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mercoledì 24 luglio 2013

L’EREDITÀ DEL MARXISMO

di DANILO CARUSO

Il pensiero filosofico di Karl Marx, sviluppato nella speculazione politica a opera di Lenin (ne è nato il marxismo-leninismo), dall’Ottocento ha influenzato sotto molteplici aspetti le vicende storiche e i modi d’interpretare la società e la realtà intera. Va innanzitutto rilevato che le istanze da cui Marx partì erano valide: il disumano maltrattamento capitalistico della classe proletaria fu un fenomeno che non poteva rimanere sottaciuto dalla filosofia. La sua denunzia e la sua analisi – per vari tratti – non fanno una grinza nell’evidenziare quelle problematiche. Quello che la storia ha condannato è il sistema di rimedi teorici e pratici del comunismo. Voler ribaltare il sistema capitalista con il suo opposto significa sostituire un problema con un altro: da un eccesso in un verso si passa all’altro di segno opposto. E tutto ciò a scapito della libertà: niente proprietà privata (solo il “possesso” dell’essenziale), niente imprese (lo Stato si occupa di tutto). Se questo non è accettabile dalla ragione, lo è soprattutto in quell’ottica in cui Marx prevedeva che allo Stato socialista dovessero seguire la sua scomparsa e l’instaurazione di un’anarchica comunanza universale (stadio evolutivo – detto “comunismo” – mai realizzatosi, in cui la famiglia non sarebbe esistita e le donne sarebbero state in comune). È inoltre contraddittorio che Lenin avesse riservato la guida del suddetto rovesciamento sociale a un’elite di borghesi illuminati, ed è per niente lecito che questo sia di natura dichiaratamente violenta. La dittatura del proletariato nelle mani di chi proletario non è non ha molto senso: il proletariato sarebbe interpretato in rapporto a una dottrina, ma non sarebbe libero di esprimersi (del resto si troverebbe sotto una dittatura). «TUTTI GLI ANIMALI SONO UGUALI / MA ALCUNI SONO PIÙ UGUALI DI ALTRI», così nelle ultime pagine de “La fattoria degli animali (1945)” di George Orwell una norma esprime il punto di arrivo di quell’allegorica società innovatrice, specchio del comunismo sovietico. Il diritto di natura non gradisce un modello statale del genere perché è innaturale privare gli uomini senza una giusta motivazione delle personali libertà e perché questo Stato nascerebbe su radici inadeguate (gli uomini si consorziano in modo incruento e spontaneo in vista di un fine di equilibrato benessere collettivo). In ambito socialista, nonostante l’ateismo e l’anticlericalismo, è migliore il pensiero di Robert Owen fautore nell’Ottocento di cambiamenti nelle condizioni dei lavoratori e non di sanguinosi rivolgimenti (poi nel 1917 i comunisti in Russia andarono al potere attraverso un colpo di Stato e non per mezzo di una propria rivoluzione). Al congresso dei laburisti inglesi del 1923 l’economista Sidney James Webb sottolineò che «il fondatore del socialismo inglese non è stato Karl Marx, ma Robert Owen e che Robert Owen non predicava la lotta di classe, ma la dottrina della fratellanza umana». Per quanto la parte schiettamente politica del marxismo-leninismo sia di tipo totalitaristico e prescrittivo (pensiamo al materialismo e all’ateismo di Stato che sposa) d’altro lato nel settore dell’analisi della condizione lavorativa – come nelle considerazioni sociologiche sulla strumentalizzazione della credulità religiosa popolare – Karl Marx è stato più condivisibile. La dottrina del plusvalore non ha perso efficacia, benché questa sia stata elaborata in vista dell’unica circostanza di successo dell’impresa: Marx non ha tenuto conto del rischio d’impresa da parte dell’imprenditore e del fatto che se costui fosse fallito i suoi dipendenti avrebbero perso il posto di lavoro. È vero che un datore di lavoro dei suoi tempi pagando a un prestatore d’opera la sua semplice stentata sopravvivenza grazie al resto del guadagno si poteva arricchire: questa differenza è il plusvalore a cui il lavoratore concorreva in maniera inconsapevole a causa di un’alienazione soggettiva del proprio operato la quale lo poneva al di fuori della coscienza produttiva. La situazione ai nostri giorni è del tutto cambiata nei Paesi moderni: ci sono gli assegni familiari e i versamenti dei contributi pensionistici assieme a salari onesti equilibranti quel plusvalore incamerato dall’imprenditore. Anche in relazione a questo tema, eccezion fatta davanti allo sfruttamento di manodopera nei Paesi poveri, arretrati e sottosviluppati, il marxismo è perlopiù parziale perché i tempi sono mutati. Risulta pure poco facile comprendere coloro che, di sinistra marxista, sono contrari alla globalizzazione e non attuano un approccio diverso a essa: per Marx questa sarebbe stata il preludio della rivoluzione universale dei lavoratori. Il problema non è la globalizzazione in sé, è rappresentato invece da quei casi in cui il plusvalore di cui parlava è un abuso ancora reale (un suo discutibile giudizio definisce «immondizia dei popoli» tutti quelli che non hanno raggiunto uno stadio capitalistico, ritenuti quindi da eliminare a vantaggio degli altri). La Chiesa cattolica ha prestato attenzione – con iniziale ritardo sui tempi – all’incidenza dei cambiamenti economici sulla società, basti ricordare le encicliche sociali, mantenendo una posizione di equilibrio tra le due formule del capitalismo e del socialismo, equilibrio che media le esigenze di libera iniziativa e di solidarietà comune (san Francesco d’Assisi ricordò col caritatevole esempio la funzione naturale della proprietà privata come strumento di sostegno al benessere comune, fino al punto di rinunciarvi allorquando questa rinnega il progetto di cui Dio ha reso l’uomo artefice e diviene fonte di smisurato arricchimento di pochi). È lontana ormai l’epoca dello scontro fra cattolici e comunisti, la “guerra fredda” è finita e l’URSS è caduta da sola per motivi endogeni fra molte contraddizioni. Tra queste: i nazisti presero a modello attuando le loro persecuzioni, l’allestimento di campi di concentramento e l’addestramento di reparti l’Unione Sovietica di Stalin; il singolo sterminio comunista degli Ucraini (“holodomor”, che vuol dire genocidio: 7 milioni di morti causati da inedia nella prima metà degli anni ’30) supera nel numero la barbarie della Shoah; i Sovietici instaurarono un rapporto di collaborazione coi Tedeschi durato sino al giugno 1941 che contemplò coi futuri nemici la spartizione della Polonia, l’occupazione da parte di Mosca di Lituania, Lettonia, Estonia e di territori finlandesi e romeni, e per di più la riconsegna di Ebrei profughi ai nazisti e la fornitura a questi di aiuti militari e alimentari. Oggi sono sopravvissuti i partiti politici che si richiamano a Marx: una parte di essi ha abbandonato il programma rivoluzionario e mantenuto l’ideologia di giustizia sociale. Il comunismo nel ’900 ha però provocato circa 100 milioni di morti a livello mondiale laddove ha operato: il suo schema politico totalitario, fondato sul materialismo (“storico” – in base a cui le vicende umane sarebbero lotta di classe –  e “dialettico”), non è storicamente riproponibile (Antonio Gramsci introdusse nel contesto della riflessione marxista un’alternativa – dal carattere spiritualista – all’idea di storia come lotta di classe, secondo la quale sarebbe invece dialettica di ideologie). Si deve far tesoro di quest’esperienza (perché non si ripeta, custodendo i positivi aspetti delle analisi marxiane) poiché malgrado le soluzioni proposte fossero peggiori dei problemi su cui intervenire questi stessi non furono un’invenzione del marxismo.