di DANILO CARUSO
Quando le dominazioni coloniali avevano ceduto spazio all’esistenza di Stati liberi, gruppi di civili marocchini disarmati, di varia estrazione, cui erano state fornite copie del Corano, bandiere islamiche e immagini del proprio sovrano, attraversarono il 6 novembre 1975 la frontiera nel deserto col Sahara spagnolo per incalzare il governo madrileno a ritirarsi: la cosiddetta “marcia verde” (in codice operazione “Fatḥ”: “conquista” in arabo) fu tra le mosse culminanti nei piani di annessione del re del Marocco Hassan II (1929-1999).
Sul trono dal 1961, fu un suo obiettivo quello di riunire le tribù sahrāwī sotto la monarchia alawita. Gli eventi che contrassegnarono l’evolversi di questa mira furono articolati. Nel dicembre del ’65 la Spagna franchista fu sollecitata dall’ONU ad abbandonare la colonia, ed esattamente un anno dopo le Nazioni Unite stabilirono che quelle genti potessero decidere il loro futuro tramite una scelta referendaria. Le miniere di fosfati nell’area settentrionale avevano fatto sorgere a Madrid il desiderio di un separato piccolo stato fantoccio. Lo scacchiere di quest’area sahariana occidentale contemplava in aggiunta al Marocco (in quei decenni di “guerra fredda” vicino agli USA) altri contendenti: la Mauritania e la filosovietica Algeria che ambiva, tra l’altro, a uno sbocco atlantico (dalla redditizia pesca costiera). Era viva la preoccupazione negli Stati Uniti di un’ingerenza nordafricana dell’URSS. Nel maggio del ’73, dai resti di una precedente organizzazione indipendentista (sorta nel ’67), fu formato il Fronte popolare di liberazione di Saguia el Hamra e Rio de Oro (POLISARIO), e nell’agosto del ’74 gli Spagnoli resero noto che si sarebbero ritirati dal suolo sahariano, offrendo la disponibilità a dar luogo al referendum auspicato dall’ONU anni prima (a CIA e Nazioni Unite sembrava desse probabilmente vita a uno Stato indipendente). Il monarca marocchino, paventando che la situazione gli sfuggisse di mano, protestò affinché in questa consultazione non fosse concessa l’opzione dell’indipendenza. E nel mese successivo si rivolse alla Corte internazionale di giustizia de L’Aia, che a ottobre del ’75 emise un responso conveniente alle sue aspettative: ribadendo l’opportunità di un atto di autodeterminazione dei residenti nella regione, dichiarava che i Sahrāwī presentavano i rivendicati caratteri di omogeneità col popolo marocchino. Gli Algerini – come sempre – sostennero che la migliore soluzione era lo svolgimento di un plebiscito. In Spagna lo stato di salute del dittatore Francisco Franco e la sua imminente morte (20 nov. 1975) giocarono a favore del Marocco: il futuro re Juan Carlos era propenso all’entrata iberica nella NATO (rinunciando a un collocamento internazionale nella “terza posizione”), da propiziare grazie all’immediato disimpegno sahariano (tendenza coloniale già maturata dal caudillo). In precedenza il governo americano era stato criticato da quello franchista perché assecondava gli amici marocchini (i rapporti tra CIA e ventura casa regnante alawita risalivano allo sbarco degli Americani a Casablanca nel nel’42 durante la seconda guerra mondiale). L’intenzione di mettere piede nel Sahara spagnolo era stata ufficializzata da un messaggio di Hassan II alle 18:30 del 16 ottobre 1975, giorno stesso in cui poche ore dopo la Corte de L’Aia aveva espresso un punto di vista utile alle sue ambizioni. Da quella giornata era incominciata la mobilitazione pubblica a sostegno dell’iniziativa, cosicché già una settimana più tardi un embrionale nucleo di volontari si radunava a Tarfaya: in realtà la pianificazione segreta di tutte le manovre era stata avviata il 26 settembre con il coinvolgimento di 700 agenti. Il 31 ottobre, a sei giorni dalla “marcia verde (colore simbolico dell’Islam)”, reparti dell’esercito di Rabat, affrontando qualche isolata opposizione degli uomini del POLISARIO, avevano occupato alcuni settori di controllo a sud al di là del confine sahariano per impedire un eventuale ingresso militare algerino nelle “terre irredente” dal Mesamir. L’intervento dell’ONU – il cui orientamento era de facto filoalgerino – richiesto dalla Spagna non riuscì a dissuadere in quelle settimane il re alawita. All’inizio dell’ottobre del ’75 la Cia aveva previsto un’aperta invasione armata entro il mese se le circostanze non avessero dato altra scelta ad Hassan II, fiducioso che la comunità internazionale avesse poi fatto il suo gioco; perciò gli Stati Uniti lo ammonirono a non compiere un atto bellico contro gli Spagnoli: rispose il 14 che la Spagna sarebbe rimasta fuori da eventuali ritorsioni a differenza di altri che avessero cercato di ostacolarlo. Tuttavia Madrid, preoccupata dell’insuccesso delle Nazioni Unite, e disponibile a un trasferimento della sovranità sahariana a condizione di annullare la “marcia verde”, venne a patti col Marocco: l’operazione “Fatḥ” si sarebbe completata; in seguito, attraverso l’egida del Palazzo di vetro di New York, gli Spagnoli avrebbero avuto un’uscita di scena senza disonore e un referendum ad hoc avrebbe sancito il nuovo possesso territoriale di Rabat (Juan Carlos fu a El Ayun, a pochi chilometri dal Marocco, il 2 novembre, nel periodo in cui il governo madrileno proclamava di voler fermare l’arrivo dei Marocchini). Un plebiscito pilotato era la proposta che Hassan II avrebbe accolto nel caso della prospettata e diretta amministrazione dell’ONU successivamente al ritiro iberico, una via che allora non gli fu garantita. E così all’alba del 6 novembre, ma solo in piccola parte, raggruppamenti dai circa 350.000 – numero simbolico della generazione di nati in quell’anno – marciatori concentrati a ridosso della frontiera sahariana (segnata dal parallelo a 27° 40' di latitudine nord) si inoltrarono da diversi punti nel territorio della colonia iberica per una quindicina di chilometri. Il 9 novembre questa pacifica avanzata, prontamente condannata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (cui fu impedito per il veto statunitense un pesante atto di sanzione caldeggiato da Madrid), fu revocata dal sovrano alawita, che si reputò soddisfatto. Il pericolo era che l’operazione degenerasse: temeva da un canto che l’Algeria rispondesse in armi, e dall’altro che lo schieramento dei soldati iberici, schermati da una barriera di mine piazzata a proposito, potesse causare vittime tra i volontari giunti molto vicini a questa linea di contenimento (i marciatori furono poi temporaneamente mantenuti distanti 10 chilometri a nord del confine per esercitare ulteriore pressione sulla Spagna). Il 10 dicembre una risoluzione dell’ONU rinnovò il diritto all’autodeterminazione dei Sahrāwī. Il 26 febbraio 1976 gli Spagnoli, passati per un intermezzo di gestione con Marocchini e Mauritani partito il 14 novembre 1975, conclusa l’operazione di evacuazione denominata “Rondine”, lasciarono definitivamente la colonia: il 27 febbraio venne quindi proclamata dagli indipendentisti la Repubblica democratica araba sahrawi (RASD), durata poco poiché a metà aprile in virtù dell’accordo marocchino-mauritano il Sahara ex iberico fu diviso tra i due stipulanti lasciando fuori l’Algeria. L’amarezza algerina davanti a questi avvenimenti fu considerevole (come il risentimento nei confronti degli USA): Algeri e Rabat ritirarono i rispettivi ambasciatori. L’intesa tra Spagna, Marocco e Mauritania (Madrid, 12-14 nov. 1975) aveva presunto un voto popolare, a cui l’ostile strategia del POLISARIO (di indirizzo socialista), rimasto in loco l’unico soggetto politico interlocutore, non diede margine di realizzazione (ci fu inoltre un’emorragia di profughi alla volta della limitrofa Tindouf in Algeria). Nel luglio del ’78 a causa della guerriglia del POLISARIO crollò in Mauritania sotto un colpo di Stato la presidenza di Moktar Ould Daddah (in carica dal 1960). La frazione mauritana di Sahara spagnolo fu lasciata libera undici mesi più in là: il quarto giorno dall’abbandono venne annessa da Rabat. Alla fine degli anni ’70 il POLISARIO (col sostegno di Algeri) stava per prendere il controllo dell’ex Sahara iberico, però i Marocchini – dopo essersi dichiarati nel 1981 ben disposti a un plebiscito per i Sahrāwī – per mezzo di aiuti americani, francesi e sauditi ripresero la supremazia, e al termine del 1984 si ritirarono dall’Organizzazione dell’unità africana che aveva associato la RASD. Una Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), iniziata nel 1991 e più volte prorogata, cui ha partecipato anche l’Italia, a oggi ha ottenuto un nulla di fatto. Il nuovo re Mohammed VI, succeduto al padre Hassan II, ha ricostituito nel marzo del 2006 un decaduto hassaniano Consiglio reale consultivo per gli affari sahariani (CORCAS) allo scopo di migliorare l’integrazione.
Quando le dominazioni coloniali avevano ceduto spazio all’esistenza di Stati liberi, gruppi di civili marocchini disarmati, di varia estrazione, cui erano state fornite copie del Corano, bandiere islamiche e immagini del proprio sovrano, attraversarono il 6 novembre 1975 la frontiera nel deserto col Sahara spagnolo per incalzare il governo madrileno a ritirarsi: la cosiddetta “marcia verde” (in codice operazione “Fatḥ”: “conquista” in arabo) fu tra le mosse culminanti nei piani di annessione del re del Marocco Hassan II (1929-1999).
Sul trono dal 1961, fu un suo obiettivo quello di riunire le tribù sahrāwī sotto la monarchia alawita. Gli eventi che contrassegnarono l’evolversi di questa mira furono articolati. Nel dicembre del ’65 la Spagna franchista fu sollecitata dall’ONU ad abbandonare la colonia, ed esattamente un anno dopo le Nazioni Unite stabilirono che quelle genti potessero decidere il loro futuro tramite una scelta referendaria. Le miniere di fosfati nell’area settentrionale avevano fatto sorgere a Madrid il desiderio di un separato piccolo stato fantoccio. Lo scacchiere di quest’area sahariana occidentale contemplava in aggiunta al Marocco (in quei decenni di “guerra fredda” vicino agli USA) altri contendenti: la Mauritania e la filosovietica Algeria che ambiva, tra l’altro, a uno sbocco atlantico (dalla redditizia pesca costiera). Era viva la preoccupazione negli Stati Uniti di un’ingerenza nordafricana dell’URSS. Nel maggio del ’73, dai resti di una precedente organizzazione indipendentista (sorta nel ’67), fu formato il Fronte popolare di liberazione di Saguia el Hamra e Rio de Oro (POLISARIO), e nell’agosto del ’74 gli Spagnoli resero noto che si sarebbero ritirati dal suolo sahariano, offrendo la disponibilità a dar luogo al referendum auspicato dall’ONU anni prima (a CIA e Nazioni Unite sembrava desse probabilmente vita a uno Stato indipendente). Il monarca marocchino, paventando che la situazione gli sfuggisse di mano, protestò affinché in questa consultazione non fosse concessa l’opzione dell’indipendenza. E nel mese successivo si rivolse alla Corte internazionale di giustizia de L’Aia, che a ottobre del ’75 emise un responso conveniente alle sue aspettative: ribadendo l’opportunità di un atto di autodeterminazione dei residenti nella regione, dichiarava che i Sahrāwī presentavano i rivendicati caratteri di omogeneità col popolo marocchino. Gli Algerini – come sempre – sostennero che la migliore soluzione era lo svolgimento di un plebiscito. In Spagna lo stato di salute del dittatore Francisco Franco e la sua imminente morte (20 nov. 1975) giocarono a favore del Marocco: il futuro re Juan Carlos era propenso all’entrata iberica nella NATO (rinunciando a un collocamento internazionale nella “terza posizione”), da propiziare grazie all’immediato disimpegno sahariano (tendenza coloniale già maturata dal caudillo). In precedenza il governo americano era stato criticato da quello franchista perché assecondava gli amici marocchini (i rapporti tra CIA e ventura casa regnante alawita risalivano allo sbarco degli Americani a Casablanca nel nel’42 durante la seconda guerra mondiale). L’intenzione di mettere piede nel Sahara spagnolo era stata ufficializzata da un messaggio di Hassan II alle 18:30 del 16 ottobre 1975, giorno stesso in cui poche ore dopo la Corte de L’Aia aveva espresso un punto di vista utile alle sue ambizioni. Da quella giornata era incominciata la mobilitazione pubblica a sostegno dell’iniziativa, cosicché già una settimana più tardi un embrionale nucleo di volontari si radunava a Tarfaya: in realtà la pianificazione segreta di tutte le manovre era stata avviata il 26 settembre con il coinvolgimento di 700 agenti. Il 31 ottobre, a sei giorni dalla “marcia verde (colore simbolico dell’Islam)”, reparti dell’esercito di Rabat, affrontando qualche isolata opposizione degli uomini del POLISARIO, avevano occupato alcuni settori di controllo a sud al di là del confine sahariano per impedire un eventuale ingresso militare algerino nelle “terre irredente” dal Mesamir. L’intervento dell’ONU – il cui orientamento era de facto filoalgerino – richiesto dalla Spagna non riuscì a dissuadere in quelle settimane il re alawita. All’inizio dell’ottobre del ’75 la Cia aveva previsto un’aperta invasione armata entro il mese se le circostanze non avessero dato altra scelta ad Hassan II, fiducioso che la comunità internazionale avesse poi fatto il suo gioco; perciò gli Stati Uniti lo ammonirono a non compiere un atto bellico contro gli Spagnoli: rispose il 14 che la Spagna sarebbe rimasta fuori da eventuali ritorsioni a differenza di altri che avessero cercato di ostacolarlo. Tuttavia Madrid, preoccupata dell’insuccesso delle Nazioni Unite, e disponibile a un trasferimento della sovranità sahariana a condizione di annullare la “marcia verde”, venne a patti col Marocco: l’operazione “Fatḥ” si sarebbe completata; in seguito, attraverso l’egida del Palazzo di vetro di New York, gli Spagnoli avrebbero avuto un’uscita di scena senza disonore e un referendum ad hoc avrebbe sancito il nuovo possesso territoriale di Rabat (Juan Carlos fu a El Ayun, a pochi chilometri dal Marocco, il 2 novembre, nel periodo in cui il governo madrileno proclamava di voler fermare l’arrivo dei Marocchini). Un plebiscito pilotato era la proposta che Hassan II avrebbe accolto nel caso della prospettata e diretta amministrazione dell’ONU successivamente al ritiro iberico, una via che allora non gli fu garantita. E così all’alba del 6 novembre, ma solo in piccola parte, raggruppamenti dai circa 350.000 – numero simbolico della generazione di nati in quell’anno – marciatori concentrati a ridosso della frontiera sahariana (segnata dal parallelo a 27° 40' di latitudine nord) si inoltrarono da diversi punti nel territorio della colonia iberica per una quindicina di chilometri. Il 9 novembre questa pacifica avanzata, prontamente condannata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (cui fu impedito per il veto statunitense un pesante atto di sanzione caldeggiato da Madrid), fu revocata dal sovrano alawita, che si reputò soddisfatto. Il pericolo era che l’operazione degenerasse: temeva da un canto che l’Algeria rispondesse in armi, e dall’altro che lo schieramento dei soldati iberici, schermati da una barriera di mine piazzata a proposito, potesse causare vittime tra i volontari giunti molto vicini a questa linea di contenimento (i marciatori furono poi temporaneamente mantenuti distanti 10 chilometri a nord del confine per esercitare ulteriore pressione sulla Spagna). Il 10 dicembre una risoluzione dell’ONU rinnovò il diritto all’autodeterminazione dei Sahrāwī. Il 26 febbraio 1976 gli Spagnoli, passati per un intermezzo di gestione con Marocchini e Mauritani partito il 14 novembre 1975, conclusa l’operazione di evacuazione denominata “Rondine”, lasciarono definitivamente la colonia: il 27 febbraio venne quindi proclamata dagli indipendentisti la Repubblica democratica araba sahrawi (RASD), durata poco poiché a metà aprile in virtù dell’accordo marocchino-mauritano il Sahara ex iberico fu diviso tra i due stipulanti lasciando fuori l’Algeria. L’amarezza algerina davanti a questi avvenimenti fu considerevole (come il risentimento nei confronti degli USA): Algeri e Rabat ritirarono i rispettivi ambasciatori. L’intesa tra Spagna, Marocco e Mauritania (Madrid, 12-14 nov. 1975) aveva presunto un voto popolare, a cui l’ostile strategia del POLISARIO (di indirizzo socialista), rimasto in loco l’unico soggetto politico interlocutore, non diede margine di realizzazione (ci fu inoltre un’emorragia di profughi alla volta della limitrofa Tindouf in Algeria). Nel luglio del ’78 a causa della guerriglia del POLISARIO crollò in Mauritania sotto un colpo di Stato la presidenza di Moktar Ould Daddah (in carica dal 1960). La frazione mauritana di Sahara spagnolo fu lasciata libera undici mesi più in là: il quarto giorno dall’abbandono venne annessa da Rabat. Alla fine degli anni ’70 il POLISARIO (col sostegno di Algeri) stava per prendere il controllo dell’ex Sahara iberico, però i Marocchini – dopo essersi dichiarati nel 1981 ben disposti a un plebiscito per i Sahrāwī – per mezzo di aiuti americani, francesi e sauditi ripresero la supremazia, e al termine del 1984 si ritirarono dall’Organizzazione dell’unità africana che aveva associato la RASD. Una Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), iniziata nel 1991 e più volte prorogata, cui ha partecipato anche l’Italia, a oggi ha ottenuto un nulla di fatto. Il nuovo re Mohammed VI, succeduto al padre Hassan II, ha ricostituito nel marzo del 2006 un decaduto hassaniano Consiglio reale consultivo per gli affari sahariani (CORCAS) allo scopo di migliorare l’integrazione.