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venerdì 19 luglio 2024

UN INQUIETANTE SILENZIO DI MONSIGNOR BENSON

di DANILO CARUSO
 
“The dawn of all”, romanzo utopico nella visione del suo autore, il cattolico inglese Monsignor Robert Hugh Benson (1871-1914), distopico al mio sguardo critico, descrive un mondo immaginario il quale non giudico auspicabile per la Civiltà umana1. Mi sembra allarmante l’ambizione di un totalitarismo religioso e cattolico. Il romanzo, pubblicato nel 1911, non ha fatto cenno alcuno della delicata problematica razzista antigiudaica (avita cristiana e moderna laicizzata): un deprecabile fenomeno sempre da disapprovare e respingere sia nella sua forma pseudospiritualista che in quella pseudobiologica. Gli Ebrei non esistono più nel 1973 narrativo di questo romanzo bensoniano? È stato forse ammesso, mediante un’indicibile liceità (distopica), il cancellarli dalla faccia della Terra? Non lo sappiamo con certezza, tuttavia la loro assenza fornisce un inquietante indizio. Il non menzionarli esprime tacito antisemitismo in relazione al misterioso vuoto esistente nel ’73? Monsignor Benson ha sognato un mondo senza Giudei? Qualcuno potrebbe dire: non ci sono più perché si sono tutti convertiti al Cattolicesimo. Qualcun altro potrebbe invece ipotizzare: non ci sono più poiché sono stati sterminati i refrattari alle conversioni, valutati pericolosissimi destabilizzatori dell’ordine costituito cattolico; e, ormai scomparsi, non vale la pena nemmeno parlare di quegli per l’autore inglese forse innominabili deicidi… A difesa della possibilità di questa seconda ipotesi voglio rammentare l’atteggiamento di Pio XII nel corso della Shoah, un atteggiamento che fu appunto di silenzio. Nella realtà stava per consumarsi la “soluzione finale” con la Chiesa muta al riguardo. Era al corrente dello svolgimento dell’Olocausto o no? Agì così per convenienza o per mancanza d’informazioni? Interessante, sull’argomento, ritengo una puntata di “Atlantide”, programma de La7, condotto da Andrea Purgatori (1953-2023), intitolata “Hitler, il Papa e il segreto inconfessabile”. Quanto possiamo notare, in ogni caso, è una linea di silenzio che va da Monsignor Benson a Papa Pacelli. E, siccome, nel caso storico di Pio XII, sappiamo che c’è stato in concreto uno sterminio ebraico, ipotizzo di riflesso, davanti al silenzio bensoniano, una analoga possibilità letteraria. Nelle mie ricerche ho rintracciato un articolo de “La Civiltà Cattolica”, uscito sul quaderno 1736 del 21 ottobre 1922, il quale mi è sembrato significativo e utile a quanto sto ragionando ora. Si intitola: “La rivoluzione mondiale e gli ebrei” (pagg. 111-121, vol. 4 – 1922). Premetto prima di riportarne un estratto la motivazione di ciò. Questo testo si pone a metà strada cronologica fra Monsignor Benson e Papa Pacelli, e costituisce pertanto due cose: un elemento di raccordo tematico ideologico, e un indice di quale fosse il grado di antisemitismo praticato nella prima metà del ’900. Nei miei scritti ho parlato dell’antigiudaismo più volte, con particolare riferimento al Cristianesimo2. Adesso l’occasione è propizia per condurre un nuovo approfondimento. Il mio obiettivo non è dimostrare che in “The dawn of all” si sia consumata una Shoah, dacché non si mostra possibile per via dell’assenza di prove concrete. Dunque, in ossequio al principio giuridico stabilente la presunzione di non colpevolezza all’inizio di un giudizio, concludo che non essendo visibile con nitidezza nullum crimen, non si dà nulla poena. Tuttavia il quesito iniziale rimane: che fine hanno fatto gli Ebrei nel romanzo bensoniano? La loro scomparsa rappresenta un dato di fatto. Accolgo, pro bono pacis, valida l’ipotesi della conversione spontanea di massa, producente la loro incruenta cancellazione. Ho già notato l’idea di “”rimozione” sin da Tertulliano. La ragione risulta facile a capirsi: il Giudaismo costituisce la prova di falsità teologica del Cristianesimo, nel senso proprio logico della contrarietà, dove vero e falso si escludono a vicenda. Quindi l’uno falsifica l’altro, e quello a trovarsi in maggior disagio e imbarazzo è proprio il nuovo credo cristiano. Non stupisce allora che Benson elimini gli Ebrei. La pietra d’inciampo proviene dalla modalità ignota. L’articolo sopra citato, di cui a breve l’estratto, ci dà un indizio di come la (assurda) problematica antisemita non poteva essere estranea alla testa dello scrittore inglese. Le preoccupazioni antisocialiste e antigiudaiche nella Chiesa esistono all’epoca bensoniana, e “La Civiltà Cattolica” ne fornisce testimonianza. Reputo suddetto articolo interessante, oltre che come elemento di collegamento nella maniera spiegata, anche per i suoi contenuti in relazione a “The dawn of all”: da un lato la preoccupazione marxista, dall’altro le accuse di totalitarismo rivolte all’URSS. Accuse che però, io rilevo, sono parallelamente indirizzabili alla teocrazia di Monsignor Benson. Notiamo, ancora una volta, come gli schemi vengano orientati in funzione di tornaconto. Un articolo, insomma, ricco di spunti, di cui segue l’estratto.
 
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Il mondo è malato. Non siamo noi a dirlo: oggi lo ripetono anche i moralisti da strapazzo […]. […] La Turba […] pare divertirsi in una ridda tragica di tumulti e di scioperi, aspettando di proclamar domani la repubblica comu­nista […]. […] Chi guida questo movimento di rivoluzione universale che capovolge la società umana da un confine all’altro del mondo? Voci sinistre si levano da più parti ad accusare da sinagoga. Il lupo è, sempre lupo: le colpe antiche accreditano i sospetti nuovi e rinciprigniscono una piaga rammarginata ma non mai guarita. Una mano profana ha tratto pure alla luce dei segreti che portano la marca del ghetto. Documenti o falsificazioni? Sarà difficile, come sempre, poter diradare le tenebre in cui si avvolge gelosamente Israele. Il velo del tempio, che Jahve aveva squarciato, i figli di Giuda l’hanno ricucito a fil doppio; ma quello che esso vuol ricoprire non è, più l’arca santa del Signore: è la cassa forte delle sue usure e del suo egoismo. In ogni modo alla sua tenacità nel nascondere noi opponiamo il diritto di frugare e trarre alla luce del sole quello che ci riguarda, quello che tocca il bene pubblico del popolo cristiano, a cui far danno per i talmudisti è precetto di legge e merito di religione. […] La Russia è oggi il campo di battaglia sul quale si disputa l’impero del mondo di domani. […] Si salvino gli infelici, ma si mettano in ferri, si traggano al tribunale, inesorabile, della giustizia i mestatori, i capibanda che per attuare le loro pazze utopie, desertano il paese e assassinano la nazione. […] Il maggior numero, a quello che si dice, dei compo­nenti il corpo dirigente la repubblica comunista in Russia non è di indigeni russi, ma di intrusi «ebrei », i quali però si dànno premura di occultare quasi sempre il nome di origine sotto la maschera di uno pseudonimo di colore slavo. […] La popolazione totale della repubblica russa non conta certa­mente meno di novanta milioni di nazionali di fronte a forse quattro milioni di ebrei che fino a ieri brulicavano nel pattume del ghetto, fatti segno al disprezzo comune. Eppure questa infima minoranza oggi ha invaso tutte le vie del potere e impone la sua dittatura alla nazione. E quale dittatura! […] Secondo la Costituzione della Repubblica «sovietista-socialista-federativa russa» del 19 luglio 1918 […] «la Repubblica, guidata dal solo interesse delle classi operaie, può privare dei loro diritti gli indi­vidui o i gruppi di persone che ne usassero a danno della stessa repubblica socialista[»]. È la legge del sospetto comune a tutti i governi violenti per far man bassa dei loro avversari. […] Insomma dal complesso di questi ragguagli risulta chiaro e manifesto un fatto: questa genìa che fino a ieri giaceva nei vicoli ciechi, nei più bassi fondi della vita russa, di botto si è scossa e si è impossessata del trono: ieri non era nulla; oggi è tutto ed è dappertutto, e secondo l’istinto delle razze decadute si affretta a sfogare la rabbia del suo trionfo nella paura che duri poco. Come spiegare questo strano rovesciamento di cose, questa irruzione calcolata, sapiente che s’impadronisce a colpo sicuro di tutti gli organi della macchina sociale, così da potersi dire che in Russia – esempio unico – alla nazione slava è imposto il giogo di un’altra nazione, l’ebrea? […] La repubblica ebrea comunista è l’attuazione di una dottrina: sono i dogmi del vangelo di Marx e di Engels posti a fondamento di un programma sociale: è la teoria comunista messa in esperimento, e noi intendiamo facilmente come nessuno poteva essere più adatto interprete del pensiero di quei pretesi legislatori d’Israele o più esperti esecutori dei loro insegnamenti che gli uomini della stessa razza e delle stesse tendenze. Solo il pervertimento di una fantasia semita era capace di capovolgere tutte le tradizioni dell’umanità e creare una società il cui statuto fondamentale è «l’abolizione di ogni proprietà: la ricchezza non deve appartenere agli individui o a una classe di cittadini, ma alla comunità». Il buon senso della stirpe ariana non avrebbe mai inventato un codice in cui al principio di un’autorità sociale sottentrasse un ufficio centrale di statistica […]. Dei grandi principii di libertà di stampa, di associazione o di parola, neppur parlarne: sono diritti che si rivendicano sotto il regime borghese per poter preparare la rivoluzione; ma a rivoluzione fatta, in governo comunista, che si può pretender di meglio? I malcontenti sono nemici dello Stato e vanno repressi severamente. Perciò la repubblica si è circondata di armi e di armati, ha imposto la coscrizione, e non parendole troppo salda e sicura la fede delle schiere paesane, non esitò un momento a rinnegare tutto il vecchio antimilitarismo venduto ai gonzi e assoldare un esercito di cinesi, lettoni, ungheresi, vecchi prigionieri, profughi, vagabondi d’ogni colore, ai quali prendere servizio era il più sicuro mezzo di trovar da mangiare dove si moriva di fame. Tale non era davvero il caso dei seguaci della sinagoga, e non li vediamo infatti far mostra di sè nel campo mil­itare. L’ebreo non ama la milizia poichè non ha una patria: e quando dovette essere soldato, la rivoluzione lo fece traditore e assassino. […]
 
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Tengo a sottolineare che quando uscì l’articolo (il quale ho estratto dal “vol. 4” senza togliere gli stampati errori di ortografia) non esisteva ancora il governo Mussolini né quello Hitler, e che le legislazioni razziali tedesche e italiane furono varate negli anni ’30. Quantunque il 1973 bensoniano del romanzo analizzato non dia segni di provvedimenti del genere, quel mondo immaginato esprime un’ideologia de facto suprematista bianca europea, dal momento che chi ha all’occhio la carta geopolitica planetaria di alba del ’900, apportate le variazioni narrative bensoniane, si renderà conto che quasi tutto l’Orbe cade in mano a Inglesi, Francesi e Spagnoli. Monsignor Benson non considera il colonialismo un problema da rimuovere, ha anzi rimesso gli Italiani sotto un dominio altrui. È stato una personalità complessa, talentuosa, benché reazionaria e nevrotica (secondo il mio metro d’esame critico). La sua altezza intellettuale gli merita la mia formale stima, e al contempo un sostanziale disaccordo ideologico. Spero che lui non abbia mai pensato a un genocidio ebraico, circostanza nella quale la mia ammirazione verso il romanziere creatore di Mabel Brand crollerebbe irrimediabilmente.



NOTE
 
Questo testo è un estratto del mio saggio intitolato “Da Robert Hugh Benson a George Orwell”
 
1 Questo scritto, come indicato in calce, costituisce un estratto del mio secondo saggio dedicato a Monsignor Benson. La prima mia monografia è: L’apologia dell’irragionevole di Robert Hugh Benson (2017).
 
2 Allo scopo di un approfondimento suggerisco un mio studio (indicante ulteriori vie) Le radici cristiane dell’antisemitismo nella mia pubblicazione Studi illuministi (2024).

mercoledì 17 luglio 2024

IL NAZISADISMO DI SARBAN FRA SPIRITO DEL TEMPO E SPIRITO DEL PROFONDO

di DANILO CARUSO
 
“The sound of his horn” è un romanzo distopico di John William Wall (1910-1989) autore inglese meglio noto come Sàrban (in lingua parsi il termine indica il conduttore-di-una-carovana). Uscì nel 1952, quindi subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale e del Processo di Norimberga, e ha al suo centro narrativo un inquietante quadro storico immaginario del futuro in cui la Germania nazista ha vinto la guerra. Si tratta di un testo non lungo, bensì contenuto, tuttavia, specialmente all’inizio degli anni Cinquanta, dall’enorme potere disturbante. Sarban infatti mette in evidenza un’esplicita radice sadica dell’ideologia nazista, responsabile attraverso i suoi attori storici, di gravissimi crimini contro l’umanità. È chiaro che l’onda emozionale all’epoca della redazione abbia guidato lo scrittore inglese in un compito di scrittura impegnativo. “The sound of his horn” lega il tema del sadismo al nazionalsocialismo in maniera diretta, e ci pone il dominio del suprematismo germanico-ariano in una guisa generale senza far richiamo preciso alla magna pars dell’antisemitismo (tragica causa della Shoah). Simile astrazione, sebbene lecita al suo autore in campo narrativo, distacca dalla concretezza di un fatto storico nevralgico. Comprendo la messa in evidenza in assoluto di una vocazione sadica, le cui radici a mio avviso possiedono canali i quali a ritroso nel tempo portano al volontarismo luterano (poi diventato nietzschiano wille zur macht), all’antisemitismo cristiano in generale (evolutosi nel razzismo biologico laico), al sadismo specifico di forme inquisitoriali (protestanti e cattoliche)1. Però come cerco di dire Sarban ha tralasciato di inserire qualche riferimento all’Olocausto, il quale secondo me avrebbe reso il romanzo più opportunamente ancorato alla realtà. Una tale omissione non pregiudica affatto quanto evidenziato da Sarban. Ma la sua potenza-distopia, a mio modesto avviso, avrebbe avuto bisogno di una migliore (pasoliniana) connessione storica nel tramutarsi in atto-monito. “The sound of his horn” mantiene una astrattezza analitica che alla fine mette a rischio la solidità della facciata statica nel suo costituirsi quale nazisploitation. Sottolineo e ribadisco che in assoluto la denuncia dal sadismo operata da Sarban si rivela valida, tuttavia l’architettura dinamica del romanzo viene fuori con strutture e simboli indifferenziati, i quali così come si calano ad hoc nel caso del distopico nazismo sarbaniano si potrebbero altresì calare con pari efficacia in altri contesti sostanziali. I gerarchi nazisti del romanzo all’esame godono del «diritto al piacere di uccidere», organizzano cacce in foresta dove le prede sono esseri umani travestiti da animali, e si tratta perlopiù di donne. A differenza di Catherine Burdekin2, Sarban coglie il valore della distinzione tra misoginia e sadismo, però non calibra con tenuta salda questo sul nazionalsocialismo. Non che ciò che egli dica sia falso, tutt’altro. “The sound of his horn” mostra il nefando spirito di un campo di concentramento tedesco, il quale nell’architettura statica rimane suscettibile di sostituzione. Questa è per me la pecca di simile comunque pregevole testo. L’abito nazista dei cacciatori e quello delle prede può essere sostituito facilmente, comportando lo smarrimento dell’apprezzabile iniziativa letteraria antinazista. A questi sadici cacciatori possiamo per esempio sostituire i persecutori di streghe e omosessuali, e d’altro canto alla caccia nazista le sadiche torture e uccisioni dei suddetti. Restiamo sempre nella cornice di una disturbante e distopica celebrazione del sadismo. Il corno che suona rappresenta un simbolo profondo, e non suona soltanto in mano nazista. È il caso qui di ricordare la junghiana distinzione “spirito del tempo / spirito del profondo”. Nel testo di Sarban a questi due orizzonti corrispondono l’architettura statica e l’architettura dinamica: qui facciata del caso e sostanza ideale non formano un sinolo perfetto, bensì indebolito. E torno indicando un’altra dimostrazione esemplificativa. Lo scrittore inglese Kingsley Amis nella sua introduzione a un’edizione di “The sound of his horn” dichiara: «Se i nazisti avessero vinto la guerra ci saremmo attesi di osservare [...] lo sviluppo metodico del concetto di razza superiore in un’organizzazione feudale, con una limitata oligarchia di signori enormemente potenti e capricciosi [...] e un ampio proletariato di schiavi interamente subordinato ai capricci dei loro padroni». Ciò nell’apprezzamento, cui mi unisco, di Sarban. Però, sulla scia del mio ragionamento di sopra, mi pare opportuno far notare che una simile descrizione possa adattarsi altresì alla situazione schiavistica americana perdurata sino alla guerra civile, o alla successiva fase di costruzione capitalistica così come ad esempio analizzata da Marcuse. Non è solo Sarban come vediamo a manifestare la leggerezza dell’astrattezza. Anche il suo connazionale indulge nel formulario dell’ambiguità statica. Hanno entrambi perfettamente ragione nelle loro critiche. Tuttavia la nazisploitation di “The sound of his horn”, a mio modestissimo sentire, avrebbe meritato (perché il testo è meritevole) un approfondimento sarbaniano in fase creativa, e dunque di beneficiare di un rafforzamento ideale mediante alcuni innesti di cui ho segnalato la lacuna. A proposito di assenze e presenze tengo a segnalare la vistosa eco dei wellsiani time traveller e di “The time machine” in “The sound of his horn”. Il protagonista di quest’ultimo (Alan Querdilion) si trova a una serata in compagnia al pari del time traveller, dopo la quale entrambi compiono un viaggio nel futuro. Al posto dei Morlock ci sono i nazisti. E al posto di Weena c’è Kit, la quale nel finale rimarrà vittima. Il cannibalismo dei Morlock rappresenta una forma di sadismo, e sadici sono i cacciatori nazisti. Le prede di questi ultimi stanno in luogo degli Eloi. Lo schema di sadismo “preda/predatore”, non dettato da una logica biologica animale istintiva, è lo stesso in ambedue i contesti accostati: l’umanità si è degradata secondo un modello (patologico) di de Sade.



NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Studi illuministi”
 
1 Simile mole di argomenti trova una prima sostanza al fine di approfondire in una mia monografia, la quale fornisce altresì una ricca mappa per poter procedere ad altre suggerite letture di miei studi sempre alla volta di approfondimenti: Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023).
 
2 Si veda il mio scritto La distopica e criptica nazimisoginia di Katharine Burdekin contenuto nella mia opera Ritorno critico (2024).

ELEMENTI DI ANTISEMITISMO NELLA “DIVINA COMMEDIA”

di DANILO CARUSO
 
Tempo addietro scrissi un saggio di critica dantesca dove accennai alla presenza di una traccia di strutturale antigiudaismo nella “Divina Commedia”1. Là fui abbastanza chiaro seppur nella circoscrizione offerta da una monografia globale. Qua è mio intendimento riprendere il mio punto di vista e sviluppare l’argomento in maniera dettagliata. Da quell’evidente mia idea di base passerò alle facce del problematico poliedro, al fine di far osservare che non si può far a meno di tenere nella dovuta considerazione l’antisemitismo cristiano in epoca medievale, e dunque la sua consequenziale presenza nei prodotti culturali cattolici di tale era. L’atmosfera antiebraica promossa dal Cristianesimo è entrata nella “Commedia” perché il suo autore ha seguito canoniche allora linee guida dottrinali della Chiesa. Nel Cattolicesimo medievale di Dante non si rivela anormale vedere elementi di antisemitismo, anzi nel caso di un integralista come lui dobbiamo aspettarcelo. Così detto, li indicherò. Nell’“Inferno” viene menzionato il «cerchio di Giuda», ossia il nono, quello dei traditori. Questo appare quadripartito: traditori 1) dei parenti, 2) dello schieramento in politica, 3) degli amici e degli ospiti, 4) dei benefattori; con gravità di addebito nella visione dantesca crescente. La quarta zona, la porzione più profonda dell’inferno, antistante a Lucifero è stata denominata «Giudecca» dall’autore della “Divina Commedia”. Come ho sottinteso nel mio saggio sopra rammentato, la semantica della circostanza non va vista in maniera riduttiva: “Giudecca” perché ci sta Giuda. Ma in una guisa confacente al contesto storico di presenza del testo: quindi, “Giudecca “ poiché ci stanno gli Ebrei in genere. Ricordavo là che il termine in questione ha indicato aree urbane di emarginazione delle genti giudaiche. La stessa cosa capita nell’inferno di Dante: la Giudecca infera si mostra quale area di espiazione della condanna eterna degli Ebrei, coloro che, nell’ottica mitologica cristiana, causarono la morte di Cristo rimanendo legati alla propria originaria tradizione religiosa. Il vocabolo in questione proviene, nella sua forma volgare dantesca, dal latino medievale Iudeca, Iudaica in latino classico. Non esistono ragionevoli motivi per cui si possa concludere che nell’“Inferno” il volgare “Giudecca” sia da intendersi con una provenienza semantica ed etimologica diversa e riformata. Una Iudeca/Giudecca nella realtà è uno spazio urbano di emarginazione, e simile valore di significato resta quello inserito nella “Divina Commedia”. Dante non riforma l’etimo convenzionale della parola “Giudecca”, né tanto meno inventa il termine volgare (allo scopo di indicare il ghetto), nelle cui varianti è esistito in Italia a prescindere dallo scrittore fiorentino: Giudeca, Iureca, sempre dal latino medievale Iudeca. La tradizione semantica, dal latino al volgare, da Iudeca a Giudecca, di una voce indicante un’area di concentramento, si mostra esterna a Dante. Lo precede e l’accompagna. È lui a adeguarsi nella volgarizzazione, e a non modificare l’originario peso di significato. Da quel che osservo la critica dantesca campione in carica accoglie la riforma dell’etimo e della dimensione semantica di “Giudecca” nell’“Inferno” grazie a una etimologia d’eccezione (da Giuda, e non invece da Iudeca/Iudaica nel senso di ghetto), nel tentativo, immagino, di allontanare lo spettro dell’antisemitismo (luogo-di-Giuda appare più soft di luogo-di-Giudei) dal testo di un poema, a mio modestissimo avviso, celebrato in forme esagerate, nascondendo la polvere sotto il tappeto. In una sua epistola, indirizzata «Cardinalibus ytalicis», il poeta fiorentino definisce gli «Iudei» con aspro tono patristico «impietatis fautores» assieme a «Saraceni et gentes»: promotori di empietà, di oltraggio. Rifiutare il Messia cristiano si rivela il peccato capitale di tutti le genti giudaiche di ogni epoca rimaste fedeli al proprio modello religioso canonico. Paolo di Tarso e altri furono Ebrei sostenitori del nuovo orizzonte del Cristianesimo, perciò chi seguì lui e i primi cristiani fra il popolo giudeo non è da considerarsi un “traditore”: perfidus, in lingua latina, cioè colui-che-devia-dalla-retta-fides. Sopra quest’altro aspetto semantico ho parlato in un’altra mia monografia, a cui rinvio in vista di approfondimento2. Qua proseguo dicendo che nel cerchio infernale dantesco dei traditori rimane naturale trovarci i “perfidi Judaei”, i traditori per eccellenza nella nuova discutibile teologia cristiana. La parola “Giudecca” si mostra, con evidenza, riferibile in guisa indefinita ai Giudei. Allorché Dante parla del «cerchio di Giuda», per questioni di versificazione, nell’usare il termine «Giuda» sta adottando un simbolo. Giuda non rappresenta qui soltanto la persona del dannato che si trova prossimo alla Giudecca, la quale non da lui prende nome. Egli costituisce il simbolo di tutti i traditori. Dalla perfidia (tradimento) degli “Ebrei traditori” origina spunto ideologico alla volta della denominazione degli spazi di loro segregazione. In una Giudecca urbana non troviamo l’apostolo traditore, bensì comuni genti ebraiche. Allo stesso modo deve intendersi il lemma esaminato nella “Commedia”. Non è per me accettabile una reductio estensiva da tutti a uno nell’etimo. Dante nell’indicare «il cerchio di Giuda» usa un simbolo. Il che è tipico nella costruzione dantesca del noto poema, dove allegorie e simboli abbondano. Non vedo la ragione per cui qua non si debba applicare una analoga abitudinaria chiave di interpretazione: Virgilio sì, e Giuda no? Dante sembra fare una distinzione in materia di addebito dei peccati a proposito di Ebrei, considerando come spartiacque la vicenda del processo di Pilato, la sentenza e l’inerente judaica perfidia. I sacerdoti giudei, «mala sementa», che nei Vangeli chiedono in precedenza l’eliminazione di Cristo sono collocati dal poeta fiorentino nell’ottavo cerchio, quello dei fraudolenti, e in particolare nella bolgia degli ipocriti, la sesta. In seguito al tradimento ufficiale, al cospetto di Pilato, il Giudeo non convertitosi in vita (il germoglio) va a finire nella infernale Giudecca. Notiamo qua una precisa operazione compiuta in linea generale dall’autore della “Divina Commedia”. I capi religiosi ebrei del tempo di Gesù i quali nella concezione del poeta avrebbero dovuto accettare la venuta di un presunto Messia (cristiano) vengono accusati di “ipocrisia”: sono coloro che al contrario avrebbero dovuto spiegare al popolo la bontà dell’accoglimento e della conversione. La massa giudea, che davanti a Pilato provoca la condanna di Gesù viene accusata di tradimento (perfidia). Si rileva una sottigliezza concettuale nel sadismo infernale dantesco. Gli ipocriti religiosi in detta sesta bolgia dell’ottavo cerchio stanno fissati da tre paletti sulla superficie dello spazio infero, e gli altri comuni ipocriti vaganti là (sotto il peso di cappe metalliche) gli passano sopra. Per lo scrittore fiorentino questi Giudei qui meritano il medesimo destino il quale riservarono alla Verità. Nella Giudecca invece, quarta fascia del ghiacciato lago di Cocito (posto nel nono cerchio), i dannati traditori dei benefattori, di cui Dante non menziona esempi concreti di persone, sono posti per intero sotto il livello della superficie del lago (punizione provocata dalla estrema freddezza della loro condotta in vita): gli Ebrei generici lì collocati non inducono l’autore della “Commedia” a citarne qualcuno, gli basta denominare il posto “Giudecca” e illustrare l’orribile condanna eterna di Giuda finito nelle dirette mani di Lucifero. L’assenza di exempla viene giustificata dal fatto che le genti ebraiche vengono inquadrate nella loro generalità di fede, la quale si riversa nel simbolo “Giuda”: traditore sì di Cristo in quanto personaggio evangelico puntuale, tuttavia altresì immagine del globale tradimento del popolo ebreo, nella mentalità cattolica dantesca. Se i perfidi Judaei finiscono nella Giudecca, rimane comunque possibile la stessa pena, per peccati simili, a danno di altri non Ebrei, come testimonierebbe la parallela a Giuda condanna di Bruto e Cassio, anche loro orribilmente torturati da Lucifero in persona. Lo scrittore fiorentino valuta giusto privare i Giudei della libera facoltà di autodeterminarsi in materia di religione. E data la radicale alternativa che ne scaturisce, l’opposizione del Cristianesimo è stata pesante, giacché, necessariamente, uno tra nuovo credo e antica fede, deve, a causa di rispettive impostazioni teologiche, essere ricadente nel campo della falsità. Ecco gli ipocriti negatori del Messia, i traditori deicidi, colpiti da odio antisemita. Dante recepisce e assimila da cattolico il clima antiebraico e lo inserisce nella “Divina Commedia”, dove appunto l’antigiudaismo non si rivela estraneo. A me l’infernale Giudecca dantesca, nella quale i dannati sono intrappolati in varia postura, evoca l’inquietante prefigurazione di un lager nazista. L’ostilità antisemita di Dante traspare in una terzina dell’“Inferno” dove egli definisce il Papa Bonifacio VIII «lo principe d’i novi Farisei». Il termine “farisei”, denotante gli appartenenti giudei a una setta dell’Ebraismo antico, viene adottato dal poeta fiorentino in un’accezione negativa di confronto (il capo dei nuovi ipocriti, egli intende dire). Al di là di questo paragone, già indicativo della considerazioni del poeta nei riguardi del popolo giudeo, quel che viene appresso, sempre in questa terzina, si mostra ancora più sconcertante. Giacché Bonifacio VIII, a detta di Dante, sarebbe responsabile di una «guerra presso a Laterano, / e non con Saracin né con Giudei». In parole povere l’autore della “Commedia” ha affermato la liceità di un conflitto armato contro gli Ebrei. Che cosa c’entrano questi con le discutibili Crociate di liberazione della Terra santa? Pare niente, dunque il riferimento a loro si mostra generico: vale a dire che per lo scrittore fiorentino è ammissibile la persecuzione giudaica in quanto rivolta a nemici del Cristianesimo. Allorché Dante adopera il lemma “Saracin” collegato a “Giudei” fa percepire che ha in mente delle religioni avversarie dacché l’asse dell’intenzione semantica non appare poi così celato. Il poeta è stato uno che non ha disprezzato l’uso delle armi nella risoluzione dei contrasti. Saracin e Giudei sono accomunati dall’essere rivali religiosi in primis della Chiesa medievale, nella di lui concezione, non dall’essere avversari politici. Nel pensiero dantesco la religione ha assorbito la politica, e tutto si misura col metro della prima, come del resto la “Divina Commedia” docet. Trovarvi elementi di antisemitismo spiritualista cristiano non costituisce per me motivo di sorpresa. I tempi, erano quelli di un antigiudaismo della Cristianità il quale rimarrà in auge per molto tempo. Da respingere tali idee, però non si può isolare Dante e sterilizzarlo: pure lui era un antisemita, e lo ha fatto notare. Con imparzialità e obiettività non ci resta altro che mettere in evidenza simili punti nella “Commedia”, e collocarla in un confacente orizzonte critico, come ho cercato di fare nella mia monografia dantesca. La quale non pretendeva di distruggere un (falso, secondo me) mito, bensì porre il cosiddetto Sommo Poeta nel posto appropriato degli spazi letterari (il quale a ogni modo resta non indifferente). Ai miei occhi Dante si mostra un fanatico e un estremista religioso e politico, e alla luce di ciò ho compiuto le mie analisi critiche a lui dedicate. Il poeta fiorentino non è stato esente dai gravissimi limiti di una cultura e di una formazione cristiane e medievali. La figura del traditore Giuda viene adoperata in funzione di paragone nel “Purgatorio”. Esemplare nella seconda cantica una terzina dimostrante ulteriormente quanto da me sinora sostenuto: «Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto / del sommo rege, vendicò le fóra / ond’uscì ’l sangue per Giuda venduto». Da essa ricaviamo utilissime informazioni sul pensiero dantesco. Notiamo che la vittoria romana nella prima guerra giudaica (66-70) viene inserita dallo scrittore fiorentino in un sistema di considerazioni storiografiche in toto distorto e nevrotico. Il successo di Roma, a suo dire, sarebbe stato appoggiato da Dio, desideroso di vendicarsi dell’uccisione del Messia. La prima cosa da ricordare è che le guerre dei Romani pagani costituivano dei conflitti meramente politici, e che prima di Costantino la religio christiana non ebbe un ruolo ispiratore. Non esiste nessun intervento divino nella Prima guerra giudaica, e de facto nessuna vendetta teologica, ma soltanto un fatto politico-militare provocato dalla contingenza storica, dall’attaccamento giudeo alla propria religione in forme esclusive e radicali, e non da una qualche forma di antisemitismo (i Romani badavano ai fatti, non a creare categorie di razzismo: gli Ebrei erano avversari in sede politica). Sovvertendo le linee dinamiche reali, Dante fa dei Romani dei vendicatori cristiani: il che rappresenta un’idea priva di fondamento. Solo una convenienza ideologica posteriore può portare a simile convinzione. Laddove nel Cristianesimo regnava simile visione emerge un modello orwelliano: chi controlla il presente stabilisce le verità storiche del passato. Così accade in detta terzina, la quale converte, al di fuori di una base di obiettività, i Romani vincitori della prima guerra giudaica in antisemiti. Dante esibisce razzismo spiritualista nella veste di chiave di lettura storica, la quale lettura, purtroppo per lui, risulta unicamente figlia di nevrosi. L’autore della “Divina Commedia” non nutre simpatia nei confronti degli Ebrei, e come osservato valuta giusto, rispetto a un metro religioso cristiano, farli oggetto di violenza repressiva. Però questa non era la prospettiva di Roma, la quale reprimeva l’insubordinazione di chiunque in quanto puro atto di ostilità a prescindere dalle motivazioni. Queste in Dante vengono ingigantite, e il rifiuto del dominio romano viene orwellianamente confuso col rifiuto del Messia cristiano. Si tratta di due discorsi diversi, i cui piani nel Cristianesimo vengono, in seguito a convenienza sovrapposti. Ma questa che ne viene fuori è propaganda antisemita, come quella dantesca, e non frutto di una corretta metodologia storiografica. Vediamo quindi la guisa in cui nel cosiddetto Sommo Poeta gli scheletri vengano fuori dell’armadio. Tornano, sempre nel “Purgatorio”, in mostra topoi antisemiti patristici presenti nell’omiletica di Giovanni Crisostomo, quelli dei Giudei inclini alla golosità e al bere3: «li Ebrei ch’al ber si mostrar molli, / per che no i volle Gedeon compagni». Siamo nella sesta cornice dei golosi quando si rammenta ciò: il che non sembra casuale, ma seguente una linea di antisemitismo attraversante la “Commedia”. Infatti Dante, trovandosi in tale cornice, ha detto in precedenza: «Ecco / la gente che perdé Ierusalemme, / quando Maria nel figlio diè di becco!». I Giudei peccatori irrecuperabili nella seconda cantica sopravvivono formalmente, dacché destinati a non superare la Giudecca infernale (la possibilità ebraica di salvezza eterna appartiene a credenti in Cristo venturo e venuto). Qui nel “Purgatorio” il poeta fiorentino usa una perifrasi per indicarli, gli sconfitti della Prima guerra giudaica, e per indicare di riflesso la categoria dei golosi. La conclusione di tale terzina evoca una donna ebrea la quale si nutrì con la carne del figlio durante detto conflitto. I golosi della sesta cornice appaiono figure gravemente anoressiche, segnale del patologico apprezzamento del digiuno da parte di quel lungo Cristianesimo di prima originale maniera. Io non credo che l’autore della “Divina Commedia” si serva della perifrasi testé indicata al fine di accostare le immagini dei penitenti e quelle dei Giudei affamati e assediati dai Romani. Reputo all’opposto che l’intenzione di significato sia negativa in direzione antisemita, e che quella perifrasi voglia introdurre un discorso del genere: ecco la categoria dei golosi, peccatori della stessa specie degli Ebrei, avvezzi alla gola e al bere; i quali pur di soddisfare i propri impulsi corporali sono in grado di cibarsi della carne di un essere umano, come nel caso di questa Maria col figlio. Una donna che si mangia il figlio è più exemplum di golosità che figura di donna denutrita. La mia impressione è che Dante voglia dire: gli Ebrei mangiano i bambini. Una cosa di questo tipo sarà poi attribuita tra le maldicenze ai comunisti moderni. “La Civiltà Cattolica” (vedasi il numero 1736 – 21 ottobre 1922) spiegherà che il comunismo sovietico è impastato di e da Giudei. Sospetto che quest’altra calunnia di cannibalismo possa avere un’origine diversa dall’Holodomor, considerato che dove ci sono genti ebraiche i piccoli rischiano di finire quale pietanza. Secondo me la lettura patristica, con Giovanni Crisostomo, della terzina dantesca adesso in esame, è la più pertinente. Io penso che la via di lettura dolcificante porti fuori strada, giacché se c’è nella “Commedia” un passo con ombra di antigiudaismo il quale si può appieno esplicitare in tal senso, l’evidenza raggiunta fuga i dubbi in virtù della contestualizzazione. Nel suo famoso poema lo scrittore fiorentino non fa sfoggio di eccessiva delicatezza. Proprio nell’ultimo cerchio dell’inferno strappa i capelli a Bocca degli Abati con sadica aggressività; ancor prima ci aveva informati che il diavolo Barbariccia «avea del cul fatto trombetta»; e nel “Purgatorio” ci parla, in un perimetro misogino patristico, di una donna balbuziente (la «femmina balba») aggredita da Virgilio e di una vagina maleolente: «L’altra prendea, e dinanzi l’apria / fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre; quel mi svegliò col puzzo che n’uscia». Che al cosiddetto Sommo Poeta non si possa attribuire quanto poco fa ho valutato omogeneo alla sua possibile intenzione, non mi sembra accettabile. Dante non si mostra affatto lontano da forme di comunicazione radicale. Due terzine del “Paradiso” mettono in vetrina gli orwelliani ragionamenti del Cristianesimo: «Però d’un atto uscir cose diverse: / ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; / per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. / Non ti dee oramai parer più forte, / quando si dice che giusta vendetta / poscia vengiata fu da giusta corte». La Passione del Messia viene vista in una duplice contraddittoria ottica. Da un lato è concepita quale necessario passaggio di redenzione dell’umanità, dall’altro viene inquadrata in modo tale da colpevolizzare i deicidi Ebrei con intenso astio. Al punto di affermare la liceità di una punizione a carico degli attori Giudei. Qual è qui la logica legittimante l’accanimento contro genti ritenute strumento il quale consentì la letteraria Passione cristiana? Tutto si avvolge nella più orwelliana delle contraddizioni, nel doublethink. I Romani non possono essere accusati di deicidio, per necessità teologico-politiche; rimangono sulla scena solo le genti ebraiche, su cui, per esigenza dinamica e narrativa, scaricare il compito di promuovere l’uccisione di Gesù. Ciò è indispensabile al disegno redentivo. Come si fa a prendersela con qualcuno giocoforza rimasto incastrato nelle costruzioni della teologia del Cristianesimo? Soltanto una nevrosi irrazionalistica può partorire simile doublethink, rilevato in queste due terzine della terza cantica. Pensare che chi ha ricevuto quel ruolo evangelico di causa prossima della morte di Gesù, in una guisa cristiana ineluttabile, sia nella realtà poi imputabile di un atto (letterario), come se fosse stato libero di scegliere la sua parte nella vicenda, rappresenta un procedimento mentale degno di “1984”. Eppure Dante si impelaga nel doublethink, elevandolo a spiegazione teologica, nella quale si nota ancora una volta che usare la violenza sul popolo giudaico, spinti da motivazioni di risentimento religioso, appare qualcosa di ammissibile e praticabile. La categoria dei perfidi Iudaei scaturisce da contorte esigenze teologiche e narrative, obbligatorie nei confronti dei cristiani, i cui insani frutti tuttavia vengono addossati agli Ebrei, attraverso la conversione di quelle necessità di edificazione in nevrotiche (per i cristiani) colpe estreme compiute da persone dipinte libere, però intrappolate senza scampo nel recinto concettuale della nuova religio del Cristianesimo. Ai Giudei non si può in alcun modo, con obiettività e razionalità, attribuire nessun deicidio. La finzione letteraria evangelica ha animato uno dei più tragici fenomeni della Civiltà occidentale, quell’antisemitismo il quale già prima della Shoah e della sua versione pseudobiologica assunse i connotati di crimine contro l’umanità a causa di estensione e intensione.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Studi illuministi”
 
1 Parricidio dantesco (2021), cui rinvio per ogni approfondimento di altri temi qua evocati.
 
2 Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023), da pag. 21.
 
3 Vedasi nel mio studio intitolato Le radici cristiane dell’antisemitismo presente nella mia monografia Studi illuministi (2024).

LE RADICI CRISTIANE DELL’ANTISEMITISMO

di DANILO CARUSO
 
In miei antecedenti lavori di studio ho parlato di antiebraismo diverse volte in occasione di mie analisi rivolte ad altrui opere letterarie coinvolte. Ho esaminato due testi antigiudaici di Tertulliano e di Agostino di Ippona inquadrando in un contesto critico di analisi le loro motivazioni di avversità religiosa verso gli Ebrei1. In particolar modo nella mia monografia tertullianea ho ricostruito la linea generale dell’antisemitismo che incanala il fenomeno dalle origini in poi in un alveo di matrice cristiana. Ho cercato di chiarire la maniera in cui per me il moderno antiebraismo sia sorto come laicizzazione di un modello religioso di fondo, il quale già negli estatutos de limpieza de sangre mostrava i futuri canoni del razzismo pseudobiologico (contrapposto a quello spiritualista elaborato da Tertulliano e Agostino). Dopo aver rilevato caratteri dell’antisemitismo nell’area patristica latina, ho creduto utile ai miei approfondimenti volgermi all’area patristica greca allo scopo di rilevare contenuti significativi di ostilità al Giudaismo là evidenti. Mi sono soffermato dunque su Giovanni Crisostomo (appellativo che vuol dire “bocca-d’oro”, per via della sua abilità oratoria), nato intorno al 345 ad Antiochia e morto nel 407. Canonizzato, Padre e dottore della Chiesa, è stato autore di otto omelie antigiudaiche, i cui testi, in greco antico, sono giunti sino a noi. Ho preso in esame la prima sotto i profili ideologico e semantico, perché tengo a evidenziare tali aspetti. Il dato saliente che ho rilevato sin dal principio di questa mia analisi l’intenso ed elevato grado di ostilità e opposizione rivolte all’Ebraismo. Naturalmente prendo la massima distanza dai contenuti esposti da Boccadoro, i quali non condivido poiché affermazioni di odio ingiustificabili e mal giustificate sulla sua base religiosa poggiante sul credo di una nuova religione costruita con mattoni concettuali e culturali del tutto riconducibili, a mio modesto avviso, alla contingenza storica e umana2. L’esposizione della sostanza di questa omelia segue nella sequenza di posizione delle sue parti principali il punto di vista di Giovanni Crisostomo, è cioè lui che parla e io riassumo e sintetizzo in guisa analitica. Nel riportare il discorso di Giovanni Crisostomo compio un’operazione ad hoc: i termini che egli usa sono sottolineati in italiano e accompagnati dall’equivalente semantico greco antico, al fine di garantire un rilevamento testuale obiettivo. Riporto anche alcuni brani tali e quali dal greco antico. Prima di inoltrarci dentro le parole di Boccadoro voglio anticipare che l’omelia del caso costituisce un campionario di (inaccettabili) stereotipi antiebrei i quali avranno lunga vita nella Storia occidentale, sino a giungere tragicamente al ’900. Vedremo con migliore nitidezza, dopo questa mia prima analisi concentrata sull’Antichità (per me comunque con l’Editto di Costantino inizia il Medioevo), come esista una lunga e considerevole linea di antisemitismo cristiano, attraversante i secoli fino a toccare ere più a noi vicine. Questo Padre e Dottore della Chiesa definisce i giudei pietosi (ἄθλιος) e infelici (ταλαíπωρως). Si preoccupa dell’attrattiva che la religione ebraica possa esercitare con successo sui fedeli cristiani (a suo modo di vedere sviandoli), e accusa i suoi correligionari propensi a un contatto col mondo giudaico di essere malati (νοσέω) di Ebraismo. Biasima questi suoi compagni di fede per via della loro disponibilità a partecipare a celebrazioni e riti dei Giudei. Ricorda perciò a loro che questi ultimi risultano colpevoli di trasgressione dell’ordine (παρανομία) e di empietà (ἀσέβεια). Il popolo ebreo, avendo rifiutato Gesù Figlio di Dio, ha ottenuto una parentela con i cani (τῶν κυνῶν συγγένεια). I cristiani non hanno commesso simile errore giacché, a differenza dei rivali, sono riusciti a non farsi zavorrare da una condotta irragionevole (ἀλογία). La chiusura ebraica è provenuta da durezza (σκληρότης) patrocinata da ghiottoneria (ἀδηφαγία) e troppo bere (μέθη). Davanti a simili pecche la religiosità giudea gli appare disgustosa (βδελυκτός). La sinagoga non gli sembra diversa da un teatro (a proposito di tale affermazione si rammenti il contenuto sulla materia del tertullianeo “De spectaculis”3). La sinagoga si rivela luogo di incontro di codardi (μαλακός) e di prostitute (πορνεύω). Rappresenta una funesta (ὀλέθριος) supposizione (ὑπόληψις) pensare che l’Ebraismo sia da rispettare. Boccadoro definisce la sinagoga un bordello: «Ἔνθα δὲ πόρνη ἕστηκεν, πορνεῖόν ἐστιν ὁ τόπος». E aggiunge altresì che essa risulta una spelonca (σπήλαιον) di briganti (λῃστής) e un alloggio (καταγώγιον) di animali selvatici (θηρίον). E se non bastasse, la chiama inoltre alloggio dei diavoli (δαíμων) e luogo di idolatria (εἰδωλολατρεία). Il faro dei Giudei è la loro pancia (γαστήρ), un faro segnalante la loro sregolatezza (ἀσέλγεια), la quale li degrada al livello di porci selvatici (ὗς) e di capri (τράγος). Non solo le sinagoghe, in quanto luoghi, sono ricovero di demoni, ma pure i singoli Ebrei si mostrano essere posseduti in interiore. Per quanto concerne i cristiani, i malati di Giudaismo meritano la massima attenzione affinché possano essere recuperati. Da parte dei sani Giovanni Crisostomo rende leciti l’uso nei confronti dei giudaizzanti di violenza (ἀνάγκη) e forza (βία), ammettendo le facoltà di maltrattare (ὑβρίζω) e cercare di prevalere (φιλονικέω). I nemici sono il Diavolo e gli uccisori ebrei di Cristo (Χριστοκτόνοι). Chi giudaizza (ἰουδαΐζω) va richiamato al volo: si rischia di compiere una grave mancanza di possibile intervento a non reprimere (κατέχω). Costui non va ucciso, come insegnerà poi O’Brien, dal momento che l’obiettivo centrale consiste nel fare nostro per intero (ἡμέτερον ἐξ ὁλοκλήρου ποιέω) il soggetto senza annientarlo. Non è bene per i cristiani partecipare alle celebrazioni degli Ebrei colpevoli di aver oltraggiato (ὑβρίζω) Dio: ciò costituisce indice di estrema (ἔσχατος) pazzia (μανία). La sinagoga costituisce un luogo di cui avere un basso concetto (καταφρονέω) e per cui avere ripugnanza (βδελύττομαι). Boccadoro afferma di odiare la sinagoga da cui se ne sta alla larga: «Μισῶ τὴν συναγωγὴν καὶ ἀποστρέφομαι». Il popolo giudeo è responsabile di oltraggio (ὑβρίζω) gravissimo a causa del rifiuto del profetizzato orizzonte cristiano. La sinagoga e gli Ebrei sono da odiare: «Διὰ τοῦτο μᾶλλον μισεῖν καὶ αὐτοὺς καὶ τὴν συναγωγὴν χρὴ». I Χριστοκτόνοι si ritrovano nella sinagoga, posto dove si bestemmia (βλασφημέω) Dio. Addirittura in essa loro sacrificano anime di uomini (ψυχὰς ἀνθρώπων καταθύω). I Giudei rappresentano oltraggio comune e morbo di tutto il mondo (romano) (κοινὴ λύμη καὶ νόσος τῆς οἰκουμένης ἁπάσης). Hanno sacrificato i loro figli ai diavoli: «Ἔθυσαν τοὺς υἱοὺς αὐτῶν καὶ τὰς θυγατέρας αὐτῶν τοῖς δαιμονίοις». Gli Ebrei sono campioni di crudeltà (ὠμότης) e di insocievolezza (ἀπανθρωπία). In più sono lussuriosi dacché simili ad animali senza ragione: «Ἀσελγείας ἕνεκεν [...] καὶ τὰ λαγνότατα τῶν ἀλόγων ἀπέκρυψαν». Questo Padre della Chiesa, autore dell’omelia in esame, prosegue accusando la gente giudaica di ruberia, avidità, abbandono dei poveri bisognosi, frode nel commercio; e precisa che un giorno non sarebbe sufficiente per riferire di ciò: «Τὰς ἁρπαγὰς, τὰς πλεονεξίας, τὰς τῶν πενήτων προδοσίας, τὰς κλοπὰς, τὰς καπηλείας; Ἀλλ' οὐδὲ πᾶσα ἡμῖν πρὸς ταύτην ἀρκέσει τὴν διήγησιν ἡ ἡμέρα». Ritorna sulle solennità del popolo ebraico, e sottolinea che sono impure (βδελυκτός), pertanto Dio le odia («Ὁ Θεὸς μισεῖ»). L’andarsi a mettere con questi deicidi reietti da Dio e servitori dei diavoli (δαίμονας θεραπεύω) rappresenta mancanza di senno (ἄνοια) e demenza (παραφροσύνη), un partecipare alla tavola da pranzo dei demoni (τράπεζα δαιμονίων). Sul finire dell’omelia due sezioni di esposizione sono dedicate da Giovanni Crisostomo a due argomenti di approfondimento della materia la quale ha affrontato. La prima tratta delle cure mediche e delle guarigioni. Lui sostiene che bisogna rifiutare il sostegno medico proveniente da non cristiani poiché la prospettiva di successo nella risoluzione del problema sanitario potrebbe godere di un intervento demoniaco. Il che costituirebbe una cosa pericolosissima nei confronti della salvezza eterna dell’anima di un cristiano. Dunque si rivela opzione migliore sopportare il male, seguendo il modello di Giobbe, e anche morire: l’importante rimane non farsi curare da un diavolo. Boccadoro specifica in più che Dio consente le malattie come una sorta di bonus nel contesto della raccolta possibile di meriti secondo la linea testé illustrata: chi non si fa curare da un medico diavolo si mostra meritevole. Sono state idee del genere, patrocinate dal Cristianesimo, a rallentare, all’interno della Civiltà occidentale il progresso scientifico. Guardare di mal occhio i benefici della scienza, giacché ritenuti di origine demoniaca, ha per parecchi secoli ostacolato la ricerca e l’approfondimento in diversi campi, specialmente in quello medico. Allorché l’Occidente si è smarcato meglio dal controllo religioso ha guadagnato quei margini di libertà utili a introdurre i risultati di nuovi studi. Il che ha consentito un calo dei tassi di mortalità e l’aumento del periodo medio di vita, mete irraggiungibili rimanendo dentro il recinto mentale cristiano delle origini. Pratiche mediche inadeguate, come ad esempio i salassi, sono durate a lungo perché il Cristianesimo aveva messo dei paletti, i quali, impedendo il libero progresso conoscitivo, hanno costituito un limite, nel culto di una tradizione conservatrice (basata sui vari Aristotele, Tolomeo, Ippocrate, Celso, Galeno), a carico di sviluppi delle scienze sino alla vigilia dell’Illuminismo. Pensiamo alle strategie (non soltanto a quelle mediche) di intervento contro la peste ne “I promessi sposi”. È difficile immaginare un William Harvey (1578-1657) in un contesto cattolico. Il Protestantesimo inglese, nonostante le proprie zavorre cristiane, ha aperto una porta nuova (con tutte le sue contraddizioni) alla Civiltà occidentale all’insegna del liberalismo. E in questo nuovo spazio il pensiero critico ha potuto recuperare margini di azione non pesantemente condizionata. Il segno di simile guinzaglio è visibile nella seconda sezione, di cui sopra ho fatto cenno, nell’omelia di Giovanni Crisostomo qua analizzata. In tale segmento si nota l’invito e la sollecitazione a compiere atti di segnalazione all’autorità ecclesiastica dei cristiani devianti da un corretto comportamento. L’incoraggiamento alla volta di una simile prassi ritornerà in “1984” di George Orwell. Il Padre e Dottore della Chiesa nel suo testo ci spiega che fare la spia non costituisce qualcosa di cui sentirsi in colpa, anzi rappresenta motivo di merito davanti a Dio (Big Brother) perché, così agendo, si dà la possibilità di riportare il deviato (giudicato un pazzo/stravagante: μανικὸς) sulla strada giusta. Chi, in maniera volontaria, non ottempera al suo compito di segnalare reca danno spirituale a sé e al segnalando, e diventa agli occhi della Chiesa un nemico (πολέμιος). La promozione di un simile oceaniano regime poliziesco troverà il suo connaturale spazio poi nelle epoche di auge dell’Inquisizione, dove la denuncia costituiva il primo momento di una burocrazia antiliberale e artefice di crimini contro l’umanità (perpetrati su streghe, omosessuali, Ebrei, intellettuali dissidenti). Mi ha colpito una cosa in conclusione dell’omelia. Boccadoro incoraggia tutti a rintracciare i divergenti, ciascuno presso la propria categoria sociale. E chiama a intervenire pure i ragazzini: l’orwelliana Oceania farà affidamento pure a ciò (mostrando ulteriore nuova inquietante analogia). Terminata questa prima analisi incentrata sopra un antico testo patristico, il compito che mi ero prefisso nell’ambito del presente mio lavoro ci conduce a fine ’800, a degli articoli de “La Civiltà Cattolica”. Io collego questi tre testi dedicati allo stesso tema antigiudaico dell’omelia di Giovanni Crisostomo a questa, nell’intenzione di individuare un segmento i cui due estremi simboleggiano il punto di vista del Cattolicesimo a proposito di Ebraismo nell’era antica e un secolo dopo la Rivoluzione francese4. Il mio scopo è quello di far rilevare che in questo arco temporale (il quale rimane in ogni caso prolungabile in avanti) l’antisemitismo è rimasto una costante di grido nei Paesi con significativa presenza di cattolici. Da Tertulliano, Agostino d’Ippona, Giovanni Crisostomo, alla svolta di era novecentesca postbellica seguente la Shoah, la Chiesa non ha mostrato molta simpatia nei riguardi dei Giudei. La Storia lo dimostra, al punto tale che le discriminazioni di cui furono oggetto costoro impediscono di negare che l’antiebraismo sia stato un valore fondante del Cristianesimo, la cui evidenza è stata cancellata tra gli anni ’60 e ’80 attraverso gesti di correzione della pubblica cattolica ufficiale valutazione del popolo giudeo. La nascita del moderno Stato d’Israele (1948), secondo me, ha costituito una rivincita dell’Ebraismo nei confronti della Chiesa, la quale, specialmente dopo l’Olocausto, non avrebbe con facilità potuto mantenere la posizione antisemita che si potrà leggere negli estratti dei suddetti tre articoli menzionati de “La Civiltà Cattolica”. È sotto lo sguardo di chi studia con attenzione e serietà che l’intera Cristianità occidentale sia venuta al mondo con un DNA antigiudaico. Dalla fondazione del Cristianesimo in poi l’ostilità verso la gente giudea ha assunto una intensità tale che la sua assimilazione da parte delle masse ha trasformato l’antisemitismo in qualcosa di normale, di quotidiano, di consuetudinario. La visione religiosa cristiana antigiudaica poi nell’Ottocento, in virtù proprio del suo essersi radicata nella veste di qualcosa di naturale come il Sole che sorge all’alba, ha preso la via laica del razzismo pseudobiologico. Ma questo non sarebbe potuto uscire fuori senza il background cristiano. È stato il Cristianesimo a indicare nell’Antichità all’esecrazione universale il popolo ebraico poiché rimasto legato alla propria religiosità neoatonista. La colossale invenzione cristiana di una nuova teologia, di una nuova mitologia, comportò una radicale alternativa col Giudaismo. Il peso di simile rivalità spirituale si è fatto sentire a causa del predominio cristiano per diciotto secoli circa. Possiamo rilevare ciò nell’omelia di Giovanni Crisostomo e successivamente in questi tre articoli, di cui a breve estratti, testimonianza di una linea ideologica continua e omogenea del modo di valutare gli Ebrei da parte del Cattolicesimo entro gli estremi temporali sopra indicati. Nella mia monografia su Tertulliano ho disegnato un percorso ideologico che conduce da costui (inteso quale figura simbolica) all’antigiudaismo nazista per mezzo della mediazione di Lutero. Non dobbiamo comunque dimenticare che dopo la Riforma luterana una fetta di Germania meridionale è rimasta a maggioranza cattolica, al pari dell’Austria (posto natale del filosofo antisemita Otto Weininger), aree quindi rientranti nella sfera di efficace propaganda della Chiesa di Roma. Discorsi e scritti paragonabili a quelli di cui qui tra poco brani, stando al mio metro di misurare le cose, hanno ovunque mantenuta alta la bandiera dell’antisemitismo5. Che esso sia stato spiritualista o pseudobiologico, cattolico o protestante, non ha avuto molta importanza, quello che purtroppo ha contato era che le persone comuni del popolo percepivano il Giudeo quale una minaccia alla società e alla loro sicurezza personale in seguito alla campagna contro gli Ebrei diffusa e considerata normale (da qui la arendtiana “banalità del male”). Non soltanto quella linea Tertulliano-Agostino d’Ippona-Lutero-Fichte-Nietzsche-Hitler nelle mie valutazioni storiografiche ha alimentato la base del razzismo nazista, ma altresì quest’altra, con tutto quello che sta in mezzo6, collegante Giovanni Crisostomo e “La Civiltà Cattolica” (estremi nella fattispecie sempre intesi in maniera simbolica e generalizzante). Il nazionalsocialismo non è sbucato dal nulla, ci sono stati fattori di gestazione pregressi, i quali io rilevo e indico secondo la mia personale ottica nel corso delle mie analisi, le quali nella mia attività di studioso ambiscono a obiettività e scientificità. Si condannano, come è giustissimo che sia, le legislazioni razziali volute da Hitler e Mussolini, norme aberranti e disumane, si condanna la tragedia della Shoah, evento di gravissima portata e crimine contro l’umanità. Tuttavia in questi importantissimi spazi e occasioni di significativa memoria non mi pare di notare una frequente consona contestualizzazione dei fatti storici. Il plurisecolare antisemitismo cristiano, secondo me, preparò l’ambiente e il clima di cui beneficiarono le persecuzioni nazifasciste dei Giudei e l’attuazione dell’Olocausto. Un Occidente che non fosse stato impregnato, in particolare in alcuni Paesi, di antiebraismo non avrebbe vissuto con disinvoltura l’avvicinarsi e il materializzarsi di molti penosi fenomeni discriminatori. Leggiamo, a circa mezzo secolo a venire di distanza, dalle leggi razziali naziste e fasciste, e dalla Shoah, cosa si scriveva su “La Civiltà Cattolica” sul finire dell’Ottocento. I tre articoli pubblicati su tale periodico, di cui riporto dei brani estratti dal “vol. 8 – 1890”, recano lo stesso titolo (“Della questione giudaica in Europa”) e differenti sottotitoli (“Le cause”, “Gli effetti”, “I rimedii”). Gli articoli trovansi in detto tomo rispettivamente collocati alle pagg. 5-20, 385-407, 641-655. Non ho apportato al testo correzioni ortografiche rispetto allo stampato.
 
 
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DELLA QUESTIONE GIUDAICA IN EUROPA
 
LE CAUSE
 
I.
 
Il secolo decimonono si chiuderà nell’Europa, lasciandola fra le strette di una questione tristissima, della quale nel successivo secolo ventesimo risentirà forse conseguenze si calamitose, che la indurranno a porvi un termine, con una risoluzione diffinitiva. Alludiamo alla mal detta questione semitica, che più rettamente va denominata giudaica, ed è, con intimo vincolo connessa alle condizioni economiche, morali, politiche e religiose della cristianità europea.
Quanto questa sia fervida al presente e perturbi le maggiori nazioni, si fa manifesto dal grido comune contro la invasione degl’israeliti, in ogni appartenenza della vita pubblica e sociale; dalle leghe che, per arrestarla, si son formate in Francia, nell’Austria, in Germania, nell’Inghilterra, in Russia, nella Rumenia ed altrove; dai richiami fortissimi che si cominciano ad udir nei Parlamenti; e dal gran numero di giornali, di libri e di opuscoli che vengono del continuo a luce, per mostrare la necessità che il dilatarsi di questa piaga si freni e combatta, mettendone in evidenza i danni perniciosissimi.
Da molto in qua, nei nostri quaderni, abbiamo anche noi trattata sì fatta questione, dal lato più presto critico, storico o scientifico, che sociale, indicando le vere cagioni dei lamentabili effetti che ora sempre più si deplorano.
[…]
La gran famiglia israelitica, disseminata fra le genti del globo, forma una nazione straniera nelle nazioni in cui dimora, e nemica giurata del loro ben essere […]. Che poi il tenebroso codice del talmud prescriva, oltrechè regole di una morale esecranda, l’odio a tutti gli nomini che non hanno sangue giudaico, in ispecie a’ cristiani, e faccia lecito il depredarli e malmenarli quasi bruti nocivi, non è più uno di quei punti dottrinali che si possano mettere in controversia.
[…]
Il giudeo in nessuna regione ha la patria, cioè la terra dei padri; e quindi solenne impostura è il patriottismo che del continuo vanta, e di cui si finge apostolo, per raggiungere il suo scopo di perdere e divorare le nazioni, che gli hanno conferito il diritto di cittadinanza. Dal che proviene che a lui sono connaturali i mestieri più obbrobriosi del traditore e della spia.
[…]
 
IV.
 
L’altro capo che rende pericolosissimo l’organamento degli ebrei nei paesi cristiani, e centuplica in questi l’abbominio per loro, è la superstiziosa fede ingerita dal talmud, che gl’israeliti, non solamente formano la razza superiore del genere umano, tutto composto di razze a loro inferiori; ma che, di pien diritto divino, a loro unicamente compete il possesso dell’universo, il quale un giorno dovranno godere. Di questa pazza credenza il giudaismo è da per tutto invasato; anzi può dirsi che essa è il domma capitale di quella che chiamano religione loro. In ciò consiste la depravata dottrina del messianismo che professano, dal terzo secolo dell’era cristiana, quando fu compilato il talmud di Babilonia, fino al di d’oggi
[…].
Il giudaismo è forza sempre straniera e sempre nemica, nei paesi ne’ quali ha radice, non solo, ma e forza che tende a sopraffarne gli abitanti ed a predominarli, per virtù dell’intrinseca sua costituzione dommatica e civile, religiosa, giuridica e nazionale. E questo con ogni sorta di male arti e perfidie.
[...]
VI
 
Chi dunque, con animo spassionato, indaga i fatti e i documenti, deve concludere che giammai non si è data ambizione più folle e tenace, e più sfrontatamente confessata, di questa de’ giudei. Si arrogano di conquistare il mondo, di regnare sopra gl’imperi da essi abbattuti, di sottoporre a sè ogni popolo; e si appropriano il diritto di rivendicare a sè i beni dell’universo, quale possesso legittimo, dato loro da Dio. In verità, a leggere o ad udire questa immane sfida d’un pugno di uomini, otto milioni circa, che la gittano in faccia ad altri mille e cinquecento milioni, e sul serio si vantano di averla a vincere, par di sognare!
E poi non finiscono mai di lagnarsi delle persecuzioni, che han patite in addietro e tuttora qua e là soffrono! Ma queste sono state e sono conseguenze della loro prava pazzia. Da per tutto han fatto e fanno sfoggio dell’avida loro ambizione; da per tutto si non millantati e si millantano superiori, per privilegio divino, ai popoli tra cui ora vivono o son vissuti; da per tutto si son mostrati e si mostrano intrattabili, ostili, malefici alle nazioni che li hanno tollerati o li tollerano, beneficandoli persino col diritto di cittadinanza.
[…]
 
VII.
 
La rivoluzione che in quest’ ultimo secolo ha soqquadrato l’intero ordinamento cristiano di quasi tutti gli Stati, a pro di chi è ella stata fatta? Non dei popoli, che ne sono rimasti oppressi: non delle monarchie, che ne sono uscite menomate. Se ben si considera, dee dirsi, che si è fatta a pro unicamente del giudaismo, il quale, in virtù de’ menzogneri principii di libertà, di fraternità o di eguaglianza, ha potuto colorire a man salva il suo cupo disegno di predominio, in un grado che mai non raggiunse, da che la spada dell’ira di Dio ne disperse i seguaci per tutta la terra. […] I principii moderni, ossia i così nominati diritti dell’uomo, furono inventati da’ giudei, per fare che i popoli e i Governi si disarmassero, nella difesa contro il giudaismo, e moltiplicassero a vantaggio di questo le armi nella offesa. Acquistata la più insoluta libertà civile e la parità in tutto coi cristiani e coi nazionali, si aperse agli ebrei la diga che prima li conteneva; ed essi, qual torrente devastatore, in breve penetrarono da per tutto e scaltramente di ogni cosa s’impossessarono: l’oro, il commercio, le borse, le cariche più elevate nell’amministrazione politica, nell’esercito e nella diplomazia; l’insegnamento pubblico, la stampa, tutto cadde in mano loro, o di chi da loro dovea dipendere. Per guisa che ai di nostri la società cristiana incontra nelle stesse leggi e costituzioni degli Stati l’impedimento maggiore, a scuotere il giogo dall’audacia ebraica impostole, sotto colore di libertà.
[…]
 
DELLA QUESTIONE GIUDAICA IN EUROPA
 
GLI EFFETTI
 
I.
 
Quella collana di apotemmi, che nel 1789 si disse costituire la sintesi dei diritti dell’uomo, nel fatto non ha costituito altro, fuorché i diritti degli ebrei, a scapito dei popoli, nel cui seno la pratica di questi diritti fu intronizzata. Essi sono stati come il palladio della potenza, colla quale il giudaismo nel nostro secolo ha cinta d’assedio la società cristiana, l’ha assalita, l’ha sconvolta e se n’è in grandissima parte impadronito. Il che si fa manifesto, per l’universale stupore in cui è l’Europa, a vedere che l’oro, la diffusione delle idee e l’indirizzo politico-irreligioso de’ suoi Stati è quasi totalmente in podostà degli ebrei.
[…]
 
V.
 
Al dominio dell’oro, la razza israelitica unisce quello che più direttamente soggioga gli spiriti: vogliamo dire il magistero della pubblica stampa e delle cattedre. Nel Congresso giudaico, tenutosi l’anno 1848 in Cracovia, al quale concorsero gli ebrei più ricchi del mondo, fu decretato che il disperso Israello si avesse da impadronire de’ più potenti giornali d’Europa. […] Il giornalismo e la scuola superiore sono come le due ale, che portano il dragone israelitico, a rapinare e corrompere da per tutto nell’Europa.
[…]
Gli ebrei si sono, con singolare accortezza, serviti dei diritti d’uguaglianza, per invadere il foro, l’esercito, il Parlamento ed i Consigli dei ministri, come hanno fatto per signoreggiare le scuole.
[...]
 
VII.
 
Ma l’opera insigne, che, coll’aiuto delle sette massoniche, ha centuplicata la moderna potenza giudaica, è l’ Alleanza israelita universale, fondata in Parigi dal Crémieux, e si stende per tutto il globo, conferendo ai varii gruppi di ebrei, sparsi io ogni angolo, la vigoria dell’intero corpo d’Israello. […] Non erra punto chi tiene l’Alleanza israelitica per nerbo principale della massoneria, e vincolo d’unione fra le logge che arreticano il mondo incivilito.
 
VIII.
 
Noi non asseriremo, con varii autori, che la setta dei massoni fosse in su le prime creata da’ giudei. Questa sentenza non può provarsi, ed è contraria a quanto ci rivela la critica più oculata della storia. Bensì è certo che il giudaismo non tardò, nel secolo scorso, ad intromettervisi; e, colla usata sua finezza diabolica, ad informarla del suo spirito, ad indirizzarla a’ suoi intendimenti, ad incorporarsela ed a farsene vivo nerbo, per salire ove parea sogno sperarlo.
Per giungere a quel fastigio di dominazione, che fu sempre ed è il superstizioso termine del talmudismo la genia israelitica ben capiva, che un formidabile ostacolo le si levava contro, le chiudeva I’entrata nella società dei battezzati, e conseguentemente le impossibilitava il conquisto dell’ agognata signoria. Vogliamo dire la religione cristiana, fondamento di tutti gli istituti e di tutte le leggi, ond’era da secoli uscito l’ordinamento del civile consorzio. Ma, per tentare l’abbattimento della religione cristiana, e della cattolica in ispecie, occorreva agli ebrei lavorare sott’acqua, e dissimulatamente mandare altri avanti, e dietro loro nascondersi; non iscoprire l’artiglio giudaico, da tutti esecrato: in somma, bisognava dare l’assalto con soldatesche non proprie, e far cadere la fortezza in nome della libertà. Era quindi necessario scalzare questa granitica base, e sovvertire tutto I’edifizio della cristianità. Ed a questa impresa han posto mano, mettendosi a capo del mondo occulto, per mezzo della massoneria che si sono assoggettata.
I legami che stringono il moderno giudaismo al massonismo sono ora così evidenti, che sarebbe ingenuità recarli in dubbio.
[…]
 
IX.
Il giudaismo si epiloga tutto in un amore ed in un odio: l’insaziabile amore dell’oro, auri sacra fames, e l’ odio inestinguibile a Cristo: l’amore serve all’odio; e l’odio e l’amore debbon condurre all’apogeo di quell’impero, che è il delirio satanico del reprobo Israello. Si ricerchi la storia del massonismo, e si vedrà che, dal secolo trascorso ai dì nostri, altro pur esso non ha avuto in mira, se non accumulare ricchezze e guerreggiare a morte, nella società cristiana, Cristo e la sua Chiesa. Tutto il predominio, aperto o coperto, della massoneria è giovato alla cupidigia ebraica ed all’ebraica rabbia di atterrare la potenza cristiana, per provar di assidersi sulle sue ruine. Dal 1.° maggio 1789, giorno in cui si divinizzarono i diritti dell’uomo a puro pro de’ giudei, sino al 20 settembre 1870, in cui colle bombe si espugnò Roma e vi si fece prigioniero il Papato, le congiure, i tumulti, le ribellioni, gli assassinamenti, le stragi, le guerre, i fatti così detti rivoluzionarii, sortirono sempre e da per tutto il medesimo esito, di accrescere la opulenza agli ebrei e di deprimere ed opprimere la civiltà cristiana. […] Negli Stati Uniti d’America, abusando della libertà concessa loro dalla Repubblica di Washington, gli ebrei già si fanno campioni della scuola di Stato neutra, in odio ai cattolici che, pe’ loro figliuoli, intendono avere pur cattoliche e libere le scuole.
[…]
Siccome nelle Monarchie s’incontrano, colle tradizioni dinastiche, i patrimonii morali e civili delle varie nazioni, e dalle Monarchie la religione comune suol essere tutelata, quale forza precipua degli Stati, conforme si vede in tutti i paesi non sopraffatti dalla massoneria; così ne viene che il tramarne la ruina, per sostituire alla solidità dei troni la fragilità dei Governi a popolo, è di utile sommo agl’intendimenti di una razza, che non ha nè patria, nè culto pubblico, nè forma propria di reggimento, ma vive disseminata fra tutte le regioni, per tutto soggettarsele.
Tuttavia s’ ha da notare che il disordine politico, religioso ed economico, derivato in Europa segnatamente dalla questione giudaica, ha originato quel socialismo, che avrebbe da far tremare le vene e i polsi ai giudei. Perocché sembra dover essere questo il formidabile flagello della superna giustizia, per fiaccare la superbia giudaica de’ tempi nostri e farle, tutto in una volta, pagare il fio della sua luciferina tracotanza.
 
DELLA QUESTIONE GIUDAICA IN EUROPA
 
I RIMEDII
 
[...]
Chi percorra la storia si avvede che la questione del predominio de giudei fra’ cristiani è tanto antica, quanto la cristianità medesima. Non vi è uno Stato, che ne suoi annali non trovi registrato un frequente avvicendarsi di permissioni ai giudei di soggiornare nel suo territorio, con solenni loro cacciate, per cagione degli abusi e disordini che vi commettevano. Se non che, fino al secolo nostro, la stirpe ebraica era nei Regni cristiani puramente tollerata, e come nemica, straniera e malefica, avuta in continuo sospetto e regolata da leggi particolari di eccezione, costituenti la comune difesa contro la loro dimora.
Al presente non è più cosi. Per grazia dei principii della rivoluzione prevalsi quasi da per tutto, il giudeo è stato ammesso al godimento del diritto comune: le leggi lo considerano eguale in ogni cosa agli altri, e lo proteggono al modo stesso che gli altri cittadini. Quindi la politica di difesa delle società cristiane è stata abolita, e s’ è concessa al giudeo piena libertà di offesa alle società medesime, che nel seno loro lo albergano.
[…]
Ammesso pure che il rimedio dello scacciamento universale degli ebrei fosse ora praticabile, sarebbe difformee dal modo di sentire e di operare della Chiesa romana.
[...]
Se non si rimettono gli ebrei al posto loro, con leggi umane e cristiane sì, ma di eccezione, che tolgan loro l’uguaglianza civile, a cui non hanno diritto, che anzi è perniciosa non meno ad essi che ai cristiani, non si farà nulla o si farà ben poco. […] Il solo modo di accordare il soggiorno degli ebrei col diritto dei cristiani, è quello di regolarlo con leggi tali, che al tempo stesso impediscano agli ebrei di offendere il bene dei cristiani, ed ai cristiani di offendere quello degli ebrei.
E questo è ciò che, in guise più o meno perfette, si fece pel passato: questo è ciò che gli ebrei da cent’anni in qua si sono studiati di disfare: ma questo è ciò che, tosto o tardi, per amore o per forza, si avrà da rifare; e forse gli ebrei medesimi saran costretti di supplicare che si rifaccia. Perocchè la strapotenza alla quale il diritto rivoluzionario li ha oggi sollevati, viene scavando loro sotto i piedi un abisso, pari nella profondità all’altezza in coi sono assorti; ed al primo scoppiare del turbine che essi, con questa loro strapotenza, vengono provocando, traboccheranno in un tale precipizio, che sarà per avventura senza esempio nelle istorie loro, com’è senza esempio la moderna audacia, colla quale proculcano le nazioni che follemente li hanno esaltati.
[...]
Lo strumento d’ira, scelto dal cielo per punire la cristianità degenere del tempo nostro, sono gli ebrei. Il loro predominio sovr’ essa viene crescendo, col prevalere in essa del malvagio spirito, che ai diritti di Dio ha fatti succedere nel suo seno i diritti dell’uomo. La giustizia dell’Eterno si serve del più apostatico e maledetto dei popoli, per flagellare l’apostasia delle nazioni dalla sua clemenza più favorite. […] Si formino pure leghe di cristiani, che oppongano qualche argine alla irrompente fiumana del giudaismo, il quale, sciolto da tutti i ritegni, devasta colle sostanze i più preziosi tesori della fede e della civiltà nostra: si propaghi pure l’idea della necessità per la pubblica salvezza, di rinchiudere, con eque leggi, questa fiumana malefica nel suo letto antico: si scriva, si stampi, si parli, si operi a tale intento, entro i confini sempre di quello che il Vangelo fa lecito. Ma niuno, che abbia amore schietto di religione e di patria, si stanchi dal battere e ribattere di continuo e da per tutto il chiodo di questa grande verità: che, rispetto alle nazioni socialmente apostatiche dalla Chiesa per seguire le impostore massoniche, gli ebrei moderni sono il flagello della giustizia di Dio; e che tutto il dolce del liberalismo finisce con attirarle fra le strette della vorace piovra del giudaismo[...].
 
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Da questi brani rileviamo qual era la posizione della Chiesa a fine del XIX secolo non soltanto in fatto di Ebrei, ma anche in ambito politico generale. Notiamo un radicale rifiuto degli ideali rivoluzionari francesi, accompagnato da una vocazione reazionaria. Una consona prosecuzione del mio presente lavoro è la mia seconda monografia su Monsignor Robert Hugh Benson, la quale consiglio di leggere, terminato qui, dacché gli argomenti là affrontati costituiscono un proseguimento tematico pertinente inoltrantesi nel ’9007. In quest’altra separata sede ho riportato l’estrazione di un altro articolo de “La Civiltà Cattolica” inerente ai Giudei, analizzato l’ideologia politico-religiosa bensoniana quale simbolo concreto della visione sociale della Chiesa a inizio del XX secolo, trovato spunti per parlare di antisemitismo cattolico. Qua, dopo aver creato, e indicato, tale ponte fra miei testi in funzione di approfondimento incentrato sul ’900, ho la possibilità di aggiungere altre argomentazioni. La prima cosa che voglio rammentare è che i nazisti tedeschi andarono a riprendere nella loro propaganda antigiudaica le “Omelie contro gli Ebrei” di Giovanni Crisostomo. Il che costituisce exemplum di riprova della mia convinzione che ci sia omogeneità ideale, genetica ed eziologica tra antisemitismo spiritualista cristiano e antisemitismo pseudobiologico (de facto questo una clonazione fondata sugli estatutos de limpieza de sangre). La posizione de “La Civiltà Cattolica” è spiritualista in merito, non si faccia confusione. Per la Chiesa i Giudei convertiti si potevano recuperare, per il nazismo l’impronta razziale biologica era indelebile. Riguardo al resto però, come letto, la piovra giudaica rimaneva la medesima per cattolici e nazisti. Quindi se differivano su dettagli, tutto sommato, secondari, nei confronti del nocciolo della questione non divergevano su grandi aspetti (nella mia monografia su Tertulliano ho preso in esame di questi dettagli). Nell’atmosfera precedente la Shoah la plurisecolare linea dell’antisemitismo poliedrico non disturbava, diversamente da oggi, i più. È possibile rilevare ad esempio che nel XX secolo, prima dell’Olocausto, l’antiebraismo in genere fosse percepito come un fenomeno non anomalo e non allarmante in “Swastika Night” di Katharine Burdekin (1896-1963)8. Poter leggere quei tre articoli, di cui sopra, de “La Civiltà Cattolica” era “normale” ai loro tempi, dentro una quotidianità assuefatta da parecchi secoli all’ostilità verso le genti ebraiche. L’olocausto e la genesi del moderno Stato di Israele hanno segnato uno spartiacque, una frattura, nell’intero panorama occidentale, ma altresì nella sostanza del magistero ecclesiale romano. Per un motivo o per un altro non sarebbe stato più possibile alla Chiesa tenere ancora i toni e le idee antisemite patristiche. Fu sincero cambiamento? Ai posteri l’ardua sentenza. Chi leggerà la suddetta mia seconda monografia bensoniana, nel finale di essa, potrà capire quali e quanti possano essere i dubbi e le perplessità riguardanti diciotto secoli di antigiudaismo della Chiesa interrotti solo nella seconda metà del ’900: al momento non stiamo nemmeno 18 a 1. Chi ci garantisce che andando avanti il giudicato “errore” dell’antisemitismo cristiano non possa avere una rinascita alla luce della sua monumentale vita? Per ora la memoria della Shoah rappresenta un giusto e valido memento. Però credo altresì che non approfondire meglio la materia, e da parte dei più rimanere circoscritti a una conoscenza parziale e non interessarsi di quello che è stato il primordiale antisemitismo spiritualista, possano alla lunga essere fonti di imprevisti problemi. Perché se da un lato il razzismo pseudobiologico viene opportunamente messo all’indice, quello spiritualista, oggigiorno molto meno diffuso del primo, dall’altro gode, bene o male, del beneficio dell’ignoranza. E io reputo che quei diciotto secoli non meritino di essere accantonati, bensì vadano ricordati e studiati nella loro potenza gestatoria, secondo la mia maniera di valutare le dinamiche, di quell’atto tragico e inumano che è stato la Shoah. Io penso che senza antigiudaismo cristiano non ci sarebbe mai stato un antiebraismo pseudobiologico, e che dunque senza radici del genere forse la Storia, non solo novecentesca, potrebbe essere stata più serena e più libera. La mia idea potrebbe sembrare ucronica, ma resta comunque un giudizio storiografico che ho chiarito. La migliore conoscenza dei fatti storici potrà garantire alle generazioni future e presenti la migliore sicurezza di non cadere di nuovo nella barbarie: conoscere in modo critico può rendere il mondo un posto più giusto e lecitamente libero; parzialità, distorsione, oblio, giocano a sfavore di una sana società e del benessere globale.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Studi illuministi”
https://www.academia.edu/122120564/Studi_illuministi
 
1 Si vedano dentro ai miei lavori indicati le parti pertinenti: nella mia pubblicazione Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023) da pag. 17; la sezione intitolata Nevrosi e irrazionalismo in Agostino d’Ippona nel mio saggio Teologia analitica (2020).
https://danilocaruso.blogspot.com/2023/09/oscurantismo-e-irrazionalismo-del_12.html
http://danilocaruso.blogspot.com/2020/07/nevrosi-e-irrazionalismo-in-agostino.html
 
 
2 Indico, al fine dell’approfondimento, dei miei studi: Ermeneutica religiosa weiliana (2013); il mio testo intitolato Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi all’interno della mia opera Considerazioni letterarie (2014); gli studi recanti i titoli L’acqua e il dio biblico e Sul biblico “Cantico dei cantici” e su Gn 1,1 presenti rispettivamente dentro le mie opere Teologia analitica (2020) e Radici occidentali (2021); gli altri due testi intitolati Dall’inno stoico a Zeus di Cleante alla fondazione del Cristianesimo e Dalle parole di Gesù Cristo a quelle di Pauline Harmange contenuti nel mio saggio Prospettive rinnovate (2023).
https://www.academia.edu/6280171/Ermeneutica_religiosa_weiliana
https://danilocaruso.blogspot.com/2014/06/antropogonia-e-androginia-nel-simposio.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2020/03/lacqua-e-il-dio-biblico.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2021/08/sul-biblico-cantico-dei-cantici-e-su-gn.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dallinno-stoico-zeus-di-cleante-alla.html
https://danilocaruso.blogspot.com/2023/08/dalle-parole-di-gesu-cristo-quelle-di.html
 
3 Nella mia monografia citata nella nota 1, da pag. 28.
https://www.academia.edu/106504462/Oscurantismo_e_irrazionalismo_del_Cristianesimo_in_Tertulliano
 
4 Circa una passata inclinazione antigiudaica de La Civiltà Cattolica centrali le ricerche di Gadi Luzzatto Voghera, direttore del CDEC e autore di varie pubblicazioni storiche sull’antisemitismo. Sul tema indico un suo saggio: Aspetti di antisemitismo nella “Civiltà Cattolica” dal 1881 al 1903, presente sulla rivista “Bailamme”, nel num. 2 – dicembre 1987, alle pagg. 125-138. Utile reputo qua segnalazione, dacché rilevante e pertinente in ugual misura, di un altro saggio, di Annalisa Di Fant: Stampa cattolica italiana e antisemitismo alla fine dell’Ottocento in Les racines chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin XIXe-XXe siècle) [Collection de l'École Française de Rome – 306 (2003)], alle pagg. 121-136.
 
5 Per esempio, Der Talmudjude (1871), opera del sacerdote e intellettuale antisemita cattolico tedesco August Rohling (1839-1931), fu considerato un testo iconico dai sostenitori dell’antigiudaismo. Apprezzato dai nazisti, attacca in particolar modo il Talmud, con argomentazioni simili a quelle qui rilevabili negli articoli menzionati de La Civiltà Cattolica.
 
6 A proposito del periodo intermedio antiebraico e oltre, in funzione di exempla di ampliamento dell’orizzonte, voglio segnalare tre lavori. Uno di Boleslao Lewin: La Inquisición en Hispanoamérica / Judíos, Protestantes y Patriotas (1962).  Un altro è: Le radici storiche dell’antisemitismo [a cura di Marina Caffiero (2009)], contenente contributi di autori vari. L’ultimo, mio, nella mia pubblicazione Studi illuministi (2024): Elementi di antisemitismo nella “Divina Commedia”.
https://danilocaruso.blogspot.com/2024/07/elementi-di-antisemitismo-nella-divina.html
 
7 Da Robert Hugh Benson a George Orwell (2024).
https://www.academia.edu/120529286/Da_Robert_Hugh_Benson_a_George_Orwell
 
8 Il caso di questo romanzo può essere approfondito grazie a una mia analisi: La distopica e criptica nazimisoginia di Katharine Burdekin presente nella mia pubblicazione Ritorno critico (2024).
https://danilocaruso.blogspot.com/2024/05/la-distopica-e-criptica-nazimisoginia.html

MISANTROPIA DEL CRISTIANESIMO

di DANILO CARUSO
 
La patristica cristiana è stata anche una tribuna da cui furono avanzate idee estremistiche di cui oggigiorno non si parla pressoché più dopo la scomparsa dell’avito ferreo tallone dottrinale e propagandistico. In seguito alla svolta conciliare postbellica la Chiesa ha lasciato scivolare nell’ombra, sull’ignoranza della massa (non avvezza a leggere, studiare, approfondire riguardo alla sostanza, presente e passata, di quel mondo in cui nonostante tutto vive), la globalità del suo precedente essere. Cosicché gli ingenui, i meno documentati, non conoscono bene la storia e il pensiero del Cristianesimo da poco prima di loro, a ritroso, sino alle origini. Simile lacuna induce a credere che l’affabile positiva Chiesa della nostra epoca sia stata quella di sempre, cosa che la Storia contraddice in pieno. Il Cristianesimo antico-medievale e quello moderno (nelle sue sfaccettate dominanti componenti) hanno condizionato la vita umana nell’Occidente con un peso negativo, di cui la Società occidentale ha incominciato a liberarsi con efficacia maggiore nel tempo grazie all’Illuminismo. La misoginia, l’antisemitismo, l’omofobia, l’illiberalismo passati della Chiesa cattolica, ignoti a molti, poiché non si interessano di una conoscenza puntuale dei fatti, non costituivano l’anticamera dell’era di consumistici panettoni e colombe, o di festosi ritrovi di fedeli cattolici (cose ora ovviamente apprezzabili). Quel che c’era prima ha rappresentato a lungo, come sostenuto a ragione da Simone Weil, un regime di gestione totalitario dei popoli controllati dal Cattolicesimo. La cui pervasività è scemata sempre meglio a partire dall’epoca illuministica, preceduta in alcuni circoscritti spazi da forme liberali del Protestantesimo, forme poi perfezionate dall’Illuminismo. Nella mia attività di studioso mi sono preso il pensiero di andare a leggere alcuni di quei testi patristici nella nostra era ormai improponibili ai credenti. Mi sono soffermato dunque ad esempio sull’antisemitismo di Tertulliano, Agostino d’Ippona, Giovanni Crisostomo. Ho esaminato altri temi nei miei vari scritti (misoginia, omofobia, tanatolatria, antiedonismo, illiberalismo), i quali hanno peraltro considerato l’intero periodo di esistenza del Cristianesimo rilevandone significativi campioni d’analisi. Nella mia ricerca di esemplari distopici dettagli da riproporre all’attenzione critica, nel presente lavoro ho scelto due autori: Girolamo, canonizzato, Padre e Dottore della Chiesa (347-420); e Ambrogio vescovo di Milano (339 ca - 397), parimenti possessore degli attributi del primo. In questa sede di loro due ho scelto un’opera a testa nella trattazione di aspetti di misantropia nel Cristianesimo. In simile argomento potrebbe rientrare la tanatolatria cristiana, di cui ho parlato a parte, trattandosi di una materia specifica e nevralgica1. Là ho fatto notare la radicale e strutturale avversione della Patristica alla dimensione corporea dell’individuo umano, ricordando la guisa in cui tale inclinazione di giudizio non possa non essere valutata patologica. Tant’è che ha provocato fenomeni di anoressia. In relazione all’argomento dell’alimentazione e del digiuno ho reputato utile analizzare la pertinente sezione dell’“Adversus Jovianum” di Girolamo, giacché il promuovere una forma di denutrizione a me sembra misantropico e contiguo alla vocazione tanatolatrica di cui accennato sopra. Non nutrirsi a dovere rappresentava un punto programmatico del Cristianesimo originario, punto di cui verrò a dire grazie alle parole del suddetto santo. Quando egli inizia ad affrontare la materia ci proclama subito il suo obiettivo: «Doceam [...] Deo grata jejunia, et acceptabilem continentiam». Tengo a chiarire da subito un dettaglio. Questo Padre della Chiesa promuove forme di digiuno non perché sta spiegando che un’alimentazione eccessiva e inappropriata sia nociva alla salute umana. Il taglio del suo discorso non risulta affatto medico. Egli mira a una mortificazione del corpo, seguendo in merito la linea cristiana. Non suggerisce di non ingozzarsi dacché l’abuso fa male alla salute. Il suo discorso è completamente diverso, perciò andarlo a sovrapporre con uno schema di cautela sanitaria fisiologica si rivela non corretto. Il Dottore della Chiesa si cura della salute dell’anima, a scapito del corpo, nemico di questa. Con spirito paolino costui afferma: «Cupio dissolvi, et esse cum Christo». Altro che “mens sana in corpore sano”! Girolamo non ci dice di morire di inedia, ma neanche di essere atletici e rigogliosi: «Si vis perfectus esse, bonum est vinum non bibere, et carnem non manducare. Si vis perfectus esse, melius est saginare animam, quam corpus». Non ha appena sostenuto la pericolosità dell’eccesso, della qual cosa non ha qui messo in guardia con parametri medici. Ha proprio affermato il bisogno cristiano di mantenere il corpo indebolito: «Esus carnium, et potus vini, ventrisque saturitas, seminarium libidinis est». Ha ribaltato un ideale antico celebrante l’estetica (pensiamo alla statuaria greca) e l’agonismo sportivo: «Si Circensibus quispiam delectetur, si athletarum certamine, si mobilitate histrionum, si formis mulierum [...] per oculorum fenestras animae capta libertas est». Idee (assurde) del genere tradotte oggi equivarrebbero a richieste di soppressione di ogni competizione dello sport e a una disapprovazione della cura dell’aspetto femminile. Lui non ci sta affatto parlando di “donna oggetto”, ci sta parlando della “porta dell’inferno”. Uno che oggi volesse le donne alla stregua di quelle di “Swastika Night”2, e che pretendesse la cancellazione dei campionati di calcio, pallavolo, pallacanestro, femminili e maschili, per fare piccoli esempi, sarebbe ritenuto pazzo. Eppure il neonato Cristianesimo si è dato un DNA antisportivo (rammentiamoci di Tertulliano3). I Cristiani hanno visto nei cinque sensi degli impietosi carcerieri sempre e comunque: per coloro che hanno mantenuto un simile metro non sono esistiti un sano accettabile mondo della lecita competizione agonistica, né la possibilità di concepire il corpo femminile alla maniera greco-antica (ancora una volta ricordiamoci di quella statuaria). Molto dopo “La Madonna del latte in trono col Bambino” di Jean Fouquet non rappresenterà un’opera d’arte cristiana, bensì capitalistica4. Se in assoluto, mediante la psicanalisi freudiana, possiamo accettare che «ciborum aviditas» sia «avaritiae mater», nella pertinenza del testo un tale spunto subirebbe un rigetto, giacché il patrocinio della magrezza cristiana, da qua, tutt’al più, andrebbe a fermarsi alla lupa dantesca e alle sante anoressiche. Che il ragionamento di questo Padre della Chiesa sia ascientifico e viziato in toto da nevrosi è chiaro da quanto sostiene: «Tactus [...] alienorum corporum, et feminarum ardentior appetitus, vicinus insaniae est».Deve rimanere accesa una sola lampada: «de Deo cogitatio». Non deve sopravvivere una nostalgia edonistica. Vengono apprezzati da Girolamo i filosofi che fuggono dal benessere e dalle gratificazioni urbane per appartarsi, e condanna d’altro canto, richiamandosi al magistero paolino, le donne che usufruiscono degli svaghi. V’è un giudizio del dottore della Chiesa ambiguo: «morbi ex saturitate nimia concitantur». È vero che l’eccesso di cibo può far male all’organismo e cagionare disturbi patologici, però rimane altresì evidente che la saturitas nimia di Girolamo costituisce un livello di quantità e qualità alimentari iniziante troppo presto, idest l’abuso per lui incomincia quando ancora siamo nel perimetro della giusta alimentazione. Costui esige un grado di denutrizione allo scopo di non glorificare l’orribile corpo, veicolo e strada del peccato. Mortificazione e indebolimento corporei, questi sono gli ideali del Cristianesimo. Come non doveva crollare l’Impero romano cristiano in balia di siffatte idee guida (non ultime quelle altre sessuofobiche, causa di un micidiale calo demografico)? Lampante che barbari numerosi e ben nutriti avessero la meglio. Ma torniamo a queste ultime parole del Padre della Chiesa, dacché, subito dopo, mette in guardia i golosi. Ha ragione ad affermare che occorre mangiare e bere al fine di dar seguito ai bisogni di approvvigionamento energetico del corpo; però, perché sopprimere a priori, sulla base di una teologia estremistica, i manicaretti? In giusta quantità una sana pietanza ricercata non fa male a nessuno. La giustizia sociale deve garantire semmai l’accesso di tutti a esse. Sconcertanti si mostrano alcuni pensieri espressi da Girolamo in questo suo testo all’esame: «Qui aegrotat, non aliter recipit sanitatem, nisi tenui cibo et castigato victu, quae λεπτὴ δίαιτα [dieta scarsa] dicitur. [...] Christiano sanitas absque viribus nimiis necessaria est. [...]. Nihil [...] obruit animum, ut plenus venter». Ne avevo anticipato i contenuti in alcuni passaggi sopra, però adesso abbiamo potuto vedere nelle sue testuali parole le aberrazioni: un ammalato va curato con un vitto frugale e contenuto; un cristiano non deve avere un vigore (fisico) eccessivo; stare a stomaco pieno è motivo di oppressione per la mente. Qui non si sta censurando l’eccesso, qua si censura il normale benessere della persona (cui ciascuno ha diritto), a vantaggio di un misantropico e filotanatolatrico obiettivo: mortificare il corpo umano alla volta della sua distruzione. Le torture e i roghi del Cristianesimo, a mio avviso, possiedono radice sadica nei propositori, compiaciuti, a modo loro, di eseguire la volontà e i desideri di un Dio che odia la corporeità umana (stando ai proclami originari cristiani). D’altro lato troviamo i masochisti digiunatori e autopunitori, posti sull’identica gamma dei precedenti, ma con polarità invertita (inversione oggettiva). Ci sono stati, secondo il mio modesto punto di vista, santi appartenenti a questa seconda categoria, bisognosi, al pari dei primi, di assistenza qualificata allora inesistente. Chi non ha voluto mangiare, chi ha rifiutato le cure, chi si è fatto del male fisico da sé ha avuto purtroppo gravissimi problemi mentali. Questi soggetti non costituiscono un modello da imitare. Girolamo, invece, ci fa l’apologia del digiuno religioso, continuando il suo dire, attraverso un’articolata serie di esempi biblici provenienti dall’Antico e dal Nuovo testamento. Alcuni mi sembrano un po’ forzati. In ogni caso quest’idea di digiunare, non dietro motivazioni sanitarie, non appare buona. In qualche maniera se ne rende conto pure il Dottore della Chiesa, consapevole del fatto che, se si propagandasse con successo una rinunzia più o meno assoluta all’alimentazione, in teoria, la Cristianità terrena scomparirebbe in breve, trasferendosi stabilmente tuttavia in paradiso. Preferendo cristiani che riescano a reggersi ancora in piedi, egli disapprova gli eretici auspicanti un regime alimentare in pratica suicida. De facto sembra ambire a simboli ambulanti di propaganda cristiana: «Maciem saginae, abstinentiam luxuriae, jejunia praeferimus saturitati». L’uomo macilento è stato il tipo ideale del Cristianesimo delle origini. Il mito del digiuno di Gesù durato quaranta giorni contribuì non poco, in aggiunta al resto, a suggestionare nel corso dei secoli, personalità di equilibrio mentale precario. Non nutrirsi secondo una consona misura rappresenta un attentato alla propria salute, e nelle circostanze in cui ciò si è verificato tra i fedeli cristiani io reputo opportuno l’intervento dell’investigazione psicanalitica allo scopo di comprendere la guisa in cui un essere umano possa andare “contro Natura” mettendo a rischio il suo benessere col suo personale concorso. Già il Cristianesimo paolino ha coscienza dell’impossibilità di imporre in maniera universale il “macilento”, pertanto lascia un’ambigua libertà: chi mangia si sazia, chi digiuna sprona gli altri a imitarlo. A tal proposito Girolamo ripete che «Quomodo nuptiis virginitatem, ita saturitati et carnibus jejunium spiritumque praeferimus. [...] Neque enim ventris esuries accepta est Deo». La seconda opera presa in oggetto nella seconda metà della mia analisi è l’“Exhortatio virginitatis” di Ambrogio vescovo di Milano, un testo il quale non risulta l’unico di questo Padre della Chiesa dedicato al tema. L’“Exhortatio virginitatis” è l’ultimo in ordine cronologico di vari altri. Quale premessa generale alla specificità dell’argomento il Dottore della Chiesa non omette di puntualizzare i confini del suo campo d’azione ideologico: «Nulla major est dignitas quam servire Christo». E tutto quello che seguirà deriva da simile spirito di servizio. Nel suo scritto Ambrogio inserisce una protagonista narrante: la vedova di un martire cristiano e madre di quattro figli (tra cui un maschio). Una sorta di Diotima sui generis, la quale pretende di insegnare i pregi della sessuofobia, con spunti, fra l’altro, di misoginia, ai propri figli. In apertura dell’esposizione si mostra significativo il richiamo all’antifemminismo di Prv 31,1-3. Ma, mentre il Vecchio Testamento non si mostra sessuofobico, invece misogino, l’“Exhortatio virginitatis” rappresenta un manifesto sessuofobico patristico. Al pari dell’altro discorso sull’alimentazione le primordiali istruzioni paoline sono analoghe e chiare: non si può comandare l’astinenza sessuale universale, tuttavia si può promuoverla in modo tale che gli exempla ambulanti attraggano gli altri restii. Un esplicito comandamento di rinunzia erga omnes comporterebbe oltre all’estensione dei cristiani la problematica di un teorico annientamento globale dell’umanità con un Cristianesimo religio globalizzante. Perciò pure qua si è lasciata ambigua libertà al fedele: qui coit coit, et qui non coit multo melius. Tale il succo di un passaggio (la frase in latino è mia) dello scritto in esame. In questa parte dell’“Exhortatio virginitatis” arriva un suggerimento aberrante sulla scia di Mt 19,10-13. Nel Vangelo di Matteo davanti alla sconvenienza del matrimonio per un uomo evidenziata dai suoi discepoli, Gesù si è espresso un po’ cripticamente spiegando che ci sono tre tipi di eunuchi (vale a dire di “evirati”: ευνοῦχοι): quelli per nascita; quelli che hanno subito l’evirazione; e gli «εὐνοῦχοι οἵτινες εὐνούχισαν ἑαυτοὺς διὰ τὴν βασιλείαν τῶν οὐρανῶν [nella Vulgata: “
eunuchi qui se ipsos castraverunt propter regnum caelorum”]». Il Messia fa intendere nelle sue parole, non così tanto oscure, che un buon cristiano maschio è colui il quale si evira in maniera volontaria. Che il senso del suo discorso sia questo viene confermato da Ambrogio dal canto suo nella sua sconcertante opera dove stavolta in latino questo pensiero viene ricalcato e riproposto. La madre narratrice prima dice: «Hanc igitur tentationem tantarum necessitatum, si vultis, filii, vitare, integritas corporis expetenda vobis est». Poi rammenta che «dixisse Dominum spadonibus: [...] Meliorem, inquit, locum vobis dabo, spadonibus dicit; his videlicet, qui se resecta genitali parte absciderint». L’“Exhortatio virginitatis” lancia dunque un appello non molto velato ai volenterosi “illuminati” cristiani («quibus divina refulsit gratia») «ut castrare se possint, quo regnum coelorum adipiscantur». Il termine latino “spado” (dal greco antico σπάδον), indica il soggetto evirato, l’eunuco. Ambrogio appare chiarissimo nel riprendere le parole di Gesù: senza membrum virile (“resecta genitalis pars”), tagliato con convinzione all’uopo, si raggiunge (“adipisci”) più speditamente (in virtù di ciò: «... quo...») il paradiso (“regnum coelorum”). Dal Vangelo alla Patristica rileviamo un’aberrante proposizione e patologica “contro Natura”. Promuovere e attuare simili gravi atti di autolesionismo possiedono nella fattispecie una duplice radice. La prima è quella sessuofobico-paolina già messa in luce. Il Dottore della Chiesa si è però qua riallacciato in funzione di un’apologia dell’astinenza sessuale (praticata anche con metodi radicali) a parole del Messia e non di Paolo di Tarso. Quantunque la sostanza finale in ambo le radici sia la medesima (l’impossibilità del congresso carnale) in Gesù che parla di eunuchi potrebbe mostrarsi l’ascendenza osiriaca. In passato ho ricordato le somiglianze fra le figure del Messia e di Osiride5. Qui rammento che dell’ultimo, ucciso e fatto a pezzi, non si ritrovò il membrum virile (il quale nel Vangelo ritorna nella veste di stella dei Magi). Secondo me il perizoma del Cristo crocifisso allude all’assenza osiriaca del membrum virile. Dal momento che il risultare evirato sembra essere una condizione di optimum divino, non escludo che nel discorso di Gesù la sessuofobia non sia il movente ideologico, bensì il prodotto di un’altra impostazione di pensiero religioso, e che l’evirazione non voglia in primis causare un impedimento stabile, ma produrre una condizione di analogia col divino. Sono del parere che un tale ragionamento, se effettivo nella realtà, sia sfuggito ai Padri della Chiesa, i quali hanno invece puntato in modo diretto sulla sessuofobia, in funzione di concezione basilare, e non in quanto conseguenza ideologica (nel primo campo troviamo la teologia paolina, nel secondo quella cristico-osiriaca). Resta il fatto comunque che il Cristianesimo alla fine elogi qualcosa di patologico, a prescindere dalle matrici: evirarsi è roba da insani di mente e “contro Natura”. Gesù e Ambrogio non hanno parlato in una forma figurata, né tanto meno hanno disapprovato l’autolesionismo, rimasto fissato quale opzione a beneficio degli “ottimi” cristiani (i modelli, da imitare). La madre narratrice dell’“Exhortatio virginitatis” riprende il suo apologo chiarendo che in paradiso gli angeli sono estranei al terreno regime coniugale: un fedele che non si è voluto sposare si rivela simile a un angelo, giacché ha rifiutato le inquietanti pulsioni libidiche allo scopo di concentrarsi del tutto sulle cose divine. Il matrimonio costituisce un mondo di problemi, dove la donna riceve un destino di subordinazione (ritenuto peraltro a lungo naturale nel Cristianesimo): «conjugium vinculum est, quo alligatur viro nupta, et ei in subjectionem astringitur». Il Dottore della Chiesa ha appena indicato la “donna oggetto” del Cristianesimo: da tiranneggiare ad libitum, da poter torturare e pure ammazzare (il femminicidio di Ipazia di Alessandria, ridotta a brandelli bruciati, risale ai tempi di Ambrogio). Nella teologia paolina un coniuge rappresenta un ostacolo tra sé e Cristo: la strada la quale porta a costui è lastricata di astinenza sessuale. La Natura di solito insegna la riproduzione e la cura della specie (l’omosessualità costituisce una via lecita, e quanto puntualizzerò subito viene riferito solo al Cristianesimo), un ragionamento contrario elevato a sommo ideale, a scapito del resto, mi pare nevrotico e “contro Natura”6. L’ideale è una ordinata prosecuzione del genere umano, non la sua laconizzazione. Questa madre esortante i figli a non unirsi in matrimonio evoca il caso teologico della Vergine Maria madre del Redentore. Di come sia stata distorta in merito la semantica ebraica nell’Antico Testamento, passando dalla voltura in greco antico, ho detto e spiegato in una mia monografia, cui rinvio7. Qua puntualizzo solo che l’Ebraismo non ha mai prefigurato il miracoloso parto di una vergine per compenetrazione. Trattasi di una pura invenzione teologica cristiana, a fini sessuofobici, agevolata dalla traduzione del “Tanak” da parte dei Settanta. Tant’è che Ambrogio si erge a difensore dell’imene: «Intemerata permaneant castitatis signacula. Hunc hortum animae vestrae, hunc fontem servate puri liquoris, ut eum in vobis nemo perturbet, nemo designet, quem genitalis in vobis origo signavit. [...] Quid tam verum, quam intemerata virginitas, quae signaculum pudoris et claustrum integritatis genitate custodit? At vero cum usu conjugii juvencula defloratur, amittit quod suum est, quando ei miscetur alienum. Illud enim verum quod nascimur, non in quod mutamur: quod a Creatore accepimus, non quod de contubernio assumpsimus». Agli occhi del Padre della Chiesa una donna deflorata perderebbe una sorta di sigillo di garanzia divino: niente di più assurdo sotto qualsiasi profilo (la castità semmai costituisce una libera scelta individuale de qua non est disputandum). L’esortatrice impazzita Diotima auspica che «liquore gratiae spiritalis corporei vaporis incendia temperentur». Davanti ad Ambrogio rimane valido qualcosa che lui chiama “bonum conjugium”: una unione coniugale i cui congressi carnali, finalizzati alla procreazione, siano compiuti col trasporto da mettersi nell’accendere la luce in una stanza. Ma anche qui a causa di Adamo ed Eva c’è di che vergognarsi. Pure qua i cristiani hanno distorto il “Tanak”, il quale si mostra sì misogino, però non sessuofobico, al contrario della nuova religio8. In mezzo a questo mosaico di nevrotiche esagerazioni del neonato Cristianesimo, nell’“Exhortatio virginitatis” il Dottore della Chiesa trova l’occasione incidentale di inserire una tessera antisemita, e rammenta coloro, «in populo Judaeorum, qui nolunt Christum Jesum Deum Dei Filium confiteri». Perché gli Ebrei dovrebbero credere nel Messia neotestamentario? Il Cristianesimo è sorto nevrotico, totalitario e illiberale. Tutto questo obliato mondo dall’odierno Cattolicesimo connotato da allegria festiva, seguente Pio XII e il Concilio Vaticano II, è stato in mirabile guisa trasposto in “1984” di George Orwell: un romanzo distopico il quale nella mia lettura weiliana si riconferma un monito universale molto attinente a tutta la Storia dell’Occidente9. Non metto in dubbio che il Cristianesimo ha fatto anche cose buone, tuttavia costituisce un limite il non curare la diffusa conoscenza precisa dei suoi vecchi lati negativi, i quali hanno promosso crimini (contro l’umanità, giacché estesi su ampie aree, prolungati nel tempo, e rilevanti per qualità e quantità sui valori demografici delle varie epoche: persecuzioni, torture, uccisioni di streghe, omosessuali, eretici, Giudei, intellettuali non allineati, non cristiani vari). L’apprendimento storico rappresenta una componente centrale nella crescita dell’Umanità, affinché non si ripetano gli errori passati. Dobbiamo evitare di concludere, con Aldous Huxley (scrittore di enorme spessore), che gli insegnamenti della Storia insegnano che gli insegnamenti della Storia non insegnano niente a nessuno. Forse, se studiamo bene, con serietà, onestà intellettuale, attenzione, possiamo riuscire a trarre fuori e a imparare la lezione giusta. L’ignoranza consente ai mostri di risorgere. Da qui la mia attività di studioso, perché del mondo che lasceremo alle generazioni future si faranno analisi, e i responsabili di una realtà la quale potrebbe andare allo sbando non saranno apprezzati. La Storia ci giudicherà, come del resto noi facciamo con i nostri predecessori. A mio avviso, dobbiamo riscoprire lo spirito della filosofia greca antica, quella capacità critica incruenta di dialettica e di crescita del pensiero che il violento Cristianesimo preilluministico ha assai indebolita. Sulle orme di Simone Weil, e parallelamente (nella mia lettura) di Orwell, concludo che la Patristica cristiana ha edificato l’ideologia della Madre di tutti i totalitarismi moderni, vale a dire della Chiesa. Che una Società occidentale oppressa o condizionata dalla religio christiana in maniera molto nociva non esista più da tempo non significa che dobbiamo ignorarla, poiché ciò che non abbiamo imparato a riconoscere può tornare dalle oscurità del passato. Dobbiamo difendere la Civiltà umana, in ogni suo singolo componente. Il benessere dell’Umanità passa dallo Studio e dalle Scienze, con una guida razionale della Filosofia. Nel consorzio sociale una parte la quale mira a imporre se stessa sull’intero perpetra un illecito. Tale la colpa del Cristianesimo: aver distrutto un pluralismo intellettuale e religioso incruento, aver introdotto nella cultura occidentale un efficiente modello politico-religioso totalitario. Riprendo il filo dell’“Exhortatio virginitatis” con brani dove si parla di vergini e vedove: «Non solum virgo, sed etiam mulier innupta cogitat quae sunt Domini. [...] Nupta enim quaerit viro suo placere, innupta autem Christo. Illa mundi, haec Christi possessio». Notiamo sempre una radicale dicotomia corporeità/spiritualità, dove la seconda annulla la prima e tutta la dimensione fisiologica. Ambrogio dà a tutti coloro desiderosi di reprimere l’attrazione sessuale questo consiglio: «Mortificate membra vestra tympani modo». Autopunitevi come se foste un tamburo: questo l’aberrante suggerimento del santo, istigante all’autolesionismo. Cosicché la pulsione libidica sarebbe annichilita. La meta: «inter mortuas corporis voluptates solus spiritus resultare». Morendo, in senso spirituale, figurato, al peccato si può conseguirla: «Vivetis Deo [...] si non regnet in corpore vestro mortuo ulla concupiscentia». Il problema del Cristianesimo, sia nei masochisti che nei sadici, è stato però che il confine fra vita e morte, tra figurato e letterale, si è mostrato molto sottile, ambiguo, e attraversato da una fascia di violenza concreta. La mortificazione cristiana del corpo si è rivelata un fenomeno patologico aberrante il quale non ha escluso gravi forme di autopunizione (pensiamo ad esempio a tutti quei masochisti partecipanti alla Passione di Cristo), torture e uccisioni (generalmente mediante quel rogo disintegrante il corpo, la casa del peccato). L’impresentabile della Patristica, il quale è organico al Cristianesimo, e non dottrina mal assimilata, non lascia spazio a una lettura diversa da quella diretta e contestualizzante, non lascia spazio a una lettura ammorbidente e dolcificante grazie al concetto di “figurato”. L’“Exhortatio virginitatis” rimane un testo esplicito e chiaro. In esso si elogia e si apprezza la figlia di Iefte la quale accetta di essere sacrificata al Dio biblico dal padre in seguito a una di lui promessa mirante a ottenere il favore divino: «Egregia sane femina, quae sibi nihil reliquit: totum quod habuit, Deo obtulit; cujus vita institutio disciplinae est». Le donne, poi, per il Dottore della Chiesa non dovrebbero badare molto, guardando gli uomini, all’estetica esteriore bensì di più e meglio alla ricchezza interiore: «Non implicatu capillorum, sicut Petrus docuit, neque in tortis crinibus, aut auro et margaritis, vel veste pretiosa, ut Paulus asseruit: sed magis interioris hominis ornamenta feminis requirenda; quoniam ille absconditus cordis homo, qui est pauper saeculo, ipse est locuples Deo». Un pensiero che, estratto e spogliato della sua valenza religiosa, trovo condivisibile: non rappresentano abbigliamento e capelli alla moda valori di primo piano, ma serietà, saggezza, conoscenza. L’esagerazione della vuota forma non fa l’homo e neanche il vir. Se infine pensiamo che il Cristianesimo predilige gli evirati, capiamo che qua si passa dalla padella alla brace. Il testo di Ambrogio in esame costituisce pure un piccolo campionario di assurdità antifemministe: «Indecorum est virgines loqui, et varios serere sermones!». Si chiede alle vergini di ridursi a prefiche quotidiane allo scopo di scacciare il buonumore e l’allegria: «Ne ipsam quidem liberiorem laetitiam in virginibus decet esse. Quae si non habent quod fleant, fleant saeculum, fleant lapsus peccantium; etenim quae aliorum lapsus fleverit, suos cavebit. Fleant postremo vel illa contemplatione, ut hic flentes, illic accipiant consolationem». Se idee del genere possono lasciare senza parole gli sprovveduti fedeli di oggi, abituati a una versione 3.0 del Cristianesimo (la 2.0 nella mia visione storica, va dal Concilio Vaticano II al canonizzato Paolo VI, esponente di una Chiesa avversa alle leggi su divorzio civile e aborto sanitario), l’ultima parte dell’“Exhortatio virginitatis” potrebbe in maniera ulteriore frastornare chi è abituato agli odierni aspetti festaioli cristiani, ben venuti e graditi, dove tutti quei vecchi dettagli dottrinali sono scomparsi a beneficio di altre piccole argomentazione di tono sensato e accettabile (peccato che non sia sempre stato così, e difetto è che simile “così” i più proiettano con ignoranza sul passato). Gravissima e pericolosissima quest’affermazione del santo: «Nec infirmitatem ex jejunio et abstinentia reformides; infirmitas enim gravis sobriam facit animam». Lui ha proclamato che non si dovrebbero temere le conseguenze invalidanti del digiuno dal momento che una pesante mancanza di forze rende l’anima sobria. Ciò rappresenta la promozione della patologia anoressica, un folle invito a rifiutare il cibo all’esplicito fine di stare male per mortificare il corpo: irrazionalismo aberrante. Sulla stessa linea si colloca l’esempio apologetico riportato dal Padre della Chiesa di santa Sotera, vergine e martire. La quale, vissuta quasi un secolo prima di lui, fu uccisa dai Romani (femminicidio ovviamente da disapprovare) poiché aveva rifiutato di osservare i pubblici riti pagani: io penso che farsi ammazzare per questioni di aria fritta non è da persone intelligenti, ed è “contro Natura”. Al di là del martirio in sé Ambrogio si compiace del fatto che la giovane si sia fatta sfigurare a colpi in viso (bisogna comunque valutare quanto nelle agiografie cristiane corrisponda a verità: per me v’è di inventato a scopi propagandistici, spronanti al proselitismo e all’imitazione): «[Ea] gaudebat enim dispendio pulchritudinis periculum integritatis auferri». Reputo un simile exemplum apologetico negativo nei riguardi soprattutto dei soggetti inclini a forme nevrotiche e di autolesionismo (vedasi ad esempio santa Caterina da Siena, nel 1970 proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, seconda donna in assoluto dopo santa Teresa d’Avila insignita sempre lo stesso anno). È la teologia evangelica paolina a discriminare le donne (ad esempio in 1 Tm 2,8-15), ed è Ambrogio a continuare la cosa in un contesto di spiegazione religiosa. Non possiamo condividere tutti questi insani pensieri, giacché viziati per irrazionalismo nevrotico; non possiamo gettarli nel dimenticatoio dacché studiarli ci insegna cosa non fare e come non sbagliare.
 
 
NOTE
 
Questo scritto fa parte del mio saggio intitolato “Studi illuministi”
 
1 Si veda nella mia monografia Studi illuministi (2024) la sezione recante il titolo Tanatolatria del Cristianesimo in Ambrogio vescovo di Milano.
 
2 Per approfondire suggerisco un mio scritto: La distopica e criptica nazimisoginia di Katharine Burdekin, nel mio saggio Ritorno critico (2024).
 
3 In vista di un approfondimento indico una mia monografia: Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano (2023).
 
4 Si veda al riguardo un mio studio: La Madonna “pneumatica” e Lenina Crowne, contenuto dentro la mia pubblicazione intitolata Note di studio (2016).
 
5 Vedasi il mio scritto recante il titolo Iside e Osiride, Cristo e la Madonna contenuto nel mio saggio Note di studio (2016).
[nel seguente link è il segmento 2.3]
 
6 Condanno con fermezza l’omofobia. E a tal riguardo invito a leggere un mio studio: Eros e la libido junghiana nel “Simposio”, nella mia pubblicazione intitolata Note di critica (2017).
Non voglio essere frainteso neanche sulla questione dei figli. Ribadisco che non mi sto riferendo ai gay, ma ai cristiani nel parlare di nevrosi “contro Natura”. Tengo a sottolinearlo perché non sono tanto favorevole a maternità surrogate e a adozioni di bambini nelle coppie omosex. Chiarisco in un mio scritto il punto di vista: Ragionamento sopra le adozioni gay, presente nella mia opera Note umanistiche (2020).
Mi dispiacerebbe moltissimo se si prendesse questo schema analitico applicato al vecchio Cristianesimo per applicarlo agli omosessuali e attribuirmi idee le quali né possiedo né ho mai sostenuto. Chi leggerà i due miei testi suggeriti potrà vedere che giudico l’omosessualità così normale e accettabile da ritenerla una prova dell’esistenza pregressa dell’anima, e che per una motivazione filosofico-biologica valuto maternità surrogate e adozioni su citate non conformi al diritto naturale. Tuttavia, nel momento in cui una Legge dello Stato le consentisse non me ne farei affatto un problema, dacché prendersi cura di qualcuno non rappresenta un crimen. Crimina sono altre cose. Da junghiano credo che in materia di prole il modello biologico di famiglia abbia una “predilezione naturale”, però non giudico criminale il modello di famiglia omogenitoriale. Il mio orientamento è liberal-progressista, non sono un oscurantista.
 
7 Oscurantismo e irrazionalismo del Cristianesimo in Tertulliano, alle pagg. 20-21.
 
8 Per approfondire sopra la vicenda dell’Eden consiglio di leggere questo mio studio all’interno del mio saggio Considerazioni letterarie (2014): Antropogonia e androginia nel Simposio e nella Genesi.
 
9 In vista dell’approfondimento suggerisco due mie monografie: Il Medioevo futuro di George Orwell (2015), Da Robert Hugh Benson a George Orwell (2024).