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mercoledì 17 luglio 2024

MISANTROPIA DEL CRISTIANESIMO

di DANILO CARUSO
 
La patristica cristiana è stata anche una tribuna da cui furono avanzate idee estremistiche di cui oggigiorno non si parla pressoché più dopo la scomparsa dell’avito ferreo tallone dottrinale e propagandistico. In seguito alla svolta conciliare postbellica la Chiesa ha lasciato scivolare nell’ombra, sull’ignoranza della massa (non avvezza a leggere, studiare, approfondire riguardo alla sostanza, presente e passata, di quel mondo in cui nonostante tutto vive), la globalità del suo precedente essere. Cosicché gli ingenui, i meno documentati, non conoscono bene la storia e il pensiero del Cristianesimo da poco prima di loro, a ritroso, sino alle origini. Simile lacuna induce a credere che l’affabile positiva Chiesa della nostra epoca sia stata quella di sempre, cosa che la Storia contraddice in pieno. Il Cristianesimo antico-medievale e quello moderno (nelle sue sfaccettate dominanti componenti) hanno condizionato la vita umana nell’Occidente con un peso negativo, di cui la Società occidentale ha incominciato a liberarsi con efficacia maggiore nel tempo grazie all’Illuminismo. La misoginia, l’antisemitismo, l’omofobia, l’illiberalismo passati della Chiesa cattolica, ignoti a molti, poiché non si interessano di una conoscenza puntuale dei fatti, non costituivano l’anticamera dell’era di consumistici panettoni e colombe, o di festosi ritrovi di fedeli cattolici (cose ora ovviamente apprezzabili). Quel che c’era prima ha rappresentato a lungo, come sostenuto a ragione da Simone Weil, un regime di gestione totalitario dei popoli controllati dal Cattolicesimo. La cui pervasività è scemata sempre meglio a partire dall’epoca illuministica, preceduta in alcuni circoscritti spazi da forme liberali del Protestantesimo, forme poi perfezionate dall’Illuminismo. Nella mia attività di studioso mi sono preso il pensiero di andare a leggere alcuni di quei testi patristici nella nostra era ormai improponibili ai credenti. Mi sono soffermato dunque ad esempio sull’antisemitismo di Tertulliano, Agostino d’Ippona, Giovanni Crisostomo. Ho esaminato altri temi nei miei vari scritti (misoginia, omofobia, tanatolatria, antiedonismo, illiberalismo), i quali hanno peraltro considerato l’intero periodo di esistenza del Cristianesimo rilevandone significativi campioni d’analisi. Nella mia ricerca di esemplari distopici dettagli da riproporre all’attenzione critica, nel presente lavoro ho scelto due autori: Girolamo, canonizzato, Padre e Dottore della Chiesa (347-420); e Ambrogio vescovo di Milano (339 ca - 397), parimenti possessore degli attributi del primo. In questa sede di loro due ho scelto un’opera a testa nella trattazione di aspetti di misantropia nel Cristianesimo. In simile argomento potrebbe rientrare la tanatolatria cristiana, di cui ho parlato a parte, trattandosi di una materia specifica e nevralgica1. Là ho fatto notare la radicale e strutturale avversione della Patristica alla dimensione corporea dell’individuo umano, ricordando la guisa in cui tale inclinazione di giudizio non possa non essere valutata patologica. Tant’è che ha provocato fenomeni di anoressia. In relazione all’argomento dell’alimentazione e del digiuno ho reputato utile analizzare la pertinente sezione dell’“Adversus Jovianum” di Girolamo, giacché il promuovere una forma di denutrizione a me sembra misantropico e contiguo alla vocazione tanatolatrica di cui accennato sopra. Non nutrirsi a dovere rappresentava un punto programmatico del Cristianesimo originario, punto di cui verrò a dire grazie alle parole del suddetto santo. Quando egli inizia ad affrontare la materia ci proclama subito il suo obiettivo: «Doceam [...] Deo grata jejunia, et acceptabilem continentiam». Tengo a chiarire da subito un dettaglio. Questo Padre della Chiesa promuove forme di digiuno non perché sta spiegando che un’alimentazione eccessiva e inappropriata sia nociva alla salute umana. Il taglio del suo discorso non risulta affatto medico. Egli mira a una mortificazione del corpo, seguendo in merito la linea cristiana. Non suggerisce di non ingozzarsi dacché l’abuso fa male alla salute. Il suo discorso è completamente diverso, perciò andarlo a sovrapporre con uno schema di cautela sanitaria fisiologica si rivela non corretto. Il Dottore della Chiesa si cura della salute dell’anima, a scapito del corpo, nemico di questa. Con spirito paolino costui afferma: «Cupio dissolvi, et esse cum Christo». Altro che “mens sana in corpore sano”! Girolamo non ci dice di morire di inedia, ma neanche di essere atletici e rigogliosi: «Si vis perfectus esse, bonum est vinum non bibere, et carnem non manducare. Si vis perfectus esse, melius est saginare animam, quam corpus». Non ha appena sostenuto la pericolosità dell’eccesso, della qual cosa non ha qui messo in guardia con parametri medici. Ha proprio affermato il bisogno cristiano di mantenere il corpo indebolito: «Esus carnium, et potus vini, ventrisque saturitas, seminarium libidinis est». Ha ribaltato un ideale antico celebrante l’estetica (pensiamo alla statuaria greca) e l’agonismo sportivo: «Si Circensibus quispiam delectetur, si athletarum certamine, si mobilitate histrionum, si formis mulierum [...] per oculorum fenestras animae capta libertas est». Idee (assurde) del genere tradotte oggi equivarrebbero a richieste di soppressione di ogni competizione dello sport e a una disapprovazione della cura dell’aspetto femminile. Lui non ci sta affatto parlando di “donna oggetto”, ci sta parlando della “porta dell’inferno”. Uno che oggi volesse le donne alla stregua di quelle di “Swastika Night”2, e che pretendesse la cancellazione dei campionati di calcio, pallavolo, pallacanestro, femminili e maschili, per fare piccoli esempi, sarebbe ritenuto pazzo. Eppure il neonato Cristianesimo si è dato un DNA antisportivo (rammentiamoci di Tertulliano3). I Cristiani hanno visto nei cinque sensi degli impietosi carcerieri sempre e comunque: per coloro che hanno mantenuto un simile metro non sono esistiti un sano accettabile mondo della lecita competizione agonistica, né la possibilità di concepire il corpo femminile alla maniera greco-antica (ancora una volta ricordiamoci di quella statuaria). Molto dopo “La Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean Fouquet non rappresenterà un’opera d’arte cristiana, bensì capitalistica4. Se in assoluto, mediante la psicanalisi freudiana, possiamo accettare che «ciborum aviditas» sia «avaritiae mater», nella pertinenza del testo un tale spunto subirebbe un rigetto, giacché il patrocinio della magrezza cristiana, da qua, tutt’al più, andrebbe a fermarsi alla lupa dantesca e alle sante anoressiche. Che il ragionamento di questo Padre della Chiesa sia ascientifico e viziato in toto da nevrosi è chiaro da quanto sostiene: «Tactus [...] alienorum corporum, et feminarum ardentior appetitus, vicinus insaniae est».Deve rimanere accesa una sola lampada: «de Deo cogitatio». Non deve sopravvivere una nostalgia edonistica. Vengono apprezzati da Girolamo i filosofi che fuggono dal benessere e dalle gratificazioni urbane per appartarsi, e condanna d’altro canto, richiamandosi al magistero paolino, le donne che usufruiscono degli svaghi. V’è un giudizio del dottore della Chiesa ambiguo: «morbi ex saturitate nimia concitantur». È vero che l’eccesso di cibo può far male all’organismo e cagionare disturbi patologici, però rimane altresì evidente che la saturitas nimia di Girolamo costituisce un livello di quantità e qualità alimentari iniziante troppo presto, idest l’abuso per lui incomincia quando ancora siamo nel perimetro della giusta alimentazione. Costui esige un grado di denutrizione allo scopo di non glorificare l’orribile corpo, veicolo e strada del peccato. Mortificazione e indebolimento corporei, questi sono gli ideali del Cristianesimo. Come non doveva crollare l’Impero romano cristiano in balia di siffatte idee guida (non ultime quelle altre sessuofobiche, causa di un micidiale calo demografico)? Lampante che barbari numerosi e ben nutriti avessero la meglio. Ma torniamo a queste ultime parole del Padre della Chiesa, dacché, subito dopo, mette in guardia i golosi. Ha ragione ad affermare che occorre mangiare e bere al fine di dar seguito ai bisogni di approvvigionamento energetico del corpo; però, perché sopprimere a priori, sulla base di una teologia estremistica, i manicaretti? In giusta quantità una sana pietanza ricercata non fa male a nessuno. La giustizia sociale deve garantire semmai l’accesso di tutti a esse. Sconcertanti si mostrano alcuni pensieri espressi da Girolamo in questo suo testo all’esame: «Qui aegrotat, non aliter recipit sanitatem, nisi tenui cibo et castigato victu, quae λεπτὴ δίαιτα [dieta scarsa] dicitur. [...] Christiano sanitas absque viribus nimiis necessaria est. [...]. Nihil [...] obruit animum, ut plenus venter». Ne avevo anticipato i contenuti in alcuni passaggi sopra, però adesso abbiamo potuto vedere nelle sue testuali parole le aberrazioni: un ammalato va curato con un vitto frugale e contenuto; un cristiano non deve avere un vigore (fisico) eccessivo; stare a stomaco pieno è motivo di oppressione per la mente. Qui non si sta censurando l’eccesso, qua si censura il normale benessere della persona (cui ciascuno ha diritto), a vantaggio di un misantropico e filotanatolatrico obiettivo: mortificare il corpo umano alla volta della sua distruzione. Le torture e i roghi del Cristianesimo, a mio avviso, possiedono radice sadica nei propositori, compiaciuti, a modo loro, di eseguire la volontà e i desideri di un Dio che odia la corporeità umana (stando ai proclami originari cristiani). D’altro lato troviamo i masochisti digiunatori e autopunitori, posti sull’identica gamma dei precedenti, ma con polarità invertita (inversione oggettiva). Ci sono stati, secondo il mio modesto punto di vista, santi appartenenti a questa seconda categoria, bisognosi, al pari dei primi, di assistenza qualificata allora inesistente. Chi non ha voluto mangiare, chi ha rifiutato le cure, chi si è fatto del male fisico da sé ha avuto purtroppo gravissimi problemi mentali. Questi soggetti non costituiscono un modello da imitare. Girolamo, invece, ci fa l’apologia del digiuno religioso, continuando il suo dire, attraverso un’articolata serie di esempi biblici provenienti dall’Antico e dal Nuovo testamento. Alcuni mi sembrano un po’ forzati. In ogni caso quest’idea di digiunare, non dietro motivazioni sanitarie, non appare buona. In qualche maniera se ne rende conto pure il Dottore della Chiesa, consapevole del fatto che, se si propagandasse con successo una rinunzia più o meno assoluta all’alimentazione, in teoria, la Cristianità terrena scomparirebbe in breve, trasferendosi stabilmente tuttavia in paradiso. Preferendo cristiani che riescano a reggersi ancora in piedi, egli disapprova gli eretici auspicanti un regime alimentare in pratica suicida. De facto sembra ambire a simboli ambulanti di propaganda cristiana: «Maciem saginae, abstinentiam luxuriae, jejunia praeferimus saturitati». L’uomo macilento è stato il tipo ideale del Cristianesimo delle origini. Il mito del digiuno di Gesù durato quaranta giorni contribuì non poco, in aggiunta al resto, a suggestionare nel corso dei secoli, personalità di equilibrio mentale precario. Non nutrirsi secondo una consona misura rappresenta un attentato alla propria salute, e nelle circostanze in cui ciò si è verificato tra i fedeli cristiani io reputo opportuno l’intervento dell’investigazione psicanalitica allo scopo di comprendere la guisa in cui un essere umano possa andare “contro Natura” mettendo a rischio il suo benessere col suo personale concorso. Già il Cristianesimo paolino ha coscienza dell’impossibilità di imporre in maniera universale il “macilento”, pertanto lascia un’ambigua libertà: chi mangia si sazia, chi digiuna sprona gli altri a imitarlo. A tal proposito Girolamo ripete che «Quomodo nuptiis virginitatem, ita saturitati et carnibus jejunium spiritumque praeferimus. [...] Neque enim ventris esuries accepta est Deo». La seconda opera presa in oggetto nella seconda metà della mia analisi è l’“Exhortatio virginitatis” di Ambrogio vescovo di Milano, un testo il quale non risulta l’unico di questo Padre della Chiesa dedicato al tema. L’“Exhortatio virginitatis” è l’ultimo in ordine cronologico di vari altri. Quale premessa generale alla specificità dell’argomento il Dottore della Chiesa non omette di puntualizzare i confini del suo campo d’azione ideologico: «Nulla major est dignitas quam servire Christo». E tutto quello che seguirà deriva da simile spirito di servizio. Nel suo scritto Ambrogio inserisce una protagonista narrante: la vedova di un martire cristiano e madre di quattro figli (tra cui un maschio). Una sorta di Diotima sui generis, la quale pretende di insegnare i pregi della sessuofobia, con spunti, fra l’altro, di misoginia, ai propri figli. In apertura dell’esposizione si mostra significativo il richiamo all’antifemminismo di Prv 31,1-3. Ma, mentre il Vecchio Testamento non si mostra sessuofobico, invece misogino, l’“Exhortatio virginitatis” rappresenta un manifesto sessuofobico patristico. Al pari dell’altro discorso sull’alimentazione le primordiali istruzioni paoline sono analoghe e chiare: non si può comandare l’astinenza sessuale universale, tuttavia si può promuoverla in modo tale che gli exempla ambulanti attraggano gli altri restii. Un esplicito comandamento di rinunzia erga omnes comporterebbe oltre all’estensione dei cristiani la problematica di un teorico annientamento globale dell’umanità con un Cristianesimo religio globalizzante. Perciò pure qua si è lasciata ambigua libertà al fedele: qui coit coit, et qui non coit multo melius. Tale il succo di un passaggio (la frase in latino è mia) dello scritto in esame. In questa parte dell’“Exhortatio virginitatis” arriva un suggerimento aberrante sulla scia di Mt 19,10-13. Nel Vangelo di Matteo davanti alla sconvenienza del matrimonio per un uomo evidenziata dai suoi discepoli, Gesù si è espresso un po’ cripticamente spiegando che ci sono tre tipi di eunuchi (vale a dire di “evirati”: ευνοῦχοι): quelli per nascita; quelli che hanno subito l’evirazione; e gli «εὐνοῦχοι οἵτινες εὐνούχισαν ἑαυτοὺς διὰ τὴν βασιλείαν τῶν οὐρανῶν [nella Vulgata: “
eunuchi qui se ipsos castraverunt propter regnum caelorum”]». Il Messia fa intendere nelle sue parole, non così tanto oscure, che un buon cristiano maschio è colui il quale si evira in maniera volontaria. Che il senso del suo discorso sia questo viene confermato da Ambrogio dal canto suo nella sua sconcertante opera dove stavolta in latino questo pensiero viene ricalcato e riproposto. La madre narratrice prima dice: «Hanc igitur tentationem tantarum necessitatum, si vultis, filii, vitare, integritas corporis expetenda vobis est». Poi rammenta che «dixisse Dominum spadonibus: [...] Meliorem, inquit, locum vobis dabo, spadonibus dicit; his videlicet, qui se resecta genitali parte absciderint». L’“Exhortatio virginitatis” lancia dunque un appello non molto velato ai volenterosi “illuminati” cristiani («quibus divina refulsit gratia») «ut castrare se possint, quo regnum coelorum adipiscantur». Il termine latino “spado” (dal greco antico σπάδον), indica il soggetto evirato, l’eunuco. Ambrogio appare chiarissimo nel riprendere le parole di Gesù: senza membrum virile (“resecta genitalis pars”), tagliato con convinzione all’uopo, si raggiunge (“adipisci”) più speditamente (in virtù di ciò: «... quo...») il paradiso (“regnum coelorum”). Dal Vangelo alla Patristica rileviamo un’aberrante proposizione e patologica “contro Natura”. Promuovere e attuare simili gravi atti di autolesionismo possiedono nella fattispecie una duplice radice. La prima è quella sessuofobico-paolina già messa in luce. Il Dottore della Chiesa si è però qua riallacciato in funzione di un’apologia dell’astinenza sessuale (praticata anche con metodi radicali) a parole del Messia e non di Paolo di Tarso. Quantunque la sostanza finale in ambo le radici sia la medesima (l’impossibilità del congresso carnale) in Gesù che parla di eunuchi potrebbe mostrarsi l’ascendenza osiriaca. In passato ho ricordato le somiglianze fra le figure del Messia e di Osiride5. Qui rammento che dell’ultimo, ucciso e fatto a pezzi, non si ritrovò il membrum virile (il quale nel Vangelo ritorna nella veste di stella dei Magi). Secondo me il perizoma del Cristo crocifisso allude all’assenza osiriaca del membrum virile. Dal momento che il risultare evirato sembra essere una condizione di optimum divino, non escludo che nel discorso di Gesù la sessuofobia non sia il movente ideologico, bensì il prodotto di un’altra impostazione di pensiero religioso, e che l’evirazione non voglia in primis causare un impedimento stabile, ma produrre una condizione di analogia col divino. Sono del parere che un tale ragionamento, se effettivo nella realtà, sia sfuggito ai Padri della Chiesa, i quali hanno invece puntato in modo diretto sulla sessuofobia, in funzione di concezione basilare, e non in quanto conseguenza ideologica (nel primo campo troviamo la teologia paolina, nel secondo quella cristico-osiriaca). Resta il fatto comunque che il Cristianesimo alla fine elogi qualcosa di patologico, a prescindere dalle matrici: evirarsi è roba da insani di mente e “contro Natura”. Gesù e Ambrogio non hanno parlato in una forma figurata, né tanto meno hanno disapprovato l’autolesionismo, rimasto fissato quale opzione a beneficio degli “ottimi” cristiani (i modelli, da imitare). La madre narratrice dell’“Exhortatio virginitatis” riprende il suo apologo chiarendo che in paradiso gli angeli sono estranei al terreno regime coniugale: un fedele che non si è voluto sposare si rivela simile a un angelo, giacché ha rifiutato le inquietanti pulsioni libidiche allo scopo di concentrarsi del tutto sulle cose divine. Il matrimonio costituisce un mondo di problemi, dove la donna riceve un destino di subordinazione (ritenuto peraltro a lungo naturale nel Cristianesimo): «conjugium vinculum est, quo alligatur viro nupta, et ei in subjectionem astringitur». Il Dottore della Chiesa ha appena indicato la “donna oggetto” del Cristianesimo: da tiranneggiare ad libitum, da poter torturare e pure ammazzare (il femminicidio di Ipazia di Alessandria, ridotta a brandelli bruciati, risale ai tempi di Ambrogio). Nella teologia paolina un coniuge rappresenta un ostacolo tra sé e Cristo: la strada la quale porta a costui è lastricata di astinenza sessuale. La Natura di solito insegna la riproduzione e la cura della specie (l’omosessualità costituisce una via lecita, e quanto puntualizzerò subito viene riferito solo al Cristianesimo), un ragionamento contrario elevato a sommo ideale, a scapito del resto, mi pare nevrotico e “contro Natura”6. L’ideale è una ordinata prosecuzione del genere umano, non la sua laconizzazione. Questa madre esortante i figli a non unirsi in matrimonio evoca il caso teologico della Vergine Maria madre del Redentore. Di come sia stata distorta in merito la semantica ebraica nell’Antico Testamento, passando dalla voltura in greco antico, ho detto e spiegato in una mia monografia, cui rinvio7. Qua puntualizzo solo che l’Ebraismo non ha mai prefigurato il miracoloso parto di una vergine per compenetrazione. Trattasi di una pura invenzione teologica cristiana, a fini sessuofobici, agevolata dalla traduzione del “Tanak” da parte dei Settanta. Tant’è che Ambrogio si erge a difensore dell’imene: «Intemerata permaneant castitatis signacula. Hunc hortum animae vestrae, hunc fontem servate puri liquoris, ut eum in vobis nemo perturbet, nemo designet, quem genitalis in vobis origo signavit. [...] Quid tam verum, quam intemerata virginitas, quae signaculum pudoris et claustrum integritatis genitate custodit? At vero cum usu conjugii juvencula defloratur, amittit quod suum est, quando ei miscetur alienum. Illud enim verum quod nascimur, non in quod mutamur: quod a Creatore accepimus, non quod de contubernio assumpsimus». Agli occhi del Padre della Chiesa una donna deflorata perderebbe una sorta di sigillo di garanzia divino: niente di più assurdo sotto qualsiasi profilo (la castità semmai costituisce una libera scelta individuale de qua non est disputandum). L’esortatrice impazzita Diotima auspica che «liquore gratiae spiritalis corporei vaporis incendia temperentur». Davanti ad Ambrogio rimane valido qualcosa che lui chiama “bonum conjugium”: una unione coniugale i cui congressi carnali, finalizzati alla procreazione, siano compiuti col trasporto da mettersi nell’accendere la luce in una stanza. Ma anche qui a causa di Adamo ed Eva c’è di che vergognarsi. Pure qua i cristiani hanno distorto il “Tanak”, il quale si mostra sì misogino, però non sessuofobico, al contrario della nuova religio8. In mezzo a questo mosaico di nevrotiche esagerazioni del neonato Cristianesimo, nell’“Exhortatio virginitatis” il Dottore della Chiesa trova l’occasione incidentale di inserire una tessera antisemita, e rammenta coloro, «in populo Judaeorum, qui nolunt Christum Jesum Deum Dei Filium confiteri». Perché gli Ebrei dovrebbero credere nel Messia neotestamentario? Il Cristianesimo è sorto nevrotico, totalitario e illiberale. Tutto questo obliato mondo dall’odierno Cattolicesimo connotato da allegria festiva, seguente Pio XII e il Concilio Vaticano II, è stato in mirabile guisa trasposto in “1984” di George Orwell: un romanzo distopico il quale nella mia lettura weiliana si riconferma un monito universale molto attinente a tutta la Storia dell’Occidente9. Non metto in dubbio che il Cristianesimo ha fatto anche cose buone, tuttavia costituisce un limite il non curare la diffusa conoscenza precisa dei suoi vecchi lati negativi, i quali hanno promosso crimini (contro l’umanità, giacché estesi su ampie aree, prolungati nel tempo, e rilevanti per qualità e quantità sui valori demografici delle varie epoche: persecuzioni, torture, uccisioni di streghe, omosessuali, eretici, Giudei, intellettuali non allineati, non cristiani vari). L’apprendimento storico rappresenta una componente centrale nella crescita dell’Umanità, affinché non si ripetano gli errori passati. Dobbiamo evitare di concludere, con Aldous Huxley (scrittore di enorme spessore), che gli insegnamenti della Storia insegnano che gli insegnamenti della Storia non insegnano niente a nessuno. Forse, se studiamo bene, con serietà, onestà intellettuale, attenzione, possiamo riuscire a trarre fuori e a imparare la lezione giusta. L’ignoranza consente ai mostri di risorgere. Da qui la mia attività di studioso, perché del mondo che lasceremo alle generazioni future si faranno analisi, e i responsabili di una realtà la quale potrebbe andare allo sbando non saranno apprezzati. La Storia ci giudicherà, come del resto noi facciamo con i nostri predecessori. A mio avviso, dobbiamo riscoprire lo spirito della filosofia greca antica, quella capacità critica incruenta di dialettica e di crescita del pensiero che il violento Cristianesimo preilluministico ha assai indebolita. Sulle orme di Simone Weil, e parallelamente (nella mia lettura) di Orwell, concludo che la Patristica cristiana ha edificato l’ideologia della Madre di tutti i totalitarismi moderni, vale a dire della Chiesa. Che una Società occidentale oppressa o condizionata dalla religio christiana in maniera molto nociva non esista più da tempo non significa che dobbiamo ignorarla, poiché ciò che non abbiamo imparato a riconoscere può tornare dalle oscurità del passato. Dobbiamo difendere la Civiltà umana, in ogni suo singolo componente. Il benessere dell’Umanità passa dallo Studio e dalle Scienze, con una guida razionale della Filosofia. Nel consorzio sociale una parte la quale mira a imporre se stessa sull’intero perpetra un illecito. Tale la colpa del Cristianesimo: aver distrutto un pluralismo intellettuale e religioso incruento, aver introdotto nella cultura occidentale un efficiente modello politico-religioso totalitario. Riprendo il filo dell’“Exhortatio virginitatis” con brani dove si parla di vergini e vedove: «Non solum virgo, sed etiam mulier innupta cogitat quae sunt Domini. [...] Nupta enim quaerit viro suo placere, innupta autem Christo. Illa mundi, haec Christi possessio». Notiamo sempre una radicale dicotomia corporeità/spiritualità, dove la seconda annulla la prima e tutta la dimensione fisiologica. Ambrogio dà a tutti coloro desiderosi di reprimere l’attrazione sessuale questo consiglio: «Mortificate membra vestra tympani modo». Autopunitevi come se foste un tamburo: questo l’aberrante suggerimento del santo, istigante all’autolesionismo. Cosicché la pulsione libidica sarebbe annichilita. La meta: «inter mortuas corporis voluptates solus spiritus resultare». Morendo, in senso spirituale, figurato, al peccato si può conseguirla: «Vivetis Deo [...] si non regnet in corpore vestro mortuo ulla concupiscentia». Il problema del Cristianesimo, sia nei masochisti che nei sadici, è stato però che il confine fra vita e morte, tra figurato e letterale, si è mostrato molto sottile, ambiguo, e attraversato da una fascia di violenza concreta. La mortificazione cristiana del corpo si è rivelata un fenomeno patologico aberrante il quale non ha escluso gravi forme di autopunizione (pensiamo ad esempio a tutti quei masochisti partecipanti alla Passione di Cristo), torture e uccisioni (generalmente mediante quel rogo disintegrante il corpo, la casa del peccato). L’impresentabile della Patristica, il quale è organico al Cristianesimo, e non dottrina mal assimilata, non lascia spazio a una lettura diversa da quella diretta e contestualizzante, non lascia spazio a una lettura ammorbidente e dolcificante grazie al concetto di “figurato”. L’“Exhortatio virginitatis” rimane un testo esplicito e chiaro. In esso si elogia e si apprezza la figlia di Iefte la quale accetta di essere sacrificata al Dio biblico dal padre in seguito a una di lui promessa mirante a ottenere il favore divino: «Egregia sane femina, quae sibi nihil reliquit: totum quod habuit, Deo obtulit; cujus vita institutio disciplinae est». Le donne, poi, per il Dottore della Chiesa non dovrebbero badare molto, guardando gli uomini, all’estetica esteriore bensì di più e meglio alla ricchezza interiore: «Non implicatu capillorum, sicut Petrus docuit, neque in tortis crinibus, aut auro et margaritis, vel veste pretiosa, ut Paulus asseruit: sed magis interioris hominis ornamenta feminis requirenda; quoniam ille absconditus cordis homo, qui est pauper saeculo, ipse est locuples Deo». Un pensiero che, estratto e spogliato della sua valenza religiosa, trovo condivisibile: non rappresentano abbigliamento e capelli alla moda valori di primo piano, ma serietà, saggezza, conoscenza. L’esagerazione della vuota forma non fa l’homo e neanche il vir. Se infine pensiamo che il Cristianesimo predilige gli evirati, capiamo che qua si passa dalla padella alla brace. Il testo di Ambrogio in esame costituisce pure un piccolo campionario di assurdità antifemministe: «Indecorum est virgines loqui, et varios serere sermones!». Si chiede alle vergini di ridursi a prefiche quotidiane allo scopo di scacciare il buonumore e l’allegria: «Ne ipsam quidem liberiorem laetitiam in virginibus decet esse. Quae si non habent quod fleant, fleant saeculum, fleant lapsus peccantium; etenim quae aliorum lapsus fleverit, suos cavebit. Fleant postremo vel illa contemplatione, ut hic flentes, illic accipiant consolationem». Se idee del genere possono lasciare senza parole gli sprovveduti fedeli di oggi, abituati a una versione 3.0 del Cristianesimo (la 2.0 nella mia visione storica, va dal Concilio Vaticano II al canonizzato Paolo VI, esponente di una Chiesa avversa alle leggi su divorzio civile e aborto sanitario), l’ultima parte dell’“Exhortatio virginitatis” potrebbe in maniera ulteriore frastornare chi è abituato agli odierni aspetti festaioli cristiani, ben venuti e graditi, dove tutti quei vecchi dettagli dottrinali sono scomparsi a beneficio di altre piccole argomentazione di tono sensato e accettabile (peccato che non sia sempre stato così, e difetto è che simile “così” i più proiettano con ignoranza sul passato). Gravissima e pericolosissima quest’affermazione del santo: «Nec infirmitatem ex jejunio et abstinentia reformides; infirmitas enim gravis sobriam facit animam». Lui ha proclamato che non si dovrebbero temere le conseguenze invalidanti del digiuno dal momento che una pesante mancanza di forze rende l’anima sobria. Ciò rappresenta la promozione della patologia anoressica, un folle invito a rifiutare il cibo all’esplicito fine di stare male per mortificare il corpo: irrazionalismo aberrante. Sulla stessa linea si colloca l’esempio apologetico riportato dal Padre della Chiesa di santa Sotera, vergine e martire. La quale, vissuta quasi un secolo prima di lui, fu uccisa dai Romani (femminicidio ovviamente da disapprovare) poiché aveva rifiutato di osservare i pubblici riti pagani: io penso che farsi ammazzare per questioni di aria fritta non è da persone intelligenti, ed è “contro Natura”. Al di là del martirio in sé Ambrogio si compiace del fatto che la giovane si sia fatta sfigurare a colpi in viso (bisogna comunque valutare quanto nelle agiografie cristiane corrisponda a verità: per me v’è di inventato a scopi propagandistici, spronanti al proselitismo e all’imitazione): «[Ea] gaudebat enim dispendio pulchritudinis periculum integritatis auferri». Reputo un simile exemplum apologetico negativo nei riguardi soprattutto dei soggetti inclini a forme nevrotiche e di autolesionismo (vedasi ad esempio santa Caterina da Siena, nel 1970 proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, seconda donna in assoluto dopo santa Teresa d’Avila insignita sempre lo stesso anno). È la teologia evangelica paolina a discriminare le donne (ad esempio in 1 Tm 2,8-15), ed è Ambrogio a continuare la cosa in un contesto di spiegazione religiosa. Non possiamo condividere tutti questi insani pensieri, giacché viziati per irrazionalismo nevrotico; non possiamo gettarli nel dimenticatoio dacché studiarli ci insegna cosa non fare e come non sbagliare.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Studi illuministi”
 
1 Si veda nella mia monografia Studi illuministi (2024) la sezione recante il titolo Tanatolatria del Cristianesimo in Ambrogio vescovo di Milano.
 
2 Per approfondire suggerisco un mio scritto: La distopica e criptica nazimisoginia di Katharine Burdekin, nel mio saggio Ritorno critico (2024).
 
3 In vista di un approfondimento indico una mia monografia: Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023).
 
4 Si veda al riguardo un mio studio: La Madonna “pneumatica” e Lenina Crowne, contenuto dentro la mia pubblicazione intitolata Note di studio (2016).
 
5 Vedasi il mio scritto recante il titolo Iside e Osiride, Cristo e la Madonna contenuto nel mio saggio Note di studio (2016).
[nel seguente link è il segmento 2.3]
 
6 Condanno con fermezza l’omofobia. E a tal riguardo invito a leggere un mio studio: Eros e la libido junghiana nel “Simposio”, nella mia pubblicazione intitolata Note di critica (2017).
Non voglio essere frainteso neanche sulla questione dei figli. Ribadisco che non mi sto riferendo ai gay, ma ai cristiani nel parlare di nevrosi “contro Natura”. Tengo a sottolinearlo perché non sono tanto favorevole a maternità surrogate e a adozioni di bambini nelle coppie omosex. Chiarisco in un mio scritto il punto di vista: Ragionamento sopra le adozioni gay, presente nella mia opera Note umanistiche (2020).
Mi dispiacerebbe moltissimo se si prendesse questo schema analitico applicato al vecchio Cristianesimo per applicarlo agli omosessuali e attribuirmi idee le quali né possiedo né ho mai sostenuto. Chi leggerà i due miei testi suggeriti potrà vedere che giudico l’omosessualità così normale e accettabile da ritenerla una prova dell’esistenza pregressa dell’anima, e che per una motivazione filosofico-biologica valuto maternità surrogate e adozioni su citate non conformi al diritto naturale. Tuttavia, nel momento in cui una Legge dello Stato le consentisse non me ne farei affatto un problema, dacché prendersi cura di qualcuno non rappresenta un crimen. Crimina sono altre cose. Da junghiano credo che in materia di prole il modello biologico di famiglia abbia una “predilezione naturale”, però non giudico criminale il modello di famiglia omogenitoriale. Il mio orientamento è liberal-progressista, non sono un oscurantista.
 
7 Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano, alle pagg. 20-21.
 
8 Per approfondire sopra la vicenda dell’Eden consiglio di leggere questo mio studio all’interno del mio saggio Considerazioni letterarie (2014): Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi.
 
9 In vista dell’approfondimento suggerisco due mie monografie: Il Medioevo futuro di George Orwell (2015), Da Robert Hugh Benson a George Orwell (2024).