di DANILO CARUSO
Nel
secondo dopoguerra Berlino Ovest, posta nel cuore della frazione di Germania
comunista, aveva rappresentato una costante preoccupazione per i Sovietici, che
ambivano al riconoscimento della Repubblica
democratica tedesca sorta nell’ottobre del ’49. Dopo l’elezione
presidenziale di John Fitzgerald Kennedy (insediatosi il 20 gennaio 1961) fu
reso noto da Nikita Chruscev che l’URSS avrebbe lasciato alla RDT la sua
formale sovranità di Stato, di conseguenza trasferendo apparentemente il
problema della gestione berlinese ai Tedeschi orientali. Il cancelliere della Repubblica federale tedesca (nata nel
maggio del ’49), il democristiano Konrad Adenauer, si oppose alla
formalizzazione della divisione della Germania, ma il presidente statunitense
Kennedy accettò, e per evitare l’impressione internazionale che gli USA
subissero il corso degli eventi – era reduce dal fallito tentativo di aprile
del ’61 di rovesciare il governo castrista con lo sbarco armato promosso alla Baia dei porci di 1.400 fuoriusciti
cubani – si schierò in difesa della sua accessibilità territoriale: incontrò
infruttuosamente Chruscev a Vienna (2-4 giugno 1961). La situazione
precipitava: dalla RDT, in stato di disagio economico (dal ’55 faceva parte del
Patto di Varsavia e del COMECON),
fuggivano verso la RFT sempre di più (nel 1960 la media quotidiana fu di 1.500
transfughi, nel 1949-61 furono complessivamente circa 2.500.000). Cosicché il Cremlino
accondiscese al progetto dei Tedeschi orientali di circoscrivere e interdire la
zona berlinese occidentale: fra il 12 e il 13 agosto 1961 comparve un presidio
militare con disposizione di uccidere i fuggiaschi; nei giorni immediatamente
seguenti sarà completata entro il 17 l’opera di erezione del muro divisorio,
alto sui 3 m, accompagnato da campi minati e barriere di filo spinato. I
costruttori lo definirono muro della pace
(la sua denominazione ufficiale era barriera
di protezione antifascista), ma passò alla storia come muro della vergogna. La Casa Bianca rispose inviando un reggimento
di fanteria a Berlino Ovest. Circa 50.000 Berlinesi orientali persero così il
lavoro che svolgevano nella libera Berlino, il cui borgomastro, il
socialdemocratico Willy Brandt, guidò una giornata di protesta che riunì
300.000 cittadini. La città assurse a simbolo di quella guerra fredda combattuta tra l’Occidente e il blocco comunista.
Saranno quasi un milione i Tedeschi della RDT che riusciranno a scappare
nell’epoca del muro sino alla sua caduta (9 novembre 1989) oltre la cortina di ferro. Gli uccisi nel
tentativo di oltrepassare il muro a fronte di circa 5.000 fughe riuscite
saranno più o meno 200. Il confronto fra il mondo comunista e quello liberale
produsse nella RFT degli anni ’60 la comune adesione allo schieramento
occidentale dei due principali e rivali partiti politici, quello democristiano
e il socialdemocratico (quest’ultimo prospettava la riunificazione territoriale
tedesca). In questo sfondo si pose la visita di Kennedy a Berlino nel 1963
durante il suo giro europeo di giugno-luglio. Dopo la conferenza del ’54 tra i
ministri degli affari esteri francese, inglese, statunitense e sovietico, per
trattare il futuro della Germania, Berlino ritornava sulla scena della politica
internazionale. Kennedy aveva acceso un moto di aspettative speranzose con il
suo concetto di nuova frontiera
esposto all’atto del suo insediamento: «Io vi dico che noi ci troviamo di
fronte alla nuova frontiera, lo
vogliamo o no. Al di là di essa si estendono i campi inesplorati della scienza
e dello spazio, i problemi non risolti della pace e della guerra, le sacche
dell’ignoranza e del pregiudizio non ancora eliminate e le questioni ancora
senza risposta della povertà e della sovrapproduzione». Mirava a una concreta e
pacifica coesistenza con Mosca. Tra il 16 e il 28 ottobre 1962 la tensione
USA-URSS era salita al massimo: l’installazione di una prima serie di missili
atomici da parte del Cremlino a Cuba, decisa nel luglio precedente, aveva
provocato il blocco navale americano dell’isola. La guerra nucleare fu evitata
quando Chruscev ordinò il rientro delle navi che trasportavano altre testate
missilistiche e fece smantellare le precedenti, da basi non ancora operative,
in cambio dell’impegno di Washington a non intervenire in qualsiasi modo in
armi contro il regime di Fidel Castro. A questo si aggiungeva in quegli anni
l’impegno degli USA per la lotta nel Vietnam del sud contro i rivoltosi
comunisti (Viet Cong) ostili alla dittatura filostatunitense, lotta che il
presidente americano volle sostenere con una maggiore presenza militare. Nel
giugno del ’63 Kennedy prima di Berlino Ovest era passato da Bonn, Colonia e
Francoforte parlando alle platee (era stato più volte in Europa negli anni ’30
e a Berlino già nell’estate del 1945). Tenne il 26 giugno 1963 davanti al muro
un discorso, divenuto famoso, a una marea di gente radunatasi nella Rudolph Wilde platz di fronte al Rathaus Schöneberg. La folla lo aveva
accolto con acclamazioni festose dopo che ebbe fatto un sopralluogo a uno degli
allora più noti punti di attraversamento del muro, il Checkpoint Charlie. Oltre il muro anche gruppi di Berlinesi
orientali lo ascoltarono sotto il controllo vigile della polizia che impediva
qualsiasi esternazione popolare. Più volte gli applausi degli astanti
intercalarono il suo intervento. Pronunciò la celebre frase: «Ich bin ein
Berliner». Nella Germania Ovest l’arrendevolezza americana nel periodo
dell’edificazione del muro non era piaciuta, perciò questa sua dichiarazione di
essere Berlinese mirante anche a riacquistare le simpatie dell’opinione
pubblica tedesca. Il suo discorso al di fuori dell’opportunismo d’occasione fu
molto profondo e significativo: «La libertà ha molte difficoltà e la democrazia
non è perfetta, ma noi non abbiamo mai dovuto mettere un muro per tenere dentro
la nostra gente, per impedire di lasciarci. […] Il muro è la dimostrazione più
evidente e vivida dei fallimenti del sistema comunista. […] Tutti gli uomini
liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, e, quindi, come uomo
libero, sono orgoglioso delle parole “Ich bin ein Berliner”». Suppergiù l’80%
dei Berlinesi occidentali era per le strade ad ascoltarlo. I rintocchi della campana della libertà posta nel palazzo
municipale suggellarono quelle parole in quella storica giornata.
L’anniversario del 2004 è stato celebrato a Berlino con una mostra fotografica,
tenuta nel giugno-settembre e allestita alla Cameraworks, dal titolo The
Kennedys.