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giovedì 25 luglio 2013

LA FABBRICA DEL MALE

di DANILO CARUSO 

Il nazionalsocialismo è stato nella storia dell’umanità tra le peggiori ideologie che hanno ispirato e provocato comportamenti la cui portata talmente negativa le qualifica come ideologie del male. Sarebbe bastato il solo programma politico nazista, esposto da Adolf Hitler nel suo libro “Mein kampf” (La mia battaglia), per esprimere un tale giudizio al di là dell’esperienza storica della Germania hitleriana dal 1933 al 1945. Le radici del nazismo si trovavano in aspetti del patrimonio culturale tedesco senza le quali il suo attecchimento e il suo sviluppo sarebbero stati più difficili. L’antisemitismo, il pangermanismo e l’avversione alla democrazia, che lo connotarono in maniera peculiare, avevano illustri precedenti da Lutero al Romanticismo tedesco fino a Friedrich Nietzsche. Questo, miscuglio sovrappostosi alla sconfitta della Germania nella Grande guerra, creò la base su cui i nazisti avrebbero costruito la via per l’instaurazione di uno Stato totalitario. Nel cammino verso il governo costoro specularono sulle disgrazie dei Tedeschi nel dopoguerra: l’instabilità socioeconomica garantì il considerevole appoggio dei capitalisti, che durante la dittatura ebbero a disposizione lavoratori privati dei loro diritti di categoria e totalmente asserviti ai piani di rilancio economico e di riarmo (ciò comportò la netta riduzione del tasso di disoccupazione e produsse un effetto di tolleranza da parte del proletariato nei riguardi del regime; il nazionalsocialismo ripristinò la medievale ereditarietà delle professioni, e inventò anche un servizio civile per i giovani di entrambi i sessi, un anno di lavoro obbligatorio che servì d’altro canto a livellare le differenze sociali e che gli attirò un’ulteriore acquiescenza); prima della dittatura la sinistra del partito che portava avanti punti programmatici socialisti intercettò e convogliò il malcontento delle masse (nel 1934 i rivoluzionari nazisti furono eliminati fisicamente: Hitler preferì l’intesa interna col capitale e con l’esercito in cambio della presidenza della repubblica, che così si univa in lui al rango di capo del governo). Il socialismo del nazionalsocialismo esistette come lettera morta solo sulla carta. Nel 1933-45 i Tedeschi furono privati dei diritti più elementari in una normale democrazia. Tutto (informazione, educazione, gestione dell’economia, governo della cosa pubblica, etc.) era in mano ai nazisti: l’amministrazione della giustizia e le forze dell’ordine divennero lo strumento del controllo sociale e della soppressione degli oppositori. A questa azione repressiva si aggiungeva la produzione del consenso e dell’indottrinamento condotta attraverso istituzioni di partito e pubbliche. Tutti, a seconda dei casi, erano inquadrati nel sistema nazificato, non vi era spazio per il dissenso. Le cosiddette leggi di Norimberga (1935) diedero primo corpo al programma antisemita: gli Ebrei tedeschi furono emarginati dalla società al pari degli Iloti sotto gli Spartani, e l’intera Germania sembrò somigliare moltissimo all’antica Sparta. L’irrazionale concetto della superiorità razziale ariana (e in particolare dei nordici germanici) spinse barbaramente i nazisti durante il secondo conflitto mondiale all’uccisione nei campi di concentramento di sei milioni di Ebrei. Nessuna forma di pensiero poteva e potrà mai giustificare una tale azione immotivata di odio e di morte che resta durevole nella storia a severissimo monito con la sua condanna irrevocabile verso i responsabili. Il nazionalsocialismo ebbe i suoi cardini nell’idea di una grande Germania (che si espandesse nell’est europeo) e in questo sentimento di antisemitismo. La sinistra del partito non ebbe mai vita facile e finì con lo scomparire negli anni di governo. Per una serie di motivazioni, sotto il profilo delle idee, non è corretto accostare il fascismo italiano al nazismo nel cosiddetto nazifascismo, un ibrido che non può facilmente assurgere a categoria politico-filosofica, mentre è più giusto parlare di alleanza politico-militare tra Italia e Germania. È vero che in Italia furono emanate – con l’approvazione del re Vittorio Emanuele III – nel 1938 leggi razziali, ma furono lo sciagurato e profondamente ingiustificato frutto di un innaturale allineamento dell’ideologia fascista. Il fascismo ebbe in sé dannosi diversi difetti, tuttavia l’antisemitismo come connotato ideologico lo prese dal nazismo (compiendo uno dei più tragici e significativi suoi errori) e non da una sua corrente interna preponderante. Il che non lo solleva da colpe, però chiarisce la dinamica della storia. Il fascismo coltivava il suo socialismo spiritualista, e si scontrò col capitalismo italiano (le vicende della Repubblica sociale italiana lo dimostrarono), le sue leggi razziali non avevano l’intensità di quelle tedesche, e inoltre nonostante gli altalenanti rapporti con la Chiesa cattolica (che va detto soddisfece in parecchio: dai Patti lateranensi alla concessione di alcuni privilegi) mai progettò invece come il nazismo di ritornare al paganesimo (nel 1933 la Santa sede e il governo di Hitler avevano stipulato un concordato). Il legame tra Italia fascista e Germania nazista nacque in un contesto di politica estera. Dopo la conquista italiana dell’Abissinia nella seconda guerra d’Etiopia (1935-36) Inghilterra e Francia, precedenti alleate nella Grande guerra, si erano schierate contro l’Italia, la Germania no. Hitler era ammiratore di Mussolini (il contrario non era vero) e fece in modo di avvicinarglisi: la strada della distruzione era spianata perché il fascismo per non restare isolato all’estero si legò malauguratamente ai nazisti. In Germania i campi di concentramento per gli oppositori esistevano già prima del secondo conflitto mondiale, in Italia c’era il confino che, seppur parimenti inaccettabile, era molto diverso. L’amicizia tedesca provocò l’involuzione del fascismo, la sua entrata in guerra contro le potenze democratiche occidentali (da cui si era allontanato definitivamente) e la mancata possibile sua futura e incruenta evoluzione verso la democrazia (similmente al franchismo). L’opera socio-politica fascista del periodo prebellico – sempre non dimenticando che era una dittatura antidemocratica – non è paragonabile nello spirito alla difesa degli interessi del capitale praticata dai nazisti né alla completa e radicale restrizione delle libertà attuata da questi ultimi e altrove da regimi dittatoriali comunisti o conservatori: in Italia c’erano la Chiesa e la monarchia sabauda che mantenevano propri spazi d’azione. Sul fascismo pesano le vittime e le rovine dell’ultima guerra e lo sviamento nazista con l’Olocausto in modo incancellabile, unitamente alla sua originaria vocazione antidemocratica e all’uso della violenza interna nel suo primo frangente: queste sono le maggiori affinità con il nazionalsocialismo rispetto a cui ebbe genesi e vita diverse fino al connubio (Mussolini guidava il governo italiano già dalla fine del 1922 e manifestò l’intenzione di allearsi con i Tedeschi solo dopo la svolta della metà degli anni ’30). L’intellettuale italiano genuinamente più incline al razzismo, il filosofo Julius Evola, paradossalmente fu mal visto dai nazisti a causa di divergenze d’impostazione teorica e tenuto ai margini dai fascisti che gli preferivano il neohegeliano Giovanni Gentile. Nella seconda metà del Novecento, sebbene la memoria della Shoah fosse viva e presente come oggi ma più vicina agli eventi, gli Occidentali mantennero mentalità discriminatorie verso i rappresentanti di altre etnie e specialmente nei confronti dei neri. I casi degli USA e del Sudafrica sono tra quelli emblematici: in Sudafrica i bianchi instaurarono un governo segregazionista, durato dal 1948 al 1990, non dissimile da quello nazista, e negli Stati Uniti il Ku Klux Klan e gli assassini di leaders neri sono storia ancora recente.



DAI PUNTI DEL PROGRAMMA DEL PARTITO NAZIONALSOCIALISTA (1920)

1 - Noi chiediamo la costituzione di una Grande Germania che riunisca tutti i Tedeschi, sulla base del diritto all’autodeterminazione dei popoli.
3 - Noi chiediamo terra e colonie per nutrire il nostro popolo e per collocare l’eccesso di popolazione.
4 - Cittadino può essere soltanto chi è connazionale. Può essere connazionale solo chi è di sangue tedesco, senza riguardo alla confessione religiosa. Nessun Ebreo può quindi essere connazionale.
5 - Chi non è cittadino può vivere in Germania solo come ospite e deve sottostare alla legislazione per gli stranieri.
6 - Il diritto di determinare l’orientamento e le leggi dello Stato è riservato ai soli cittadini. […]
7 - Noi chiediamo che lo Stato si impegni ad assicurare a tutti i cittadini i mezzi per vivere. Se questo paese non può garantire il sostentamento a tutta la popolazione, chi non è cittadino dovrà essere espulso dal Reich.
8 - Bisogna impedire ogni nuova immigrazione di non Tedeschi. […]
10 - Primo dovere di ogni cittadino è il lavoro, fisico o intellettuale. L’attività del singolo non deve nuocere agli interessi della collettività, ma inserirsi nel quadro di questa e per il bene comune. Per questo noi chiediamo:
11 - La soppressione del reddito di chi non lavora e non fatica, la soppressione della schiavitù dell’interesse.
13 - Noi chiediamo la nazionalizzazione di tutti i gruppi esistenti d’imprese che esercitano un monopolio.
14 - Una partecipazione agli utili nelle grandi imprese.
16 - Noi chiediamo la creazione e la protezione di un sano ceto medio, che i grandi magazzini vengano immediatamente affidati alle amministrazioni comunali e che siano affittati a poco prezzo ai piccoli commercianti. La priorità deve essere accordata ai piccoli commercianti e industriali per tutte le forniture allo Stato, alle regioni o ai comuni.
17 - Noi chiediamo una riforma agraria adatta ai nostri bisogni nazionali, la promulgazione di una Legge che permetta l’esproprio, senza indennizzo, del suolo per fini di utilità pubblica, la soppressione dell’interesse fondiario e il blocco di ogni speculazione fondiaria.
18 - Noi chiediamo una lotta senza tregua contro coloro che con la loro attività nocciono all’interesse pubblico. […]
19 - Noi chiediamo che un diritto comune tedesco sostituisca il diritto romano che è al servizio dell’ordinamento materialistico del mondo.
20 - L’estensione del nostro sistema scolastico deve permettere a tutti i Tedeschi dotati e attivi di accedere a una educazione superiore e con questa a posti direttivi. […] Lo spirito nazionale deve essere inculcato nella scuola fin dall’età della ragione. […]
21 - Lo Stato deve provvedere a migliorare la salute pubblica, proteggendo la madre e il fanciullo, proibendo il lavoro dei fanciulli, introducendo mezzi atti a sviluppare le attitudini fisiche mediante l’obbligo di praticare lo sport e la ginnastica e mediante un forte sostegno a tutte le associazioni che si occupano dell’educazione fisica della gioventù.
23 - Noi chiediamo la lotta legale contro la menzogna politica cosciente e la sua diffusione a mezzo della stampa. […]
I giornali che contrastano con l’interesse pubblico devono essere vietati. Noi chiediamo che la legge combatta l’insegnamento letterario e artistico che esercita un’influenza disgregatrice sulla nostra vita nazionale, e la soppressione delle organizzazioni che contravvengono alle disposizioni sopra esposte.
24 - Noi chiediamo la libertà nell’ambito dello Stato per tutte le confessioni religiose, nella misura in cui esse non mettano in pericolo la sua esistenza o non offendano il sentimento morale della razza germanica. Il partito, come tale, difende la concezione di un Cristianesimo positivo, ma non si lega a una confessione specifica. Esso combatte lo spirito giudaico-materialista all’interno e all’esterno ed è convinto che un risanamento duraturo del nostro popolo non può avvenire che dall’interno, sulla base del principio: l’interesse generale prevale su quello particolare.
25 - Per realizzare tutto questo, noi chiediamo la creazione di un potere centrale forte, l’autorità assoluta del comitato politico su tutto il Reich e sui suoi organismi e inoltre la creazione di camere professionali e di uffici municipali incaricati di attuare nei vari Laender le leggi generali promulgate dal Reich. […]