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venerdì 24 dicembre 2010

LE ZOLFARE DI LERCARA FRIDDI

di DANILO CARUSO


indice
1. COSA È LO ZOLFO
2. LO ZOLFO IN SICILIA
3. 1. BREVE STORIA DELLE ZOLFARE LERCARESI
3. 2. I ROSE GARDNER DI VILLA LISETTA
3. 3. IL VILLAGGIO PER GLI ZOLFATARI
4. VIDEO
 

1. COSA È LO ZOLFO

Lo zolfo è un elemento chimico, cioè una sostanza che non è il prodotto di altre più semplici in natura. È inodore, fuso assume un colore rosso. Sue tracce sono rinvenibili sull’orlo dei crateri vulcanici e nei pressi di sorgive d’acqua calda. Si può trovare in varie sostanze naturali composte tra cui il gesso (che è un solfito di calcio), il carbone ed il petrolio.

Con lo zolfo si producono:
· disinfettanti,
· insetticidi e fungicidi (nelle coltivazioni agricole ostacolano l’azione dannosa del fungo denominato oidio),
· lassativi (la magnesia),
· fertilizzanti per terreni in cui scarseggia il magnesio,
· esfolianti (che provocano la caduta delle parti più superficiali della pelle),
· polvere da sparo (una miscela composta anche da carbonio e nitrato di potassio ideata dai Cinesi nel XII sec. per i giochi d’artificio),
· fiammiferi,
· acido solforico (molto utilizzato industrialmente per produrre detersivi e batterie),
· l’ebanite o vulcanite (un materiale solido nero ricavato da gomme contenenti elevate quantità di zolfo),
· conservanti alimentari e sbiancanti per la carta generati dalla condensazione dell’acido solforico,
· fissativi per le immagini fotografiche (tiosolfato di sodio o di ammonio).

Alcune sostanze prodotte con lo zolfo, o che lo contengono in natura, possono essere pericolose per la salute umana ed ambientale:
· gli acidi solforico e solfidrico sono erosivi,
· il solfuro d’idrogeno, che può rendersi impercettibile all’olfatto, è un gas fortemente nocivo,
· la combustione industriale del carbone genera biossido di zolfo, che combinandosi nell’aria al vapore acqueo ed all’ossigeno si trasforma in acido solforico, il quale ricadendo con le cosiddette piogge acide inquina gravemente le falde acquifere ed i terreni.


2. LO ZOLFO IN SICILIA

Lo zolfo è conosciuto a partire dall’antichità: ne parlano il libro della Genesi (assieme ad altri libri della Bibbia) ed Omero, inoltre i Romani ne fecero un uso incendiario in battaglia. I giacimenti zolfiferi siciliani, quasi tutti concentrati nelle province di Agrigento, Caltanissetta ed Enna, cominciarono ad essere sfruttati dal principio del XVII sec., incrementando notevolmente l’attività nei secoli successivi. Nel 1820 l’attività isolana di sfruttamento copriva l’80% di quella mondiale. Lo zolfo siciliano era commercializzato nei paesi industrializzati d’Europa, soprattutto l’Inghilterra e la Francia, e negli Stati Uniti. All’inizio del 1800 la Sicilia era al centro delle rotte commerciali del Mediterraneo, come Malta che era già colonia inglese. Gli Inglesi avevano più volte espresso la volontà di un’annessione dell’isola. Nel 1808, nel 1809 e nel 1812 furono stipulati dei trattati tra Sicilia ed Inghilterra che attirarono l’isola nella sfera d’influenza britannica, anche a causa della politica napoleonica contro l’Inghilterra. Durante il periodo napoleonico vi fu in Sicilia la presenza di un presidio militare nel 1811-1814. Sull’isola si trasferì un esercito di 15.000 uomini ed un gran numero di commercianti sospinti dai sussidi della madrepatria: gli Inglesi sovvenzionavano direttamente sia i Borboni sia i loro connazionali. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, la presenza inglese diminuì notevolmente, e rimasero solo gli imprenditori con radici più salde. L’Inghilterra acquistava allora il 40% delle esportazioni siciliane, e vi rimetteva, nonostante il regime protezionistico borbonico (1824), il 32% dei prodotti importati. I prodotti siciliani subivano tra l’altro la concorrenza di quelli napoletani essendo ostacolati dalle norme fiscali interne. Mancava inoltre nell’isola un sistema bancario e creditizio degno di questo nome. I mercanti-banchieri inglesi si inserirono in questo contesto con i loro capitali accettando il rischio d’impresa. La loro abilità mantenne l’isola sotto il controllo economico inglese. Questi si allearono con la nascente borghesia locale esercitando un condizionamento verso i poteri pubblici: era del tutto assente un ceto imprenditoriale. L’epidemia di colera che imperversò in Sicilia nel 1836-37 aveva lasciato pesanti problemi ed il governo borbonico, nel tentativo di recuperare le posizioni perdute, aveva attuato provvedimenti economici che danneggiavano fortemente gli Inglesi specialmente nel settore zolfifero, dove vantavano più di venti aziende impegnate nell’industria estrattiva. Ne scaturì la cosiddetta guerra dello zolfo. Il re in visita in Sicilia nel 1838 aveva concesso l’esclusiva commerciale dello zolfo siciliano per un decennio alla marsigliese Taix Aycard. Ferdinando II denunciava l’affarismo sregolato degli Inglesi: questi infatti avevano provocato una crisi di sovrapproduzione che aveva fatto crollare il prezzo dello zolfo da 208 lire a tonnellata nel 1833 ad 85 lire nel 1837, con grande danno del benessere e dell’economia in Sicilia. Si cercava di incamerare nelle casse dello Stato parte di proventi di una produzione che dal principio degli anni Trenta si era quadruplicata e le cui esportazioni in questo decennio erano andate per il 43% in Francia e per il 49% in Inghilterra. La Compagnie des soufres de Sicile di Taix ed Aycard si era impegnata a versare annualmente nelle casse del Regno delle Due Sicilie 400.000 ducati e a edificare uno stabilimento per la produzione di soda artificiale ed acido solforico nell’isola. Il governo inglese dichiarò illegittimo l’accordo franco-napoletano in base alle clausole di un altro accordo commerciale anglo-napoletano del 1816 che riservava a loro posizioni di favore. Gli Inglesi per rappresaglia tennero d’assedio con la loro flotta i porti borbonici ed il re dovette ritornare sui suoi passi. La convenzione con i francesi fu sciolta il 21 luglio 1840, pesanti indennizzi furono versati alla Taix Aycard ed ai commercianti inglesi: chi si sarebbe accontentato di millecinquecento sterline prima del blocco navale, alzò il tiro a centocinquantamila; nei fatti ne ebbero trentamila.


3. 1. BREVE STORIA DELLE ZOLFARE LERCARESI

Il bacino zolfifero del territorio lercarese fu scoperto nel 1828: non ve n’erano altri in tutta la provincia di Palermo e si rivelò tra i primi in Sicilia. È compreso nel quadrilatero ad est dell’abitato che ha per vertici Colle Croce, Colle Friddi, Colle Madore e Colle Serio. Gli operai adulti, i picconieri, e i più giovani, i carusi, lavoravano nel sottosuolo a ciclo continuo in turni di molte ore reclusi in spazi che erano male illuminati da lampade ad acetilene (un gas illuminante) e che si trovavano ad una profondità di svariate decine di metri. Quest’ambiente era umido e molto caldo nonché saturo di impurità che nuocevano ai polmoni. Il rapporto tra il salario di un caruso e di un picconiere andava da uno a due a uno a quattro, ma un picconiere guadagnava mediamente il doppio rispetto ad un normale lavoratore. Si immettevano all’interno della terra per mezzo di scalinate ricavate dal pavimento roccioso che introducevano alle gallerie da cui lo zolfo era estratto e convogliato fuori manualmente: i bambini portavano una deci­na di chili di materiale a spalla per ogni trasporto, gli adulti un mezzo quintale. La paura di cedi­menti nei passaggi sotterranei, il timore di allagamenti e di esplosioni per fughe di gas naturali ac­compagnavano i minatori in ogni momento. Per il trasporto venne in seguito adottato verso la fine del 1800 un ascensore (funzionò poi dal 1907 alimentato da energia elettrica): serviva per calare gli operai e portare su lo zolfo che veniva depositato in carrelli su binari e condotto alla lavorazione. Il materiale sulfureo veniva fuso in forni per eliminare le impurità e colato in stampi. In origine fu usato un tipo di forno chiamato calcarone succeduto alla calcarella. La calcarella è un primordiale tipo di forno costruito con un’ammucchiata di zolfo estratto alla cui base venivano aggiunti dei canali dove, dopo aver dato fuoco, scorreva lo zolfo fuso: è un sistema che rendeva per il 30% della quantità reale di minerale. Entrambi i metodi liberavano direttamente nell’aria esalazioni di anidride solforosa che danneggiavano le colture agricole e soprattutto i polmoni. Il calcarone era un forno alto sui 5 m con la base inclinata verso il canale d’uscita. L’apertura era chiusa da un impasto di gesso che si scioglieva al passaggio dello zolfo. Il calcarone rendeva intorno all’80%. Questo metodo fu presto proibito e sostituito dalla macchina Duvand, ma non servì a molto: l’anidride solforosa non era eliminata del tutto. Prima dell’unità d’Italia verrà riadottata la tecnica dei calcaroni più economica per gli imprenditori. Un sistema, meno inquinante, ma non molto adottato, di calcaroni collegati fra loro al fine di sfruttare il calore prodotto da uno a vantaggio dell’accensione del successivo, fu denominato forno Gill. Nel periodo di fine ’800 alta era la percentuale di bambini impiegati nell’estrazione, e vi fu addirittura una fase in cui vi lavorarono anche le donne. Tutti lavoravano seminudi a causa dell’alta temperatura, e non è il caso di accennare agli scadimenti di questa civiltà sotterranea, i cui abitanti apparivano alla lunga invecchiati, quasi avessero perso la loro umanità. Il regio governo nel 1874 sotto pressione si interessò della situazione delle miniere di Lercara Friddi ed il ministro dell’industria nominò una commissione d'inchiesta. Emerse il disumano sfruttamento dei minori, che venivano acquistati dalle proprie famiglie in una vera e propria tratta di schiavi anche nei paesi limitrofi per la necessità di manodopera: questi si ammalavano molto facilmente e moltissimi di loro risultavano poi inabili al servizio militare. Alla fine dell’indagine la commissione propose miglioramenti delle condizioni di lavoro: il divieto di assumere lavoratori con età inferiore ai dodici anni, particolari tutele per quelli di età compresa tra i dodici ed i ventuno anni, il divieto di assume­re donne. A dare un barlume di speranza ai lavoratori intervenne il filantropo e medico lercarese Al­fonso Giordano (1843-1915) che riuscì a curare l’anchilostomiasi, una malattia, da cui questi erano colpiti, causata da un parassita che si introduceva nell’organismo umano in seguito a pessime condizioni igienico-lavorative. Figlio di un medico, seguì la carriera del padre. Consacrò la sua esistenza alla difesa dei disagiati, soprattutto dei minatori. Studiò anche la tea-pneumoconiosi che ne colpiva l’apparato respiratorio tramite l’inalazione del pulviscolo solforoso presente nell’aria. Riscosse per la sua attività medica dai colleghi in Italia ed all’estero giudizi di encomio e riconoscenza. Nella sua vita Alfonso Giordano coltivò rapporti epistolari con il famoso scienziato francese Louis Pasteur. Lercara lo ricorda affettuosamente: dopo la sua scomparsa gli è stata intitolata la via della sua abitazione (oggi in via A. Giordano, 48) dove è stata apposta pure una lapide, ed un monumento con un suo busto (opera di Antonio Ugo) gli è stato eretto nella piccola piazza G. Garibaldi di fronte alla chiesa di sant’Antonio di Padova. Il periodo a cavallo tra l’ultimo decennio del XIX secolo e il primo del XX fu l’inizio della fine dell’eldorado zolfifero siciliano poiché una crisi profonda attraversò questo campo della produzione. La quasi esclusiva gestione delle miniere secondo criteri di interesse capitalistico, con l’utilizzo di tecnologie antiquate e con parametri di sfruttamento dei bacini senza nessuna logica se non quella del migliore guadagno, misero in difficoltà di fronte alla concorrenza dello zolfo statunitense i gabelloti che alla fine si rivelarono in maggioranza falsi imprenditori. Negli Stati Uniti nel 1867 in Louisiana e Texas al di sotto di sabbie mobili erano stati scoperti bacini, sfruttati col “metodo Frasch”: con l’azione di una trivella si faceva emergere lo zolfo fuso grazie ad acqua surriscaldata, che lo scioglieva, e ad aria compressa, che lo spingeva in superficie. Questa tecnica rendeva quasi al 100%, come l’altra della flottazione, utilizzata a metà ’900 per le comuni miniere, che consisteva nel macinare e frantumare il minerale estratto da sottoporre poi ad un passaggio meccanico in acqua dove la polvere sulfurea si separava. La crisi iniziò nel 1893, e la gravità della situazione favorì nel 1896 la nascita di un organismo con il compito di riorganizzare e razionalizzare il settore: l’Anglo Sicilian Sulphur Company, la quale se produsse utili risultati per un quindicennio, si dovette arrendere ad una condizione che era divenuta oramai irrimediabile (lo zolfo siciliano, che era partito da una posizione di quasi monopolio, negli anni venti avrebbe inciso per il 10 % circa sul complesso produttivo). Molte imprese lercaresi d’estrazione entrarono in crisi ed alcune fallirono. Nonostante tutto l'attività permase a dare lavoro, accompagnandosi, sino alla chiusura delle miniere avvenuta nel 1969, ad un miglioramento delle condizioni degli operai favorito dallo sviluppo tecnologico. Alcune sciagure minerarie tuttavia colpirono la comunità locale anche nel ’900 provocando diverse vittime. Quella del 18 giugno 1951, che provocò la morte del giovane Michele Felice, causò uno sciopero (conclusosi con l’introduzione di miglioramenti) di cui parlarono Carlo Levi, il celebre autore di “Cristo si è fermato a Eboli”, nel suo libro “Le parole sono pietre” (1955), ed il giornalista Mario Farinella ne “La zolfara accusa” (1951). La situazione locale del 1951 provocò tre interrogazioni parlamentari al governò De Gasperi a firma dei deputati comunisti Michele Sala, Salvatore La Marca, Michele D’Amico, Luigi Di Mauro, e del monarchico Giovanni Alliata di Montereale: rispose alla Camera il 30 novembre di quell’anno il sottosegretario al lavoro Dino Del Bo democristiano. La Regione Siciliana ha istituito nel 1993 con una legge il Museo ed il Parco archeologico industriale della Zolfara di Lercara Friddi. La Madonna del Carmelo fu patrona degli zolfatari lercaresi, che ne curavano il festeggiamento del 16 luglio.


3. 2. I ROSE GARDNER DI VILLA LISETTA

Il progenitore del ramo maschile dei Rose Gardner di Lercara Friddi fu James Rose (1809-1868). Era un Inglese che raggiunse a dodici anni uno zio a Messina dove iniziò a lavorare. In un primo momento si dedicò al commercio degli agrumi, ma poi fu attratto da quello più redditizio dello zolfo che esercitò in associazione con Benjamin Gardner. Quest’ultimo, di Boston, era un capitano d’imbarcazione sulla cui nave viaggiavano per l’America prodotti d’esportazione provenienti dalla Sicilia. Il figlio adottivo Edward era impegnato nel campo bancario ed in quello commerciale. Nel 1840 intraprese, con i Rose, l’attività di speculazione sul bacino zolfifero lercarese, che rimarrà per lui la più importante. Villa Lisetta, residenza lercarese di James Rose, fu edificata secondo lo stile vittoriano intorno a quegli anni su un’area allora in periferia vendutagli per lo scopo: il nome fu scelto in onore della moglie (Eloisa). I legami finanziari tra i Rose ed i Gardner divennero parentela quando due fratelli Rose, William (1840-1888) e John Forester (1853-1922), sposarono due figlie di Edward Gardner, rispettivamente Martha ed Elizabeth. La Rose Gardner & C. si chiuse con il suo fallimento nel 1906: affrontarono dispute legali, anche con la locale famiglia Pucci, di cui erano soci, perdendo la causa. Villa Lisetta era però proprietà della moglie di John Forester Rose, Elizabeth Gardner, e non poté essere sequestrata. In quell’anno lasciarono il paese. Villa Lisetta fu sede della Caserma dei Carabinieri dal 1908 al 1955. John Forester Rose il 23 aprile 1908 vendette i locali della villa al Comune. Negli anni ’50 fu sede della Scuola Media. Dalla fine degli anni ’50 rimase abbandonata dopo un tentativo di impiantarvi l’ospedale per il quale si costruì un corpo aggiuntivo di stanze. L’entrata che dà sul prospetto fu aggiunta tra le due originarie dopo il 1906, probabilmente nel 1908. All’inizio degli anni ’90 è stata restaurata la casetta del custode, che è stata sede della condotta agraria, e recentemente l’edificio originario di residenza.


3. 3. IL VILLAGGIO PER GLI ZOLFATARI

Uno speciale quartiere residenziale per i minatori lercaresi fu voluto ai tempi del fascismo: edificato negli anni ’40 venne poi terminato, a causa della caduta del regime, nel ’45 dalla ditta Antonio Zanca di Palermo. Le abitazioni furono consegnate ai naturali destinatari solamente nel ’50 perché per via del banditismo l’uso di quegli alloggi fu temporaneamente concesso ai carabinieri del nucleo regionale antibanditismo. Il primo insieme di costruzioni nacque a ridosso di un tratto della strada provinciale che porta allo scalo ferroviario di Lercara Bassa (per la precisione poco dopo l’abbeveratoio di fronte al consorzio agrario). Successivamente, dieci / quindici anni dopo il 1945, fu ampliato grazie all’interessamento dell’on. Gioacchino Germanà in qualità di assessore regionale al lavoro. In passato in questo quartiere si trovavano una lavanderia, un forno ed una sezione distaccata della scuola elementare. Al piano superiore dell’edificio scolastico era sito l’appartamento del custode. Il complesso residenziale è gestito dallo IACP di Palermo, che nel 2005 ha restaurato la cappella dell’ex-villaggio dedicata a sant’Antonio da Padova e fatta costruire nel 1950 da Antonio Zanca.


 4. VIDEO


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