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martedì 27 aprile 2021

PARRICIDIO DANTESCO – parte 4 di 4

di DANILO CARUSO

Il testo seguente è un estratto della mia monografia “Parricidio dantesco” edita nell’aprile del 2021 in formato cartaceo e in pdf (ebook), disponibile integralmente online qui:
1) pdf (possibile il download del saggio intero)
https://www.academia.edu/47754422/Parricidio_dantesco
2) audiobook
https://www.youtube.com/watch?v=hs8sW1J3i6I
Sul blog è stata riproposta in quattro parti separate.


IN OCCASIONE
DEL VII CENTENARIO
DELLA SCOMPARSA
DI DANTE ALIGHIERI


prosegue da qui 
http://danilocaruso.blogspot.com/2021/04/parricidio-dantesco-parte-3-di-4.html

Proviamo adesso a scoprire le cause generatrici del pensiero, dell’azione, della scrittura danteschi raffrontando le opere e quanto si sa della sua vita. Il motivo centrale di quella giovinezza è rappresentato dalla mitica Beatrice (1266-1290), una ragazza fiorentina figlia di Folco Portinari (legato ai Cerchi guelfi bianchi), grosso banchiere e politico in Firenze provenuto dalla Romagna. Ella però non è single: dall’età di 14/15 anni è coniugata con Simone de’ Bardi, appartenente a un gruppo familiare anch’esso rilevante nell’attività bancaria. Il padre di Dante è stato un piccolo prestatore di denaro schieratosi dalla parte dei Cerchi; la moglie dello scrittore, Gemma, sua coetanea, proviene dallo schieramento opposto dei Donati; il matrimonio era stato programmato nel 1277 essendo il padre forse già scomparso. Non si sa con esattezza quando sia stato celebrato lo sposalizio del sommo poeta con Gemma Donati: la gamma temporale comincia dal 1283-85 e culmina col 1290-95. Andiamo a guardare ora la “Vita Nuova”. I testi poetici ricadono nel decennio 1283-93, la cornice in prosa è del ’94 circa. Riflettiamo riguardo al triangolo Dante/Beatrice/Gemma. Questo sui generis romanzo autobiografico è stato definito prima o dopo che lui si sposasse? Non lo sappiamo, possiamo ricavare solo due ipotetici gradi di eccesso dantesco: 1) a lui non sposato piace una coniugata, 2) a lui maritato piace una impegnata. In entrambi i casi pare un libertino destinato a finire in mezzo ai lussuriosi del suo inferno, nella realtà poteva dare comunque nell’occhio (peggio ancora se da sposato). Si trova in una selva oscura dalla quale solo la precoce morte di Beatrice lo porterà fuori. Non è immaginabile che il marito di lei tollerasse l’inopportuna attenzione del poeta sulla di lui moglie. Nella “Vita Nuova” Dante si prende gioco del lettore. Rielaborando i fatti originari egli non ci dice mai che Beatrice sia coniugata, attraverso un’esposizione quantomeno nevrotica ci parla del suo trasporto sentimentale. Perché Dante si scherma nella narrazione e nella realtà? Nel testo ci sono due tecniche schermanti: 1) l’omissione della notizia che Beatrice sia sposata (lui parrebbe di no: a metà degli anni ’90 un Dante cattolico come avrebbe giustificato la “Vita Nuova” se redatta da maritato?); 2) le note donne schermo. I versi dedicati a queste ultime fanno pensare due cose: o il poeta ci ha provato con più donne, o queste l’hanno schermato dal marito di lei e dalle dicerie (strategia dissimulante nella realtà non allo sguardo di Beatrice). Lo scrittore a disagio, che si sente male, nella “Vita Nuova” rievoca il sommo poeta molto giovane. La storia della presa in giro a scapito di lui di Beatrice e altre a una festa di matrimonio potrebbe celare un episodio reale delle nozze di costei: quindi il ricordo recuperato sarebbe di un Dante più o meno quindicenne. Egli poi più avanti negli anni avrebbe impastato un racconto consuntivo con la farina nevrotica. Non trascuriamo che nello ’89 era tra i combattenti di Campaldino contro i ghibellini, e quindi fosse di sana e robusta costituzione. L’imprinting di Beatrice a mio avviso si è evoluto in nevrosi. Non escludo che esso col passare del tempo abbia prodotto turbe allucinatorie di natura schizofrenica: alcune visioni da lui avute nella “Vita Nuova” mi inducono a ipotizzarlo. Dante dice di aver visto Amore e Beatrice defunta. A chi replicasse che lo scrittore fiorentino inventava immagini letterarie, replico che il sommo poeta nella famosa lettera a Cangrande della Scala sul senso delle sue parole nella “Divina Commedia” afferma che sono da prendersi alla lettera, cioè specchio di esperienze vissute. L’integralismo cattolico di Dante è stato così patologico da renderlo vittima di allucinazioni? La sua mente era popolata da spettrali complessi nevrotici così pericolosi? Il suo originario adolescenziale interesse sessuale verso Beatrice lo ha condotto alla volta di una sublimazione patologica? In termini di psicanalisi freudiana possiamo concludere di sì. Da tutta questa vicenda possiamo altresì scoprire l’origine dell’anticapitalismo dantesco. In attività bancarie erano coinvolte le famiglie di Beatrice e del marito, un matrimonio di interesse cui lui non poteva ambire. Il capitalismo gli ha impedito di conquistare la meta cui lui ambiva. Egli perciò l’ha odiato, ed ha ripiegato sopra un cattolicesimo integralistico. La morte di Beatrice avrà segnato la sua svolta sessuofobica e misogina. In quell’evento avrà visto la mano di Dio che lo tirava fuori dall’impaccio. Ergo ella è stata rielaborata in prospettiva di recupero nella nuova ottica religiosa attraverso la desessualizzazione. La prima versione mentale dantesca di lei è di sostanza stilnovistica. Esiste una canzone del trovatore Raimbaut (Rambaldo) de Vaqueiras (1165-1207) intitolata “Calendimaggio [Kalenda maya, in provenzale]” la cui quinta strofa parla di una «na Beatritz [donna Beatrice, della nobile famiglia degli Aleramici]» e presenta analogie col sonetto dantesco il cui capoverso è «Tanto gentile e tanto onesta pare». Il Dante cattolico poi nella realtà sposatosi con Gemma Donati si buttò in politica dalla seconda metà degli anni ’90 e finì esiliato nel 1302 da Firenze. Hanno fatto male a cacciarlo? Penserei di no, osservando le sue idee: troppo estremistiche e troppo reazionarie (tra l’altro, vide di malocchio e osteggiò lo schema amministrativo comunale democratico antinobiliare di Giano della Bella del 1293-95 agendo a vantaggio di una parziale restaurazione destinata a scoppiare). Il capitalismo fiorentino stava dentro la parte guelfa (scissasi apertamente nel 1300). Egli era schierato con la destra guelfa (i Bianchi), sostenitrice dell’autonomia comunale davanti alla Chiesa e propensa alla collaborazione col tradizionale ceto nobiliare. Si sa che il suocero, durante la vita cittadina di Dante, avesse garantito a suo beneficio in prestiti di denaro, e i Donati erano Neri (sinistra guelfa papalina e filopopolare). Tale gruppo familiare della moglie è stato ben trattato nella “Commedia”. L’ultimo tratto dell’esistenza dello scrittore fiorentino fu dedicato alle opere figlie dell’esilio: la “Divina Commedia”, il “De monarchia”, il “De vulgari eloquentia”. Reputo che senza l’esilio la prima non sarebbe stata affatto scritta (almeno così come lo è stata nella sua monumentale e complessa architettura). L’esperienza di esule ha caricato il sommo poeta di inacidita vis creativa, un’esperienza traumatica con i suoi possibili contorni psicopatologici più sopra ipotizzati. Voglio concludere il mio saggio con parole di Giovanni Villani (1280-1348) riguardo a Dante. Il primo, che fu storico, imprenditore e banchiere fiorentino, vicino ai guelfi Neri, autore della “Nuova Cronica” (una storia di Firenze ab ovo ad eum), in detta opera dopo aver elogiato il sommo poeta, alla fine del capitolo interessato (“Chi fue il poeta Dante Allighieri di Firenze”), non ha potuto far a meno di sottolineare che «Dante per lo suo savere fue alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co’ laici».