cielo post mortem in anima e corpo quando quasi ovunque fu riconosciuto il
diritto di suffragio alle donne). L’arcangelo Gabriele notifica a Maria che il
suo grembo è stato preso in gestione da Dio, sulla falsariga di Agar. Ai nostri
tempi al Dio biblico si è sostituito il Dio scienza (in maniera non tanto
dissimile dallo huxleyano Mondo Nuovo): con la differenza che la donna che
offre il suo utero può, in contesti di normalità sociale, scegliere
liberamente. Noi ignoriamo se Agar e Maria interrogate preliminarmente al fine
di scegliere in libertà avrebbero detto di sì a chi de facto ha abusato di
loro.
NOTE
Questo scritto è un estratto del mio saggio “Note umanistiche (2020)”
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche
https://www.academia.edu/42022453/Note_umanistiche
In passato ho dedicato parecchio tempo a studi
teologici, e nel tempo ho pubblicato dei lavori in cui spiego, da un punto di
vista strettamente grammaticale e letterario, come traduzioni bibliche
cristiane di brani nevralgici siano piegate verso aderenze concettuali che gli
originali non comportano. Così, conducendo delle personali traduzioni, mi sono
reso consapevole di cose che tutto sommato non erano nuove per gli intellettuali
raffinati: il Dio veterotestamentario produce l’universo come il demiurgo
platonico (non “crea ex nihilo”), produce l’androgino che taglia in due (da cui
Eva), non è la sola divinità esistente (ma quella giudicata la più importante),
etc. A chi volesse approfondire la problematica ermeneutica e filosofica indico
i link di questi miei testi.
1 - IL DIO
DEL TANAK NON È SOLO
2 - RADICI EGIZIE NELLA COSMOGONIA EBRAICA
3 - ANTROPOGONIA E ANDROGINIA NEL SIMPOSIO E NELLA
GENESI
4 - RADICI SUMERE DI EBRAISMO E CAPITALISMO
5 - SIMONE WEIL / FILANTROPIA E FEDE DI UNA
FILOSOFA
6 - CRISTIANESIMO E VERITÀ IN SIMONE WEIL
7 - L’ORIGINE IDEOLOGICA DEL CRISTIANESIMO