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giovedì 13 marzo 2025

IL XXIX SECOLO DI WALTER BROWNE

di DANILO CARUSO
 
 
People learn in time to love even fossils.
 
Walter Browne, “2894”
 
 
Incuriosito dal titolo di un romanzo di Walter Browne (1856-1911; Inglese, cantante d’opera, autore e critico teatrale, romanziere), ho voluto esaminare il testo: ‘“2894” or The fossil man (A mid-winter night’s dream)’. Mi appassionano le visioni narrative del futuro che altri intellettuali, anche di età passate, e geograficamente in tanti casi lontani da me, hanno formulato sia in forma utopica che distopica. Nel tempo sono divenuto un cultore delle distopie. Nella nostra era, in cui la gente ha molta difficoltà a comprendere gli eventi, la nottola di Minerva non vola forse neanche all’alba. È già immaginario, fantasioso e fantastico il presente di chi non va oltre l’unidimensionalità marcusiana. Mi pare che una parte di esseri umani vivano in una sorta di medioevo tecnologico senza spirito critico, senza approfondire, senza documentarsi sul serio, in balia di imbonitori, a volte non più raffinati dei primi. “2894”, uscito nel 1894 negli USA, immagina un mondo a un millennio di distanza dall’autore. Tale romanzo non è né utopico né distopico. Raffigura un futuro con pregi e difetti. È la scelta dello scrittore di farlo torbido, magmatico, senza puro idealismo, negativo o positivo. Una simile opzione mi ha fatto pensare all’Inconscio collettivo e alla sua attività che mescola insieme tutte le esperienze di coscienza umana. Io sono junghiano, perciò, la mia analisi sarà secondo questo indirizzo. Walter Browne in questo romanzo intravede un sovvertimento del tradizionale avito ruolo dei generi sessuali: nel futuro le donne prenderanno il sopravvento grazie a una superiore intelligenza sopra gli uomini connotati dalla vis. Ma non bisogna andare molto avanti nel tempo per osservare un’ampia fetta di popolazione maschile poco riflessiva e alquanto bestiale. In “2894” il protagonista, Lord Ammonite, mira a sposare una donna di cui è innamorato. Costei nella mia decriptazione analitica testuale rappresenta l’“anima” junghiana ossia la parte psichica interiore di un soggetto maschile contrapposta al proprio complesso dell’Io. Tutta l’esperienza fantascientifica che Lord Ammonite vivrà si scoprirà alla fine del romanzo essere stata un sogno. Questo rappresenta un dettaglio molto importante nella mia ottica, confermante il piano di un’esperienza più legata ai canali della psiche che non alla semplice fantasia creativa. Arthur Schopenhauer già in una sezione di “Parerga und paralipomena” aveva spiegato come la via onirica portasse a qualcosa di misterioso: in parole povere aveva intuito l’esistenza dell’Inconscio assoluto. In “2894” quel mondo a venire descritto proviene da una proiezione dell’Inconscio impersonale rivolta all’Io di chi lo esperisce attraverso l’apertura del canale dell’“anima”. Il protagonista in virtù di ciò raggiunge l’“individuazione” junghiana. In conclusione del testo di Browne si risveglia in possesso di una coscienza spirituale più matura e meglio posata. Quell’unione matrimoniale finale ambita non costituisce nient’altro che la sizigia. Adesso diamo un’occhiata a quella società del 2894, la quale in assoluto, non è né buona né cattiva, giacché l’Inconscio collettivo elabora senza forma morale; per così dire, fa una media, produce un estratto sintetico (in particolar modo l’archetipo). Tocca poi agli esseri umani più saggi rendere quei messaggi giovevoli, quegli avvertimenti efficaci, a beneficio dell’intero consorzio umano (da qui tutte quelle figure istituzionali dell’antichità preposte a interpretare e decodificare i segni del numifico). Sono rimasto un po’ deluso a non vedere nel XXIX secolo diverse tecnologie ormai diffuse ora quali televisori, smartphone, computer. C’è comunque una telefonia la quale assomiglia alla messaggistica istantanea. Nel romanzo Lord Ammonite sogna di essere morto a causa di una globale catastrofe naturale, e che il suo corpo fossilizzato sia scoperto e rianimato da una scienziata discendente della sua amata e identica a lei. Potremmo dire che ciò metta in scena l’uscita dalla “nigredo”. L’umanità del 2894 usufruisce di un’ingegneria genetica che precorre le incubatrici del Brave New World: da componenti animali è possibile produrre esseri umani, viventi però un arco cronologico collegato alla specificità di esistenza media della bestia che ha fornito il materiale biologico. Uno scenario più inquietante dell’universo huxleyano parallelo celebrante l’edonismo prolungato1. Notiamo che Browne associ aspetti distopici a inclinazioni utopiche in un miscuglio che relativizza la bontà di una singola cosa all’uso che se ne fa. Cosicché: il femminismo appare buono laddove elimina la misoginia, ma non dove fa diventare gli uomini il sesso debole; la scienza si rivela positiva nella misura in cui migliora la vita, con ad esempio sistemi di viaggio più efficace, tuttavia si mostra distopica nella suddetta aberrazione biogenetica. Nel 2894 il lavoro manuale è altresì diminuito, a scapito del corpo umano, adeguatosi a una forma di lassismo: non è bene non coltivare le abilità pratiche e manuali; se la società libererà gli uomini dal lavoro manuale, rimarrà comunque utile sapere usare con raffinatezza le mani dedicandosi a un’arte, a un hobby, a un orto, a qualcosa che non renda praticamente inutili. Non si vive di sola teoria: si mostra buono e utile muoversi, e con perizia. Il romanzo di Browne nel suo immaginare il futuro riporta il recupero di un esemplare di indigeno africano allo stadio ottocentesco dell’autore: la regressione procedurale dall’evolutosi del 2894 e la descrizione narrativa di ciò non sono esenti da un’atmosfera di suprematismo bianco, il quale sembra aver indicato la via biologica dominante nel XXIX secolo. Presentare i bianchi quale specie espressione dell’optimum costituisce razzismo, in qualunque epoca e in qualunque posto. Gli Africani deportati nelle Americhe e schiavizzati per secoli rappresentano una pagina di indelebile vergogna per la Società occidentale e per i colonizzatori europei. Le discriminazioni a detrimento dei neri sono perdurate molto a lungo, e pure oggi assistiamo a inauditi gesti di sopraffazione. Tutta questa fenomenologia non ha ricevuto e non riceve il risalto di cui altre godono. Per i crimini contro l’umanità a scapito degli indigeni africani e americani non c’è stata nessuna Norimberga, ma solo presunta esportazione del progresso. Il testo di Walter Browne riesce a risvegliare queste problematiche, di cui fa affiorare la punta dell’iceberg. Le vocazioni quasi transumanistiche del 2894 si manifestano di nuovo nella capacità di estrapolare «the ethereal essence» di un corpo umano, e di imprigionare quest’anima in un supporto materiale. Continuano i discutibili orizzonti distopici della scienza del XXIX secolo, la quale ha conseguito, come visto, il potere di trasferire la coscienza umana dalla sua sede corporea (il che costituisce un sogno transumanistico della nostra epoca del XXI secolo2). La distopia scientista di questo nuovo mondo di Browne si rende evidente allorché tale cosmo, in aggiunta ai peli corporei, ha fatto scomparire l’attività onirica umana non più attiva: qui il segno del transumanesimo si rivela tangibile. Il sogno da funzione di collegamento con l’Inconscio assoluto si è trasferito nella realtà (narrata, narrativa), la quale in ultimo si scoprirà essere un sogno del protagonista letterario del romanzo (esistente a fine dell’Ottocento). Simile esperienza onirica rappresenta un monito dell’Inconscio impersonale a Lord Ammonite stesso, e di riflesso al lettore del libro. Vediamo allora che in “2894” La guerra non è scomparsa, però si combatte alla maniera di una partita a scacchi, dove le unità militari si catturano, ma non si uccidono. Inoltre sulla falsariga del “terzo tempo” del nostro rugby, i contendenti si riuniscono a pranzare in modo conviviale. Anche qui siamo su livelli distopici oscillanti con la dimensione utopica. Nella visione onirica di Lord Ammonite nulla è ben definito in un senso o nell’altro: utopia e distopia si compenetrano. Esiste ancora la pena capitale, tuttavia se una donna sposa il reo riesce a salvarlo dall’esecuzione. Simili assurdità, davanti a un giudizio razionale, interessano da vicino l’umanità. A volte la guerra e gli armamenti vengono dipinti nella veste di strumenti di civiltà, di ordine, di sicurezza. Certamente la Storia insegna che un sufficiente apparato militare può rivelarsi utile nei momenti di crisi, interna o internazionale, però una corsa al riarmo frenetico e irragionevole non è mai stata foriera di prospettive benefiche. Nel nostro tempo, dove le armi di distruzione possiedono un potere infernale, incentivare gare agli armamenti non costituisce saggia decisione. E sebbene “2894” non abbia cancellato la guerra, l’ha resa incruenta. Nel 1894 non esistevano armi nucleari; oggigiorno l’idea di attuare un conflitto con tali moderni mezzi di morte risulta la più infelice di tutte: oltre ai pezzi degli scacchi non resterebbe nemmeno la scacchiera. L’elogio degli armamenti, la corsa all’acquisizione esagerata, non producono la crescita della pacifica convivenza umana. In qualche maniera il XXIX secolo ha disinnescato in toto l’urto violento delle parti, pur mantenendo uno spazio dialettico. Il romanzo di Browne vive nel magmatico equilibrio di un qualcosa che abbisogna di essere raddrizzato meglio. Vi notiamo la possibilità delle transazioni di denaro istantanee su scala globale, il che, forse, più che una intuizione del futuro costituiva un’ambizione della società capitalistica ottocentesca cui appartenne l’autore di “2894”. Il testo in esame rispecchia la forma mentis occidentale della sua epoca di redazione. Ho analizzato questo contraddittorio sistema sociale del XXIX secolo col metro junghiano sino alla fine rintracciando nelle tensioni strutturali un input di sprone da parte dell’Inconscio impersonale alla volta dell’“individuazione” e della crescita interiore. Il popolo degli adoratori del Sole che Lord Ammonite si reca a visitare, nella sua paradossale origine da un gruppo di naufraghi civilizzati del passato, rimasto per generazioni isolato, sembra fare l’encomio dell’armonia con la Natura, un’armonia scevra di sovrastrutture sociali tipiche quali le leggi e la proprietà privata. L’anarchia beata raggiunta da quegli isolani, descritta da quella modernità quale il frutto di un processo degenerativo, al cospetto del protagonista appare invece ottima meta. Gli spunti di riflessione offerti dal testo non mancano: non ultimo il fatto che nel 2894 la Gran Bretagna rischia di essere affondata e sostituita da un’area per la coltivazione di ostriche. Sibilline velate allusioni sembrano aggregarsi a tutto il resto. Qui merita una menzione, in conclusione di analisi, la possibilità che si possano evitare condanne giudiziarie comprando degli alibi ad hoc. Alla fine di tale interessante romanzo, il quale nel suo 2894 trova piacevole ancora (purtroppo) la caccia alla volpe, è il risvegliato Lord Ammonite a riconoscere quella società del XXIX secolo «confounded chimerical Utopia». Quel mondo aveva il medesimo inquietante nome dell’isola descritta da Thomas More nella sua notissima opera cinquecentesca3.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”
 
1 Su Brave New World ho scritto un saggio: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
2 A proposito di transumanesimo segnalo due miei testi di riflessione: Intelligenza artificiale e stupidità naturale e Teologia transumanistica e transgenderista, rispettivamente nelle mie opere Ritorno critico (2024) e Novità e ripresentazione (2025).

https://danilocaruso.blogspot.com/2024/05/intelligenza-artificiale-e-stupidita.html

 
3 A chi volesse proseguire lungo tale filo, indico un mio studio dedicato alla suddetta opera di More pubblicato nella mia monografia Teologia analitica (2020) e intitolato Cristianesimo razionale e nazional-socialismo in Thomas More.

IL PIANETA DELLE SCIMMIE?

di DANILO CARUSO
 
Personalmente non do credito alla teoria evolutiva darwiniana: ma lasciamo per ora da parte i motivi e ammettiamo per ipotesi che sia “vera”. Nella Natura esisterebbe dunque un “meccanismo di adattamento” florofaunistico ai diversi possibili scenari. Una simile generalizzata potenziale dinamica non potrebbe porsi ogni singola volta come frutto del “caso”: l’evoluzione implicherebbe una “legge” formale valida erga omnia. La tendenza al cambiamento richiederebbe il perseguimento di un “fine” secondo presupposti “intelligenti”: modificare qualcosa “in vista di” uno status migliore rispetta un progetto logico-metafisico, viceversa ciò non accadrebbe a livello di specie. Dov’è quel minimo comun denominatore modificatore se non in qualcosa di paragonabile a un archetipo astratto? Del resto, ad esempio, nessuna legge fisica è incorporata essenzialmente del tutto nel particolare (sarebbe da considerarsi “sostanza seconda”). Anche il concetto di estinzione richiede una considerazione non accidentale: innanzitutto l’evoluzione non avrebbe sempre successo; non sempre tutto si adeguerebbe, e in quanto legge non sarebbe così costante, rapida ed efficace. D’altro canto se volessimo vedere tale cosa da una prospettiva opposta al difetto, potremmo ammettere che l’estinzione sia ancora un “processo intelligente” previsto dal corso delle cose: chi non si adatta perisce; ma questa sarebbe l’altra facciata di una legge quadro super omnia. Alla fine si potrebbe concludere che se ci fosse un principio evoluzionistico sarebbe stabilito da un’intelligenza metafisica in un’ottica teleologica: e per rendere il concetto richiamo l’idealismo assoluto hegeliano, il quale dal momento tetico astratto passa al negativo razionale, dall’Idea alla Natura; ma si potrebbero altresì ricordare le platoniche Idee col loro rapporto di mimesi e metessi nei confronti del mondo materiale. La teoria di Darwin impone alla Natura un fondo di metafisica razionalità introducendovi una “teleologia”: la sopravvivenza del migliore. Se sul serio alcuni si estinguessero, allora altri apparirebbero “predestinati”, e tutto ciò non per caso: dal “caso” non si potrebbe astrarre una legge formale stabilente i criteri dell’evoluzionismo darwiniano giacché la confusione non è traducibile in base a una norma chiave. Perciò Darwin avrebbe costruito una teoria contraddittoria, che farebbe a pugni con se stessa, cercando di spiegare la Natura e la materia prescindendo in maniera corretta da un progetto logico a priori: in parole povere ha messo in secondo piano il tetico-logico deducendolo dal concreto (presunto a suo modo), ritornando concettualmente alle difficoltà del materialismo antico. L’“intelligenza” e l’“ordine naturale” non sono in maniera facile spiegabili attraverso l’anarchia degli atomi. Infine voglio sottolineare un dettaglio: se gli esseri umani derivano dalle scimmie, perché queste non si sono estinte? Dovrebbero costituire l’umano di partenza, mentre sarebbero scomparsi solo ominidi intermedi: a stretto rigore evolutivo darwiniano non dovrebbero esserci più scimmie. Invece ce ne sono specie “in teoria” sopravvissute: quindi o l’evoluzione alla volta della forma umana non sarebbe stata necessaria (gli uomini potevano tranquillamente rimanere a quello stadio animale), o la teoria evoluzionistica non riguarderebbe l’umanità, oppure sarebbe una teoria in toto sbagliata (non esisterebbero vistosi e diffusi cambiamenti in generale nell’ambito del la Natura).
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”

martedì 4 marzo 2025

OMBRE DISTOPICHE E LUCI DI REALTÀ NEL “MANIFESTO SCUM”

di DANILO CARUSO

La mia lettura del “Manifesto SCUM” (1967) di Valerie Solanas (1936-1988), discussa intellettuale femminista americana, ha prospettato l’occasione di rilevare aspetti di pensiero prossimi ai miei, e di poter dunque formulare considerazioni critiche in tal direzione, al fine di evidenziare meglio e con precisione tangenze e differenze. L’autrice di questo testo analizzato è una sostenitrice del femminismo, come me. Questo non vuol dire però che io mi allinei in maniera automatica, senza esprimere, allorché reputi giusto, obiezioni, alla posizione di ciascuna pensatrice femminista. Sebbene giudichi di enorme spessore alcune spiegazioni del “Manifesto SCUM”, non posso di certo condividere l’aspirazione al genocidio degli uomini espresso proprio nell’incipit, dove si auspica una gilmaniana herland in salsa transumanistica. Bocciata con fermezza l’innaturale ambizione di soppressione del sesso maschile, posso cominciare a indicare contenuti dello scritto in esame i quali mi sono più che vicini nel momento in cui si scartano come una caramella buttando via quel rivestimento protettivo così astioso ed estremista. Una cosa che ho notato subito proviene dal ribaltamento della cristiana valutazione patristico-scolastica a proposito della donna. Tommaso d’Aquino dice nella “Summa theologiae”: «Quod sexus masculinus est nobilior quam femineus, ideo humanam naturam in masculino sexu assumpsit [filius Dei]»1. Valerie Solanas nega la superiorità del sexus masculinus, e afferma: «Essere maschio equivale a essere difettoso, emotivamente limitato; la mascolinità è affetta da deficit e i maschi sono emotivi zoppi». Io sono junghiano e comprendo che ciò possa essere possibile, diffuso, anche se non accetto la sottolineatura della scrittrice americana in funzione di rilevamento ontologico. Lei ci fa notare dei gravissimi difetti degli uomini, ma non significa che questi siano strutturali. Per me sono indotti dal sistema sociale e familiare di crescita e formazione. Agli occhi di Valerie Solanas indubbiamente simile concorso c’è, però più come ritorno di un riflesso naturale. Io voglio credere che la Natura dia a ciascun essere umano alla nascita capacità di base uguali, poi magari non sviluppate a causa di un motivo o di un altro. Che siano di più i maschi a perdere la retta via, potrei dirlo pure io vedendo l’andamento del mondo. La guerra a me sembra un prodotto quasi del tutto maschile. Comunque riprendiamo il filo del “Manifesto SCUM” perché vorrei fare osservare il modo in cui sin da subito Valerie Solanas si è mostrata vicinissima alle mie idee psicanalitiche2. Io in passato ho diviso, sotto un profilo categoriale, gli esseri umani in due tipi in relazione al grado di maturità libidica. Ho denominato il primo gruppo i “freudiani”, poiché costoro agiscono sulla spinta pulsionale più animale, dove le pulsioni elementari e basilari sono fari spettrali arginati dal “principio di realtà”: per comprendere le problematiche di costoro basta la concezione psicanalitica della libido di Freud. Tuttavia i “freudiani” non sono gli unici tipi umani, ve ne sono di più maturi. Questi io chiamo “junghiani”, e a loro bisogna applicare la psicologia analitica di Jung. Non che questa non valga pure per gli altri su menzionati, però ogni tipologia umana – nella mia visione – possiede quel livello di evoluzione spirituale, libidica, il quale pone ogni individuo (uomo e donna) su uno scalino più in alto o più in basso a seconda del suo essere in atto. A mio avviso l’autrice del “Manifesto SCUM” ha colto la presenza nella maggioranza degli uomini di una libido freudiana, e ha generalizzato in assoluto, in direzione estremistica. Non aver colto la possibilità di tipi “junghiani” maschili, secondo me, è stato un errore nevralgico di Valerie Solanas: esistono, sebbene in minoranza, uomini non del tutto presi dalle pulsioni freudiane, i quali hanno raggiunto un orizzonte libidico logico-creativo. Allo scopo di rendere meglio l’idea di opposizione tra “freudiani” e “junghiani” richiamo la dicotomia frommiana “avere/essere”. La pensatrice americana ha ragione a dire che gli uomini “freudiani” non sono razionali e sono sudditi delle pulsioni libidiche primordiali. Non le si può muovere nessun appunto in merito a ciò. Persino quando li definisce – nel migliore dei casi – «una noia totale». Me ne sono accorto – con grande rammarico – pure io. Se l’amicizia, come dice Cicerone, risulta una sorta di solidarietà di specie, passare tempo coi “freudiani”, connotati dal diffuso attributo della chiusura mentale (non è affatto una questione di acculturazione), si rivela fra le più sgradevoli perdite di tempo3. Tra me e me pensavo, a proposito della mia dicotomia tipologica libidica, parafrasando un po’ Aristotele, un po’ Orwell, che gli esseri umani sono animali razionali, tuttavia alcuni sono più animali degli altri. La mia elegante ironia intellettuale viene superata dalla crudezza di Valerie Solanas. Davanti a lei gli uomini, concettualmente equivalenti alla mia più lucida categoria dei “freudiani”, si mostrano essere qualcosa di intermedio «tra la creatura umana e la scimmia». Se da un lato non posso e non voglio sostenere lo sterminio fisico di simili persone, in seguito a ovvie ragioni umanitarie, dall’altro non mi è possibile replicare che l’autrice del “Manifesto SCUM” abbia asserito qualcosa senza né capo né coda. Io rispetto l’umanità nei miei simili, in qualunque grado libidico. L’impegno di una coscienza filosofica dev’essere quello di spronare gli altri a crescere, non di abbattere i diversi. Il mondo si rivela vario; mi sembra il caso di dargli un ordine più sano, più giusto, più buono. E fra le cose che non vanno v’è un maschilismo più o meno femminicida, un maschilismo il quale a mio modo di valutare si è tramandato sin a oggi all’interno della società occidentale, silenziosamente, grazie alla sedimentazione inconscia della misoginia cristiana4. Quanto ho appena detto pare non essere poi neanche un mistero per Valerie Solanas, la quale, forse in maniera inconsapevole, polemizza con Kierkegaard5. Al cospetto del teologo danese gli uomini hanno il loro baricentro mentale dentro la propria persona, mentre le donne lo proiettano sull’esterno. Per la mentalità kierkegaardiana la prima cosa si rivela un pregio, la seconda un deficit. L’autrice del “Manifesto SCUM” ripropone il quadro del Danese, ma ne ribalta i valori: l’egocentrismo maschile si mostra il difetto, la proiezione (agapica) femminile il merito. Personalmente non sento di dover difendere la convinzione del pensatore religioso protestante. Allorché Valerie Solanas sostiene, da un punto di vista biologico, che «il maschio è una femmina incompleta» sovverte una lunga linea temporale misogina che attraversa punti quali Aristotele (il campione filosofico del Cattolicesimo) e Freud (teorizzatore del femminile “complesso di castrazione”). La pensatrice americana inverte i ruoli tramandati e sostiene che «definire animale un uomo vuol dire adularlo; lui è una macchina, un walking dildo. [...] Le donne, in altre parole, non hanno penis envy; gli uomini hanno pussy envy». A seguire fa rilevare alcuni aspetti meritevoli di un consono approfondimento. Ricorda che gli uomini (i “freudiani”) sono kierkegaardiani seduttori in pectore, e che tale vocazione sia l’espressione di una inconscia voglia transgenderista. La manchevolezza ontologica del femminile posseduta dal maschio lo spingerebbe a erigere un firewall: «Scopare [«screwing», variante di “fucking”] rappresenta, in relazione a un uomo, una difesa contro il suo desiderio di essere una femmina». Valerie Solanas ha altresì chiarito che l’uomo nel suo essere deficitario cerca comunque di imitare le donne nella di queste proiezione interpersonale esteriore dove abitano i più nobili valori contrapposti all’egoismo. Le donne sarebbero peraltro vittime dell’effetto di ritorno di suddetto colpo di mano, il quale rovescerebbe su di queste la negatività di condotte maschili riadattate in un misogino immaginario al femminile. In simili osservazioni dell’autrice c’è un fondo di verità, il quale io miro a ispezionare con una lente di ingrandimento junghiana. Valerie Solanas ha affermato che all’uomo manca la dimensione femminile. Secondo me ella ha avuto una forte intuizione junghiana, solo che si è fermata alla superficie della questione non oltrepassando lo stretto schema biologico naturale. Io vedo questa carenza negli uomini “freudiani” nella veste di mancato collegamento da parte dell’Io con la controparte psichica junghiana dell’“anima”. Ecco l’origine di tutti gli squilibri maschili evidenziati dall’autrice del “Manifesto SCUM”: il blocco del “processo di individuazione”. Nel caso contrario viene fuori un’armonia interiore. Il che, quantunque non la cosa comune, testimonia la guisa in cui la scrittrice americana sbaglia a generalizzare il suo anatema a scapito di ogni uomo. Lei ha ampi tratti di ragione, però esistono imprecisioni estensive e intensive non trascurabili, le quali sono foriere di un estremismo non condivisibile. La mia analisi non si prefigge di ripercorrere punto per punto le enunciazioni del “Manifesto SCUM”, bensì di indicare ombre e luci in rapporto ai miei interessi di studio e al mio pensiero. Così, ad esempio, trovo molto degno di nota il richiamo di Valerie Solanas a una liberazione del tempo umano dal lavoro produttivo e industriale attraverso l’uso di tecnologie sostitutive della massa dei lavoratori6. Una cosa di cui ella però non ignora le conseguenze immediate: gli uomini (i “freudiani” puntualizzo io) piomberebbero prigionieri della loro aridità interiore, improduttiva e sterile, da cui distrazione era il compito professionale, lavorativo, in precedenza svolto. Questo deserto dello spirito ingabbiato dal potere della retribuzione pecuniaria e dalla sottrazione di tempo libero causerebbe una catastrofe mentale in simili vuoti individui (incapaci da sé di una elevazione “junghiana”). Aggiungo io quello che per me farebbe la libido freudiana non sottoposta alla servitù del lavoro. E per renderlo evidente ricordo l’esperimento condotto dall’etologo John Calhoun, denominato UNIVERSO 25, dove gruppi di topi messi nelle migliori condizioni di sopravvivenza culminano dopo fasi degenerative in un destino di estinzione7. In parole povere i “freudiani” possiedono una natura autodistruttiva, e Valerie Solanas lo ha capito. A beneficio delle donne chiede la soppressione del modello sociale fondato sul lavoro retribuito, giacché l’uguaglianza di trattamento all’interno di questo protrarrebbe la condizione del disagio femminile (ossia degli “junghiani” capaci di gestire al meglio il loro tempo libero). Inoltre la scrittrice sottolinea come i soldi siano uno strumento maschilistico di potere. Anch’io ho parlato, in generale, anni addietro della facoltà del denaro di tramutare in una specie di divinità il capitalista in quanto i soldi sono certificati di tempo condensato nel senso che consentono di ottenere ciò che si vuole in maniera più rapida quanti più se ne hanno in luogo di dover lavorare a lungo al fine di ottenerli in previsione di una determinata acquisizione8. La vita espropriata del lavoratore così dura un giorno, mentre chi ha accumulato denaro potrebbe vivere, nel paragone, mille anni di libertà. Valerie Solanas ha chiara questa situazione, perciò non accetta la par condicio lavorativa fra i sessi, dacché aggiunge schiavitù a schiavitù. Nel “Manifesto SCUM” il rilevamento che la “famiglia borghese”, di stampo maschilista, abbia ridotto l’essenza femminile alla sua funzione materna contesta qualcosa di ormai accertato che i nuovi tempi hanno criticato in vario modo: l’uomo eterosessuale borghese donnaiolo e padre di famiglia era un’icona antiLGBT. Oggigiorno quell’appiattimento di matrice veteroreligiosa cristiana è stato cancellato di parecchio. L’ortodossia borghese stessa si è aperta verso qualcosa ancora di non ben definito. Non è priva di sale la seguente affermazione di Valerie Solanas: «Non v’è ragione perché una società composta di esseri razionali in grado di empatizzare inter se, completi e privi di un naturale motivo di competere, dovrebbe avere un governo, leggi o leader». Non sono mai stato simpatizzante di aspirazioni anarchiche, però, d’altro canto, non me la sento di scartare l’ipotesi in virtù di cui una società senza “freudiani”, composta di soli “junghiani” individuati, possa sopravvivere con una rete organizzativa ridottissima, funzionale al soddisfacimento dei bisogni naturali e non alla repressione di crimini. Potrebbe, per me, darsi che la disonestà, la brama, l’invidia, la violenza, siano tendenzialmente e soprattutto “freudiane”. Uno stato razionale di Natura non dovrebbe avere, altresì, nevrosi di alcun tipo, poiché ognuno vivrebbe in armonia, libero e soddisfatto, con tutto il resto. Il “Manifesto SCUM” prospetta qualcosa del genere, che superi le sovrastrutture maschilistiche di potere e di pensiero. Abbiamo visto che la dicotomia radicale del testo analizzato risulta essere “maschile/femminile”. Ho detto che la considero valida se sviluppata in direzione archetipica junghiana, operazione non compiuta da Valerie Solanas, cui riconosco grandi capacità di analisi accanto a questi da me considerati limiti non da poco. Quella coppia oppositiva “maschile/femminile” in tal modo può concettualmente riversarsi nella mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Alla luce di quanto ribadito si potrà leggere questi brani del “Manifesto SCUM”, interpretandoli mediante la chiave di lettura del mio pensiero allo scopo di capire la guisa in cui essi dicano delle verità eclatanti, inossidabili, cristalline: «L’amore non è dipendenza o sesso, ma amicizia, e perciò, l’amore non può esistere tra due maschi, tra un maschio e una femmina o tra due femmine, uno o ambo di chi è un irragionevole, insicuro, fa il mezzano al maschio; come la conversazione, l’amore può esistere soltanto tra due soggetti femminili sicuri, autonomi, indipendenti, dacché l’amicizia è basata sopra il rispetto, non sul disprezzo. [...] L’amore non può fiorire dentro una società fondata sui soldi e sul lavoro senza motivo: esso richiede completa libertà economica così come personale, tempo a disposizione e l’opportunità di impegnarsi in attività intensamente coinvolgenti, emotivamente soddisfacenti le quali, nel momento in cui condivise con quelli che ti rispettano, conducono all’amicizia profonda. La nostra “società” non fornisce in pratica nessuna opportunità di impegnarsi in tali attività». L’errore di Valerie Solanas – ripeto – è stato quello di rimanere impantanata sopra una superficie fisiologica dei sessi: non tutti gli uomini sono da buttare, non tutte le donne sono esenti da pecche. Se ci sono nel mondo elementi umani negativi non si deve però affatto procedere alla loro soppressione, come suggerito dalla pensatrice americana. Bisogna correggere e educare meglio, mirando a conseguire la scomparsa di discriminazioni e reati, non la disintegrazione dei loro artefici. Al di là di questi limiti concettuali, molto distorcenti secondo me nell’obiettivo di ottenere la più nitida comprensione, il “Manifesto SCUM”, nella mia emendante lettura filojunghiana, continua a proporre contenuti e osservazioni molto significativi e profondi. I “maschi (Solanas) / freudiani (Caruso)” sono «insipid [insipidi, sciocchi, insulsi]»; chi appartiene a questa categoria «non avendo niente in interiore non ha niente da dire». Si rivela osservabile che, come rimarca la pensatrice americana, certe pseudoculture e pseudoacculturazioni producano amorfi pupazzi e figuri, i quali sono vuoti ripetitori di un’ortodossia ideologica la quale piega una massa di soggetti acritici ad assorbire e rispecchiare la sua vulgata. Sono d’accordo con Valerie Solanas sul fatto che Arte e Cultura debbano configurarsi quali divertimenti e non come strumenti manipolatori. E non trascuriamo che ciò è un’affermazione perfettamente junghiana: la libido non è solo pulsione sessuale o pulsione di soddisfacimento di altri fisiologici bisogni. La stessa violenza, ci dice il “Manifesto SCUM”, si mostra ingiustificata e ingiustificabile da parte dell’essere umano perché rappresenta un risvolto di frustrazione, una manifestazione libidica inaccettabile in un soggetto razionale che non sia regredito all’animalità pervadente. L’esercizio della sessualità, dal canto suo, non costituisce il top offerto dalla libido: è tipico del regno animale non umano, ma nessuna bestia ha mai scritto un libro o creato un’opera d’arte. Nei maschi (freudiani) Valerie Solanas sostiene, in maniera corretta, che ci sia un’opinione bestiale predominante, e infatti parla del «maschio il cui ego consiste nel suo cock» (nulla di più esatto – credo – si potrebbe dire dei freudiani uomini). Non che si debba abbandonare naturalmente il congresso carnale, tuttavia la più elevata manifestazione libidica si rintraccia nella creatività intellettuale. I “freudiani” vivono soltanto la parte bassa della libido; la dimensione animale direbbe l’autrice del “Manifesto SCUM”, in un travaglio interno il quale sul serio opera sacrifici e fatica alla volta di tenere in piedi il “principio di realtà”. Da qui nevrosi, violenza, etc. Gli “junghiani” (le donne in Solanas) patiscono la dittatura dei primi, una tirannia della maggioranza (Alexis de Tocqueville, John Stuart Mill). Il congresso carnale assume un compito essenziale nella riproduzione della specie umana e nella costruzione della famiglia (la quale, assieme allo Stato, costituisce ai miei occhi una società naturale), eppure, al di là di ciò, nella considerazione biologica, in sé non rappresenta qualcosa di molto spirituale; da un punto di vista umano, differente da una valutazione formulata all’interno di un’area che raccoglie tutto il resto del genere animale naturale, esso rimane in generale un’apprezzabile attività ricreativa. Il “Manifesto SCUM” evidenzia una gerarchia libidica di stampo junghiano, però smarrendosi in herland: mi sono preso l’incarico di tirarlo fuori da simile selva correggendone i ritenuti distorsivi sbagli concettuali di fondo (sempre ovviamente operando dalla mia ottica). In ogni caso non posso far a meno di dare ragione ancora una volta a Valerie Solanas quando rammenta il modello maschile dell’infido cagnolino delle donne, testimoniante l’insensatezza logica di chi vive la dimensione libidica maschile in maniera parziale. L’ultimo segmento presentato nel “Manifesto SCUM” espone un progetto distopico già in precedenza proclamato: cancellare il genere maschile dalla faccia della Terra. Esso costituisce un proposito irrazionale, innaturale, non avallabile. Se Valerie Solanas ha esposto altre idee, le quali in qualche modo sono riuscito a salvare, qua debbo esternare la mia netta contrarietà, ma non in quanto uomo eterosessuale cisgender, ma in quanto ζῷον λόγον ἔχων. Non posso per niente simpatizzare a favore di una involuzione in direzione della distopia quantunque femminista. Nel momento in cui qualsiasi buon motivo perde la bussola del Logos e si spinge a reclamare le sue ragioni patrocinando l’uso della violenza, di pratiche discriminatorie, di forme totalitarie, non è ammissibile accodarsi ai sostenitori di catastrofi. Simile aggressivo estremismo è da bocciare e stigmatizzare. Valerie Solanas, purtroppo, lo ha perseguito in concreto in un per fortuna tentato, in quanto fallito, omicidio plurimo: Andy Warhol e Mario Amaya feriti da colpi di pistola nel 1968 riuscirono a salvarsi. Quell’atto lesivo sembra essere stato animato da misandria e paranoia. Allorché si toccano simili punte di deviazione dal lecito uso della volontà ogni rivendicazione legittima si macchia in maniera indelebile. Non possiamo omettere di rilevare diversi tratti distopici nel “Manifesto SCUM”. Se in un Vangelo apocrifo il Messia dichiarò che in Cielo non sarebbero entrate le donne se non trasformate in uomini, Valerie Solanas afferma il contrario in relazione alla fase di transizione verso herland: alla volta di un orizzonte transumanistico i maschi dovrebbero assumere una integrale vocazione transgender. La pensatrice americana inoltre prospetta, nel contesto dell’eliminazione del genere maschile, di far proseguire l’esclusiva specie umana femminile con inseminazioni mirate delle donne: qualcosa in stile Brave New World9. Simili distopici auspici non possono che farmi esprimere una netta disapprovazione di tali desideri. Il “Manifesto SCUM” nella mia visione critica, rappresenta il nodo che unisce due fili provenienti da “Herland” di Charlotte Perkins Gilman e “The power” di Naomi Alderman10. Si tratta di due romanzi, per me entrambi distopici, i quali, in virtù da parte del primo dell’essere stato concepito quale una utopia, stanno fra di loro come una sorta di tesi e antitesi, momento hegeliano che trova una sua sintesi nel “Manifesto SCUM”. La distopia di Naomi Alderman disinnesca questo femminismo deviato, eversivo, violento. Valerie Solanas ha studiato psicologia, e ha avuto fortissime intuizioni le quali, purtroppo, secondo la mia impostazione analitica, ha spinto in una direzione sbagliata. Se ripartiamo dalla sua stazione e non abbandoniamo il binario della Ratio, giudico che quel pensiero possa esprimere un prodotto meritevole di scientifica attenzione e non di esclusiva censura. Le traversie esistenziali di Valerie Solanas hanno avuto un indubbio peso, e a esse addebito il demerito di aver alimentato l’estremismo della pensatrice americana.

 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Novità e ripresentazione”
 
1 Nella mia monografia Teologia analitica (2020) si trova un segmento intitolato L’irrazionale misoginia tomista che consiglio di leggere a chi vuol approfondire.
 
2 Riguardo a esse indico, sulla strada dell’approfondimento, un mio testo: Le implicazioni filosofico-politiche del mio schema psicanalitico, nella mia opera Storia e pensiero (2023).
 
3 Piuttosto senechiana la mia valutazione. Pertanto colgo l’occasione di segnalare un pertinente mio studio a chi volesse andare oltre: Il severo monito di Seneca, nella mia pubblicazione Critica letteraria (2017).
 
4 Indico, in rapporto al tema, una mia analisi, la quale riporta nelle note ulteriori rimandi ad altri miei scritti in merito. Detto studio è una sezione della mia monografia Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023), una parte dedicata al De cultu feminarum (pagg. 8-17).
 
5 Del pensiero kierkegaardiano ho discusso in un esame critico all’interno del quale ho pure trattato della mia dicotomia “freudiani/junghiani”. Si trova nel mio saggio Filosofie sadiche (2021) e reca il titolo L’irrazionalismo nevrotico di Kierkegaard.
 
6 Questo tema è stato toccato da un romanzo utopico americano il quale è stato oggetto di una mia analisi. Non reputo fuori luogo indicarla a chi volesse condurre approfondimenti tematici: La libertaria critica al capitalismo selvaggio di Robert Anson Heinlein, nella mia pubblicazione intitolata Distopie occidentali (2023).
 
7 UNIVERSO 25 è stato un esperimento significativo rivelante un’affinità con la mia filosofia della distopica storia futura, in particolar modo presso gli ultimi tre gradini temporali (“Brave New World”, “sadismo” e “mondo di Eloi e Morlock”) dove alcuni aspetti dell’esperienza registrata dall’americano Calhoun si mostrano confacenti: disgregazione degli schemi relazionali canonici, pansessualità, violenza, cannibalismo. Per chi volesse saperne di più sulla mia psicostoria riporto il prospetto sinottico e l’elenco dei miei pertinenti scritti.
 

 
1) Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (saggio del 2015);
 
2) La terribile distopia di H. G. Wells dentro in Critica letteraria (2017);
 
3) La tanatolatria di de Sade in Filosofie sadiche (2021);
 
4) Una distopica ginoide contro la mantide religiosa, Sex doll prima del Brave New World, Tra Primavera Bobinski e la sadista Justine, Attacco all’inconscio collettivo in Letteratura e psicostoria (2022);
 
5) Induismo e Occidente in Partita a scacchi (2022);
 
6) La distopia della sciocchezza dei fratelli Strugatzky in Distopie occidentali (2023);
 
7) Intelligenza artificiale e stupidità naturale in Ritorno critico (2024).
 
8 Per approfondire il discorso suggerisco la lettura dentro la mia opera Critica dell’irrazionalismo occidentale (2016) della parte recante il titolo Il gioco capitalista degli Elohiym falsi e bugiardi.
 
9 Al celeberrimo romanzo huxleyano ho dedicato una monografia: Il capitalismo impazzito di Aldous Huxley (2015).
 
10 Tali testi sono stati materie di miei studi. Ne sono scaturiti due scritti: Il femminismo distopico di “Herland” e La complessa distopia di Naomi Alderman, rispettivamente nelle mie opere Letteratura e psicostoria (2022) e Prospettive rinnovate (2023).

https://danilocaruso.blogspot.com/2022/01/il-femminismo-distopico-di-herland.html

https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/la-complessa-distopia-di-naomi-alderman.html