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mercoledì 24 luglio 2013

NOOR INAYAT KHAN

di DANILO CARUSO

La storia dell’impavida principessa Noor Inayat Khan, che lottò contro la barbarie nazista, è una fulgida pagina di impegno a difesa della libertà e della giustizia. Pronipote dell’ultimo re musulmano in India, nacque a Mosca, al Cremlino, il primo gennaio 1914. Era figlia di Hazrat Inayat Khan, un musicista e maestro religioso che era stato invitato alla corte dello Zar per far conoscere il sufismo: una corrente mistica all’interno dell’Islam che persegue l’unione con Dio (anche attraverso esperienze mistiche stimolate dalla musica), l’introspezione interiore e la separazione dalla mondanità. Sua madre, Meena Ray Baker, un’Americana del New Mexico, aveva conosciuto Hazrat negli USA: convertitasi all’Islamismo col nome di Begum Sharaia Ameena, i due si sposarono a Londra nel 1913 (lei fu diseredata dai familiari che non approvavano). Ebbe tre fratelli: Claire, Vilayat, Hidayat. Nel 1916 la sua famiglia si trasferì in Inghilterra e poi nel 1921 in Francia, nelle vicinanze di Parigi, in una casa regalata da un ricco sostenitore olandese delle dottrine sufiche del padre (morto il 5 febbraio 1927 dopo essere ritornato da pochi mesi in India). Noor studiò psicologia infantile alla Sorbona di Parigi, musica al conservatorio imparando a suonare l’arpa e il pianoforte (compose delle opere musicali). Fu scrittrice: collaborò a riviste, autrice di poesie, e racconti per bambini da leggere su radio Parigi. Il suo libro “Venti racconti Jataka” venne stampato in Inghilterra nel ’39. In quell’anno, con la sorella, frequentò un corso per diventare infermiera, e interruppe il suo fidanzamento con un compagno del conservatorio poiché il previsto matrimonio fu respinto dai familiari. In seguito all’invasione nazista nel ’40, con la famiglia, tranne il fratello Hidayat, lasciò la Francia per l’Inghilterra. Di convinzioni pacifiste, ereditate dal padre, decise tuttavia, assieme al fratello Vilayat (arruolatosi nella marina), di partecipare alla lotta contro il nazismo. Il 19 novembre del ’40 entrò nella Women’s auxiliary air force assumendo il nome di Nora Baker (divenne operatrice di collegamento radiofonico con gli aerei militari) e nel ’43 nello Special operations executive. Nonostante i suoi superiori non la ritenessero perfettamente idonea a un’attività in territorio nemico, per via della conoscenza del francese e della perizia nella radiofonia nella notte tra il 16 e il 17 giugno ’43 fu, prima donna, paracadutata nella Francia occupata, col nome in codice di Madeleine e con la falsa identità di Jeanne-Marie Regnier, per svolgere il compito di operatrice di radio clandestina nella rete d’informazione partigiana con sede nella zona di Parigi. Una settimana dopo gli agenti di questa rete cominciarono a essere tutti arrestati. La principessa Noor pur rischiando decise di non far ritorno in Inghilterra e di rimanere a sostenere da sola le operazioni radiofoniche. Il 13 ottobre a causa di uno spregevole tradimento venne catturata: davanti all’appartamento parigino in cui alloggiava aveva notato un paio di uomini, essendo andati via dopo che si era messa al riparo entrò in casa dove però l’attendevano altri per arrestarla (le trovarono le trascrizioni annotate dei messaggi inviati e ricevuti, cosa fatta per un’istruzione mal interpretata: il che consentì ai Tedeschi di mantenere in modo fittizio l’attività al fine di prendere altri agenti inviati). Durante il periodo di carcerazione a Parigi cercò di fuggire infruttuosamente due volte. La prima il giorno stesso dell’arresto: chiese di andare in bagno da dove senza manette fuggì sul tetto dell’edificio non trovando ulteriore via di fuga; la seconda a fine novembre in collaborazione con altri due detenuti: evasi dalle celle furono catturati. Essendosi rifiutata di sottoscrivere un impegno d’onore a non tentare di scappare più, il 27 novembre fu trasferita in un carcere nei pressi di Karlsruhe, dove rimarrà in stato di isolamento, con mani e piedi legati fra di loro, fino al 12 settembre del ’44. Portata nel campo di concentramento di Dachau fu uccisa il 13, dopo essere stata violentemente picchiata, con un colpo d’arma da fuoco alla nuca da un ufficiale delle SS, Friedrich Wilhelm Ruppert, poi condannato all’impiccagione dagli Alleati come criminale di guerra nel maggio del ’46. Un testimone del suo omicidio riferì nel ’58 che ella non mostrò segni di paura sino alla fine, mantenendo un altissimo contegno, la sua ultima parola fu: «Liberté!». Non diede mai informazioni al nemico di nessun tipo. Fu uccisa assieme a tre donne combattenti del SOE: Yolande Beekman, Eliana Plewman, Madeleine Damerment (quest’ultima era stata paracadutata come lei dopo il suo arresto). I cadaveri furono inceneriti in un forno crematorio, vicino al quale oggi una lapide rievoca queste uccisioni. Le sono stati conferiti in Inghilterra la Croce di san Giorgio (la più alta onorificenza civile, concessa solamente ad altre tre donne; gazzetta ufficiale inglese del 5-4-1949, qualche giorno dopo morì la madre), la Menzione militare, e il cavalierato dell’Ordine dell’Impero britannico (marzo ’44); in Francia la Croce di guerra 1939-1945. Ogni 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia, una banda musicale militare la ricorda suonando davanti alla casa in cui trascorse la giovinezza a Suresnes (dove è stata apposta una lapide in sua memoria). È ricordata inoltre nel monumento inglese a Valençay intitolato The Spirit of Partnership nella lista di 104 agenti caduti, e da una lapide alla Scuola di agricoltura di Grignon che recita: «À la mémoire de NOOR INAYAT KHAN dite MADELEINE, George Cross, Croix de guerre, Héroïne de la résistance, 1914-1944.». 



Il bufalo paziente
dall’opera letteraria della principessa Noor Inayat Khan

Un bufalo grande come un gigante con corna possenti si era addormentato sotto un albero. Due occhietti birichini sbirciarono attraverso i rami ed una piccola scimmia disse: «Conosco un bufalo vecchio e buono, che sta dormendo sotto l’albero, ma non ho paura di lui né lui ha paura di me.». E così saltò dal ramo sul dorso del bufalo. Il bufalo aprì gli occhi e vedendo la scimmia che danzava sul suo fianco, li richiuse come se sulla sua schiena ci fosse soltanto una farfalla. La scimmia mascalzona tentò allora un altro stratagemma. Saltando sulla testa del bufalo tra le due grandi corna e afferrando le punte cominciò a dondolarsi, come se fosse su un albero. Ma il bufalo non sbatteva neppure le palpebre. «Che cosa posso escogitare per far arrabbiare il mio buon amico?», pensava. E mentre il bufalo stava mangiando nel campo, calpestava l’erba ovunque lui pascolava. E il bufalo, semplicemente andò via. Un altro giorno la scimmia birichina prese un bastone e con quello colpì le orecchie del bufalo poi, mentre lui stava passeggiando, si sedette sul suo dorso come un eroe, tenendo il bastone nella sua mano. Ma nonostante tutto il bufalo non emise nemmeno un mormorio, sebbene le sue corna fossero forti e possenti. Ma un giorno, mentre la scimmia era seduta sul suo dorso, apparve una fata. «Un grande essere sei tu, o bufalo», disse, «ma conosci poco la tua forza. Le tue corna possono buttare giù gli alberi e le tue zampe potrebbero frantumare le rocce. Leoni e tigri hanno paura di avvicinarsi a te. La tua forza e la tua bellezza sono conosciute in tutto il mondo, e tuttavia tu passeggi con una stupida scimmia sulla schiena. Un colpo delle tue corna la trapasserebbe ed un colpo della tua zampa la schiaccerebbe. Perché non la butti a terra e la finisci con questo gioco?». «Questa scimmia è piccola», rispose il bufalo, «e la Natura non le ha dato molto cervello. Perché dovrei punirla? Inoltre, perché dovrei farla soffrire soltanto perché io possa essere felice?». A questo punto la fata sorrise e con la sua  bacchetta magica scacciò la scimmia. E fece un incantesimo sul gran bufalo così che nessuno potesse  più farlo soffrire, e da allora visse per sempre felice.



Un apprezzamento su Facebook di un nipote della principessa Noor Inayat Khan, figlio della sorella.